Lo
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Il 16
gennaio uscirà il nuovo film di Roberto Faenza: Anita B. Andrò a vederlo perché la presentazione che ne ha fatto il
regista fa capire che la storia narrata riguarda tante persone quante hanno
dovuto costruire la loro identità attraversando prove molto difficili e anche assai dolorose.
Questo ultimo lavoro del regista di Sostiene
Pereira, di Jona che visse nella balena,
di Prendimi l’anima[1] e di altri pregevoli film, prende spunto dalla lettura
dal romanzo Quanta stella c'è nel cielo,
di Edith Bruck, romanziera e poetessa di origine ungherese.
Riferisco alcune parole del
regista che ho avuto occasione di conoscere due anni fa, nella Cineteca di
Bologna, e ho incontrato di nuovo in questi giorni per sentirlo parlare del suo
film.
”È stato Furio Colombo a suggerirmi di leggere il libro. Il racconto di Edith Bruck, al quale il film è liberamente ispirato, descrive la quotidianità di Anita in un ambiente fortemente ostile, quasi fosse una colpa essere stata deportata. Non ho mai chiesto a Edith quanto ci sia di autobiografico in quelle pagine, ma ho voluto aggiungere B. ad Anita, in omaggio al suo cognome. Quando ho finito di leggere il libro durante un viaggio aereo dal Giappone dove ero stato a presentare un mio lavoro, ho avuto una crisi di pianto e ho dovuto nascondermi in bagno, sconvolto. Spesso mi chiedo come possiamo lamentarci delle nostre pene, quando ci sono persone che hanno davvero vissuto nell’inferno”.
La
bellezza di tali persone, la loro levatura morale sta nel fatto che l’inferno
non le ha rese cattive. E’ il tema del tw`/
pavqei mavqo~[2],
attraverso la sofferenza arriva la comprensione, che ricorre nei film di
Faenza. Anche il dolore serve, se sofferto con intelligenza, coraggio e onestà.
Ma vediamo
in breve la trama del film.
Anita, un’adolescente di origini
ungheresi[3]
sopravvissuta ad Auschwitz, è accolta dall’unica parente rimasta viva: Monika,
sorella di suo padre, che non vuole essere chiamata zia e vive l’arrivo della
nipote come un peso.
A Zvikovez, tra le montagne
della Cecoslovacchia non lontane da Praga, Monika vive con il marito Aron, il
figlioletto Roby e il fratello di Aron, il giovane e attraente Eli, la cui
filosofia è spiccia: “gli uomini tirano giù i calzoni, mentre le donne pensano
all’amore”.
In quel villaggio dei Sudeti,
territori in precedenza occupati dai tedeschi, i nazisti vengono rimpatriati a
forza e gli scampati trasferiti nelle loro abitazioni, in una situazione di
crescente tensione con l’avvento del comunismo.
Attorno ad Anita, uomini e donne
vogliono dare un calcio al passato, ballare, divertirsi, ascoltare di nascosto
le canzoni americane trasmesse oltre cortina dalla Voice of America. Anita sogna come tutti, ma, a differenza degli
altri, non nasconde l’anima. La ragazza è combattiva e piena di entusiasmo. La
sua forza viene dal ricordo dei genitori persi nel lager. Ma nella nuova casa
si trova ad affrontare una realtà inaspettata: nessuno, neppure Eli, con cui
scoprirà l’amore, vuole ricordare il passato. E il più grande tabù è proprio
l’esperienza del campo, quasi fosse qualcosa di cui vergognarsi.
Quando Anita tenta di smontare
quella difesa collettiva, si trova davanti un muro di silenzi. Così, se vuole
parlare di ciò che ha passato, può farlo solo con il piccolo Roby, che ha
appena un anno e non può capire.
Nella mescolanza di popoli e
lingue che confluiscono attorno a Praga, Anita si confronta con personaggi
indimenticabili: il vulcanico zio Jacob, coscienza critica della comunità
ebraica ed estroso musicista nella festa del Purim; Sarah, la dinamica
“traghettatrice”armata di pistola, che organizza l’esodo verso la Palestina; il
giovane David, rimasto orfano per la tragica scelta dei genitori, con cui
inizia una toccante amicizia. Improvvisamente, Anita si trova catapultata in
una situazione imprevista, che la pone di fronte a una decisione che richiede
coraggio. E il film si chiude con un inatteso colpo di scena.
