J. G. Droysen |
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Appendice con
appunti non ordinati
J. G. Droysen
“Droysen
stesso istituiva un’analogia fra Cleone e il “selvaggio Mario”, o peggio ancora
il “sanguinario Robespierre”[1].
Droysen
dà il via a una rivalutazione del demagogo ateniese tanto infamato da Tucidide
e da Aristofane: “Si può dire quel che si vuole del carattere di Cleone, ma in
ogni modo egli era l’anima del sistema democratico ateniese in quel
periodo…Frattanto le eterie dovevano impegnarsi non poco nelle trattative
allacciate con Sparta; un accenno contenuto nelle Vespe ci fa capire che in quei circoli si pensava seriamente già
allora di limitare la democrazia…Cleone appariva il vero difensore contro tali
intrighi; ecco perché il coro delle Vespe
lo chiama subito in sua difesa, non appena crede di fiutare qualche congiura”
(p. 140).
“Aristofane aveva
dinnanzi agli occhi il tesoro della poesia ellenica, considerata in tutta la
sua ampiezza, ma sempre solo allo scopo di parodiare qui e là un verso, una
situazione, una figura”[2].
“In nessuno Stato al
mondo l’opinione pubblica ha mai esercitato un potere legale così immediato ed
esplicito come in Atene; gran parte degli istituti statali ateniesi si riduceva
essenzialmente alla consultazione dell’opinione pubblica. Si giungeva al punto
di dibattere ogni anno se vi fosse nello Stato qualche personalità
significativa della quale liberarsi” (p. 132).
Droysen sa che
rischia “di essere trattato da eretico, per aver difeso un uomo abitualmente
esecrato come concentrato di spregevolezza e di abiezione demagogica, insomma
come una specie di mostro della politica” (p. 65).
Il comico di Woody Allen: “If you play your cards right, you could have my body”, Crimini e misfatti, 1989.
The sleeper 1973
My brain is my
secound - favorite organ
Gli
Uccelli del 414.
Alata e allegra
utopia costruita per fuggire dalla dura realtà politica sociale e militare del
414.
Dopo che è stata fondata la nuova città dei
cuculi tra le nuvole (Nefelokokkugiva), da
Pistetero ed Evelpide, i due Ateniesi disgustati dei concittadini e guidati dai
volatili, arriva, con altri sgraditi ciarlatani, fanfaroni e assassini anche un
sicofante il quale reclama delle ali (1420): gli servono per denunziare, sostenere
l'accusa e tornare indietro volando (1455). Naturalmente Pistetero lo caccia
non senza averlo prima picchiato perché impari quanto "amara è l'arte di
stravolgere la giustizia"(1468).
II Ipotesi
Negli Uccelli, Aristofane immagina qualche
cosa di grandioso poiché la città è oramai malata di un male inguaribile e
ridotta in rovina dai governanti, egli si inventa un’altra città che abbia
anche nuovi dèi. Aristofane immagina una città fuori dalla terra (peri; to; n ajevra ) con assemblee delibranti di uccelli, per
disgusto di quelle degli ateniesi. Gli Ateniesi vengono beffati anche per la
mania dei processi e delle liti, per la loro bellicosità.
Viene canzonato
Sofocle che descrisse la metamorfosi di Tereo e Procne in uccelli. Poi
Aristofane deride i parricidi e la mania di dare ai figli nomi di uccelli. Evelpide
e Pistetero sono affascinati dal fatto che gli uccelli vivono facendo a meno
del denaro, e mangiano menta e mirti. Quindi gli uccelli fondano Nefelokokkugivan, Nubicuculia, in mezzo al cielo e intimano
agli uomini di sacrificare a loro, non agli dèi. Si presentano i soliti farabutti
e imbroglioni: un poeta, uno spacciaoracoli, un geometra, un ispettore e uno
scrivano e tutti i più molesti. Arrivano sicofanti e parricidi. Pistetero li
manda a combattere. Gli dèi affamati devono scendere a patti. Zeus deve
promettere scettro sovranità agli uccelli.
