Ifigenia aveva un'angoscia
cieca e regressiva. L'avevo scatenata io
|
con un'
osservazione tutt'altro che atroce, eppure insopportabile per il vuoto morale
della sua giovane vitalità fondata
sull’apparenza e tesa al successo. Fino a sera non fu
|
possibile dirle
una sola parola senza insospettirla e indispettirla, o farla
|
piagnucolare, o
addirittura ferirla e renderla furiosa. Come Dio
|
volle, arrivò
l'ora di cena. Per fortuna la cameriera della colazione
|
non c'era.
Oltretutto in effetti non era un granché. Io non avevo più
|
alcuna voglia di
vedere la mia compagna in quello stato pieno di
|
furia o di lagna:
mi faceva pena e mi dava fastidio. Il problema
|
principale era
se, dopo mangiato,fosse meglio chiederle di fare
|
l'amore con
estrema cautela, o non proporglielo affatto.
|
Mentre la guardavo
con sguardo che voleva essere mite, mi
|
sembrò che se
avessi azzardato una proposta erotica, probabilmente
|
avrei provocato
un'altra reazione di dolore o di intolleranza.
|
-Come osi, dopo
quanto hai detto? Senza contare quello che
|
avresti fatto se non
fossi fuggita da quel precipizio! Appena in
|
tempo!-
|
"No, no –
pensai – è meglio stare zitti!".
|
Parlava lei
traendo profondi sospiri dal'imo petto. Diceva che tra
|
noi due
infelicissimi, si erano alzate barriere di incomprensione
|
alte e fredde più
degli algidi monti che incoronano la valle di
|
Fassa.
|
Era più che mai commediante
e barocca . Sfoderava pose e
|
accenti
melodrammatici inconsueti pure per lei, avida di esibire se
|
stessa. Sentivo
che qualche cosa non funzionava nel suo cervello,
|
e le rispondevo in
maniera generica, come faccio con Stefania, la
|
vecchia amica
demente, quando ha le crisi nervose:"Eh sì,
|
purtroppo sì.
Sembra anche a me", sussurro.
|
A Ifigenia dissi che se tra noi non andava bene come una volta, la colpa
|
non era sua né
mia: era tutta del fato. "La
divinità infatti è
|
invidiosa e
turbolenta-citavo-, l'uomo soltanto vicissitudine[1]
, e ciò
|
che proviene dal
cielo non è consentito stornarlo". Non volevo più
|
litigare né
discutere con lei che per quel giorno, secondo le mie
|
previsioni, non
avrebbe riacquistato il controllo del cavallo massiccio,
|
contorto[2],
violento, che la trascinava indietro verso un passato
|
doloroso e
terrificante.
|
Finita la cena, ci
alzammo per avviarci verso le camere. Salimmo
|
in silenzio le
rampe comuni, finché arrivammo dove le strade
|
nostre si
dividevano:"Hic locus est, partis ubi se via findit in
|
ambas" [3],
pensai. Lì ci fermammo in silenzio. Aspettavo che
|
Ifigenia dicesse
qualche parola convenzionale come "buona notte".
|
Ed ecco che invece mi chiese:"Vuoi che facciamo l'amore?"
|
"Io sì,
eccome!” feci, spiazzato e stupito ma non spiacevolmente. “E tu? "
|
La fanciulla
pazza, invece di rispondere si mise a puntarmi in
|
silenzio.
"Gli occhi, quantunque non sia un cane da caccia, sono
|
fissi, privi di
sfumature ", pensai, evitando di
muovermi, come si deve fare con gli
|
animali inquieti.
