Ermes con Dioniso bambino scultura di Prassitele |
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Poco
dopo arriva il primo creditore: Strepsiade il quale ha imparato da Socrate che
gli dèi non esistono, non si perita di giurare il falso "su Zeus Ermes e
Poseidone" le tre divinità su cui si poteva esigere il giuramento dal
debitore secondo la legge di Solone. Quindi, ricorrendo pure a un gioco di
parole, ad un trabocchetto lessicale, Strepsiade non paga. Poi non dà retta a
un secondo creditore poiché non sa nulla dei fenomeni celesti (1285) e per il
fatto che il debito non è naturale in quanto cresce ogni giorno, mentre il mare
che è naturale, pur con tutti i fiumi che vi corrono dentro, rimane sempre
uguale (1293 - 1297). A questo sofisma il vecchio aggiunge minacce, infine
rientra in casa. Allora le nuvole presagiscono guai all'attempato sofista (1310)
che si è voluto e dovrà godersi
"un
figlio abile nel sostenere argomenti
contrari alla giustizia"(1314 - 1315).
L'ingiustizia
insomma non paga mai. Infatti subito dopo il vecchio esce piangendo da casa: il
figlio lo ha picchiato pesantemente:
"ahimé
disgraziato: povera la mia testa e la mia mascella.
Oh
scellerato, percuoti tuo padre? "(1322 - 1323).
Fidippide
non è pentito e non nega, anzi si appresta a dimostrare che ha picchiato stando
"nella giustizia"(1331).
Naturalmente
si tratta della giustizia di un'umanità che nega i valori; Esiodo la chiama
"stirpe ferrea"(Opere, 176)
che vive un'età di violenza nella quale i figli disprezzano i genitori
"quando cominciano a farsi vecchi"(185) e li insultano con parole
dure usando il diritto del più forte (189).
Del resto il padre della commedia di
Aristofane non è incolpevole: infatti esclama:
"io
però ti mandai a scuola, disgraziato,
perché
trovassi argomenti contro la giustizia!"(1338 - 1339), senza comprendere
quanto sia irrazionale quel "però".
Quindi
Strepsiade racconta come è nata la contesa con il suo rampollo.
Padre
e figlio erano a tavola quando il vecchio chiese al giovane di prendere la lira
e cantare una canzone di Simonide. Fidippide si rifiutò perché si trattava di
roba antiquata (1357).
Si
ricorderà che il poeta è quello dell'encomio per gli eroi delle Termopili[1], un
lirico che non può essere simpatico a una gioventù nichilista.
Il
padre allora lo pregò di recitargli qualche cosa di Eschilo.
Ma
il ragazzo si inalberò:
"io
infatti considero Eschilo il primo tra i poeti
pieni
di frastuono, incoerenti, ampollosi, pieno di dirupi"(1366 - 1367).
Fidippide
con tale critica anticipa quanto dirà Euripide, personaggio delle Rane, contrò la poesia di Eschilo.
In
questa commedia, Aristofane costruisce un agone letterario tra i due
drammaturghi scesi nell'Ade:
"disse
una dozzina di parole grosse come buoi
con
cipiglio e cimiero, certi terribili spauracchi
incomprensibili
agli spettatori"( Rane, 924 - 926).
Il giovane dunque è un euripideo. Infatti
quando il padre gli chiese:
"recitami
qualche cosa di questi poeti nuovi"(1370), egli attaccò subito un passo di
Euripide
"come
un fratello, Dio ci scampi, sbatteva la sorella uterina"(1372). Allora il
padre lo ingiuriò e il figlio lo picchiò duro.
La scena torna in diretta, il ragazzo
interviene e pretende pure di avere ragione. Il padre gli obietta che è un
ingrato:
"io
ti ho allevato
e
capivo tutto quello che volevi quando ancora balbettavi.
Ogni
volta che dicevi bru, io capivo e ti davo da bere;
se
chiedevi la pappa io correvo e ti portavo il pane
e
ancora prima che dicessi cacca ti portavo fuori dalla porta
e
ti reggevo; tu invece poco fa mentre mi strangolavi
ed
io gridavo e strillavo che
me
la facevo sotto, hai osato
non
portarmi fuori dalla porta,
mascalzone, ma l'ho fatta lì
la
cacca, mezzo strozzato"(1380 - 1390).
Il
peccato capitale dunque, quello per il quale non c'è remissione ma si è dannati
per sempre nel fango e nello sterco secondo lo stesso Aristofane nelle Rane (149) o tormentati dalle Furie
secondo Virgilio (Eneide, VI, 608), picchiare
il padre insomma, è un gesto di moda tra i giovani che hanno avuto cattivi
maestri come Euripide e Socrate.
A
questo punto interviene il coro e chiede al ragazzo di giustificare la sua
iniquità cercando qualche argomento persuasivo che abbia almeno l'apparenza del
giusto (1397). Fidippide esulta poiché ha imparato la capacità di
"disprezzare le leggi stabilite"(1400).
Strano
che ad insegnarla sia stato proprio il maestro di Platone il quale nel Critone rappresenta Socrate mentre
preferisce morire obbedendo alle leggi, pur usate male dai giudici, che
salvarsi con la fuga, rifiutando la giurisdizione sotto la quale è nato, cresciuto
ed ha accettato durante l'intero corso della sua vita. Eppure questo suo
presunto discepolo è tutto contento poiché Socrate gli ha insegnato ogni
trasgressione, cominciando da quella ritenuta più grave:
"sono
certo di dimostrare che è giusto punire il padre"(1405).
