Il ragazzo con il nostro aiuto può capire che la cultura
deve essere "qualcos'altro che decorazione
della vita, cioè in fondo unicamente dissimulazione e velame, poiché ogni
ornamento nasconde la cosa ornata. Così gli si svelerà il concetto greco della
cultura (…) il concetto della cultura come una nuova e migliore physis, senza interno ed esterno, senza
dissimulazione e convenzione, della cultura come unanimità fra vivere, pensare,
apparire e volere"[1].
Cicerone nel De
officiis[2]
mette in rilievo il fatto che la conoscenza
(cognitio) sarebbe
manchevole in un certo modo e incompiuta (manca…batque inchoata)
se non ne seguisse alcuna attività pratica: “si nulla actio rerum consequatur” (I, 153).
Tale attività deve vedersi nella tutela dei vantaggi
dell'uomo, e, siccome riguarda la società del genere umano, tale actio
va anteposta alla conoscenza priva di azione: "haec cognitioni anteponenda est" I, 153.
Se alla conoscenza non fosse connessa la virtus, che contribuisce alla tutela degli uomini, tale cognitio risulterebbe solivaga et ieiuna (I,
157), isolata e arida. Quindi ogni officium che mira ad societatem
tuendam, a difendere la società umana, deve essere anteposto ai compiti che
si limitano alla conoscenza teorica (De officiis, I, 158).
Lo studio va fatto per la vita e per l’attività poiché la
vita stessa è fatta per la vita e per l’attività: “La vita è fatta naturalmente
per la vita, e non per la morte. Vale a dire è fatta per l’attività, e per
tutto quello che v’ha di più vitale nelle funzioni dei viventi (5 Maggio 1822)”[3].
Anche il classicismo e il realismo di Petronio, attraverso
lo scholasticus Encolpio, denunciano la separazione della scuola dalla
vita: "et ideo ego adulescentulos
existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his, quae in usu habemus
aut audiunt aut vident" (Satyricon, 1, 3), e perciò io
penso che i ragazzi nelle scuole diventino stupidissimi, poiché niente
ascoltano o vedono di quello che è utile nella vita.
Petronio[4],
epicureo, atticista e classicista, dichiara che la vita contiene situazioni più interessanti di tutte
le scuole di retorica.
E' la critica della scissione tra letteratura e vita che si
ritrova in Marziale: "Non
hic Centauros, non Gorgonas Harpyasque/invenies: hominem pagina nostra sapit" (X,
4, 9-10), non qui troverai Centauri, Gorgoni e Arpie: la nostra pagina sa di
uomo.
Insomma ogni conoscenza, compresa quella delle lingue
classiche, deve servire al progresso dell'uomo.
Il Galileo di Brecht nell'ultima scena del dramma[5]
afferma il dovere morale di rendere il sapere funzionale al bene
dell'umanità: "Che scopo si prefigge il nostro lavoro? Non credo che la
scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare le fatiche
dell'esistenza umana. Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione
dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza
può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di
nuovi triboli per l'uomo".
L'egoismo degli
affaristi invece vuole una scienza e una scuola che portino al profitto
monetario. Secondo questa gente "l'educazione sarebbe definita come
l'esatta cognizione per cui si diventa completamente attuali, nei bisogni e
nella loro soddisfazione, per cui però, in pari tempo, si dispone, nel modo
migliore, di tutti i mezzi e le vie per guadagnare il più facilmente possibile
del denaro. Formare il maggior numero possibile di uomini correnti- a quel modo
per cui si dice corrente di una moneta- questo dunque sarebbe il fine; e un popolo,
secondo questa concezione, sarà tanto più felice quanti più uomini correnti del
genere possederà… Qui si odia ogni educazione che renda isolati, che ponga dei
fini al di là del denaro e del guadagno… Secondo la moralità che qui è valida,
si apprezza…una istruzione rapida per diventare presto un essere che guadagna
denaro e una istruzione approfondita quanto basta per diventare un essere che
guadagna moltissimo denaro"[6].
Non deve esserci conflitto tra il sapere scientifico e la
sapienza umanistica. Il sofovn deve
essere anche sofiva.
Gli insegnanti di lettere antiche devono essere maestri di
umanità, e di quell’umanesimo del quale non possono fare a meno gli
scienziati.
E' quello che Thomas
Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor
Faustus: "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi
misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso
della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (...) dalla cattedra ho
spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente
nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento
propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"[7]. E’ il caos che si fa cosmo.
giovanni ghiselli
[1]Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la
vita in Considerazioni inattuali, II, p. 160.
[3] Leopardi, Zibaldone,
2415.
[4] Penso che l'autore del Satyricon sia l' elegantiae
arbiter della corte di Nerone (cfr. Tacito, Annales, XVI, 18)..
[5] Vita di Galileo, del 1957. Cito dalla
traduzione di Emilio Castellani.
[6] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III,
Schopenhauer come educatore, p. 211.
[7]T. Mann, Doctor Faustus , pp. 12 e 14.
la cultura dà la libertà; gli insegnanti che non capiscono questo non saranno mai liberi - e quindi vivi - nemmeno loro.
RispondiEliminagrazie Gianni!!
Maddalena