Non volevo decidere io; ero quasi sicuro che se
|
mi fossi
incamminato da una parte o dall'altra, ella si sarebbe
|
sdegnata; forse
mi avrebbe dato un morso o una ceffata.
|
Nessuno dei due
si spostava. Dopo un tempo non breve,
|
Ifigenia
disse:"Vienimi vicino: ho tanto bisogno di te,
|
Gianni.". Mi
avvicinai senza arrivare a toccarla. Mi abbracciò lei,
|
poi mi baciò. Non
trovò opposizione né una partecipazione
|
entusiasta.
|
Quindi
affermò: "Il mondo è tanto cattivo, ma io ti amo tanto".
|
Poi scostò il suo
volto dal mio e riprese a fissarmi, con l’aria più da gatta questa volta.
|
"Facciamo
finta di niente", pensai. A questo punto però sembrava
|
auspicare e
aspettare una proposta.
|
Azzardai: "Vieni
cocca, andiamo in camera mia".
|
Non disse niente;
continuava a puntarmi. Allora, con cautela, le presi la
|
mano sinistra e
sussurrai: "Vieni tesoro, andiamo". Poi cominciai a
|
guidarla, a
tirarla pianino pianino, facendo piccoli passi. Cercavo
|
di comportarmi
con fermezza, ma anche con tutti i riguardi di cui
|
hanno bisogno tali
creature finite in balìa del cavallo demente. Ho
|
imparato dalla coetanea Stefania.
Una volta, nei primi anni Settanta, quando non sapevo trattarla, colei diede in escandescenze in |
piazza Garibaldi,
l'ombelico di Padova, soltanto perché le avevo
|
detto che I
diavoli, un film di Ken Russel, mi era piaciuto.
|
"Sei un
comunista e un porco!" gridò nell'agorà affollata, alle sette
|
di sera. Poi mi
colpì con un ombrello, in mezzo alla testa,
|
facendomi male.
Quindi fuggì, lasciandomi semi intontito in
|
mezzo alla gente
esterrefatta. Un' ora più tardi venne a casa mia
|
tutta pentita: si
scusò dicendo che la colpa era stata non sua ma di
|
mestruazioni
atroci. "Sì, e di quel cavallo tutto nero, peloso e
|
contorto",
pensai.
|
E della mimesi
materna, aggiungo ora. Falcia l'autonomia delle
|
donne. Le femmine
rimangono appendici delle madri, i maschi dei
|
padri, quando ce
l'hanno, e pochissimi crescono fino a diventare
|
persone
indipendenti dai genitori: maximum scelus, maternus (vel
|
Un'altra volta,
verso la fine del decennio, trovandomi tra Ifigenia e Stefania, con la
padovana che delirava, assunsi l'atteggiamento di riprovazione fredda ma
risoluta che
|
presento alla
vista dei commedianti irragionevoli: la vecchia amica
|
si lasciò disarmare, e da furibonda divenne
prima
|
lamentosa, poi
benigna al punto da offrici il suo appartamento e da
|
andare a dormire
dalla mamma, a Venezia, per lasciarcelo tutto.
|
Furente divenuta
gentile.
|
Con questo non
voglio dire che noi maschi siamo migliori, anzi. Abbiamo piuttosto
|
il problema della
tirannide dei luoghi comuni che succhiano
|
l'anima, del
rimbambimento, del calo di vitalità, talora anche
|
molto precoce.
Tutti dovremmo liberarci da questi impedimenti e
|
afferrare la
briglia o il guinzaglio della bestia che è in noi: ne acquisteremmo energia e
|
disciplina.
|
Quando, uscita
Stefania, ci trovammo soli, Ifigenia scoppiò a
|
ridere per la
commedia cui avevamo assistito, come se tali follie
|
non fossero state
un pericolo serio anche per noi.
