Carlo Adelio Galimberti, Protesilao e Laodamia |
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Evitare le immagini
Altro rischio di ricaduta sta nella
vicinanza delle immagini che vanno allontanate: "Si potes et ceras remove; quid imagine muta/carpĕris?
hoc periit Laudamia modo" (vv. 723 - 724) , se puoi allontana
anche le immagini; perché ti lasci afferrare da un muto ritratto? in questo
modo morì Laodamia. Questa donna, rimasta vedova del marito Protesilao, primo
caduto tra i Greci sbarcati a Troia, cercò di consolarsi della perdita con un
manichino di cera che abbracciava di nascosto. Quando il padre se ne accorse e
gettò quel funereo surrogato nel fuoco, la donna lo seguì. Un altro mito di
amore e morte. Se ne trova un'eco nell'Alcesti
di Euripide quando Admeto promette alla sposa morente che non prenderà in casa
un'altra femmina umana in carne ed ossa ma si farà costruire una bambola simile
a lei e la abbraccerà nel loro letto invocando il suo nome: "yucra; n mevn, oi\mai, tevryin" (v. 353)
, gelida gioia, credo.
Evitare i loca conscia dell’amore perduto
Anche i luoghi dell'amore perduto bisogna
evitare: "Et loca saepe nocent; fugito
loca conscia vestri/concubitus; causas illa doloris habent. /"Hic fuit; hic
cubuit; talamo dormivimus illo; / hic mihi lasciva gaudia nocte dedit". /
Admonitu refricatur amor vulnusque novatum/scinditur; infirmis culpa pusilla
nocet" (vv. 725 - 730) , anche i luoghi spesso - fanno male; evita i
luoghi consci della vostra unione; quelli conservano motivi di dolore. "
Qui è stata; qui si è stesa; in quel letto abbiamo dormito; qui mi ha dato
gioie in una notte sfrenata". Dal ricordo viene ravvivato l'amore e la
ferita rinnovata si riapre; ai malati fa male un errore pur piccolo.
-
nocent... nocet: pure questo termine,
etimologicamente imparentato con nex, necis,
"uccisione", con pernicies,
rovina, e con il greco nevku", morto, nevkuia, evocazione dei morti, richiama l'idea
insistente della negazione della vita sempre presente in questo rimpianto, "
vano pascolo d'uno spirito disoccupato"[1].
-
loca conscia: i luoghi al corrente
delle nostre azioni o dei nostri pensieri echeggiano i fatti di cui sono stati
testimoni.
Leopardi attribuisce la coscienza delle
sue notti travagliose al letto dove le passava: "sul conscio letto, dolorosamente/alla
fioca lucerna poetando…" (Le
Ricordanze, vv. 115 - 116) , con un nesso però che risale piuttosto ad
Apuleio il quale fa dire ad Aristomene, un personaggio del suo romanzo: "gratabule, inquam, animo meo carissime, qui
mecum tot aerumnas exanclasti, conscius et arbiter quae nocte gesta sunt…"
(Metamorfosi, I, 16) , lettuccio, dico, carissimo all'animo mio, che con me
tante tribolazioni hai sopportato, conscio e giudice di quanto è stato fatto
questa notte. - gaudia…vulnusque novatum scinditur: è
un'operazione contraria a quella del tw''''''''// pavqei mavqo" ossia della
ferita che deve fiorire" in tanta luce"[2]:
la gioia, non autentica, non profonda, solo epidermica, si capovolge in ferita.
Segue il rapporto amore - fuoco - cenere.
Questa volta però leggiamolo prima in un
moderno: il protagonista di Il piacere
(del 1889) si sente ravvivato dalla visione di "Donna Maria…per Andrea
quella signora alta e ondulante sotto il mantello di viaggio e velata, di cui
egli non vedeva che la bocca e il mento, ebbe una profonda seduzione. Tutto il
suo essere, illuso in quei giorni da una parvenza di liberazione, era disposto
ad accogliere il fascino dell' "eterno feminino". Appena smosse da un
soffio di donna, le ceneri davano faville"[3].
Ora vediamo quello che potrebbe essere
il modello dell'immagine dannunziana: "Ut,
paene extinctum cinerem si sulphure tangas, /vivet et e minimo maximus ignis
erit, / sic, nisi vitaris quidquid renovabit amorem, / flamma redardescet, quae
modo nulla fuit" (vv. 731 - 734) , come se attizzi con lo zolfo la
cenere quasi spenta essa si ravviverà e da un piccolissima scintilla verrà una
grandissima vampa, così, se non avrai schivato tutto ciò che rinnovellerà
l'amore, la fiamma che poco prima era sparita di nuovo divamperà. - vitaris=vitaveris.