Non conosco il finale, siccome
non ho ancora visto il film, ma già da questo sommario posso ricavare spunti
per una riflessione critica.
Anita “non nasconde l’anima” e
non condivide la voglia di oblio degli altri poiché è una persona che non si
accontenta di una identità gregaria.
Mi viene in mente l’Antigone
sofoclea che afferma la propria diversità alla sorella Ismene. Quando questa, che
vorrebbe dimenticare i fratelli morti, le dice:"tu hai il cuore caldo per
dei cadaveri gelati" (v, 88),
Antigone risponde:"ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto
bisogna che io piaccia" (Antigone,
v. 89).
Questa
ragazza indomita non vuole piacere a tutti, sa di dover obbedire alla propria
coscienza che le impone di rendere gli onori funebri anche a Polinice,il fratello caduto combattendo contro
Tebe, che il tiranno Creonte vorrebbe lasciare insepolto come traditore della
patria.
Quando
vedrò il film, cercherò delle analogie tra queste due ragazze poiché Anita mi
ha fatto pensare alla figlia di Edipo, della quale Shelley scrisse a John
Gisborne[4]
"La tua opinione su Antigone è giusta. Che sublime ritratto di donna! e
che cosa pensi dei cori e in particolare del lamento lirico della vittima
simile a un dio? e delle minacce di Tiresia, e del loro immediato compimento?
Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone:
ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!
Credo
che ci potremo uscire da questa fangosa palude di indifferenza se cresceranno
molti giovani come Anita, aiutati magari, o per lo meno non ostacolati, da
quanti tra i non giovani sono capaci ancora di pensare e valutare con i criteri
della bellezza e della giustizia. Per acquistare, e non perdere questi criteri,
è necessaria la conoscenza del passato.
Ignorare la storia significa rimanere bambini
infanti, e nel senso peggiore[5],
per tutta la vita.
Lo
scrisse già Cicerone, non certo un eversivo, comunque un divulgatore tra
l’altro di quell’umanesimo il cui vetitum
non è ricordare, anzi: tabù è
dimenticare. Già nell’Odissea di
Omero la proibizione massima è quella di scordare: novstou laqevsqai, dimenticare il ritorno, significa
dimenticare le pene sofferte senza elaborarle, attraversarle, e superarle,
significa dimenticare le prove affrontate, dimenticare lo stesso poema.
“L'espressione che Omero usa in questi casi è ‘scordare il
ritorno’. Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma
del suo destino: insomma non deve dimenticare l'Odissea. Ma anche l'aedo che compone improvvisando o il rapsodo che
ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se vogliono
"dire il ritorno"; per chi canta versi senza l'appoggio di un testo
scritto "dimenticare" è il verbo più negativo che esista; e per loro
"dimenticare il ritorno" vuol dire dimenticare i poemi chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro
repertorio"[6].
Dimenticare Auschwitz per Anita significherebbe non
conoscere e non diventare quella che è[7].
Ma sulla necessità di non dimenticare sentiamo Cicerone:
"Nescire autem quid ante quam
natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis,
nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" [8]
del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad
essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si
allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa
buona. Lo fa notare Cesare Pavese:"C'è qualcosa di più triste che
invecchiare, ed è rimanere bambini"[9].
Ebbene, il film di Faenza mostra la Bildung della ragazzina Anita, la sua formazione di donna e di
persona.
Sentiamo qualche altra parola del regista
“Anita
è una ragazza tenera e sensibile. E’ appena adolescente quando esce da
Auschwitz e ha conservato la voglia di lottare, nonostante l’esperienza dei
campi…E non vuole limitarsi a sopravvivere. Nella lotta per affermare la
propria identità c’è la ricerca dell’amore, in cui darà tutta se stessa,
affrontandone costi e rischi…Per molti però vivere significa oblio: senza
rendersi conto di seppellire se stessi insieme alla memoria. Ed è così che
Anita si trova a poter parlare del suo passato solo con un bambino di un anno.
