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lunedì 11 gennaio 2016

"La civetta e la talpa" di Remo Bodei. Parte VIII della presentazione del libro

Presentazione del libro di Remo Bodei
La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel 
Il Mulino, Bologna 2014


“Nel mondo moderno non è più necessario che i filosofi siano alla guida dello Stato. Infatti, dopo millenni di storia umana, il pensiero che agisce naturalmente in tutti, mediante l’“istinto della ragione”, ha impregnato la realtà di razionalità cieca, non riflessa, che la filosofia deve appunto esplicitare e tradurre per la coscienza, facendo così avanzare la realtà effettuale” (p. 37).

Un esempio di razionalità umana cieca, o almeno miope, nella letteratura si può trovare leggendo Padri e figli: il personaggio Bazarov tenta di vivere escludendo principi e sentimenti.
L’autore lo ha definito “incarnazione del nichilismo (…) una figura cupa, selvatica, grande, per metà venuta su dal suolo stesso, forte, spietata, onesta e tuttavia votata alla rovina, perché è ancora nell’anticamera del futuro”.
“Il nichilista è un uomo che non s’inchina dinanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato”[1], secondo la definizione del suo amico e fino a un certo punto compagno di “fede” Arkadij Kirsanov. Bazarov si occupava di scienze naturali, e il suo antagonista Pavel Petrovič, zio di Arkadij, ne parla con ironia dicendo: “Non crede nei principi, nei ranocchi crede”. (p. 37).
Il giovane scienziato sentenzia “La natura non è un tempio, ma un laboratorio, e l’uomo in essa un lavoratore” (p. 55).
Il senso estetico, la buona educazione, perfino l’amore “sono dissolutezza, vacuità!... romanticismo, bazzecole, marciume, artisticità. Andiamo piuttosto a vedere lo scarabeo” dice Evgenij Bazarov all’amico Arkadij suggestionato da lui
Ma poi questo nichilista integrale entra in crisi e in contraddizione perché si innamora non contraccambiato e ne soffre fino a dubitare di quello che dice di credere e della propria identità e
Il romanzo presenta una contrapposizione, che giunge al duello, di due unilateralità, quella di Bazarov e quella di Pavel Petrovič.
Ebbene Hegel, scrivendo di tali collisioni a proposito della tragedia greca, nota che l'ampia e profonda visione del tragediografo deve giungere a vedere la soluzione delle unilateralità: “ Con eguale chiarezza deve stargli davanti quel che è giusto o è sbagliato nelle passioni che tumultuano nel cuore umano e lo spingono ad agire, affinché, laddove per gli uomini comuni sembra che dominino solo oscurità, caso e confusione, si riveli per lui il reale effettuarsi di quel che è in sé razionale e reale. Quindi il poeta drammatico non deve accontentarsi di una visone meramente indeterminata di quel che si agita nella profondità dell’animo, né deve solo fissare unilateralmente un qualsiasi esclusivo stato d’animo e una limitata parzialità nel modo di sentire e di vedere il mondo, ma ha necessità della più grande apertura e della più comprensiva vastità di spirito. Infatti le potenze spirituali…nel dramma si presentano, secondo il loro contenuto sostanziale semplice, reciprocamente opposte come pathos di individui, per cui il dramma è la soluzione dell’unilateralità di queste potenze che divengono autonome negli individui "[2]. E il pathos non può né deve essere eliminato dalla ragione in quanto ne è un elemento[3].

Ma torniamo a Bodei: “Dalla fine della civiltà classica a oggi, il regno soprasensibile-che i cristiani avevano immaginato come un altro mondo- discende, come modello a cui tendere, progressivamente in questo mondo e gli imprime il sigillo della ragione (…) Il processo (non ancora concluso) di secolarizzazione del mondo soprasensibile riceve un impulso determinante da Lutero, il “Socrate” dei tempi moderni[4], il quale inaugura l’età dello Spirito, innalzando il vessillo della libertà e della certezza razionale” (…) “Durante tutto il Medioevo ragione e effettualità non avevano mai costituito un’endiadi: “il “mondo intelligibile” aveva un’esistenza separata e proclamava la sua natura di unica realtà effettuale, di fronte alla vuota parvenza, alla vanitas vanitatum, del mondo terreno; questo, a sua volta, non aveva alcun effettivo riconoscimento da parte della coscienza, in quanto era sostanzialmente dominato dall’arbitrio, dalla particolarità e dal privilegio feudali. Con l’era moderna l’universale discende nel mondo e si intreccia alla realtà, che diventa, a questo contatto, effettualità; e il mondo terreno, ottenendo la sua autentica consacrazione dalla coscienza, diventando “patria” dello spirito, si innalza verso la ragione. Ormai la storia è intessuta di questa trama contigua di ragione ed effettualità, giacché la ragione è penetrata nel mondo (soprattutto in Francia) e il mondo è penetrato nella ragione ( soprattutto in Germania)
 (…) Già col Rinascimento, con lo spuntare di questa “aurora (…) dopo la lunga, terribile, gravida di conseguenze notte del Medioevo[5], si realizza la prevalenza dell’universale, anche grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica. La polvere da sparo e la stampa segnano visibilmente questo nuovo dominio dell’astratto, la fine dei rapporti personali di dipendenza e il rapido avanzare dello spirito”[6]. Poiché “il particolare tecnico viene scoperto quando ne esiste il bisogno”[7], anche la stampa deve la sua invenzione al nuovo bisogno dell’essere “in contatto reciproco sul piano spirituale”[8] (La civetta e la talpa, pp. 37-38).

