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lunedì 4 gennaio 2016

I "Remedia amoris" di Ovidio, Parte XIV

María Zambrano

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L’epilogo dei Remedia

Siamo giunti all'epilogo: "Hoc opus exegi: fessae date serta carinae; contigimus portus quo mihi cursus erat. / Postmodo reddetis sacro pia vota poetae, /carmine sanati femina virque meo" (vv. 811 - 814) , ho portato a termine quest'opera: offrite corone alla nave stanca; abbiamo toccato il porto cui era diretta la rotta. In seguito renderete le dovute grazie al sacro poeta, uomini e donne risanati dalla mia poesia. - exegi: ricorda exegi monumentum, ho portato a termine un monumento, di Orazio (Carmina, III, 30, 1) . - carinae: torna ancora la metafora della navigazione. - sanati: " l'ultimo verso con il significativo sanati recupera alla struttura superficiale l'impronta di trattato medico e sembra rispondere al v. 43 del proemio didascalico, discite sanari per quem didicistis amare"[1].

La morale profonda del “rispetto”. Alcuni autori moderni. Musil, Fromm, Proust, Moravia, Buzzati, Zambrano,
A questa didattica dell'amore ovidiana voglio aggiungere alcuni suggerimenti presi, oltre che da “una lunga esperienza delle cose moderne” anche da “una continua lezione delle antique”.
 Ci sono poi i consigli degli autori moderni che possono essere sintetizzati da una riflessione di Musil: se da un lato può essere vero che "la morale non esiste perché non la si può dedurre da qualcosa di stabile" e quindi "vi sono soltanto delle regole per l'inutile conservazione di condizioni transitorie", come afferma Ulrich il protagonista di L'uomo senza qualità, è altresì vero quello che aggiunge subito dopo: "sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda"[2].
Quindi la guarigione dalla pena amorosa richiede non solo le Pieridi come asserisce Teocrito all'inizio dell'idillio XI (vv. 1 - 3) , o quell' abbraccio e quello stendersi insieme con i corpi nudi suggerito da Longo Sofista, [3] ma una moralizzazione del rapporto.
In altre parole, è bene osservare la persona amata, come se fosse un meraviglioso fenomeno naturale, senza volere né cambiarla né possederla; si tratta di rispettarla nel senso etimologico suggerito da Fromm: " Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere =guardare) , la capacità di vedere una persona com'è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l'altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il rispetto, perciò esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di servirmi"[4]. E ancora: se amo una persona "io la rispetto, cioè (secondo il significato etimologico di re - spicere) io la guardo come essa è obiettivamente e non travisata dai miei desideri o dalle mie paure. La conosco, sono penetrato oltre la sua apparenza fino al fondo del suo essere e ho collegato me stesso con lei dal profondo del mio essere"[5].

La sofferenza amorosa, se viene compresa, può essere produttiva, comunque va superata.
 Certo, dalla donna che ci fa soffrire si impara anche.
 Su questo possiamo sentire Proust: "Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere... Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col riuscire ben spossante!"[6].
L'amore maturo significa un'uscita da questo stato di squilibrio. Alla fine dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per la guarigione. Vediamo: " appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena rivedeva bontà nel suo sorriso... il suo amore ridiventava soprattutto un gusto delle sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno, l'alzarsi di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono di voce" (p. 322) .
Amare una persona rispettandola dunque significa osservarla senza la pretesa di cambiarla, contemplarla come si può fare con un paesaggio o un tramonto.
Una soluzione del genere si trova ne La Noia di Moravia: "insomma, lei non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com'era, cioé contemplarla, allo stesso modo che contemplavo l'albero attraverso i vetri della finestra"[7].
Anche il protagonista di Un Amore di Buzzati arriva alla comprensione e alla compassione per la ragazza che l'ha fatto soffrire siccome gli ha rivolto contro l' intenzione che lui aveva di usarla, osservandola sine ira et studio: " dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a lui un senso di pietà e di pace, una specie di invisibile carezza"[8].
La Zambrano suggerisce di uscire dalla caverna del proprio io per il superamento dell'amore come invidia dell'altro. "ben presto nell'amore l'altro si trasforma in uno. L'invidia, invece, conserva ostinatamente l'alterità dell'altro, senza permettergli di raggiungere la purezza dell'uno. E mantenendo l'altro, l'avidità aumenta sino alla frenesia…la differenza tra l'invidia e l'amore sembra trovarsi nella visione: l'amore vede l'altro come uno; l'invidia vede ciò che potrebbe essere uno come l'altro…L'invidioso, che sembra vivere fuori di sé, è un individuo immerso nel proprio intimo: invidere, già nella sua composizione, dichiara il dentro che c'è in quel guardare l'altro. Guardare e vedere un altro non fuori, non dove l'altro sta realmente, ma in un dentro abissale, un dentro allucinato che si confonde con la solitudine, dove non trova il segreto che ci fa sentire noi stessi"[9].
L'invidia si supera trovando la propria identità: "se cerchiamo l'identità di essere qualcuno al di sopra e al di là di quello che ci accade e di quello che viviamo, allora non potrà nascere l'invidia. Perché l'invidia è passione dell'altro, passione dell'identità dell'altro, passione della libertà dell'altro, nella propria vacillante unità e libertà"[10].