|
"Hai fatto finta
di niente mentre la pazza infuriava, vero?", mi
|
domandò. Le
spiegai che con i matti bisogna mostrare una calma
|
forte e sicura di
sé. Ebbene questa necessità si presentava di nuovo
|
a Moena, la sera
dell'otto marzo del 1981, quando nella mia compagna
|
poteva scoppiare
da un momento all’altro una furia incontrollata. Sicché facevo di tutto per
evitare
|
uno scontro
deforme e distruttivo. Pensavo che non fosse utile chiederle
|
un chiarimento
dei suoi stati d'animo, poiché
|
probabilmente non
ne aveva coscienza; del resto se pure l'avesse
|
avuta non avrebbe
saputo spiegarla, e anche se avesse
saputo farlo,
|
non lo avrebbe
fatto, siccome non si fidava di me. Nemmeno di se
|
stessa si fidava
Ifigenia. Comunque facemmo l'amore tre
|
volte, e
abbastanza di gusto. Io l'avrei
iterato ancora, poiché
|
trovavo in qualche
modo eccitante quell'intermittenza mentale,
|
quel
barbaglio lampeggiante della coscienza
femminile; ma la
|
fanciulla impazzì
di nuovo[5],
e questa volta divenne troppo pazza per
|
proseguire.
|
Dopo il terzo
orgasmo sembrava allegra e compiaciuta, rideva, seppure con l’aria di una
creatura irresponsabile; io comunque assai contento di quel risultato e pregustando vaghe aggiunte di liete postille,
andai nel bagno a lavarmi, per continuare a
|
battere il ferro
caldo come si dice, ma quando, tre minuti più tardi,
|
tornai nella
stanza da letto, quella piangeva a dirotto.
|
Le
domandai:"Cosa c'è tesoro?". Non rispose. Le chiesi se potessi
|
aiutarla. Disse
che nessuno poteva fare nulla per lei, infelice,
|
svuotata, forse
anche malata nel corpo.
|
"Ho capito:
allora vestiamoci subito; ti accompagno in camera,
|
così ti
riposi", dissi con tono pacato, guardandola negli occhi
|
senza ironia né
incertezza. Con le donne in crisi è necessario
|
comportarsi così;
gli uomini che invece di prendere le briglie del
|
cavallo pazzo si
lasciano calpestare, oppure montano in furia, si
|
meritano le
zoccolate che ricevono in faccia.
|
Ifigenia saliva i
gradini con passi di enorme stanchezza.
|
Sembrava che
andasse a morire. La salutai, poi tornai in camera
|
mia, per niente scontento
di dormire da solo .
|
Lunedì nove marzo
c'era un gran sole, caldo, luminoso, sicuro. Ci
|
trovammo a
colazione pieni di buonumore. Durante la notte avevo
|
deciso che da lei
non dovevo aspettarmi più di quanto voleva
|
darmi: poco
oramai, che però avrei utilizzato al meglio per la mia
|
opera prossima a
cominciare. Anche Ifigenia probabilmente nella notte
|
aveva pensato di
prendermi quanto poteva, senza fare storie e
|
lagne prive di
qualsiasi costrutto. Così armonizzati e contenti
|
come possono esserlo
due amanti ex innamorati che hanno deciso
|
di sfruttarsi a
vicenda, salimmo con la funivia al rifugio Le cune
|
dove ci fermammo
ad abbronzarci, quasi in silenzio. Sul
|
mezzogiorno, per
cambiare posizione e visuale, scendemmo in un
|
rifugio più basso
e riparato, dove era forte il calore della fiamma
|
celeste che dona e
nutre la vita. Appena scesi dalla seggiovia, ci
|
togliemmo le
giacche a vento e arrotolammo le maniche delle
|
camicie. L'umore
diveniva sempre più allegro. A un tratto notai
|
una casetta di
legno in mezzo alla neve: distava circa un
|
chilometro in
direzione di Bellamonte e tutt’intorno per ampio
|
tratto non si
vedevano orme. Doveva essere disabitata.
|
Dissi: "Creatura,
guarda quel casinetto in mezzo alla luce: è
|
nostro[6].