Nemmeno il poeta di Sulmona che
dall'esilio definirà se stesso " tenerorum
lusor amorum"[4],
lieto cantore dei teneri amori, riesce a trovare sempre qualche cosa di festoso
nella fiamma erotica.
La ricchezza favorisce gli amori
sregolati
Segue un'affermazione di stampo
platonico: la ricchezza è un'occasione per l'amore sregolato e rovinoso il
quale ne viene nutrito: "divitiis
alitur luxuriosus amor " (v. 746) . Vengono fatti gli esempi delle
famose cretesi lussuriose, Pasife e Fedra, che se fossero state povere come
Ecale e Iro non sarebbero arrivati ai noti eccessi: "Nempe quod alter egens, altera pauper erat " (v. 748) , evidentemente poiché uno era povero, e
l'altra possedeva poco. Ecale é la vecchietta che, nell' omonimo epillio di
Callimaco, diede ospitalità a Teseo, e Iro il pitocco di Itaca steso da Odisseo
(Odissea XVIII) .
Un platonismo applicato all'eros: infatti
il filosofo, nel Gorgia, denuncia il
potere, e quindi anche la ricchezza ad esso congiunta, come occasione per fare
il male e pone i tiranni tra i grandi criminali incurabili (ajjjjnivatoi, 525c) poiché
hanno commesso i delitti più atroci e non espiabili. Costoro, non potendo più
redimersi, servono come paradeivgmata, esempi negativi per gli altri, stando
sospesi nel carcere dell'Ade. Tra questi contromodelli ci sarà il despota
Archelao[5] e quanti altri, tiranni, re, dinasti e
politici, sono portati dal loro stesso potere a delinquere gravemente. Per
avallare questa affermazione è chiamato in causa Omero che ha rappresentato
Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn {{Aidou to; n ajei; crovnon timwroumevnou"" (525e)
, puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite,
e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth" ") non
ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più
fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" (526a) quelli
malvagi assai.
Il benessere della classe media
Non per questo Ovidio consiglia la
povertà: "Non habet unde suum
paupertas pascat amorem; /non tamen hoc tanti est, pauper ut esse velis"
(vv. 749 - 750) , la povertà non ha nulla con cui possa nutrire l'amore; tuttavia
questo fatto non è tanto importante da voler essere povero.
Sembra che il poeta propenda per quella
teoria della classe media indicata da Euripide come salvezza della città nelle Supplici.
Il v. 749 viene citato da Andrea
Cappellano quando insegna che il sapiens
amator, l'amante saggio non deve gettare le ricchezze tamquam prodigus, come lo scialacquatore (De amore[6],
I, 6) .
Evitare i teatri per schivare l’amore (Remedia) ; frequentarli per trovare
avventure (Ars)
Ovidio procede esortando a non frequentare i
teatri finché ci si vuole liberare dall'amore: " Enervant animos citharae lotosque lyraeque/et vox et numeris bracchia
mota suis" (753 - 754) , stremano la volontà le cetre il flauto e le
lire e il canto e le braccia mosse secondo i ritmi impressi.
Nell'Ars
(I, 89) il poeta viceversa consiglia il predatore erotico di andare a caccia
soprattutto nei teatri, ma in quel contesto la condizione spirituale
dell'allievo era diversa, e il maestro deve dare prova di flessibilità
nell'interesse del discepolo. Questo è così preminente che Ovidio arriva, pur
controvoglia, a sconsigliare i poeti d'amore: "Eloquar invitus; teneros ne tange poetas" (v. 757) .
Consiglio paradossale: evitare i poeti
d’amore. Callimaco, Filìta, Anacreonte, Tibullo, Properzio, Gallo e lo stesso
Ovidio.
Segue una rassegna di questi poeti
teneri che inteneriscono l'animo quando questo al contrario si deve indurire. Li
conosciamo quasi tutti; possiamo ripassarli nella prospettiva ovidiana.
