Jusepe de Ribera, Il filosofo (Cratete) |
PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA
Nell'Antiope di Euripide, i due fratelli
Anfione e Zeto sostengono rispettivamente il vivere contemplativo e quello
attivo. Lo ricorda Callicle nel Gorgia
di Platone, assimilando Socrate ad Anfione e riferendo a lui la critica di Zeto
al fratello: "tu trascuri o Socrate, le faccende di cui dovresti avere
cura, e la natura così nobile dell'anima nascondi dietro atteggiamenti
puerili"(485e). Queste parole di Euripide vengono citate a memoria e
adattate a Socrate; nella tragedia Zeto cerca di risvegliare Anfione, l' amico
delle Muse, da un'esistenza di sognatore ozioso ad una vita di azione. Puerilità
è, secondo Callicle dedicarsi, in età adulta, alla filosofia: "per un
ragazzo non è una vergogna studiare la filosofia; ma quando uno divenuto più
anziano continua a filosofare, la cosa diventa ridicola, o Socrate, e io di
fronte ai filosofanti mi sento come davanti a gente che balbetta e
bambineggia"( Gorgia, 485a, b).
Questa
ostilità contro i filosofi diviene violenta poco più avanti (485d): "quando
vedo un uomo avanti con gli anni che non la smette di filosofare, mi sembra, o
Socrate, che costui abbia bisogno di bastonate". E' questa contro i
filosofi un'antipatia di cui possiamo trovare una forte ripresa ne L'uomo senza qualità di Musil: " I
filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si
impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema"(243).
Fidippide dunque non ha simpatia per i
socratici ma il padre vuole mandarcelo poiché quei filosofi insegnano a vincere
senza avere ragione, e:
"se
tu impari questo discorso ingiusto,
quello
che io devo per causa tua, di questi debiti
non
restituirei nemmeno un soldo a nessuno"(116 - 118).
Il
ragazzo non se la sente di entrare in quell'ambiente dI facce scolorite (120); allora
il padre, pur consapevole di essere "vecchio, lento e smemorato"(129),
decide di andare personalmente a imparare quei "trucioli di discorsi
sottili"(130).
E'
la novità della sofistica, cui Aristofane assimila la filosofia di Socrate.
Su Socrate vicino ai
sofisti non tace Leopardi: “E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e
casto parlatore, l'odiator de' calamistri[1]
e de' fuchi[2]
e d'ogni ornamento ascitizio[3]
e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente
meno di quelli da lui derisi? ” (Zibaldone,
3474).
Nietzsche
ha messo tra i corruttori decadenti Socrate e Wagner. Nel romanzo di T. Mann I Buddenbrook c’è un organista, una
testa conservativa, e un poco svigorita, che definisce la musica di Wagner, precisamente
la riduzione per pianoforte del Tristano
e Isotta" demagogia, bestemmia, pazzia!... un fumo profumato
attraversato da lampi…la fine di ogni morale nell'arte"(p. 319).
Strepsiade
dunque va a bussare al pensatoio di Socrate. Risponde un discepolo: il maestro
è impegnato nella misurazione del salto di una pulce; altro problema trattato
dalla scuola è se le zanzare ronzino dalla bocca o dal deretano (158). La
risposta a tanto dilemma è che "il culo fa rumore per la violenza del
soffio"(164). Come si vede sono questioni di nessuna importanza, almeno
per l'uomo comune il quale infatti deve rimanere ingannato dall'astruseria che
serve a nascondere i grandi problemi reali: la guerra o la pace, l'educazione o
la corruzione dei giovani ad opera di maestri e poeti, il rapporto tra i sessi
e così via.
Di
questi si occupa Aristofane, mentre gli studi di Socrate arrivano al dunque che
"il culo della zanzara è una tromba"(165).
Questa
è la conclusione capita da Strepsiade che aggiunge:
"o
tre volte beato per questa investigazione delle interiora!"(166). L'aspirante
discepolo, abbindolato da queste e altre stranezze del genere, vuole vedere il
maestro: si apre la scena, appare il pensatoio e in alto si vede Socrate dentro
un corbello appeso al soffitto. Altri discepoli con lo sguardo fisso al suolo: "investigano
le cose di sotterra"(188) secondo quello che li presenta. Strepsiade però
capisce che "cercano cipolle"(189) e offre il suo aiuto: "non
preoccupatevi per questo: io infatti so dove ce ne sono di grandi e belle"
(190).