Entrano i due
ateniesi in luogo deserto con un corvo e una cornacchia. Devono portarli da
Tereo trasformato in upupa. I due uccelli mordicchiano. Sono disgustati dal
fatto che gli Ateniesi cantano sui processi per tutta la vita (v. 41). Cfr. i
processi di Berlusconi. Arriva un servo di Upupa. Tutti hanno paura.
Esce un personaggio
con ciuffi e penne: è Tereo - Upupa. Lo ha conciato così Sofocle. I due dicono
di essere antieliasti (110)
Vogliono una città
adatta a loro. Non Atene e nemmeno una aristocratica. Una città senza vizi. Non
sul mare poiché dal mare arriva la Salaminia, la nave di Stato che era andata a
prendere Alcibiade. Gli uccelli vivono a[neu ballantivou (v. 157), senza borsa. Gli uccelli mangiano sesamo bianco, bacche di
mirto, semi di papavero. Pistetero consiglia a Tereo di fondare una città.
Comanderanno sugli
uomini e faranno morire gli dèi con una fame da Melii. (185 - 186)
Nella Parodo (209 - 351)
Tereo chiama l’usignolo che venga piangendo Iti. La voce dell’uccellino riempie
di miele tutta la boscaglia (223). L’Upupa chiama a raccolta gli uccelli.
Il corifeo proclama
che l’uomo è dolerovn, creatura ingannevole (v. 451) ma consente a
Pistetero di parlare.
Il quale dice che
gli uccelli sono più antichi (ajrcaiovteroi) di Zeus, di Crono, dei Titani e perfino della Terra. Sicché la
sovranità appartiene a loro. Il gallo era potentissimo: ancora il suo canto fa
alzare gli uomini dal letto.
Il cuculo che era re
d’Egitto dà il segno della mietitura ai Fenici circoncisi. I re avevano un
uccello sullo scettro. Zeus ha l’aquila, Atena la civetta, Apollo l’avvoltoio.
Ora invece gli
uomini mangiano gli uccelli. Il corifeo si fida di Pistetero. Allora: bisogna
fondare questa città e murarla e proclamare la guerra santa contro Zeus e
impedire agli dèi di andare e venire sulla terra a cazzo ritto (toi`si qeoi`sin
ajpeipei`n ejstukovsi, da stuvw, ho un’erezione, 557) come quando venivano a
sedurre le Alcmene e le Semele
"bisogna
proclamare la guerra santa contro Zeus e impedire agli dèi/
di
andare e venire per la vostra terra a cazzo ritto
come
una volta quando scendevano a sedurre le Alcmene
le
Alopi e le Semele"(vv. 556 - 559).
Una
menzione ridicola del dongiovannismo di Zeus, e di Poseidone, si trova anche
nelle Nuvole.
Prima
di sacrificare un montone a Zeus gli uomini dovranno sacrificare allo
scricciolo (ojrcilo~
o[rni~)
un moscerino coi coglioni (sevrfon ejnovrchn, v. 569).
Se
gli uomini non obbediranno, un nugolo di passeri e di cornacchie (struvqwn nevfo~ ajrqe; n
- kai; spermolovgwn) si leveranno per beccare le sementi dai campi, ejk tw`n ajgrw`n to; spevrm
j,
579 (cfr. uno sciopero dei lavoratori agricoli, moscerini per quanto poco
vengono pagati). E i corvi (kovrake~) caveranno gli occhi ai buoi.
Gli
uccelli ricambieranno la venerazione degli uomini mangiando le locuste (pavrnope~, cfr. S.
Giovanni Battista) poi bruchi e mosconi. Inoltre gli uccelli profetici indicheranno
commerci vantaggiosi ta; ~ ejmporiva~ kerdaleva~ (v. 594) Diranno quando è tempo
e non è tempo di navigare (nuni; mh; plei`, ceimw; n e[stai, 597).