 Concludo questo discorso sull’amore con l'antistrofe del terzo Stasimo dell'Antigone:
di Sofocle
"Tu anche dei giusti le non più giuste/menti trascini alla rovina: /tu anche questa contesa consanguinea/di uomini hai scatenato; /e vince il desiderio vivace/degli occhi della fidanzata bella nel letto/e siede accanto nella gestione delle grandi /leggi: ineluttabile infatti/gioca la dea Afrodite" (vv. 791 - 800) .
 - ajdivkou": prolettico. Le menti giuste traviate dall'amore diventano ingiuste solo quando l'amore è malato. Si può pensare alla gelosia: "the green - eyed monster, which doth mock/ the meat it feeds on"[11], il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si pasce. - e[cei" taravxa": forma perifrastica costituita da e[cw e dal participio aoristo di taravssw, simile al nostro passato prossimo. - xuvnaimon: ipallage che sottolinea ulteriormente la consanguineità sempre notata da Sofocle. - blefavrwn: indica gli occhi. - eujlevktrou: composto di euj e levktron, "letto" per indicare le gioie che possono sconvolgere la razionalità e l'equilibrio fino a creare attriti o addirittura guerra tra i consanguinei.
Il sostantivo è formato sulla radice lec - /loc - con la quale si formano anche a[loco", compagna di letto, moglie, e lovco", "agguato".
Da questa etimologia possiamo vedere la doppia valenza della donna: accogliente e soccorrevole oppure nemica e letale. Tale ambiguità del linguaggio si può notare anche confrontando a[loco" con a[koiti", "moglie", colei che dorme insieme, da aj copulativo+ kei'mai, "giaccio", formato sulla radice kei - koi - su cui si forma keimhvlion, "oggetto riposto", "tesoro". La sposa dunque può esssere un agguato, un tesoro, e altre cose ancora: si ricorderanno la rete (Eschilo, Agamennone, 1116) e l'inganno scosceso (Esiodo, Teogonia, 589 e Opere, 83) . Diverse tra le grandi tragedie hanno a che fare con il letto il quale non poche volte è il mobile più importante del palazzo, come nota Kott a proposito dell'Alcesti di Euripide.
 Nelle Trachinie di Sofocle c'è una presenza quasi ossessiva del talamo nuziale: "ejxaivfnh" sf j oJrw' - to; n JHravkleion qavlamon eijsormwmevnhn", subito la vedo lanciarsi sul talamo di Eracle (vv. 912 - 913) ; "oJrw' de; th; n gunai'ka demnivoi" toi'" JHrakleivoi"", vedo la donna nel letto di Eracle... (v. 915 - 916) ; "kaqevzet j ejn (..,) mevsoisin eujnathrivoi" ", sedeva in mezzo al letto coniugale (v. 918) ; "w\ levch te kai; numfei' j ejmav, o letto e mia stanza nuziale (v. 920) .
Nell'Alcesti, dove la coppia"funziona", c'è un vero e proprio culto del letto: qui l'eroina muore affermando la sua fedeltà, prima che allo sposo, a questo vero e proprio feticcio domestico: "prodou'nai ga; r s j ojknou'sa kai; povsin - qnh/skw", non volendo tradire te e lo sposo/muoio (vv. 180 - 181) . –

pavredro" (Antigone, 799) : apposizione di i[mero" (796) . E' formato da paravvvvv - e eJvdra, "sede" la cui "radice deriva dall'indoeuropeo *sed - che ha dato come esito in greco eJd - /sd - (>z - ), in latino sed"[12]. -
i[mero" è il desiderio per una persona presente. Platone spiega molto chiaramente la differenza tra questo termine e povqo": "i[mero~ indica il desiderio diretto verso un partner che è presente, ovvero il desiderio che sta per essere soddisfatto, povqo", invece, il desiderio nei confronti di un assente, ovvero il desiderio che soffre di non potersi appagare: il rimpianto, la nostalgia[13]"[14].
 Il pastore Dafni nell'Idillio VIII di Teocrito mette il povqo" di un uomo per una tenera fanciulla tra i mali spaventosi del mondo: come l'inverno per gli alberi, l'arsura estiva per le acque, il laccio per gli uccelli, le reti per gli animali selvatici (vv. 56 - 59) .
 - qesmw'n: (Antigone, 800) Il desiderio appunto è una delle grandi leggi del mondo: essa riguarda uomini e ferae pecudes [15], gli animali selvaggi, ognuno dei quali segue la dea dell'amore cupide dovunque ella voglia condurlo. - a[maco": torna, circolarmente, l'invincibilità dell'amore la cui dea (jAfrodivta è forma dorica per jAfrodivth) del resto non infligge solo guerre e ferite ma sa anche elargire ludi e giochi.
Aristofane infatti afferma che Qewriva, la festa, odora di grembi di donne che corrono sui campi: "o[zei... kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn", (Pace, v. 536).


