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Materiale per un
corso che terrò nel liceo classico di Bronte dal 29 febbraio al 2 marzo 2016
Gennaio 2016
La Commedia antica. Aristofane.
Gli Acarnesi. Le Nuvole. Gli Uccelli. Le Vespe.
La Commedia attica
viene tradizionalmente divisa in tre tipi: la Commedia antica che va dalle origini agli inizi del IV secolo,
la Commedia
di mezzo, fino al 325 circa,
e quella nuova che arriva fino alla metà del III secolo in lingua greca,
poi prosegue in latino
nei drammi di Plauto e Terenzio.
La Poetica di Aristotele afferma che la tragedia vuole rappresentare personaggi
migliori di quelli reali (beltivou") mentre commedia è imitazione di uomini peggiori di noi
( ceivrou" tw'n nu'n1448a), ossia volgari e tali che non
suscitano tanto lo sdegno quanto il riso provocato dalla visione del ridicolo
"Il ridicolo" infatti spiega il filosofo "è qualche cosa di
sbagliato" (amàrtema, 1449a).
L'errore a dire il vero viene menzionato anche
per i personaggi tragici (amartìa, 1453a);
la differenza è che nei loro confronti deve nascere pietà e terrore, mentre la
commedia non produce dolore né danno.
La commedia è mivmhsi"
faulotevrwn imitazione di
personaggi che valgono meno per il ridicolo (to; geloi'on) che è parte del brutto. Il ridicolo è un errore e una bruttezza indolore
e non deleterio (aJmavrthmav ti kai; ai\sco" ajnwvdunon kai; ouj fqartikovn), proprio come la maschera comica è qualche
cosa di brutto e stravolto ma senza dolore (1449a).
E' l'assenza di pietà dunque che
contraddistingue la commedia dalla tragedia.
Hegel nella sua Estetica sostiene che "sono propri
del comico l'infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere
ben al di sopra della propria contraddizione... ossia la beatitudine e l'essere a proprio agio della soggettività che,
certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue
realizzazioni"(p. 1591).
Ancora una volta il
personaggio della commedia non suscita pietà. Viene fatto l'esempio delle Ecclesiazuse di Aristofane, le donne a
parlamento che"vogliono deliberare e fondare una nuova costituzione"
ma "conservano tutti i loro capricci e passioni di donne"(p. 1592).
Invece nella commedia nuova di Menandro
entrerà la compassione ed essa, esclusa dal comico, verrà inclusa nell'umorismo
del noto saggio di Pirandello: "Vedo
una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale
orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti
giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario
di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere... Il comico è
appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la
riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun
piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa
soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così, nascondendo così le
rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più
giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la
riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento,
o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha
fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza
tra il comico e l'umoristico".
Gli altri 2 esempi: Marmeladov
di Delitto e castigo e Sant’Ambrogio
di Giusti. Cfr. la terapia del rovesciamento e mettersi nei piedi dei ragazzi
di Leopardi.
A questo proposito
sentiamo Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto,
senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli
abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre
interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli, il
che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal
dote di un buon maestro e la più utile, non è l’eccellenza in quella dottrina, ma
l’eccellenza nel saperla comunicare”[1].
Il sentimento del
contrario è dunque una forma di compassione, in senso etimologico.
Il comico nasce dalla superiorità
in cui viene a trovarsi il pubblico rispetto all'attore[2]: deriva dunque dalla differenza di
significato che le parole hanno nella bocca e nelle intenzione di chi le
pronuncia rispetto all'intendimento di chi le ascolta, più avanzato, siccome a
maggiore conoscenza dei fatti. Il riso allora scaturisce dalla soddisfazione
dello spettatore il quale si sente superiore poiché non partecipa delle
sofferenze che colpiscono il personaggio.
Ma, tornando alla Poetica di Aristotele e alle origini
della commedia, questa nacque da
"coloro che dirigevano i canti fallici"(1449a).
I Dori rivendicano l'invenzione
della commedia etimologizzandola con il vocabolo dorico kwvmh (villaggio): il nome sarebbe derivato dal fatto che
gli attori passavano kata; kwvma", di villaggio in villaggio.
L'altra etimologia possibile, pur se scartata
dai Dori, è quella che collega commedia con il verbo kwmavzw (faccio
baldoria) e con il sostantivo kw'mo" (processione bacchica).
