Jan Cossiers, Prometeo che ruba il fuoco |
La diversità necessaria all’individuazione. Prometeo.
Apollineo e dionisiaco: Nietzsche, Jung, Ortega y Gasset, Monica Centanni. La
negazione della rigida identità sessuale: Penteo, Tiresia e Achille di Stazio (Achilleide). Diversità di culture. Grillparzer
e la sua Medea. Pasolini e il film Medea. Massimo Cacciari e il sogno di
Atossa nei Persiani di Eschilo. Edgar
Morin: diversità e democrazia. D’Annunzio: elogio della diversità. Franco
Frabboni: la libertà si coniuga con la diversità
Il primo peccato di Prometeo è stato quello antiapollineo di
avere tentato di annientare il principium individuationis che
deve differenziare gli uomini dagli dèi.
"Il Prometeo di
Eschilo è sotto questo aspetto una maschera dionisiaca"[1].
Vediamo allora che cosa si intende con dionisiaco e con
apollineo.
"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di
fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà,
come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della
vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva
e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…Col
termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso l'"individuo"
tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte…La
pienezza della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una
bellezza fredda, aristocratica, ritrosa…Nel fondo del Greco c'è la mancanza di
misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella
lotta con il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica,
della naturalezza dei costumi-esse sono conquistate, volute, strappate- sono la
sua vittoria"[2].
Su
Apollineo e Dionisiaco torna C. G. Jung: "Esaminiamo i concetti di
apollineo e dionisiaco nelle loro caratteristiche psicologiche… Prendiamo in
considerazione anzitutto il dionisiaco.
Secondo la descrizione di Nietzsche è
chiaro che esso indica un espandersi, uno zampillare e uno scaturire…E'
una fiumana di sensazioni paniche di grande potenza che erompe irresistibile e
inebria i sensi come un vino gagliardo. E' ebbrezza nel significato più elevato
del termine…Si tratta quindi di una
estroversione di sentimenti indissolubilmente legata all'elemento sensoriale…Per contro, l'apollineo è la
percezione delle immagini interiori della bellezza, della misura e di
sentimenti armonicamente disciplinati. Il paragone con il sogno chiarisce il
carattere dello stato apollineo: è uno
stato d'introspezione, di contemplazione rivolta verso l'interno, verso
il mondo di sogno delle idee eterne, quindi uno stato d'introversione"[3].
Sentiamo anche Ortega y Gasset: “Apollo è la misura, la
norma rigorosa della vita, il “restare in sé”, la severa condotta- la condotta
conforme, “l’essere in forma”. Ma è anche, beninteso, la danza…Apollo è il dio
danzatore per eccellenza, solo che la sua danza è un ritmo rigido e severo, e
per questo il culto che gli si dedica consiste in danze moderate. Est modus in rebus, e Apollo è il modus, il logos della vita e delle cose”[4].
“La luce solare, netta e definitoria del lucido Apollo, luce
eccessiva che abbaglia con il suo fulgore, ci inganna e ci dice il nostro nome:
dà forma e limiti, morfologici e di genere, alla nostra identità. Alla luce di
Apollo siamo chiamati a dirci individuo, anziché tutto; e poi uomo anziché
bestia; e poi maschio oppure femmina. Ma in Dioniso si abbassa, come accade
nella bestia, nella pianta, nella pietra, l’impulso alla determinazione
individuale; e ancor più, sfuma lo sforzo, fallisce l’esercizio della
determinazione di specie, di razza, di genere. Barbaro è il corteo delle donne
che accompagnano il dio; animali e umani i suoi satiri; femmina-maschio il dio
stesso. In Dioniso è data la possibilità, per un attimo, di rinunciare
all’esibizione dei marchi di identità, di connotati forti. In Dioniso, per un
attimo, oscilla la nettezza perspicua della vista. Dioniso mescola e confonde: Dioniso
trascende e trasfigura: Che testa è questa? Quale animale ho catturato, ho
sbranato con le mie mani?
Sarà davvero la testa di Penteo quella che Agave, la madre, stacca
dal corpo sbranato delle sorelle menadi? E’ la testa mozza di Penteo questa, infilzata
su una picca, che la madre porta orgogliosa in scena, come trofeo? Non srà
invece, come vede Agave nel suo delirio, la testa di un giovane leone montano?
Svanisce in Dioniso ogni rigidità della forma: suoi sono i
giocattoli, lo specchio e la maschera…Dioniso nega l’identità, la forma fissa e
immutabile: nega anche, nel suo stesso aspetto, il primo marchio di identità:
-E’ nato un bambino. E’ maschio o femmina?
