Le Nuvole al teatro greco di Siracusa |
PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA
Ma quell'etica è
oramai roba vecchia e superata: le Nuvole approvano "l'anima l'ardita e
pronta" di Strepsiade (458). Socrate dunque comincia a istruire l'anziano
allievo, quindi entra il coro ed espone la prima Parabasi (vv. 510 - 626) nella quale Aristofane presenta se stesso
e la sua opera cercando di farsi approvare dagli spettatori, non senza
rivolgere loro qualche lusinga:
"o spettatori, dirò
davanti a voi la verità,
parlando
sinceramente, in nome di Dioniso che mi ha allevato.
Così possa io vincere
ed essere stimato bravo,
siccome vi considero
spettatori favorevoli
e vi ho ritenuti
degni di assaggiare per primi
quest'ottima tra le
mie commedie"(518 - 523).
Quali sono le sue
qualità secondo l'autore? Non è scollacciata o volgare:
"guardate com'è
morigerata per natura: ella che prima di tutto
non è venuta dopo
essersi cucito un pezzo di cuoio pendulo,
rosso in punta, grosso,
per fare ridere i ragazzini".
Questi versi (537 - 539)
ci danno un'indicazione sul costume degli attori comici. Inoltre questa
commedia dai buoni costumi:
"non sfotte i
calvi né balla il cordace"(540), una danza licenziosa; il poeta per giunta
rivendica il merito di presentare tutte le volte storie nuove e diverse:
"né cerco di
ingannarvi portando in scena due e tre volte la stessa storia,
ma sempre mi ingegno
di inventare nuove situazioni
per niente uguali
tra loro e tutte belle"(546 - 548).
Le tragedie invece
presentavano poche storie che si ripetevano, sia pure con sottolineature e
tagli diversi: le Coefore di Eschilo,
l'Elettra di Sofocle e l'Elettra di Euripide drammatizzano lo
stesso mito. Aristotele nella Poetica
ricorda che "le tragedie si aggirano attorno i casi di non molte
famiglie"(1454a).
Quindi Aristofane
ricorda il coraggio e la lealtà manifestati nei suoi drammi:
"io che colpii
al ventre Cleone quando era al colmo della potenza
e viceversa quando
era a terra non ebbi la sfrontatezza di calpestarlo"(549 - 550).
Cleone in effetti venne attaccato dai Cavalieri del 424 quando il demagogo era
al culmine del successo, mentre questa Parabasi, modificata per la seconda
rappresentazione dopo l'insuccesso del 423, non infierisce sull'avversario
caduto ad Anfipoli nel 422.
Tuttavia alcuni
versi più avanti, che evidentemente risalgono alla prima redazione, infamano
Cleone chiamandolo "il gabbiano"590, per indicare un animale vorace e
consigliano i cittadini di processarlo per "corruzione e furto"(591).
Poi le Nuvole invocano varie divinità
tradizionali con il nuovo dio filosofico Etere e mettono in guardia gli Ateniesi dal nuovo demagogo Iperbolo.
Questi sarà il beniamino del popolo per diversi anni, finché nel 411
verrà messo a morte dagli oligarchi. Lo seguirà Cleofonte.
Finita la Parabasi, entra
Socrate invocando le divinità sofistiche e lamentandosi della cattiva qualità
del vecchio studente:
"Per la
Respirazione, per il Caos, per l'Aria
non ho mai visto da
nessuna parte un uomo così zotico
e impacciato e
ignorante e smemorato,
uno che quando cerca
di imparare alcune piccole bazzecole
se le dimentica prima
di averle imparate"(627 - 631).
Dopo averlo
presentato così male lo chiama fuori e gli fa delle domande, ma le risposte non
cambiano in meglio l'opinione del maestro:
"rustico sei e
scemo", gli dice (655). Strepsiade però insiste poiché vuole imparare: "il
discorso più ingiusto che ci sia"(657).
Socrate allora lo
imbriglia con astruse questioni che fanno soffrire il discepolo torturato pure
dalle cimici e sempre più refrattario a imparare finché viene ripudiato in malo
modo dal maestro:
"non te ne vai
in malora,
tu che sei il più
smemorato e stupido dei vecchi? "(789 - 790).
Strepsiade, avvilitissimo,
chiede consiglio alle Nuvole le quali rispondono:
"noi, o vecchio,
ti consigliamo,
se hai un figlio già
cresciuto,
di mandare quello al
posto tuo, a imparare" (794 - 796).
Il ragazzo veramente
"non vuol saperne di imparare" risponde Strepsiade (798) ma "è
robusto e vigoroso
ed è nato da donne
con belle ali come Cesira"(800).
E' interessante
notare che l'alto lignaggio della madre è designato da un vocabolo (eu[ptero") che
significa proprio dalle belle ali o dalle belle piume, come se le nobili
costituissero una speciale razza divinamente ornitologica. Degna di nota mi
sembra ancora di più la circostanza che tale considerazione è stata fatta da
Proust a proposito delle donne Guermantes,
nobili di antica nobiltà, nella Parigi del primo Novecento, non meno delle
Alcmeonidi nell'Atene di Pericle. Scrive dunque Proust: "I tratti della
duchessa di Guermantes... il naso a becco di falco e gli occhi penetranti... quei
tratti (sono) caratteristici.. di quella razza rimasta così speciale in mezzo a
un mondo in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente
ornitologica: perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una
dea con un uccello"[1].