Non avranno bisogno di templi. Dunque non è più il momento di sonnecchiare (nustavzein) e
indugiare a vincere, essere Nicia, (mellonikia`n) come fa Nicia.
Viene
chiamata Prone una flautista carina, Pistetero dice che le aprirebbe volentieri
le cosce ( ejgw;
diamhrivzoim j
a]n aujth; n hJdevw~, v. 669).
Parabasi
Il coro contrappone gli uomini tenebrosi, simili alle foglie (cfr. Iliade, VI, 146), pasticci di fango (plavsmata phlou`, 686), ombre
vane, senza ali, agli uccelli, celesti creature immuni da vecchiezza. La stirpe
degli uccelli è nata dall’unione tra Eros e Caos, prima che nascessero gli
uomini e gli dèi. Discendono da Eros e favoriscono l’amore. Regalando una
quaglia (o[rtuga) o
un’oca infatti si possono ottenere favori sessuali. Con i loro versi gli
uccelli danno i segni delle stagioni, di seminare (quando la gru gracchia e
vola verso la Libia, 710) o di non navigare più. La rondinella avverte che si
può indossare la tunica leggera. Cfr. le previsioni del tempo. Noi siamo
profetici, veri oracoli e Muse vaticinanti (v. 724) Cfr. Ettore nell’Iliade XII, e Sofocle, Edipo re Antigone - noi uccelli stiamo
in mezzo a voi e vi infondiamo la vita.
Il
coro emette canti in onore di Pan e di Cibele, la montana madre.
Frinico, il tragediografo precedente Eschilo
trae i suoi dolci canti, come un’ape, dalle cime montane. Scrisse le Fenicie, rappresentato nel 476. Raccontava
la vittoria dei Greci a Salamina e il dolore delle donne di Sidone per i loro
uomini. Nel 492 Frinico aveva portato sulla scena La presa di Mileto. Era
arconte Temistocle che voleva la costruzione di una grande flotta. Ma la
tragedia di Frinico fece piangere gli Ateniesi che multarono il poeta di mille
dracme e vietarono che la tragedia venisse rappresentata di nuovo. Scrisse
anche Alcesti e Danaidi. I suoi canti corali vennero ammirati per la loro dolcezza.
Gli
uccelli hanno dei privilegi
Niente
è più utile e piacevole che avere le ali. Tra voi spettatori chi avesse le ali
potrebbe volare a casa per mangiare o per fottere se ha visto il marito
dell’amante a teatro. Il nome della città. La divinità protettrice non può
essere Atena poiché Nefelokokkugiva non sarebbe bene ordinata se
rappresentata da una donna armata fino ai denti e da un uomo, Clistene, con la
spola (829 - 831).
Arriva
un poeta. Ha composto ditirambi e parteni e canti alla maniera di Simonide. Fa
però una parodia di Pindaro.
Si
fa dare degli indumenti. Glieli danno purché se ne vada.
Arriva
poi uno spacciaoracoli. Anche questo vuole dei regali. E’ uno non invitato, un
cialtrone, avido di salsicce. Gli danno un libro che lo sbugiarda e lo cacciano.
Arriva l’astronomo Metone che vuole misurare l’aria. Traccia un piano
urbanistico simile a quello disegnato da Ippodamo di Mileto per Turi. Ma
Pistetero lo minaccia: hanno deciso di ridurre in cenere tutti gli impostori. E
lo picchiano
Arriva
un ejpivskopo~,
un
ispettore. Lo picchiano
Poi
uno che vende decreti (yhfismatopwvlh~, 1038). Lo insultano. Nella
seconda parabasi gli uccelli esaltano il loro ruolo benefico nei confronti dei
frutti. Poi c’è il makarismov~ degli uccelli che d’inverno non indossano mantelle clai`na~ oujk ajmpiscou`ntai (1090)
continua
I processi troppo lunghi e leggi troppo complesse consentono ai criminali e ai furbi di nascondersi tra le loro pieghe come armi tra le vesti.Infatti i nostri politici quasi si vantano dei loro trascorsi giudiziari.Giovanna Tocco
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