Gli acarnesi, Stagione teatrale 1998/1999, Mario Roberti |
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Tornando
alla nostra trama, Anfiteo è riuscito a portarsi tre assaggi (v. 187) di tregua,
che poi sono tre ampolle: una di validità quinquennale, una decennale ed una
trentennale. Diceopoli naturalmente sceglie la terza, quindi, "liberato
dalla guerra e dai mali" (v. 201) torna a casa per celebrare le Dionisie
agresti, ossia per fare baldoria e smettere di pensare alla guerra.
Nella
Parodo il coro dà la caccia al
pacifista: i vecchi carbonai, pur con le gambe appesantite dagli anni (v. 220),
si scatenano nell'inseguimento del fellone che"venne a patti con i nostri
nemici"(225).
I
coreuti, in buona fede, sono stati ingannati dalla propaganda guerrafondaia dei
demagoghi che, al pari del Grande Fratello di Orwell[1]
inculcava odio per il nemico: l'abbiamo visto fare persino dal
"progressista" Euripide, nell’Andromaca,
per esempio.
Cfr.
anche fama bella constant di Curzio
Rufo.
Alessandro Magno
ricorda ai suoi oppositori macedoni che ricevere il nome di figlio di Giove
aiuta a vincere le guerre: “Famā[2]
enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem
obtinuit”[3]
le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e
spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità. Cfr.
3, 8, 7 dove pure Dario III dice “fama
bella stare”.
Intanto
Diceopoli celebra in famiglia la festa nella quale egli intima il silenzio
rituale, la figlia porta sul capo la cesta con gli arredi sacri, e il servo
"Xantia deve inalberare ritto il fallo"(243).
Si
tratta di quella processione con canti fallici dalla quale secondo Aristotele(Poetica 1449a) ebbe origine la commedia.
Il culto di una religione che esalta la gioia e la vitalità costituisce
un'antitesi a quell'adorazione della morte che è la guerra, e torna ancora a
proposito un nesso con 1984: "La
ragazza bruna veniva verso di lui attraverso i campi. Con un'unica mossa, o che
almeno parve tale, si strappò di dosso tutti i vestiti e li gettò sdegnosamente
lontano da sé... La grazia di quel gesto, e insieme la sua noncuranza, sembrava
che quasi annullassero un'intera cultura, un intero sistema filosofico, proprio
come se il Grande Fratello e il Partito e la Psicopolizia potessero essere
ridotti a nulla da un unico splendido movimento delle braccia. (p. 35)... Era
quella la forza che avrebbe ridotto il partito in frantumi (134). Viceversa
"Il partito cercava con ogni mezzo di annullare l'istinto sessuale, ovvero,
nel caso in cui non fosse riuscito ad annullarlo, di pervertirlo e
insudiciarlo" (p. 70).
Insomma,
se vogliamo semplificare e usare uno slogan del '68: "fate l'amore, non
fate la guerra".
L'esaltazione
dell'istinto non appartiene specificamente ai temi della tragedia, sebbene
Sofocle non poche volte rappresenti i supplici di Tebe sconciata da carestia e
peste in atto di chiedere agli dèi di "raddrizzare" la città in tutti
i sensi, mentre è uno dei motivi centrali della commedia aristofanesca che per
questo aspetto costituisce l'antitesi di quel Socrate platonico il quale
affermava che il suo demone lo tratteneva sempre, non lo incitava mai (Apologia, 31d).
E'
quest'affermazione a spingere Nietzsche ad attribuire germi di decadenza al
maestro di Platone, uno dei responsabili di quel depotenziamento del turgore vitale iniziato con la morte di Pericle.
Socrate infatti è
obiettivo polemico tanto di Aristofane quanto di Nietzsche.
Socrate è visto da
Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo dall’istinto
rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è proprio la forza
creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera critica e
dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la coscienza in
una creatrice - una vera mostruosità per
defectum! Più precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica, sicché
Socrate sarebbe da definire come l’individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per
una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella
sapienza istintiva nel mistico”[4].
Quest’idea non verrà
rinnegata più avanti da Nietzsche come altri aspetti[5]
di questo scritto giovanile. In Ecce homo[6]
il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione
del fenomeno dionisiaco fra i Greci -
il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta
l’arte greca.
L’altra è la
comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto
per la prima volta come tipico décadent.
“Razionalità” contro istinto. La
“razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa che mina la vita!”[7].
In Ecce homo “quasi alla fine della sua
vita lucida, Nietzsche scrive: “Io non sono un uomo, sono dinamite”[8].
Una chiave per
spiegare la natura di Socrate ci viene spiegata dal fenomeno del suo demone, una
voce che lo dissuadeva sempre. Cfr. Apologia
31 dove Socrate dice che in lui c’è qei`ovn ti kai; daimovnion, una voce –fwnhv ti~ - che quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, protrevpei de; ou[pote, mentre non mi spinge mai.
Questo mi impedisce
di occuparmi di politica.
Negli uomini
produttivi l’istinto è la forza creativa e affermativa e la coscienza è la
parte critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la
coscienza in creatrice, una vera mostruosità per defectum!
L’influenza di
Socrate dissolveva gli istinti. Socrate volle la sua condanna a morte e le andò
incontro con quella stessa calma con cui si allontanò dal simposio per ultimo (Simposio 223 c - d).
Platone si gettò ai
piedi dell’immagine di Socrate morente.