Riccioli lunghi, fragranti di ambrosia; lineamenti delicati,
labbra morbide di fanciulla; fianchi alti e sinuosi; piccoli seni appena pronunciati,
ma teneri e dolci: forme molli e femminee. Dioniso nega la marcatura sessuale
come determinazione rigida e placata della forma…Fra i mortali, un essere
soltanto corrisponde alla nobile indeterminatezza di Dioniso: Tiresia. Indovino
nella disgraziata reggia di Tebe, cieco, su cui incombe tenebra eterna, appoggiato
a un servo o alla figlia Manto, anche lei dotata del dono pericoloso della
vista interiore. Ma Tiresia era stato un bambino-o forse una bambina-e in un
recinto sacro aveva visto due serpenti che si accoppiavano: li aveva battuti
con una verga, che sarebbe diventata, molti anni dopo, il suo bastone e il suo
sostegno; li aveva calpestati. Ma per questo venne punito il piccolo Tiresia. Mutato
da maschio a femmina-o forse da femmina a maschio-per ordine di Era: quel
bambino aveva visto troppo…. L’essere che troppo vede e sa, resta inafferrabile.
Le multiple trasformazioni di Tiresia delirano la rigidità della forma ”[5].
Il Tiresia di Eliot, una figura rivelatrice, è cieco, pulsante
tra due vite, un vecchio con avvizzite mammelle di donna, è stato seduto presso
Tebe sotto le mura e ha camminato tra i morti: insomma egli ha presofferto
tutto: "and I Tiresias have
foresuffered all”[6].
Pure Achille, quando viene portato dalla madre sull’isola di
Sciro e partecipa ai riti bacchici riservati alle donne, quale maschio si
innamora di Deidamia, eppure interpreta benissimo anche il ruolo femminile che
gli ha assegnato Tetide per sottrarlo alla guerra: “et sexus pariter decet et mendacia matris ” (Achilleide, I, 605), gli si addice ugualmente il suo sesso e quello
simulato dalla madre. Anzi, il Pelide recita così bene la parte della baccante,
quando fa scendere sul collo la nebride, stringe le pieghe della veste con rami
di edera, cinge le chiome bionde con bende purpurèe e agita il tirso, che
appare il più bello del tiaso, superando la stessa splendidissima Deidamia: “ Nec iam pulcherrima turbae/Deidamia” (Achilleide, I, 606-607).
Ma torniamo alla Centanni e a Penteo: “ Penteo vestito da
donna, identico a Dioniso ora, identico a Tiresia, identico ad Agave, esce
dalla città, pronto per la danza. Svanita è la rigidità di ogni forma: non c’è
più maschio né femmina, non c’è più madre o figlio, non c’è bestia né dio. Dioniso
è Agave, la cacciatrice avida di sangue; Dioniso è Penteo, la preda: tutti con
identica maschera, identica forma. Nell’attimo della rinuncia all’identità, nell’abisso
dell’oblio, si festeggia il trionfo del dio…Agave si risveglierà femmina: madre
e assassina. E’ la nascita del principio di individuazione: il necessario dirci
uno e altro, maschio e femmina. La luce da cui per un attimo, aoristo felice e
incosciente, Dioniso il Nero aveva per noi trovato riparo”[7].
Diversità di culture.
Le culture diverse non vanno eliminate o criminalizzate: devono
essere comprese. A proposito della diversità delle culture si può ricordare che
Franz Grillparzer nella sua Medea[8]
mette in rilievo "la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di
intendersi fra civiltà diverse, un monito tragicamente attuale su come sia
difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri"[9].
In una intervista a J. Duflot Pasolini dichiara che nel suo
film Medea ha voluto mettere in
evidenza il contrasto tra la cultura
razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara:
" Ho riprodotto in Medea tutti i
temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce
di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è
il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di
Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens
momentanea) che non solo ha perso il
senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il
"tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al
successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia
spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due
"culture", sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe
essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano,
ad esempio[10]".
Il classico aiuta a comprendere l'altro tanto per via delle
analogie quanto delle diversità rispetto al nostro mondo di oggi. "Evocare
l'altro-da-sé che è dentro di noi (il "classico") può allora essere
un passo essenziale per intendere le alterità che sono fuori di noi (le altre
culture), se sapremo ripetere con piena consapevolezza le parole di Rimbaud. "
'Je est un autre"…Quanto più sapremo guardare al "classico" non
come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa
di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno
come un potente stimolo a intendere il "diverso", tanto più da dirci
esso avrà nel futuro"[11].
La conoscenza rispettosa dell’altro, della sua diversità, è
necessaria per comprendere se stesso, secondo il principium individuationis:
"Nel voler superare la distanza degli opposti consiste la u{bri" di Serse, quando pretende di aggiogare
le due cavalle o le due rive dell'Ellesponto, e cioè terra e mare. Ma perché la
differenza sia 'salva', dovrà essere compreso che il differire è to; Xunovn- che proprio l'assolutamente
distinto abbisogna sempre, per esser 'salvo' in quanto tale, dell'altro e della
distanza dall'altro"[12].
