Aulo Gellio
sull’ambiguità delle parole. Il cultus
(gradito o ingannevole) di Ovidio e quello (levis
ac parabilis) di Alessandro Magno. Le cicatrici come decorazioni, come
bocche mute o parlanti. Pirandello e l’impossibilità di intendersi attraverso
le parole. L’ambiguità può riguardare una persona (Nerone), un oggetto, una
situazione, e anche un intero dramma. Jan Kott: l’Alcesti di Euripide e il tappeto rosso dell’Agamennone di Eschilo. La Mastrocola : l’ambiguità è ricchezza di
significati. Frasnedi. Morin e la polisemia del concetto: la parola “cultura” è
un vero e proprio camaleonte concettuale.
Aulo Gellio[1]
ci tramanda l'opinione di Crisippo[2],
terzo scolarca della Stoà dopo Zenone e Cleante: "Chrysippus ait, omne
verbum ambiguum natura esse, quoniam ex eodem duo vel plura accipi possunt"[3],
Crisippo dice che ogni parola è ambigua per natura, poiché da una sola si
possono trarre due o più significati.
Anche uno solo dei tanti significati di una parola può
variare a seconda del contesto: cultus significa, tra l’altro, la cura
della persona. Ebbene Ovidio nell’ Ars
amatoria ne dà un'interpretazione positiva quando afferma che la sua età
gli piace quia cultus adest[4], come abbiamo già ricordato[5], mentre nei Remedia amoris, con
movimento lucreziano, mette in guardia gli spasimanti dalla fallacia
dell’acconciatura:"auferimur
cultu"[6], siamo sedotti dall'acconciatura la quale
ci porta via la donna in sé (ipsa
puella[7]), la donna come è veramente.
Scarsità di cultus
del resto può essere una scelta seduttiva: Alessandro Magno, quando giunse a Tarso, la capitale della Cilicia,
alla fine dell’estate del 333, volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si ammalò
gravemente poiché si era gettato, ancora accaldato, nell’acqua fredda. Ma aveva
fretta di spogliarsi e pensava che oltretutto
sarebbe stato onorevole mostrare ai suoi che si accontentava di una cura
del corpo semplice e facilmente procurabile: “ decōrum quoque futurum ratus, si ostendisset suis levi
ac parabili cultu corporis se esse contentum”[8].
In un’altra circostanza, prima della battaglia di Gaugamela (ottobre del 331 a.
C.) Alessandro mise in mostra il “trucco”, o l’antitrucco, delle cicatrici, quali garanzia delle sue parole e
altrettante decorazioni del corpo: “spondere
pro se tot cicatrices[9],
totĭdem corporis decŏra”, e, aggiunse, sono l’unico a non prendere
parte del bottino.
Tale cultus incultus
fa parte di quello stile della neglegentia
(noncuranza di sé, sprezzatura) di cui
tratteremo più avanti (59, 2).
L'ambiguità del linguaggio e l' impossibilità di intendersi
viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi: "Ma se è
tutto qui il male! Nelle parole!…come possiamo intenderci, signore, se nelle
parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro
di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore
che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci
intendiamo mai!"[10].
Luogo simile si trova nell'ultimo romanzo dell'Agrigentino, Uno,
nessuno e centomila [11]:
"il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare
come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no.
Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa
abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le
riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente,
le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi
affatto" (p. 39).
L’ambiguità può riguardare una persona. Nerone.
Nerone si comportava da maschio eterosessuale con le amanti
femmine, come la famigerata Sabina Poppea; probabilmente da maschio incestuoso
e assassino con la madre, la non meno famigerata Agrippina; da omosessuale
attivo con il giovinetto Sporo che sposò e pro
uxore habuit, tenne come moglie; e da omosessuale passivo con il liberto
Dorìforo, “cui etiam, sicut ipsi Sporus,
ita ipse denupsit, voces quoque et eiulatus vim patientium virginum imitatus[12] , al quale, come a lui stesso Sporo, si era
dato in moglie, imitando anche i versi e i lamenti delle vergini sottoposte a
violenza. Questo liberto per giunta ha un secondo nome: Tacito e Cassio Dione
lo chiamano Pitagora.
Il ribelle Vindice parlò ai Galli dubitando che Nerone fosse
un uomo: uno che si era maritato con Sporo e ammogliato con Pitagora: “ oJ Spovron gegamhkwv~,
oJ Puqagovra/ gegamhmevno~”[13].
Budicca regina degli Iceni (Britanni del nord est) nel 61 d.
C. si ribellò ai Romani e pregando la dea Andraste le chiese di aiutarla a
sconfiggere quella gente governata da donne: prima da Messalina, poi da Agrippina
e da Nerone che porta un nome da uomo ma in realtà è una donna (e{rgw/ de; gunhv ejsti): i segni di questa
sua identità sessuale sono il fatto che canta, suona la cetra, e si imbelletta:
“shmei'on dev, a[/dei kai; kiqarivzei kai;
kallwpivzetai”[14].