Non tutti gli scrittori interpreti della propria epoca considerano positiva la scoperta di certe invenzioni tecniche.
Per quanto riguarda la polvere da sparo, possiamo forse assimilarla alla scoperta del ferro esecrata da Erodoto il quale afferma senza giri di parole che è stato trovato per il male dell’uomo (:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai", Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140-143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[9] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano.
Quasi una previsione della polvere da sparo
Nel Prometeo incatenato di Eschilo, il Titano si vanta di avere scoperto, tra l’altro, i metalli:"calkovn, sivdhron, a[rguron crusovn te, tiv"-fhvseien a]n pavroiqen ejxeurei'n ejmou' ;" (vv. 502-503), il bronzo, il ferro, l'argento e l'oro, chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?
Una scoperta più volte maledetta: nella Tebaide di Stazio, quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas lamenta di essere stata creata invano dalla Natura princeps con il compito di opporsi agli stati d’animo crudeli di uomini e dèi; quindi esecra la follia dei mortali e le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Per quanto riguarda la stampa, questa è ovviamente preceduta dall’invenzione della scrittura.
Ancora una volta Prometeo, e di nuovo il rifiuto di tale scoperta
Nella tragedia di Eschilo, il protagonista eponimo afferma di avere escogitato le tevcnai (Prometeo incatenato v. 477), che fanno partire la civilizzazione, anzi:"pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo.
Vediamo questi doni di Prometeo agli uomini:"kai; mh;n ajriqmo;n , e[xocon sofismavtwn,-ejxhu'ron aujtoi'" , grammavtwn te sunqevsei",-mnhvmhn aJpavntwn, mousomhvtor j ejrgavthn.-ka[zeuxa prw'to" ejn zugoi'si knwvdala (…) uJf a[rma t j h[gagon filhnivou" -i{ppou" , a[galma th'" -uJperplouvtou clidh'".-qalassovplagkta d j ou[ti" a[llo" ajnt j ejmou'-linovpter j hu|re nautivlwn ojchvmata" (vv. 459-462 e 465-468), ed io inventai per loro il numero, eccellente fra le trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere, memoria di tutto, madre delle muse operosa. E ho aggiogato per primo gli animali selvatici (…) e ho portato sotto il cocchio i cavalli divenuti amanti delle briglie, immagine del lusso straricco. Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle ali di lino vaganti per i mari dei marinai.
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “ Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).

“Con le “due verghe di ferro” della Chiesa e della servitù della gleba, la singolarità naturale dell’uomo del Medioevo è stata domata e sfibrata , e il metodo “selvaggio e terroristico” con cui la Chiesa è stata costretta a combattere la barbarie ha reso gli individui pronti a piegarsi alla disciplina dell’universale[10]. Il terreno di battaglia contro le imposizioni e la volontà di far discendere il cielo in terra è ciò che per Hegel accomuna riforma luterana e rivoluzione francese: le due “aurore” sono sfasate temporalmente e spazialmente, ma sono entrambe manifestazione dello stesso principio dello “spirito” moderno, il quale, libero dai ceppi del “positivo”, ha imboccato la strada dello sviluppo accelerato e del mutamento rapido della realtà: “Pare quasi che in questi tempi lo spirito, che sino allora aveva proceduto a passi di lumaca nel suo svolgimento, aveva anzi retroceduto e si era allontanato da sé, calzi gli stivali delle sette miglia”[11]. Ma in Germania non fu allora possibile accompagnare la rivoluzione nella coscienza con la rivoluzione nel mondo, perché i tempi non erano maturi: “Gli Anabattisti scacciarono da Münster il vescovo e si resero padroni della città; i contadini si sollevarono in massa, per essere affrancati dall’oppressione che gravava su di essi. Ma il mondo non era ancora maturo per una trasformazione politica, come conseguenza della riforma della Chiesa”[12].
Ora, dopo che in Francia il principio della rivoluzione “scoppiò nella realtà” e in Germania “proruppe nel pensiero”, il “compito della recentissima filosofia tedesca consiste nel rendere (…) l’unità del pensare e dell’essere”, contribuendo così a esportare pensiero dalla Germania e a importare realtà[13]
L’unità di pensiero ed essere è, infatti, indispensabile ovunque in un’epoca che si “fa dotta, uniforme e comune”, in una situazione in cui la forza dell’universale incorporato nella realtà non può essere disattesa e l’individuo deperisce se perde il contatto vitale col mondo” (La civetta e la talpa, p. 39)

Per quanto riguarda il necessario contatto di ciascuno di noi, dei nostri pensieri e desideri, con il mondo, o addirittura con il cosmo, riporto le parole che Giocasta dice al figlio Eteocle nelle Fenicie di Euripide.
 La madre propugna l'uguaglianza:"kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n" (Fenicie, vv. 535-536), quello è più bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa è legge cosmica:"nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure[14], domanda la donna, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?