Il piccolo Roby ascolta i suoi racconti, ma non può capirla. Tutti gli altri la
invitano a “cambiare argomento”, oppure le dicono “è passato, dimentica … Anita
B. è la storia di una crescita femminile, un romanzo di formazione ancora
attuale. Nel dopoguerra si costruiva sulle macerie, oggi proviamo una
sensazione simile: il mondo in cui viviamo sembra confuso, senza
certezze".
Ora
commento alcune parole chiave del film, parole che ho ricavato dal provino[10].
Anita
dice: “l’unica cosa che mi addolora è non poter parlare con nessuno di quello
che abbiamo passato”. Nell’Antigone di
Sofocle, e pure in altre tragedie, chi impedisce di parlare è il tiranno cui la
ragazza ribelle rinfaccia:"Del resto da dove avrei potuto ottenere una
gloria/ più bella e famosa che componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe
dire che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua" Antigone, vv. 502-505. Il despota ha
messo a tacere tutti, tranne Antigone. Del resto il silenzio di Ottavia, la
figlia di Claudio che Agrippina impose a Nerone quale sposa non gradita, non
bastò a salvare la vita della disgraziata fanciulla:
"Octavia
quoque, quamvis rudibus annis, dolorem caritatem omnes adfectus abscondere
didicerat" (Annales, XIII, 16), anche Ottavia, sebbene non
scaltrita dall'età[11],
aveva imparato a nascondere la pena, l'amore e tutti i sentimenti.
Per
la ragazza di Sofocle l’ufficio pietoso nei confronti di Polinice, la
ribellione al tiranno, il rifiuto del conformismo, sono atti dovuti non solo al fratello morto ma anche
alla propria identità.
Faenza scrive che
“Nella lotta per affermare la propria identità c’è la ricerca dell’amore, in
cui Anita darà tutta se stessa, affrontandone costi e rischi”.
Quindi
torno alla creatura di Sofocle che definisce la propria quintessenza umana con
queste parole: "Certamente non sono nata per condividere l'odio ma
l'amore" (Antigone, v. 523).
Poi di nuovo Anita: “Ma a ben pensarci,
cos'è l'amore?”, si chiede quando pensa a Eli, di cui si è innamorata. E si arrovella per trovare una
definizione, salvo convincersi che è “una
cosa tanto meravigliosa che se provi a definirla, si arrabbia e perde tutta la
sua meraviglia”.
La
burrascosa passione in cui si trova
coinvolta sembra volgere al peggio, quando miracolosamente la ragazza riesce a
imporre una sterzata e trasformare il salto nel buio in una occasione di
ribellione e rinascita.
Credo
che il film si concluda con l’acquisizione della coscienza della propria bella
umanità da parte di Anita.
Il
ragazzo dice: “la guerra ha cambiato tutto, oramai non sappiamo più chi siamo”
Ebbene
Anita vuole saperlo ad ogni costo, vuole raffigurare l’impossibile di cui è
innamorata[12]
. Riporto alcune sue parole: “Sai qual è il mio sogno se potessi raggiungere la
Palestina? Quello di scrivere. Voglio inventarmi un mondo che non esiste”.
Appena
il film uscirà, andrò a vederlo e aggiungerò altre riflessioni sui contenuti e considerazioni
sulla forma. Sono attirato da queste
figura di ragazza che con il suo coraggio autorizza la speranza e con la sua
bellezza incoraggia ad amare la vita.
Giovanni
Ghiselli
P. S. Aggiungo alcune indicazioni dal Progetto Scuole legato al film:
Più di cento docenti hanno
partecipato a due proiezioni a Roma nelle scorse settimane (cinema Farnese e
cinema Barberini).
Al termine delle visioni si sono
accesi appassionanti dibattiti con il regista e si sono registrate molte
prenotazioni di matinées, per tutti gli anni delle scuole superiori e anche per
le terze medie. Numerose prenotazioni continuano ad arrivare da tutta
Italia.
Per quanto riguarda le proiezioni
per le scuole, è a disposizione degli studenti un biglietto a prezzo ridotto,
con ingresso gratuito per i docenti accompagnatori e i ragazzi diversamente
abili.
