Donna romana (I - II secolo d.C.)
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Perché studiare il greco e il latino, potrebbe chiederci un giovane, a
che cosa servono? Alcuni rispondono: "A niente; non sono servi di nessuno;
per questo sono belli"[1].
Non è questa la nostra risposta. Se è vero che le culture classiche non si
asserviscono alla volgarità delle mode,
infatti non passano mai di moda, è pure certo che la loro forza è impiegabile
in qualsiasi campo. La conoscenza del classico
potenzia la natura peculiare dell'uomo che è animale linguistico. Il greco e il latino servono all'umanità:
accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e di ogni
lavoro non esclusivamente meccanico.
Chi conosce il greco e il latino sa parlare la lingua italiana più e
meglio di chi non li conosce[2].
Sa anche pensare più e meglio di chi non li conosce.
Parlare male, affermava Socrate nel Fedone, è male e fa male.
Tanto più è necessario ripristinare la potenza della parola
oggi, in presenza di questa vera e propria entropia linguistica. Il parlare male,
fa male all'anima. Platone lo fa dire a Socrate con queste parole: "euj ga;r i[sqi… a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij"
aujto; tou'to plhmmelev"[3],
ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (Fedone, 115 e), sappi bene… ottimo
Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche
del male nelle anime.
L’annientamento della parola e del pensiero annichilisce
anche l’azione.
Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare
tutte le materie un po' alla meglio per arricchire la parola. Essere dilettanti
in tutto e specialisti nell'arte della parola"[4].
Il
ragazzo deve sentire, come Tonio Kröger di T. Mann, quanto sia importante conseguire
" la potenza dello spirito e della parola (der Macht des Geistes und Wortes),
sorridente in trono sopra il mondo muto e inconsapevole"[5].
Il sicuro possesso
della parola è utile in tutti i campi, da quello liturgico a quello erotico: "Non formosus erat, sed
erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas"[6],
bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le
dee del mare, scrive Ovidio. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore. Ebbene, non si può
essere veramente bravi a usare la parola, utilizzabile sempre e per molti fini,
tutti sperabilmente buoni, se non si conoscono le lingue e le civiltà
classiche, ossia quelle dei primi della classe.
Io vorrei che le conoscessero tutti attraverso una
scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità.
giovanni ghiselli
[1]
“Erano-e l’insegnante lo faceva notare spesso-del tutto inutili apparentemente
ai fini degli studi futuri e della vita, ma solo apparentemente. In realtà
erano importantissimi, più importanti addirittura di certe materie principali,
perché sviluppano la facoltà di ragionare e costituiscono la base di ogni
pensiero chiaro, sobrio ed efficace” (H. Hesse, Sotto la ruota (del 1906),
p. 24.
[2]
Vittorio Alfieri nella sua Vita
(composta tra il 1790 e il 1803) racconta di avere impiegato non poco tempo
dell’inverno 1776-1777 traducendo
dopo Orazio, Sallustio, un lavoro “più volte rifatto mutato e limato…certamente
con molto mio lucro sì nell’intelligenza della lingua latina, che nella
padronanza di maneggiar l’italiana” (IV, 3).
[5]T. Mann, Tonio Kröger , in La morte a Venezia, Tristano, Tonio Kröger p. 229.
[6]
Ars
Amatoria , II, 123-124.
Gentile e colto professore , sono una maestra e spero in un'ampia diffusione del suo articolo. Siamo circondati da dilettanti della lingua italiana che nella loro barbara superficialità non si rendono conto del potere delle parole, Tutti i totalitarismi cercano di manipolare la parola scritta e orale. Un popolo ignorante è il sogno di ogni dittatore . Rinunciare all'eredità del greco e del latino si traduce secondo me nella perdita del significato primo e delle sfumature più profonde della nostra lingua, che non è madre,ma figlia, Non per questo meno bella...anzi. Giovanna
RispondiEliminaIo sono del tutto d'accordo, caro Gianni.
RispondiEliminaAggiungo la gratitudine dell'imperatore Adriano, nel romanzo della Yourcenard, nei confronti del suo maestro di greco, in quanto le cose più belle erano state scritte in quella lingua.
Anche io ti sono grato per l'amico che sei diventato e il maestro che non hai mai smesso di essere.
Alessandro