Con l'aggiogamento delle due cavalle Cacciari allude al sogno di Atossa dei Persiani
di Eschilo: la regina madre descrive la sua visione notturna: le apparvero due
donne (vv. 180 ss.), una munita pepli dorici, l'altra adorna di vesti abiti
persiani, entrambe grandi, belle e sorelle di stirpe. Simboleggino la Grecia e
la Persia. Tra le due scoppiò una lite: quindi il re Serse cercava di
ammansirle e le aggiogava al carro con le cinghie sotto il collo. Una delle due
si esaltò per questa bardatura e porgeva la bocca docile alle briglie, mentre
l’altra recalcitrava (ejsfavda/ze, v.
194), con le mani spezza le redini del carro, e lo trascina a forza senza freni
e rompe il giogo a metà. Allora, continua la regina, cade il figlio mio, e gli
si accosta Dario e lo compiange; e Serse, come lo vede, si lacera le vesti
addosso al corpo (pevplou~ rJhvgnusin
ajmfi; swvmati, v. 199).
Per quanto riguarda l'Ellesponto il riferimento è ancora ai Persiani
di Eschilo, quando lo spettro di Dario denuncia la temerarietà (qravso") del figlio il quale sperò di
trattenere con delle catene il sacro Ellesponto, come fosse uno schiavo, e il
Bosforo, fluida corrente sacra al dio; e mutava forma al passaggio: avvintolo
con ceppi martellati, preparò una grande via a un grande esercito (vv. 744-748).
Nella Parodo il Coro rammenta che “l’esercito distruttore di
città è passato nella terra vicina, situata sulla riva opposta, dopo avere
varcato per mezzo di zattere legate con funi lo stretto di Elle Atamantide, e
avere gettato intorno al collo del mare il giogo di un sentiero dai molti
chiodi (zugo;n ajmfibalw;n aujcevni povntou,
Persiani, vv. 65-72).
Ora abbiamo la
pretesa di esportare la nostra democrazia che non è nemmeno sempre effettiva e
che comunque non appartiene alla storia di altri popoli. Inoltre vogliamo
violentare la natura incatenando i mari e forando le montagne. Si tratta di un
ponte di barche descritto da Erodoto (VII, 36).
“L’esperienza dei totalitarismi ha messo in rilievo un
carattere fondamentale della democrazia: il suo legame con la diversità. La
democrazia presuppone e nutre la diversità degli interessi così come la
diversità delle idee. Il rispetto della diversità significa che la democrazia
non può essere identificata con la dittatura della maggioranza sulle minoranze;
la democrazia deve comportare il diritto all’esistenza e all’espressione per le
minoranze e per i contestatori, e deve permettere l’espressione delle idee
eretiche e devianti. Come si deve proteggere la diversità delle specie per salvaguardare
la biosfera, così si deve proteggere la diversità delle idee e delle opinioni, nonché
quella delle fonti dell’informazione (stampa, media) per salvaguardare la vita
democratica”[13].
“Laudata sii, Diversità/delle creature, sirena/del mondo! Talor non
elessi/perché parvemi che eleggendo/io t’escludessi, /o Diversità, meraviglia/sempiterna”[14].
Nella Festa nazionale dell’Unità, tenuta a Bologna alla fine
dell’estate del 2007, Franco Frabboni ha detto che la libertà non può non
coniugarsi con la diversità.
[1]
Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 70. Il dionisiaco è il rovescio
dell’apollineo, è la negazione dell’introversione del principium individuationis, è il tuffarsi nella totalità
estrovertendosi.
[2]
F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888, 14.
[3]
C. G. Jiung, Tipi psicologici, p. 156.
[4]
J. Ortega y Gasset, Idea del teatro (del
1946) p. 93.
[5]
Monica Centanni, Nemica a Ulisse, pp.
59 ss.
[6] T. S. Eliot, The Waste Land, v. 243.
[7]
Monica Centanni, Nemica a Ulisse, pp.
76-77.
[8] Che compone e conclude la
trilogia Il vello d'oro con L'ospite
e Gli argonauti del 1821.
[9]C. Magris in Euripide, Grillparzer,
Alvaro, Medea Variazioni sul mito a
cura di M. G. Ciani, p. 17.
[10]J.
Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita, p. 81.
[11]
S. Settis,, Futuro del "classico", p. 11o e p. 114.
[12]
M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 27.
[13]
E. Morin, I sette saperi, p. 114.
[14]
G. D’Annunzio, Laus Vitae, vv. 46-52.
La Sirena del Mondo.
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