Andiamo là ad abbronzarci anche i corpi". Desideravo
|
fare l'amore all'aria aperta, tra il sole e la neve che lo
potenziava,
|
ma conservavo
parte della cautela che mi ero imposta la sera
|
prima. Però
Ifigenia mi fece capire che potevo, anzi dovevo
|
essere franco.
|
"Dai – disse
– andiamo là e facciamo l'amore!".
|
"Come ai bei tempi – pensai - Stai a vedere che questa è
rinsavita, e
|
mi ama di
nuovo!". Le feci un sorriso di riconoscenza, poi ci
|
incamminammo semiabbracciati. Qua e là affondavamo fino alle
|
ginocchia e
oltre, in qualche buco pieno di acqua per il disgelo.
|
Prendevamo tutto
con allegria.
|
"Poi ci
spogliamo e ci asciughiamo ai raggi caldi, corroborati da
|
questo
biancore" facevo.
|
E lei:"Sì,
sì, e facciamo zazzì".
|
"Sul serio è diventata
un’altra volta spiritosa e simpatica la mia creatura"
|
pensavo.
|
Eravamo eccitati
e felici. Finalmente giungemmo alla baita. Era
|
proprio isolata.
Salimmo sulla terrazza non alta che la cingeva,
|
afferrandone il
bordo e tirandoci su. Poi scavalcammo il parapetto
|
e ci stendemmo
sul lato volto a sud ovest, verso il passo Rolle. Si
|
vedevano soltanto
le montagne innevate e la cascata di luce che le
|
faceva brillare.
Rimanemmo fermi e silenziosi per alcuni minuti,
|
osservando il
paesaggio. Sembrava un pomeriggio di luglio: il
|
cielo era così
luminoso e l'aria tanto calda che non
|
rabbrividivo all'idea
di spogliarmi per fare l'amore con una ragazza di cui non
|
mi fidavo. Alcune
grosse mosche iridate volavano ronzando
|
intorno a
noi senza posa. Davanti agli occhi
avevamo le pale di
|
San Martino,
bianche, lontane, e illuminate così ardentemente da
|
sembrare tre
opliti giganti levatisi al sole con le armature corrusche
|
per riverberare i
dardi di fuoco verso di noi. I lati settentrionali, i fianchi
|
destri degli
smisurati guerrieri, dall'ombra che eternamente li
|
copre, mandavano
bagliori azzurrini, gradevolmente freschi in
|
quella illusione
d'estate.
|
Ci spogliammo
entrambi, del tutto. Stendemmo i vestiti a far da
|
giaciglio, ma le
mutande le appesi ad un filo teso sopra le nostre
|
teste con delle
mollette; per potere prenderle subito in caso di
|
necessità, le mie
e quelle della mia giovane donna, odorose del sesso
|
suo, della carne
viva, stillante fragrante e rugiada . Quando
|
eravamo a
Bologna, nel grande letto, e dovevamo alzarci in fretta
|
e furia poiché il
tempo del suo permesso era scaduto, talvolta non
|
riuscivamo a
scovarle che dopo lunghe ricerche. A dire il vero
|
mentre ficcavo la
testa gonfia di sangue sotto il letto, e allungavo
|
una mano,
affannato, respirando la polvere del pavimento,
|
pensavo in
dialetto pesarese: "Se quest è
un accident, che dio ne
|
manda cent".
|
Negli ultimi
tempi avevo ripreso l'abitudine, imparata dalla magna mater
|
Helena, la serena Sarjantola[7],
di metterle sotto il cuscino, ma anche
|
da lì talora,
diabolicamente, sparivano. Le care, profumate mutande
|
delle mie care
amanti. Quasi il meglio della vita. Quando ripenso alle donne che meravigliosamente
conobbi e al tempo migliore con ciascuna di loro, come quando ricordo i giovani cui |
ho insegnato ad
amare la vita, non credo che il vivere mio sia stato
|
soltanto il sogno
di un'ombra[8] , né
una tragedia totale, né un
|
fallimento
completo. Una bella opportunità è stata la vita per me,
|
ed io non l'ho
sprecata, anzi.