Per informazioni e prenotazioni è
possibile contattare la dott.ssa Antonella Montesi, responsabile del Progetto
Scuole del film
349/77.67.796
antonella.montesi@yahoo.it
I siti www.jeanvigoitalia.it e
www.anitab.it sono dedicati al film, rendendo disponibili trailer, sinossi,
note di regia, foto, news, Progetto scuole e altre informazioni.
Questo il profilo Facebook:
[1]
Il regista ha detto: “Mentre lavoravo tra le montagne dell’Alto Adige e Praga,
ho pensato che questa fatica (due anni per trovare i finanziamenti necessari e
uno per arrivare alla copia campione) per me rappresenta il seguito di Prendimi
l’anima, convinto che Sabina Spielrein avrebbe potuto amarlo. Da qui lo
spunto per una conclusione ideale, comune al tragitto di due donne coraggiose e
indomite: “un viaggio verso il passato con un solo bagaglio: il futuro”. Che è
la frase con cui si chiudono gli ultimi fotogrammi.
[2] Eschilo, Agamennone,
177.
[3]
Per la sua giovane eroina il regista ha scelto Elin Powell, minuta, viso a
triangolo, talento scoperto da Dustin Hoffman (l'ha voluta in Quartet). Eli è Robert Sheehan
(protagonista della serie Misfits),
nel cast ci sono Moni Ovadia, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro,
Jane Alexander.
[4] Nell'ottobre del 1821.
[5] Infante, come il latino infans, come il greco nhvpio~ è colui
che non sa parlare.
[6]I. Calvino,
Perché leggere i classici , pp. 15-16.
[7]
Cfr. la somma del pensiero educativo di Pindaro, tebano come Antigone: gevnoio oi|o~ ejssiv (Pitica II v. 72), diventa quello
che sei.
[8] Orator, 120)
[9]Il mestiere
di vivere, 24 dicembre 1937.
[10] Ai miei tempi si diceva così e nemmeno io voglio
dimenticare i miei tempi, né voglio dimenticare la mia lingua madre con le
altre che ne perfezionano la conoscenza.
[11]
Tacito ha appena raccontato l’avvelenamento di Britannico da parte di Nerone.
Siamo nel 55 d. C. e Ottavia ha solo quindici anni.
[12] Cfr. Antigone 90
dove Ismene dice alla sorella: ajll j ajmhcavnwn ejra'/" (v.90), ma sei
innamorata dell’impossibile.
dimenticare è una piccola morte , tanto che la morte reale dei nostri cari o conoscenti ci fa un poco morire anche noi perché si perde un pezzetto di noi quando l'altro non può più ricordarsi di noi. Ben si vede lo sforzo dei politici di riscrivere la storia offuscando e confondendo la realtà. Nel grande fratello questa operazione è addirittura palese e arriva a cancellare le parole. Spero di riuscire a vedere Anita B. come sempre Gianni i tuoi suggerimenti sono interessanti e le tue indicazioni non banali .Mi pare che nello stato attuale si voglia dimenticare gli anni di piombo ,confondere l'identità della nostra amata Italia negando e tacendo. Si parla tanto per non dire...Anita B. parla al piccolo bambino forse come per parlare al proprio futuro...e noi ,con chi parleremo? Giovanna
RispondiEliminaMi sembra molto interessante. Cercherò di promuovere il film nella mia scuola, magari con una presentazione.
RispondiEliminaalessandro
ho trovato molto bello il commento di Gianni G. su questo film che non ho visto, e che vedrò, e le parole del regista sul libro che non ho letto, e che leggerò. Ci sono tanti stimoli da cogliere e sviluppare, ma quello della bellezza di certe anime che l'Inferno non riesce ad annientare e che non sopravvivono soltanto, ma che lottano perché la vita che è in loro sia vissuta fino in fondo, ecco questo per me è unesempio di alta moralità umana anche negli esseri più umili. Ci aiuta ad alzarci al di sopra delle meschinità quotidiana per provare a respirare l'aria pura delle vette. Tra queste giovani donne che hanno mantenuta pura la loro anima metto anche Hette Hillesum che in tempi infernali scrive nel suo diario "in fondo quel che conta è come si porta, si sopporta e si risolve il dolore e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima".E' una sfida e atto di fiducia. Alessandra
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