Altri
tutti curvi "scrutano i misteri della tenebra sotto il Tartaro"(192),
mentre oJ
prwktov",
il culo "guarda il cielo"(193) poiché "impara l'astronomia per
conto suo"(194).
Ma
Strepsiade vuole conoscere "lui" in persona e lo chiama: "Socrate,
Socratuccio!"(224). Il maestro domanda con prosopopea:
"perché
mi chiami, creatura effimera? ", e il discepolo chiede che cosa stia
facendo. Allora Socrate rivela tutta la sua cosmica, sconfinata importanza:
"vado
per l'aria e guardo dall'alto il sole"(225).
Questo tipo di indagine però non interessa
Strepsiade il quale, rovinato dalla "malattia cavallina" gli chiede:
"
insegnami l'altro dei tuoi discorsi
quello
che non restituisce niente"(244 - 245). In cambio, lo giura sugli dèi, gli
darà il compenso che vuole.
"Su
quali dei vuoi giurare tu? ", gli domanda allora Socrate.
E
aggiunge: "innanzitutto infatti gli dèi per noi non sono moneta in
corso"(247).
Ecco dunque già formulate, sia pure solo
comicamente per ora, le accuse che porteranno Socrate a bere la cicuta. Poiché
le nostre divinità, afferma il miscredente maestro subito dopo, sono le Nuvole
(253).
Segue
una preghiera alle "Nuvole molto venerande"(269) che formano il coro
di "vergini piovose"(299) e rispondono a Socrate mentre si muovono
verso Atene, "terra di eroi, amabile dimora di Cecrope"(300) dove c'è
il culto di riti ineffabili e si celebrano feste con danze e suono di flauti.
Viene
data una visione dell'Atena classica non molto diversa dall'idea
dell'imperatore Giuliano di Ibsen: "Esiste un mondo splendido che voi
galilei non vedete; un mondo dove la vita è una festa solenne fra belle statue
e inni nei templi, con calici colmi di vino e rose fra i capelli. Ponti
vertiginosi vengono gettati fra spirito e spirito"(L'apostasia di Cesare, atto primo, p. 428).
In
Aristofane però questa serenità olimpica è messa in parodia: infatti Socrate
spiega che a cantare non sono "delle eroine"(315) come aveva supposto
Strepsiade ma
"le
nuvole celesti, grandi divinità per gli uomini oziosi"(316).
Con queste parole l'autore vuole denunciare la
fumoseria di certi filosofi a lui poco graditi. E' quello che fa Schopenauer in
Parerga e Paralipomena (p. 210, Tomo
I) nei confronti della pseudofilosofia delle università, soprattutto quella
hegeliana fatta di: " ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la
loro verbosità persino le verità più comuni e più comprensibili".
Anche Strepsiade, sebbene vecchio e tardo, ha
capito di cosa si tratta: già la mia anima, dice, si è levata a volo e
"già
ha voglia di sottilizzare e sofisticare sul fumo
e
trafiggendo un concetto con un concettuzzo ribattere con un altro
discorso"(vv. 320 - 321).
Nietzsche trarrà spunto da queste parole per
la sua malevola critica ad Euripide che annienta il mito e la tragedia con
ragioni e controragioni.
Socrate
quindi torna a fare l'elogio delle Nuvole le quali
"nutrono
fior di sapienti:
indovini
di Turi, medici, fannulloni zazzeruti pieni di unghie e capelli"(332) e
così via con un biasimo tipico del conservatore nei confronti del giovane trasandato
e anticonformista o, se si preferisce, conformista dell'anticonformismo.
Le
nuvole, continua a spiegare Socrate, "divengono tutto ciò che
vogliono"(348). Sono anche simbolo di trasformismo dunque: si adeguano
alle persone che osservano, e
"ieri
vedendo Cleonimo quel gran vigliacco
che
gettò via lo scudo per questo divennero cervi"(353 - 354).
Ho
riportato questi versi perché ci sembrano espressivi del conservatorismo di
Aristofane che, come un eroe omerico o germanico, addita al ludibrio il gesto
di abbandonare lo scudo, mentre Archiloco, quasi tre secoli prima, aveva
scritto che di un fatto del genere non gli importava niente.
Altra vergogna è l'omosessualità: viene
infatti schernito anche il noto invertito Clistene: le nuvole vedendolo"
divennero donne"(355).
Il
coro saluta Socrate quale"sacerdote di sottilissime ciance[4]"(359).