"Callimachum fugito; non est inimicus Amori; /et cum Callimacho tu
quoque, Coe, noces. /Me certe Sappho meliorem fecit amicae, /nec rigidos mores
Teia musa dedit. /Carmina quis potuit tuto legisse Tibulli, /vel tua, cuius
opus Cynthia sola fuit? /Quis poterit lecto durus discedere Gallo? /Et mea
nescio quid carmina tale sonant" (vv. 759 - 766) , evita Callimaco; non
è ostile all'amore; e con Callimaco anche tu fai danni, poeta di Cos. Certamente
Saffo mi ha reso più generoso con l'amica, né la musa di Teo ha prescritto
costumi severi. Chi ha potuto leggere le elegie di Tibullo restando al sicuro, o
le tue la cui occupazione fu la sola Cinzia? Chi potrà allontanarsi insensibile
dopo avere letto Gallo? Anche le mie poesie echeggiano un non so che di simile.
- fugito: il solito imperativo futuro
delle prescrizioni e delle massime. - inimicus
amori: Callimaco non è contrario all'amore ma certamente la sua poesia non
è incline al pathos erotico, come nota Snell. L'autore di La cultura greca e le origini del pensiero europeo prende in
considerazione alcuni epigrammi del poeta di Cirene, tra cui quello già citato
(Anth. Pal. XII, 102) del suo amore che, come il cacciatore, insegue chi fugge
mentre passa oltre chi gli giace disteso davanti. Un altro epigramma
emblematico (A. P. XII, 134) è quello in cui il poeta nota i segni dell'amore
doloroso di un commensale per vederci il proprio: "fwro; " dj j
i[cnia fw; r e[maqon", io ladro, riconosco le tracce del ladro.
"Egli descrive dunque l'amore
altrui solo per poter confessare il proprio…Per mezzo di questa forma indiretta
Callimaco ha evitato l'espressione patetica "io amo"; la confessione
ne risulta ironicamente spezzata, e sembra che la dichiarazione d'amore gli sia
sfuggita per caso"[7].
Interessante
anche XII 73 dove Callimaco dice che metà della sua anima hJmisuv meu yuch`~ ancora
respira, l’altra metà è sparita forse rapita da Amore o dalla Morte. Oppure è
andata da qualche ragazzo e si rotola in un amore infelice dusevrw~ strevfetai.
-
Coe: il poeta di Cos è Filìta (IV - III
sec. a. C.) ritenuto con Callimaco maestro della nuova poesia alessandrina. Properzio
invoca insieme i mani dei due poeti perché lo lascino entrare nella loro selva
sacra (III, 1, 2) .
Teia
musa:
è quella di Anacreonte, nato a Teo, nella Ionia, e vissuto all'incirca tra il
570 e il 485 a. C. Frequentò i tiranni Policrate di Samo e Ipparco di Atene. - rigidos mores: infatti nell'opera di
Anacreonte prevale la cavri", la grazia: "cariventa mevn g jjjj ajeivdw, cariventa d j oi\\\\da levxai (fr. 32 D., v.
2) , canto cose piacevoli, parole piacevoli so dire. Contro l'irrigidimento
mentale, o morale o presunto tale, usa una bella immagine Emone nell'Antigone quando cerca di indurre il
padre a una maggiore flessibilità, intesa come mitezza[8]:
"Tu vedi presso le correnti gonfie come, /quanti tra gli alberi si piegano,
salvano i rami, /mentre i renitenti sono annientati con le stesse radici"
(vv. 712 - 714) .
Gli fa eco H. Hesse: " L'universale
torrente delle forme, quello che Dio aspirava insieme con l'altro, ovvero che
Dio espirava, continuava a scaturire. Klein vedeva esseri che si opponevano
alla corrente e tra paurose convulsioni si inalberavano procurandosi orrendi
dolori: eroi, delinquenti, pazzi, pensatori, amanti, religiosi"[9].
-
Tibulli: il poeta nell'elegia
proemiale (I, 19) in effetti si presenta, in contrapposizione al guerriero
Messalla Corvino, suo amico e protettore del resto, come un servo legato e
umiliato da Delia: "me retinent
vinctum formosae vincla puellae, /et sedeo duras ianitor ante fores" (vv.
55 - 56) , mi trattengono legato le catene della bella fanciulla, e siedo come
portiere davanti ai duri battenti. - tua
(sott. carmina) : di Properzio.