Strepsiade
dunque si reca dal figlio per convincerlo a frequentare la scuola di Socrate. Invero
usa parole aspre contro il ragazzo riluttante ad entrare nel pensatoio:
"mi
accorgo che sei un bamboccio e che la pensi all'antica"(820). Quindi prova
a dargli anche i primi rudimenti della sofistica:
"non
esiste Zeus, o Fidippide"(826); e alla domanda del figlio:
"ma
allora chi? ", risponde quanto ha imparato da Socrate:
"Il
Vortice regna dopo avere scacciato Zeus"(828).
Il
ragazzo manifesta scetticismo e ostilità verso quei presunti maestri:
"e
tu sei giunto a tal punto di follia
da credere a quei matti? "(831 - 832), ma
il vecchio oramai è infatuato e replica:
"stai
attento a come parli
e
non dire male di uomini bravi
e
pieni di intelligenza: di loro, per economia,
nessuno
si fa mai tagliare i capelli né si unge il corpo
né
va al bagno per lavarsi. Tu invece
scialacqui la mia roba come se io fossi
morto"(833 - 838).
Questo
biasimo per la povertà e la trascuratezza fisica veniva rivolto a Socrate anche
da Antifonte sofista il quale accusava Socrate di essere maestro di miseria, ma
egli ribatteva che "non avere bisogno di niente è divino, di pochissimo è
assai vicino al divino”[2].
Così Euripide nell'Eracle (1345 - 1346) scrive: " non
ha bisogno di niente il dio, se è davvero un dio".
Del resto nell'Apologia scritta da Platone, Socrate
sostiene che "non dalle ricchezze nasce la virtù, ma dalla virtù le
ricchezze e tutti gli altri beni per gli uomini"(30b).
Altri passi dei suoi
discepoli mostrano che le ristrettezze di Socrate non arrivavano al disprezzo
del corpo: nel Gorgia di Platone, il
maestro insegna che"la bellezza autentica si ottiene solo attraverso la
ginnastica"(465b) e, nei Memorabili,
Senofonte ricorda pure che Socrate "non si disinteressava al corpo... e
disapprovava chi, mangiando troppo, si sottoponeva a una fatica
eccessiva"(I, 2, 4).
Concludo la
panoramica sul rapporto di Socrate con l’igiene citando le ultime parole del Simposio di Platone: "Recatosi al
Liceo si lavò e trascorse il resto della giornata come altre volte; a sera andò
a casa a riposare"(233d).
Strepsiade dunque insiste perché Fidippide
vada a scuola da Socrate; il ragazzo obbedisce, però avverte il padre:
"va bene, ma
con il tempo te ne dispiacerai"(865).
Il vecchio comunque
lo presenta a Socrate chiedendogli che gli insegni subito il modo di fare
prevalere l'ingiustizia sulla giustizia:
"fai che egli
impari quei due ragionamenti,
il forte quale è, e
il debole
che pur dicendo cose
ingiuste abbatte il forte"(882 - 884).
Insomma al padre preme soltanto che il figlio:
"diventi capace
di confutare qualsiasi argomento giusto"(888).
Molto simile a questa parodia aristofanesca è
l'accusa giudiziaria che ventiquattro anni più tardi costerà la condanna a
morte al filosofo: " Socrate commette ingiustizia e si adopera indagando i
fenomeni sotterranei e quelli celesti e rendendo più forte il discorso più
debole e insegnando agli altri queste medesime cose"( Platone, Apologia di Socrate, 19b - c).
Quindi
Aristofane personifica i due discorsi e li fa parlare in un agone oratorio.
Il Discorso Giusto premette che dirà il giusto
(900), ma Il Discorso Ingiusto ribatte che:
"la
Giustizia non esiste affatto"(902).
Il
Giusto replica che invece esiste e si trova"presso gli dèi"(903). "Come
mai - domanda allora l'Ingiusto -, se c'è la Giustizia, Zeus che ha messo in
catene suo padre non è andato in rovina? "(904 - 905).
Vediamo che, in questo stravolgimento dei
valori, il paradigma mitico viene utilizzato per avallare l'ingiustizia. Il
Giusto non sa ribattere e viene preso da una crisi di nervi cui seguono
improperi reciproci finché interviene il Coro a imporre la fine della
rissa(934): il Giusto dovrà mostrare in che cosa consiste la sua educazione
tradizionale e l'Ingiusto di che cosa è fatta la nuova; il ragazzo, udito il
contraddittorio, sceglierà da chi andare a scuola (938). Stiamo per assistere a
uno di quei dissoi;
lovgoi,
discorsi contrapposti che si trovavano nelle Antilogie di Protagora il cui annuncio programmatico era appunto: "rendere
più forte il discorso più debole".
Insomma
Aristofane fa il verso ai sofisti che erano combattenti della parola.
“L’idea
di “ discorso giusto” stravolto in discorso ingiusto si ricollega al principio
protagoreo di “fare forte il discorso debole” (to; n h{ttw lovgon kreivttw poiei`n, fr. A
21 Diels - Kranz)”[3].
continua
Che bella fotografia,che natura benigna.Che voglia di sole. Giovanna Tocco
RispondiElimina