In questo Stasimo dell’Antigone, volendo si può trovare un'anticipazione del tovpo" del servitium amoris. P. Fedeli ci riferisce che alcuni studiosi (Copley e Stroh) ritengono "che il motivo nella formulazione tibulliana e properziana sia tipicamente romano" mentre un altro (Murgatroyd) "giunge alla conclusione che il motivo è attestato sin dall'Antigone di Sofocle. Il Murgatroyd, però, non si è preoccupato di distinguere se lo stato di servitium si riferisca alla condizione dell'uomo oppure a quella della donna e se, in questo caso, rifletta lo stato di totale dedizione della moglie nei confronti del marito nella società greca; non si preoccupa, infine, di considerare se si tratti di esempi generici di schiavitù nei confronti del dio Amore piuttosto che nei confronti della persona amata"[16].

L’amore come gioco
 - ejmpaivzei: (Antigone, 801) da questo verbo si vede che l'amore può essere causa di rovina ma anche fonte di gioco: "Afrodite è più dea del gioco che dell'amore, in un certo modo è la divinità dell'amore - passione. Tutti i disegni neoclassici lo hanno compreso, e hanno anche inteso l'amore come gioco"[17]. Allora bisogna stare al gioco, e giocare prendendo l'iniziativa per non essere giocati, altrimenti si soffre come Alcesimarco, l'innamorato della Cistellaria di Plauto: "Ita me amor lassum animi ludificat, /fugat, agit, appetit, raptat, retinet, / lactat, largitur. / Quod dat non dat; deludit. / Modo quod suasit dissuadet; / quod dissuasit, id ostentat. / Maritumis moribus mecum expetitur: / ita meum frangit amantem animum, / neque, nisi quia miser non eo pessum, / mihi nulla abest perdito pernicies " (vv. 215 - 224) , così amore si prende gioco di me dall'animo stanco, mi respinge, mi spinge, mi attacca, mi trascina, mi ferma, mi adesca, mi riempio di doni. Quello che dà non dà; mi canzona. Ciò che ha consigliato poco prima sconsiglia; quello che ha sconsigliato te lo presenta. Cade su me con capricci simili alle onde del mare: così spezza il mio animo innamorato, e, a parte che non faccio naufragio totale, non manca nessun flagello alla mia dannazione.



giovanni ghiselli bologna 27 ottobre 2015

Appendice

I giuramenti d'amore non sono credibili.
“si dovrebbero dichiarare pubblicamente invalidi i giuramenti degli innamorati e interdire loro il matrimonio, e proprio perché si dovrebbe prendere il matrimonio indicibilmente più sul serio”[18]..
Cfr. nel Fedro di Platone i discorsi di Fedro e il primo di Socrate contro l’amore che toglie libertà all’innamorato.
 L'inaffidabilità dei giuramenti riguarda tanto gli uomini quanto le donne.
Lo afferma pure Sofocle in un frammento (811 Pearson) : " o{rkon d j ejgw; gunaiko; " eij" u{dwr gravfw", giuramento di donna io lo scrivo sull'acqua. E se tali solenni promesse penetrano da qualche parte, certo non dentro gli orecchi degli immortali, sostiene Callimaco in un epigramma: " ajlla; levgousin ajlhqeva, tou; " ejn e[rwti - o{rkou" mh; duvnein ou[at j ej" ajqanavtwn" (A. P. V 6) , ma dicono il vero che i giuramenti in amore non entrano negli orecchi degli immortali.



[1]Ovidio Rimedi contro l'amore, p. 175.
[2]R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 846.
[3] Le avventure pastorali di Dafni e Cloe, II, 7.
[4]L'arte d'amare, p. 43.
[5] E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea, p. 40.
[6]M. Proust, Il tempo ritrovato, pp. 239 e 242.
[7]Moravia, La Noia, Bompiani, Milano, 1984, p. 345.
[8]D. Buzzati, Un Amore, Mondadori, Milano, 1965, p. 250.
[9] L'uomo e il divino pp. 258 - 259.
[10] M. Zambrano, L'uomo e il divino p. 264.
[11]Shakespeare, Otello, III, 3.
[12]G. Ugolini, Lexis, p. 186.
[13]Platone, Cratilo, 240a - b.
[14]J. P. Vernant, L'individuo, la morte, l'amore, p. 120.
[15]Lucrezio, De rerum natura, 15.
[16] Lo spazio letterario di Roma antica, 1, p. 168.
[17] M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 244.
[18] Aurora, III, 150. 

1 commento:

  1. invidia come passione per l'altro...rifletterò...i tuoi brani sono belli perchè fanno pensare. Giovanna Tocco

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