-
Cyntia sola fuit: echeggia le
dichiarazioni dello stesso poeta nel monovbiblo", il primo dei quattro libri di elegie, pubblicato
nel 28 a. C. "Tu mihi sola domus, tu,
Cynthia, sola parentes (I, 11, 23) , tu sola sei per me, Cinzia, la casa, sola
i genitori
La prima elegia dei quattro libri del "romano
Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis
" (I, 1, 1) , Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una
cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: / Cynthia prima
fuit, Cynthia finis erit " (I, 12, 19 - 20) , io non posso amare
un'altra né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima. Gli
occhi, ribadisce più avanti
Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa: "si nescis, oculi sunt in amore
duces " (II, 15, 12) .
Siccome questi tovpoi amorosi si ripetono, in tutti i tempi, a
vari livelli, ricordo una canzone di amore struggente, molto in voga nei primi
anni sessanta, L'uomo del banjo, che faceva:
" è lei la prima e l'ultima, che cosa mai ci avrà? / è lei la più
difficile che solo male mi fa!". Nihil
novi sub sole.
. - lecto…Gallo:
ablativo assoluto. E' il primo elegiaco (69 - 26 a. C.) del canone di
Quintiliano che attribuisce grande credito a questi poeti: "elegīa quoque Graecos provocamus" (Institutio oratoria, X, 10, 93) , anche nell'elegia
sfidiamo i Greci. Noi lo conosciamo attraverso la mediazione di Virgilio[10],
e per pochi versi che contengono già le parole chiave dell'elegia latina: domina, servitium amoris, nequitia
"che definisce uno dei caratteri distintivi di questa vita vissuta con
sofferenza contro i valori portanti della morale quiritaria"[11].
Conte avverte che l'attribuzione a Gallo
di otto dei nove versi, trovati di recente, è dubbia; "ma certo questi
frammenti papiracei ci consegnano un'immagine di Gallo vicina a quella
tramandataci da Virgilio, e sembrano confermare la sua importanza come
mediatore fra neoterismo ed elegia augustea"[12].
Ovidio nei Tristia, ricapitolando la sua vita, riconoscerà a Gallo il primo
posto nell'elegia, almeno in ordine di tempo: "Vergilium vidi tantum, nec avara Tibullo/tempus amicitiae fata dedere
meae. /Successor fuit hic tibi, Galle, Propertius illi, /quartus ab his serie
temporis ipse fui" (IV, 10, 51 - 54) , Virgilio lo vidi soltanto, né
il destino avaro concesse tempo per la mia amicizia a Tibullo[13].
Egli succedette a te, Gallo, e Properzio a lui, quarto dopo questi in ordine di
tempo fui io.
Torniamo ai Remedia (v. 766) e sentiamo anche Leopardi
nescio quid: è il vago
e l'indefinito che ogni poesia deve avere. Lo ha chiarito Leopardi che del
resto non è un estimatore di Ovidio: sostiene che il Sulmonese sia un poeta il
quale descrive piuttosto che dipingere come Virgilio o scolpire come Dante[14] e che "si lasciava trasportare dalla sua
vena e copia, con poco uso della lima, siccome p. lo stile, così p. la
lingua"[15].
E più avanti: "ei non ha maggior intento né più grave, anzi a null'altro
mira, che descrivere, ed eccitare e seminare immagini e pitturine, e figure, e
rappresentare continuamente" (p. 3480) . Io credo che il pur grandissimo
recanatese non avesse gli strumenti extraletterari per capire Ovidio.
continua
[1]
G. D'Annunzio, Il Piacere, p. 40.
[2] H. Hesse, Siddharta, p. 135.
[3]
G. D'Annunzio, Il piacere, p. 155.
[4]
Tristia, IV, 10, 1.
[5]Tiranno
di Macedonia dal 413 a. C.
[6]
Trattato del 1185
[7]
Il giocoso in Callimaco, in La cultura greca e le origini del pensiero
europeo, p. 379.
[8]
Ora invece significa facoltà di licenziare arbitrariamente.
[9]H. Hesse, Klein e Wagner, p. 162.
[10]
nella X ecloga Cornelio Gallo
cerca di sfuggire alla sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge, col
proposito di percorrere le montagne dell'Arcadia a caccia di aspri cinghiali
mescolato alle Ninfe: "Interea
mixtis lustrabo Maenala Nymphis, /aut acris venabor apros " (vv. 55 -
56) . -
[11]
G. B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p. 104.
[12]G.
B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p. 104.
[13]
Morì nel 19 (come Virgilio) o nel 18 a. C.
[14]
Zibaldone, 2523.
[15]Zibaldone,
3063.
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