Torniamo a La civetta e la talpa e concludiamo questa ottava puntata.
“Il singolo non è più, “come nell’età eroica”[15], un’individualità plastica che forgia direttamente la realtà con le sue sole forze: “nell’attuale condizione del mondo, il soggetto può agire certo da se stesso secondo questo o quel lato, ma ogni singolo, da qualsiasi lato si volga, appartiene a un ordinamento sociale sussistente e non appare come la figura autonoma totale e al contempo individualmente viva di questa società, ma solo come suo membro limitato. Egli agisce solo come inviluppato in essa, e l’interesse per una simile figura ed il contenuto dei suoi fini e della sua attività sono infinitamente particolari”. In questa società in cui l’individuo è chiamato soprattutto a ricoprire un ruolo, a essere non una individualità autonoma, ma soprattutto una funzione sociale, neppure i re, col loro potere e la loro volontà sfuggono alla regola” (p. 40).

Per quanto riguarda il ruolo di ciascuno di noi, Epitteto sostiene che non possiamo sceglierlo, ma che ci viene attribuito dal regista del dramma che è la vita: “Mevmnhso o[ti uJpokrith;" ei\ dravmato", oi{ou a]n qevlh/ oJ didavskalo" (…) so;n ga;r tou't j e[sti, to; doqe;n uJpokrivnasqai provswpon kalw'": ejklevxasqai d j aujto; a[llou[Egceirivdion, 17), ricorda che sei l’attore di un dramma, di quale lo decide il regista (…) il tuo compito infatti è questo: recitare bene la parte assegnata, ma sceglierla è compito di un altro.

“Parimenti, i monarchi del nostro tempo non sono più come gli eroi dei tempi mitici , un culmine in sé concreto del tutto, ma un centro più o meno astratto all’interno di istituzioni già per sé evolute e stabili per legge e costituzione. I monarchi del nostro tempo non hanno più in mano i più importanti affari di governo; non promulgano più il diritto; le finanze, l’ordinamento civile, la sicurezza pubblica non sono più loro compito speciale; la guerra e la pace vengono determinate dai rapporti generali politici con l’estero[16]” (La civetta e la talpa, p. 40).



Bologna 11 gennaio 2016 giovanni ghiselli
p. s.
Oggi, dopo 2 anni e 11 mesi, il blog ha superato i 300 mila lettori.
Le mie fatiche, umanamente spese, non sono andate a male. 




[1] Ivan Turgenev, Padri e figli, trad. it. Mondadori, Milano, 1980, p. 35.
[2] Hegel, Estetica, trad it. Feltrinelli, Milano, tomo II, p. 1542.
[3] "Il pathos in tal senso è una potenza in se stessa legittima dell'animo, un contenuto essenziale della razionalità e della volontà libera", Op-cit , tomo I, p. 306
[4] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, trad i. di G. Calogero e C. Fatta, Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze 1966-1967, p. 676
[5] Ibid. p. 871 (vol IV, p. 139)
[6] Ibid. p 855 (vol. IV, p. 120)
[7] Ibid. p. 871 (vol. IV, p. 139)
[8] Ibid. p. 870 (vol. IV, p. 138)
[9] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672-673).
[10] Ibid.. (vol. IV. pp. 143-144)
[11] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, trad. it. Di E Codignola e G. Sanna, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze, 1967, vol III, 2, p. 2)
[12] Philosophie der Weltgeschichte, trad it. Di G. Calogero, e C. Fatta, Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze, 1966-67, vol. IV, pp. 154-155)
[13] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, trad. It. Cit. vol III, 2, p. 268.
[14] Il consiglio di seguire la natura, osservando in particolare l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte.
 I mortali non possiedono le ricchezze come cose proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo, continua Giocasta parlando a Eteocle ( Fenicie, v. 555-556).
 Seneca echeggia questo topos in Ad Marciam de consolatione (del 37d.C.) :"mutua accepimus. Usus fructusque noster est" (10, 2), abbiamo ricevuto le cose in prestito. Nostro è l'usufrutto.
[15] In effetti con Euripide l’età eroica è finita e il drammaturgo secondo Nietzsche ha messo sulla scena lo spettatore al posto dell’eroe (ndr)
[16] Hegel, Vorlesungen über die Aesthetik, trad. it. di N. Merker e N. Vaccaro, Estetica, Torino, 1967, pp. 220, 219

1 commento:

  1. Se non scegliamo il ruolo possiamo scegliere come portarlo avanti,ma il libero arbitrio esiste veramente se accettiamo un destino, anche solo in parte, predeterminato?Giovanna Tocco

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