In
realtà Socrate analizzava e criticava i luoghi comuni contrari alla ragione e
alla morale, come il vizio diffuso di trascurare l'anima per cercare solo il
benessere materiale. Un altro dramma dove possiamo trovare un figlio che
castiga il padre, ma con il consenso dell'autore, è la commedia successiva
dello stesso Aristofane: le Vespe (del
422) nella quale il vecchio Filocleone, ossia amico del demagogo più noto di
Atene, è un giudice che desidera solo recarsi nel tribunale popolare per fare
un poco di male e prendere i tre oboli di paga; mentre il giovane Schifacleone
lo chiude in casa a giudicare il cane che ha rubato un pezzo di cacio.
Fidippide
dunque dà inizio alla dimostrazione e domanda al padre:
"quando
ero bambino mi picchiavi? "(Nuvole, v. 1409).
Strepsiade
risponde:
"Io
sì perché ti volevo bene e avevo cura di te"(1409).
Dunque,
ne inferisce il giovane
"evidentemente
volere bene significa picchiare"(1412), quindi estende il ragionamento
avvalendosi anche della letteratura, naturalmente quella dell'altro cattivo
maestro, Euripide, con l'uso di un verso parodiato dell'Alcesti:
"piangono
i figli; non pensi che debba piangere il padre? " che è il travestimento
derisorio di: "Tu godi nel
vedere la luce: credi che il padre non ne goda? " che Ferete dice al
figlio Admeto (v. 691), un egoista il quale pretende il sacrificio della vita
dei genitori per conservare la propria.
Ma tornando alla
creatura di Aristofane, costui per coonestare la bastonatura al padre utilizza
altri argomenti sofistici tra cui la relatività delle leggi e dei costumi e
l'agire istintivo degli animali:
"osserva i
galli ed altri animali del genere
come puniscono i
padri: ebbene in che cosa sono diversi
da noi quelli, a
parte il fatto che non scrivono decreti? "(1426 - 1428).
Allora il padre
risponde con l'argomentazione che si trova nella favola dello sparviero e
dell'usignolo di Esiodo (Opere, 202 e
sgg. ): per le bestie è naturale la violenza e la legge del più forte; ma noi
uomini siamo diversi dagli animali:
"allora, siccome
imiti in tutto i galli, perché
non mangi anche
sterco e non dormi su un asse? "(1430 - 1431).
Fidippide elude la
risposta invocando l'autorità di Socrate.
Ma avere picchiato
il padre non gli basta:
"io ho
intenzione di picchiare la madre come ho fatto con te"(1442). Il vecchio
inorridisce, ma l'allievo di Socrate preannuncia buoni argomenti tratti dal
discorso debole per dimostrare la necessità di picchiare la madre.
Siamo così giunti
all'Esodo (1452 - 1510).
Strepsiade accusa le
Nuvole di avergli montato non bene la testa e queste si giustificano dicendo di
avere voluto metterlo alla prova:
"noi ci
comportiamo sempre così: quando capiamo che uno
è incline alle
cattive azioni,
agiamo fino a
gettarlo nel male,
perché impari a
temere gli dèi"(1458 - 1461).
Strepsiade riconosce
che è giusto: egli non doveva frodare il denaro preso a prestito. Ora ha capito.
Troviamo anche qui, nella Commedia antica, come pure, vedremo, nella nuova di
Menandro, la comprensione che nella tragedia salva l'uomo dall'annientamento (cfr.
"ora comprendo" di Admeto nell'Alcesti,
v. 940).
Però non è ancora
finita: Strepsiade vuole punire Cherefonte e Socrate che hanno ingannato lui e
il figlio. Vuole "dare fuoco alla casa di quei ciarlatani"(1484 - 1485).
E tosto esegue, senza lasciarsi fermare dalle proteste dei discepoli. Le Nuvole
lasciano l'orchestra mentre il Pensatoio crolla divorato dalle fiamme.
Così noi lasciamo
Aristofane.
continua
[1] Per chi non lo conoscesse, riferisco l'encomio di
Leonida e dei suoi opliti morti per ritardare l'avanzata di Serse nel 480 a. C.
(fr. 5 D. ):
"dei morti alle
Termopili
gloriosa è la sorte, bello il
destino,
un altare è il sepolcro (bwmo; ~ d j o tavfo~), e invece dei lamenti c'è il ricordo, e il compianto un
encomio (oi\kto~
e[paino~)/
Un sudario del genere né
ruggine
né il tempo che tutto doma (oJ pandamavtwr crovno~[1])
oscurerà.
Questo recinto sacro di
uomini prodi si prese
come custode la gloria
dell'Ellade: lo testimonia anche Leonida/
re di Sparta che ha lasciato
un grande ornamento
di valore, e fama perenne.
Purtroppo picchiare gli anziani,i deboli, i bambini,le donne e gli indifesi è una moda che non passa mai,la modernità di questi testi fa riflettere su quanto sia antica l'anima dell'uomo.Spesso i figli sono ingrati. Giovanna Tocco
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