|
Così, stesi su
quella terrazza di legno, scaldati e abbronzati dal
|
sole di primavera,
compenetrati a vicenda, riversi e fusi l'uno
|
nell'altro,
sorvolati da mosche ronzanti canzoncine primaverili, ci
|
scambiammo
piacere illudendoci di avere ritrovato il tempo felice
|
di quando eravamo
innamorati e avevamo sempre voglia di unirci e di conoscerci meglio. Succedeva
in casa, nell’automobile, sulla spiaggia di Pesaro nel luglio del 1979, |
quando prendevamo
un moscone e lo remavamo velocemente, a
|
turno, finché si
giungeva al largo, lontani da ogni presenza umana;
|
Cfr. Pindaro, Pitica
VIII, 95-96: "skia'"
o[nar- a[nqrwpo"", sogno di
un'ombra è
|
l'uomo.
|
Allora, sul fondo
ligneo della piccola imbarcazione, abbacinati dal
|
sole, sorvolati da
bianche farfalle disperse sulla grande pianura
|
d'acqua azzurra e
salata, ci toglievamo i costumi, li mettevamo
|
sopra il sedile
più alto e facevamo l'amore tante volte da arrivare a
|
sentire la gioia
dionisiaca della fusione con la luce, con il mare,
|
con l'intero
universo che ci sorrideva. Allora tutti i malevoli, gli invidiosi gonfi di
risentimento, i rinnegatori della
vita, erano confutati, messi a tacere sconfitti.
|
Il 9 marzo del
1981 in mezzo a quei monti antropomorfi vicini al
|
disgelo riuscimmo
a fonderci ancora una volta con la stessa panica
|
ebbrezza. “La vita
è amore, la vita è bellezza”, pensai, il resto è lordura.
|
Allorché fummo
sazi di baci e carezze, ci rivestimmo. Il sole
|
intanto si era
avvicinato alle montagne: molto più lunghe e fredde
|
cadevano le ombre
dai dossi rotondi e dalle rocce appuntite.
|
Bisognava tornare
verso la seggiovia prima che chiudessero le
|
piste e
fermassero gli impianti, lasciandoci in mezzo alla neve
|
tutta la notte,
quando sarebbe stato non piacevole bello e festoso,
|
ma
raccapricciante, forse anche letale, rimanere distesi sotto il
|
cielo, sia pure
abbracciati e vestiti, guardando le stelle e pregandole di non farci morire
assiderati.
|
Eravamo ancora
contenti, anzi quasi felici. Ifigenia disse che
|
l'amore fatto
all'aperto era un segno di ritrovata intesa dopo due
|
anni di
smarrimento e confusione. Mentre tornavamo in paese con
|
l'ultima corsa,
tanto che la cabina pullulava di inservienti rubizzi e
|
giulivi,
osservavo il sole declinare tra le rupi aguzze: sembrava
|
uno splendido
uccello di fuoco calato sul nido di pietra dove aveva
|
appoggiato gli
artigli, mentre raccoglieva le ali e piegava il collo,
|
arrotondando la
forma dalle piume vermiglie.
|
"Lì non si
scorgono del sole le rapide membra; in tal modo nel
|
serrato segreto
dell'armonia si è resa compatta la
sfera circolare
|
Pensai a quante preghiere gli avevo rivolto dovunque l'avessi visto
|
andare a dormire,
quando si annidava tra i monti dopo un volo in
|
mezzo alla luce, o
si tuffava come pesce nel mare, oppure si
|
stendeva, come un
vagabondo, in un giaciglio di foglie tra gli
|
alberi delle
colline, o scendeva su grandi pianure, in mezzo a
|
corone di rondini
e di nubi purpuree. Dovunque gli avevo rivolto
|
preghiere, sempre esaudite
se buone. Quindi gli avevo reso
|
ringraziamenti
pieni di riconoscenza amorosa. Lo feci anche quel
|
giorno di marzo,
poiché con la sua fiamma amorosa aveva
|
ravvivato la
fiaccola nostra, già vacillante, languida e vicina a
|
morire. Ero
riconoscente pure a Ifigenia, siccome aveva
|
assecondato i
progetti del dio che da noi si aspettava le cose
|
egregie cui ci
aveva predestinati da sempre. Io avrei
scritto un
|
capolavoro, lei
sarebbe diventata una grande attrice e ci saremmo
|
amati per sempre.