Intanto, negli Acarnesi, Diceopoli continua a
"celebrare felicemente le Dionisie agresti liberatosi dal servizio
militare"(250 - 251) grazie alla tregua trentennale. Al servo Xantia è
ricordato ancora una volta il compito di tener dritto il fallo cui per giunta
il protagonista può indirizzare un canto gioioso grazie alla tregua privata che
lo ha liberato da "guerre e da Lamachi"(vv. 269 - 270).
Lamaco era uno
stratego, e un guerrafondaio secondo Aristofane; egli sarà uno dei capi della
spedizione in Sicilia dove perderà la vita, nel 414.
Questo buon rapporto con il fallo è tipico
delle vitalità esuberanti e ottimistiche reperibili, almeno in letteratura, solo
nei periodi di relativa fiducia nella vita e nell'umanità: infatti nel Satyricon che secondo Huysmans
"dipinge in una lingua da orafo i vizi d' una civiltà decrepita" (A ritroso, p. 45) il protagonista
Encolpio, colpito da paralisi sessuale, cerca di punire il pene
"contumace" con un'invettiva che inizia con queste parole: "quid dicis... omnium hominum deorumque pudor?
", cosa ne dici, vergogna degli uomini e degli dèi? (132).
Ma Diceopoli non ha
questo problema. Piuttosto si prende paura quando viene rintracciato dal coro
degli Acarnesi i quali, inferociti, si esortano a vicenda per dargli una
lezione:
"dagli dagli dagli dagli,
colpisci colpisci il
maledetto"(281 - 282), facendo uso di una paratassi che ricorda quella
ossessiva delle Eumenidi (vv. 130 sgg.
).
Per fortuna i
coreuti sono vecchi, e Diceopoli riesce a chiedere la parola. Gli anziani si
fermano, però manifestano in ogni caso impazienza e odio, ancora più sentito di
quello che provano nei confronti di Cleone, il demagogo di cui vogliono fare
"suole da scarpe per i cavalieri"(301).
Con questo verso è
preannunciata la commedia dell'anno successivo, i Cavalieri appunto, che avrà come bersaglio polemico il beniamino
del popolo detestato dalla classe abbiente.
Negli Acarnesi ferve una discussione polemica
tra il coro e Diceopoli il quale prova a sostenere che i nemici Spartani non
hanno sempre e solo inflitto ingiustizia ma l'hanno anche subita (314). Questa
obiettività cavalleresca nei confronti del nemico deriva dall'epica omerica e
prosegue nella storiografia di Erodoto che nel proemio della sua Storia si
propone di raccontare "le imprese
grandi e meravigliose messe in luce alcune dagli Elleni altre dai barbari".
Obiettività nei
confronti degli Spartani assente dall’Andromaca
e da altre tragedie di Euripide.
Ma i semplici
Acarnesi, manipolati dalla propaganda guerrafondaia non sono obiettivi e non
sopportano le parole spese per difendere il nemico, al punto che minacciano di
morte Diceopoli (324) il quale prova a difendersi affermando di avere in mano
degli ostaggi loro e controminacciando di uccidere questi (327). In realtà
l'ostaggio è un cesto pieno di carbone, ma per i carbonai di Acarne equivale a
un tesoro in pericolo di vita: per salvare la quale accettano di ascoltare le
ragioni pacifiste di Diceopoli. Il protagonista si rivolge al pubblico
identificandosi con l'autore della commedia e ricordando i rischi corsi l'anno
prima (426) per i Babilonesi quando
Cleone, dice, "mi trascinò in tribunale"(330); ora, prima di parlare,
chiede il permesso di vestirsi nel modo più pietoso (384) per suscitare
compassione e limitare il pericolo.
Per trovare gli
stracci, bisogna andare dal poeta creatore di pezzenti: dunque Diceopoli si
reca a casa del drammaturgo stritola - eroi e lo chiama vezzeggiandolo anche un
poco: "Euripide, Euripidino!"(404). Il tragediografo appare su un
alto palco raffigurato da una macchina teatrale chiamata ejkkuvklhma, una
piattaforma corrente su ruote che rappresentava gli interni. Qui compaiono
anche diversi cenci: i costumi dei personaggi euripidei. Diceopoli dunque rivolge
la sua richiesta al drammaturgo non senza rivolgergli la critica che diverrà
più seria nelle Rane e sarà ripresa
da A. W. Schlegel e Nietzsche:
"Tu
crei sospeso per aria mentre potresti farlo
stando a terra: non è un caso che crei degli
zoppi.
Ma
perché hai i cenci della tragedia,
le
vesti da far compassione? Non è un caso che crei i pezzenti.
Ma
ti supplico per le tue ginocchia, Euripide,
dammi
qualche straccio dell'antica tragedia.
Infatti
io devo fare davanti al coro un
lungo discorso
che
mi porterà la morte se parlerò male"(410 - 417).
Euripide
ha creato una folla di antieroi storpi e mendicanti, e ne nomina alcuni: Eneo, Fenice,
Filottete, Bellerofonte lo zoppo e Telefo,
lo straccione ferito, il più malridotto, del quale appunto viene scelto
il costume (430). Era questo un re di Misia il quale venne ferito dalla lancia
di Achille che sola poteva guarirlo: per avere il tocco risanatore Telefo si recò alla corte di Argo travestito
da mendicante, si impadronì di Oreste e minacciò di sgozzarlo se
Agamennone non lo avesse aiutato.
continua
Interessante. Molto bello. Mi affascina la folla di antieroi storpi. Giovanna Tocco
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