Poco dopo seguono due versi nei quali vediamo,
pur nella deformazione comica qualche cosa dell'immagine che il popolo aveva di
Socrate:
"ti
pavoneggi nelle strade e getti gli occhi qua e là
e,
scalzo, sopporti molti disagi, e prendi un'aria seria davanti a noi"(363).
Socrate dunque si dà arie da persona frugale, priva di bisogni[5], però, suggerisce Aristofane, è foriero di
sovversione religiosa e ideologica.
Infatti a Strepsiade che gli domanda:
"ma Zeus, quello
dell'Olimpo, per voi non è dio? ", risponde:
"quale Zeus? non
vaneggiare! Zeus non esiste!"(367).
Il vecchio però non
è ancora così "illuminato", forse ha sentito cantare e ha preso alla
lettera le parole di Alceo: "Fa piovere Zeus[6]".,
e domanda: "chi fa piovere allora? "(369). Così offre una facile
risposta al profeta delle nuvole indicandole dice: "queste senza
dubbio".
Infatti, sillogizza, quando mai si è visto
piovere senza le nuvole?.
A questo punto Strepsiade crede di vedere la
luce e ringrazia il maestro:
" e io che
prima credevo davvero che fosse Zeus a pisciare in un setaccio!"(372).
Poi il vecchio
discepolo scopre che sono sempre le nuvole, muovendosi, a produrre i tuoni.
Gli resta comunque
la forza di fare l'obiezione di fondo dell'uomo religioso: "
ma chi le costringe
a muoversi, non è Zeus? "(379).
Socrate lo contraddice ancora e ricorre a
un'altra divinità che sembra suprema: " no, per niente ma è il vortice
d'aria"(379).
Qui c’è un ricordo di
Anassagora che considerava il cosmo come il prodotto di un
vortice infinitamente forte, tanto da non essere intralciato dall'infinito.
Platone nel Fedone (97C) fa dire a Socrate che abbandonò
Anassagora
quando si accorse che di fatto era un naturalista tutto intero: aveva sentito
dire che secondo Anassagora è la mente (nou'") la causa e l'ordinatrice di tutto;
ma dovette ricredersi: in realtà adduceva come causa l'aria, l'etere, l'acqua e
molte altre cose strane.
Nelle Nuvole
invece a Socrate l'eliminazione di una mente dell'universo va bene; in
fondo, se si elimina dio dal cielo: "tutte le vecchie concezioni e
specialmente la vecchia morale cadranno da sé... e nascerà una vita nuova",
come insegna Satana a Ivan Karamazov[7].
Così
quel demone di Socrate insegna a non onorare più alcun dio "tranne Caos, Nuvole
e la lingua"(424).
Strepsiade
promette, e in cambio fa una sola richiesta:
"che
io tra i Greci sia il più bravo a parlare con cento miglia di vantaggio
"(430).
Lo scopo del vecchio è disonesto:
"voglio
stravolgere il diritto a mio vantaggio e scivolare dalle mani dei
creditori"(433 - 434).
E' disposto a subire anche la tortura pur di
schivare i debiti e farsi una fama di mascalzone scaltro che susciti il
rispetto della gente (440 - 450). E' lo stravolgimento della morale dell'Atene
arcaica. Cfr. la tranvalutazione lessicale in Tucidide.
Cfr.
l’ Elegia alle Muse di Solone, chiedeva agli dèi
beati benessere accompagnato dalla buona reputazione e desiderava le ricchezze
solo se acquistate con giustizia.
continua
[1]
Da calamistrum, “ferro per arricciare
i capelli” (ndr).
[2]
Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[3]
Da ascisco, “annetto” (ndr).
[4]
Cfr "vaga di ciance, e
di virtù nemica" di Leopardi (Il
pensiero dominante, 61).
[5] Una testimonianza in questo senso la troviamo anche
nei Memorabili di Senofonte dove Socrate si difende dall'accusa mossagli da Antifonte
sofista di essere un pezzente con queste parole: “mi sembra Antifonte, che tu
creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto; io invece
credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me; n
mhdeno; ~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno del meno possibile è
la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10). Similmente nel De tranquillitate animi di Seneca: “Respice agedum mundum: nudos videbis deos, omnia
dantes, nihil habentes” (8, 5), avanti, guarda l’universo: nudi vedrai gli
dèi che tutto danno e nulla possiedono.
[6]
Frammento90 D
[7]
Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 771
Ciao Giovanna Tocco
RispondiElimina