Glielo dissi e le feci piacere. Così, confidando
|
in destini buoni,
tornammo alla Campagnola e cenammo.
|
Ma poco più
tardi, viaggiando verso Bologna, l'accordo tra i
|
demoni nostri si
ruppe, senza una causa precisa; forse perché uno
|
dei due non è
buono, oppure perché sono cattivi entrambi, in
|
maniera diversa
per giunta; fatto sta che litigammo di nuovo, e i
|
benefici di quel
pomeriggio fatato andarono in fumo. Guidando
|
pensavo alle
prossime lezioni nella quarta ginnasio, non troppo
|
stimolato invero;
quindi, per necessaria compensazione, meditavo
|
sull'opera
letteraria che avrei iniziato presto: un dramma, o un
|
romanzo con due amanti tragicamente travagliati e
ostacolati da
|
iniquità sociali,
nevrosi e contraddizioni personali, ma alla fine
|
trionfanti nel
sole dell'Amore e della Giustizia. Mi compiacevo di
|
tale disegno e di
tanto ottimismo. Bisognava però trovare le forme
|
e antivedere
l'esito della nostra esperienza: in quale modo
|
avremmo dovuto
stimolarci noi due per arrivare allo scopo
|
grandioso di
spingere un popolo intero al bello morale? La buona
|
Ifigenia
sonnecchiava sebbene non fosse tardi. Di sua iniziativa non diceva parola, e,
quando le domandavo qualcosa, rispondeva, or sì or no, a monosillabi. Alla
lunga mi diede fastidio,
|
e un poco alla
volta i sentimenti amorosi si dileguarono. Mi venne
|
in mente un altro
viaggio, fatto in tempi meno malsani: allora la
|
ragazza mi aveva
raccontato che una sua conoscente
|
durante le ore di
guida del marito sui lunghi percorsi autostradali,
|
invece di aiutarlo
a vincere il sonno nemico parlando con lui,
|
dormiva, o fingeva
di farlo, poiché non aveva niente di buono da dirgli.
|
Al pensiero che
quello squallore si ripetesse tra
|
noi, mi venne
l'angoscia. Volli provare se questa fosse scaturita
|
solo dagli antichi
dolori miei, o se avesse una causa nella realtà effettuale
|
che stavo
vivendo. Domandai a bassa voce:"Dormi tesoro?"
|
"No-rispose
con aria stanchissima e pigra-, ma ho tanto sonno".
|
"Ho sonno
anche io-ribattei, quasi polemicamente-, ci facciamo
|
compagnia per un
poco?".
|
"No: ho
troppo sonno. Ti prego, lasciami dormire". Non le chiesi
|
altro; avevo già provato a me stesso che la pena mia era stata
|
causata dal solito
suo atteggiamento parassitario: se eravamo
|
entrambi
assonnati, non capivo perché io dovessi sgobbare e lei
|
dormire, o fingere
di dormire. La bella donna, la necessaria
|
Musa, davanti a
me si toglieva ancora le mutande odorose, grazie
|
a Dio, però con
me non voleva parlare più, poiché non mi amava.
|
Questo pensiero,
dopo le radiose speranze del pomeriggio, mi
|
rodeva di nuovo.
|
"E' il suo
egoismo colossale, disgustoso, a guastarmi l'umore, a
|
darmi l'angoscia,
a corrompere ogni gioia mia che non condivide,
|
come non vuole
collaborare a niente di serio e impegnativo".