Ne
risulta la possibile origine campagnola di un genere dai contenuti licenziosi e
mordaci che sembra anticipare i
Fescennini romani: "versibus
alternis opprobria rustica ", insulti rustici in versi alterni, come
li definisce Orazio (Epistole II, 1, 146).
Certo è il
collegamento del dramma, sia comico sia tragico, con i riti della fertilità e
con il culto di Dioniso, un dio la cui rinascita costuiva al tempo stesso una
speranza di resurrezione per i suoi seguaci e un simbolo della vicenda delle
messi o della vegetazione in genere connessa all'eterno alternarsi delle
stagioni.
Cfr. Ammiano
Marcellino sulle feste ad Antiochia per la morte di Adone quod in adulto flore sectarum est indicium frugum "(XXII, 9, 15).
Quanto ai primi
autori di commedie, Aristotele ci fa i nomi di Epicarmo e Formide, entrambi vissuti a Siracusa nella prima metà
del V secolo; quindi commenta: "perciò
la commedia è venuta dalla Sicilia"(1449b). Era comunque una
Sicilia greca e dorica, e ci viene a proposito la Satira III di Giovenale dove il corrucciato moralista esprime la
sua indignatio nei confronti
dell'odiata stirpe dei Graeculi affermando:
"natio comoeda est ", è una
razza di commedianti (v. 100).
Di Epicarmo ci restano titoli e frammenti con
parodie mitologiche, una delle quali, appartenente al Busiride rappresenta quell'Eracle dorico, rude, gagliardo, formidabile
nel divorare e nel bere che abbiamo già incontrato (vv. 759 e sgg. ) nell'Alcesti di Euripide:
"Se lo avessi
visto mangiare saresti morto!
Tuona la gola, strepita
la mascella,
rumoreggia il molare,
stride il canino,
fischiano le narici,
sventolano le orecchie (Busiride, fr. 21 Kaibel).
Probabilmente la perdita dell'opera di Epicarmo siracusano è un fatto
grave per la letteratura: Platone
nel Teeteto (152e) definisce il commediografo siciliano il miglior
autore comico. cercal
Per noi sarebbe stato interessante
studiarne quell'elemento mimico che prosperava nell'Occidente. Un aspetto che
venne ulteriormente sviluppato da Sòfrone, siracusano pure lui, vissuto nel V secolo e
autore di mimi anch'essi tenuti
in alta considerazione da Platone che li aveva sotto il cuscino e che
"conformò al suo stile alcuni caratteri" secondo la notizia di
Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, III,
18). cercal
I mimi erano
dialoghi che imitavano (mimevomai, imito) realisticamente scene di vita
quotidiana: dai frammenti e dai titoli si può fare l'ipotesi che Sofrone abbia
lasciato un segno sui mimi di Teocrito il cui influsso sarà grande nella poesia
europea, da Virgilio a Leopardi.
Ci siamo soffermati
un momento sui poeti sicilioti per suggerire possibili connessioni con forme predrammatiche
italiche e italiote, come i già citati Fescennini, o come le Atellane, rozzi spettacoli originari
di Atella, in Campania, basati su canovacci, trame schematiche e rudimentali, con
maschere fisse, oppure i fliàci,
(ijlarotragw/diva) tragicommedie, parodie di tragedie, di
argomento mitologico e popolare diffusi nella Magna Grecia dove vennero portati
a dignità da Rintone di Taranto (fine del III sec. a. C. ).
A tutte queste forme
vengono attribuiti quei sapori forti, quell'italum
acetum che contraddistingue la commedia letteraria di Plauto rispetto ai
modelli Greci della Commedia nuova. Ma tra questi autori italioti e sicilioti
il più importante rimane Epicarmo del quale Orazio scrisse che fu un modello
per Plauto: "Plautus ad exemplar
Siculi properare Epicharmi ", Plauto si affretta dietro il modello del
siciliano Epicarmo (Ep. II, 1, 58).
Aristotele (1448a)
nomina Chionide e Magnete come autori attici più antichi, anche se comunque più
recenti di Epicarmo (Poetica 1448a).
Chionide avrebbe
vinto il primo concorso comico celebrato alle grandi Dionisie (festa di fine
marzo, la più importante per il teatro) del 486; di Magnete, il collega Aristofane,
nei Cavalieri (vv. 520 e sgg. )
ricorda che da vecchio perse il favore del pubblico poiché"rimase senza il
motteggio"(525) che gli aveva fatto vincere tanti trofei. Erano dunque
contemporanei di Epicarmo.
continua
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