|
Ero pieno di
risentimento. Alla stazione Affi, lago di Garda sud ,
|
mi fermai per un
caffé, senza invitarla. Quando fui tornato ed ebbi
|
ripreso a guidare,
Ifigenia doveva avere capito qualche cosa
|
del mio stato
d'animo, preoccupandosene, per sé naturalmente;
|
fatto sta che alzò
la testa e mi chiese:"Allora di cosa vuoi che
|
parliamo?"
|
"Del mio
capolavoro", dissi con tono secco e astioso. Poi tacqui.
|
Ma dopo qualche
secondo, siccome la Musa nemica non sembrava
|
intenzionata a
fare altre domande, aggiunsi una provocazione che
|
era anche una
mezza dichiarazione di guerra.
|
"Voglio
scrivere un'opera d'arte sulla nostra storia; così quando
|
sarà finita del
tutto ne resterà il ricordo. Voglio diventare nunzio agli uomini[11]
delle nostre splendidissime gioie, dei nostri cupi dolori e dei brutti errori che li hanno causati".
|
A questo punto la
ragazza si svegliò completamente e domandò
|
irritata:"
Ebbene? Che cosa posso fare per te?".
|
Allora io, per
bilanciare i toni della conversazione che speravo
|
continuasse almeno
fino a Mantova est, con voce addolcita
|
risposi:"tu
potresti leggere gli appunti di questi ultimi due anni”
|
Nella Repubblica di Platone i giudici oltramondani dicono a Er, il soldato morto in battaglia, che deve osservare poi tornare sulla terra per diventare messaggero agli uomini delle cose di là “a[ggelon ajnqrwvpoi~ genevsqai tw`n ejkei` (614d) non sono molti, e sottolinearne, magari commentarne le parti
degne di entrare,
rielaborate, nel nostro capolavoro". Speravo in
|
una risposta conciliante,
invece avevo scatenato anche il
|
risentimento suo,
e il demone funesto della nostra competizione
|
cattiva. Infatti
rispose:"Se avrò tempo, li leggerò dopo gli esami.
|
Fino a tutto
luglio non posso: devo pensare ai compiti verso me
|
stessa, prima di assecondare la tua volontà di successo".
|
"Senti come
ha imparato la parte della Nora di Ibsen "[12],
pensai.
|
"Ho
capito", risposi, e non le rivolsi più la parola. Mi ripugnava il
|
parassitismo, il
recitare evidente e continuo, la volontà di
|
sfruttamento di quel
serpe velenoso rivestito del corpo di Venere.
|
Da me aveva
appreso e preso tutto quanto le era stato possibile, e
|
in cambio non
voleva darmi più niente. Eppure anche dai suoi
|
rifiuti potevo
imparare, almeno finché la sofferenza del precipitare
|
indietro, nel
bestiale, non fosse diventata inutilmente deleteria.
|
Allora mi sarei
fatto lasciare con una provocazione estrema, inesorabile, e avrei cominciato
a scrivere.
|
Arrivati a
Bologna, la scaricai davanti al cancello, senza aiutarla a
|
portare i bagagli
davanti alla porta del suo appartamento: la salutai
|
freddamente
dall'automobile. Imparare soffrendo, sì; ma farsi
|
calpestare, no,
nemmeno dall'aurea Afrodite. La odiavo. Tornai a
|
casa mia dove
sentii di essere solo nel mondo.
giovanni ghiselli
P. S.
Il
blog http://giovannighiselli.blogspot.it/ è arrivato a 123311.
|
[2] Nel Fedro di
Platone l’appetitus è raffigurato nel cavallo nero che è brutto: skoliov~, storto, poluv~,
grosso, eijkh'/
sumpeforhmevno~[2], ammassato a casaccio, kraterauvchn, di collo grosso, bracutravchlo~, dal collo corto, simoprovswpo~, dal muso schiacciato, melavgcrw~, di pelo nero, glaukovmmato~, dagli occhi chiari
(grigio-azzurri), u{faimo~, sanguigno, u{brew~ kai;
ajlazoneiva~ eJtai'ro~, compagno della
prepotenza e della iattanza, peri; w\ta lavsio~ , villoso intorno alle orecchie, kwfov~, ottuso,
mavstigi meta; kevntrwn movgi~ uJpeivkwn,
una bestia che a stento si assoggetta a una frusta con pungoli (253 E).
[3] Virgilio, Eneide, VI, 540. Questo è un luogo dove la via si scinde in
due. E’ un luogo di gente morta.
[4] Il crimine più grande contro se stessi è imitare i
genitori per tutta la vita, traduzione libera. Cfr. Seneca:"maximum
Thebis scelus/maternus amor est”,
Oedipus, vv. 627-628, il
delitto più grande a Tebe è l'amore della madre.
[5] Cfr
Hieronymo's mad again della Spanish Tragedy di T.Kyd (1586) citato da T. S. Eliot
in The waste land, del 1922 (v. 431). E’ proprio vero che la mimesi unisce gli
scrittori in una catena di plagi, come sostiene Ulrich, il protagonista di L’uomo senza qualità di Musil.
[6] Cfr.
Don Giovanni di Mozart. Da Ponte:
“Quel casinetto è mio: saliremo, /e là gioiello mio, ci sposeremo” (I, 9).
[7] Questa storia è presente nel blog.
[10] “Nulla
sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che’l
sole. Lo
sole tutte le cose col suo calore unifica” (Dante, Convivio, III, 12).
[11] Nella
Repubblica di Platone i giudici
oltramondani dicono a Er, il soldato
morto in battaglia, che deve osservare poi tornare sulla terra per
diventare messaggero agli uomini delle cose di là “a[ggelon ajnqrwvpoi~ genevsqai
tw`n ejkei` (614d)
[12] Cfr.
Casa di bambola, ultima scena.
questo brano è delicato e poetico e l'amore è giustamente esaltato .Trovo il tutto molto romantico, Giovanna
RispondiEliminaRileggendo il viaggio di ritorno rancoroso e costituito di occasioni mancate penso che quando una storia d'amore è inquinata dal livore reciproco è veramente difficile trovare modalità alternative e costruttive: quando in una relazione subentra il tentativo di distruggersi a vicenda sembra davvero che ogni fatto tenda ad accelerare la fine come una valanga che ingrossa scendendo a valle, inarrestabile. Quando finisce un grande amore i protagonisti diventano cannibali dei loro sentimenti tanto da distruggere se stessi al fine che nulla rimanga dell'altro. Tutto deve essere consumato , bevuto fino all'ultima goccia. In quel viaggio vi siete mangiati a vicende : la razionalità uccide gli ultimi barlumi di eros e come una partita a scacchi ogni mossa porta alla conclusione, solo che in amore non vince mai nessuno. Che stranezza diventare così crudeli proprio verso chi abbiamo molto amato ,eppure tanto più abbiamo amato quella persona tanto più dobbiamo odiarla per lasciarla andare. Questo brano è uno dei miei preferiti anche se mi ricorda i brutti viaggi in macchina quando i miei assumevano atteggiamenti simili e il temporale delle emozioni si caricava sulle loro teste e si ingrossava,mia madre fingeva di dormire e mio padre si caricava di rancori vecchi e nuovi...voi vi siete separati al ritorno ,invece per i miei l'approdo era il momento del si salvi chi può e lo scarico delle valigie il momento in cui la lite annunciata scoppiava immancabile. Quando non si può più fingere di dormire e qualsiasi risposta porta all'esplosione della rabbia repressa. Ancora adesso mi sento muta spettatrice di un fatto inevitabile anche leggendo il tuo bel brano ,Gianni. Giovanna
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