Dunque tale Domizia Neronia (Nerwni;~
hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più sui Britanni che sono veri uomini e
tengono tutto in comune, anche i bambini e le donne, né sulle Britanne che
hanno lo stesso valore dei maschi, ma sugli effemminati Romani, gente che si
lava con l’acqua calda, che si ciba di bevande preparate, che beve vino puro,
che si cosparge di unguento profumato, che si corica mollemente, oltretutto con
i ragazzini, che è schiava di un citaredo, per giunta malvagio.
Anche una situazione, o un intero dramma possono essere
ambigui: “La puoi dire viva e che è morta anche”[15]
.
L’ambiguità è il cardine di Alcesti: il tessuto linguistico
e la struttura teatrale sono a essa soggetti; l’azione è ambigua e si rievocano
ironicamente i miti che negano la resurrezione. Ma cosa significa ambiguità?
Nel rapporto tra significante e significato, la superficie del segno- la sua
“icona”, la sua “forma”- oppure il suo significato, la sua sostanza, possono
essere ambigui…Ambiguo in maniera diversa-a livello di significato- è il
tappeto rosso sul quale cammina Agamennone nell’Orestea. Questo tappeto è un vero tappeto, tessuto di lana di
pecora e colorato con succo di porpora, ma nello stesso tempo è il segno del
sangue che Agamennone ha fatto sgorgare e che dovrà ora versare a sua volta. Il
percorso sul tappeto rosso è un sacrificio blasfemo che offende gli dèi, e
diventa contemporaneamente una reale cerimonia sacrificale non appena il
celebrante si trasforma in vittima. Il tappeto rosso di Agamennone è il più
vivo e il più ambiguo dei segni teatrali”[16].
Clitennestra sollecita il marito reduce “a compiere l’atto
sinistramente ominoso (cosa alla quale Agamennone si decide solo dopo un
serrato dialogo con la donna)”[17].
Sul tappeto rosso torneremo più avanti trattando la
polisemia degli oggetti.
“Ambiguo” è un aggettivo stupendo, che noi purtroppo usiamo
sempre e solo in senso dispregiativo. In realtà ambiguo viene da ambo- e da agere, “ muovere entrambi”: significa quindi qualcosa che “muove”
in sé almeno due significati, che non è univocamente comprensibile ovvero
riconducibile a una cosa sola: che è quindi ricco, molto ricco!...la
letteratura ti fa balenare sempre almeno un doppio significato: ti abitua
all’ambiguità, che è ricchezza di significati ”[18].
Credo di avere riconosciuto un’eco del tappeto rosso nel film
di Chaplin The great dictator (1940):
Napoloni-Mussolini, in visita da Hynkel-Hitler, non è disposto a scendere dal
treno se non gli distendono davanti un tappeto: “I never get out without a carpet”.
La polisemia delle parole può ostacolare la comunicazione,
ma pure offrire opportunità didattiche preziose.
Sentiamo Fabrizio Frasnedi: "La dimensione infinita
della significazione, l'impossibilità cioè, di catturare tutti gli echi e i
rinvii che il dettato può suscitare, se da una parte costituisce la
disperazione dei teorici, dall'altra è esperienza insostituibile e basilare per
chi apprende, e si pone sul cammino di chi farà della lingua l'orizzonte della
sua capacità interpretativa e creativa… le parole sono, insomma, terribilmente
pesanti, poiché, come la punta di un iceberg, nascondono grappoli di
ramificazioni, e ciascun ramo di ogni grappolo può portare molto lontano…Quando
si costruiscono percorsi dentro la ramificata complessità dell'interpretazione,
si compie un'altra scoperta fondamentale: quella della non automaticità della
significazione. I lettori scopriranno con meraviglia che i loro viaggi,
compiuti per dettare di senso il dettato linguistico del testo, non sono
uguali. Le parole del testo erano uguali per tutti, eppure…Ecco una finestra
fondamentale per poi, nella grammatica del significato"[19].
La collega Maria Silvana Celentano ha
suggerito, citando alcune parole di Aristotele[20],
che l'ambiguità può giungere fino all'enigma producendo comunque apprendimento.
“Vi è la polisemia di un concetto che, enunciato in un senso, è inteso
in un altro. Così, la parola “cultura”, vero e proprio camaleonte concettuale,
può significare tutto ciò che, non essendo innato, deve essere appreso o
acquisito: può significare gli usi, i valori, le credenze di un’etnia o di una
nazione; può significare tutto ciò che producono gli umani, la letteratura,
l’arte, la filosofia”[21].
[1]
130 ca.-180 ca
[2]
280 ca-205ca a. C.
[3]
Notti attiche, XI 12.
[4] Ars, III, 127
[5]
In 13. 2.
[8] Curzio Rufo, Historiae
Alexandri Magni, III, 5, 2
[9] Cfr. il console Mario, il quale, nel Bellum Iugurthinum di Sallustio
dice che non può ostentare i ritratti degli antenati, ma trofèi di
guerra “praeterea cicatrices advorso
corpore” (85) e in più le cicatrici sul petto.
Le ferite spesso parlano:
non sempre sono " dumb mouths "(Shakespeare, Giulio Cesare
, III, 2) , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. "Una ferita è
anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se
potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano
una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la
nostra vita" ( J. Hillman, Il piacere di pensare , p. 66)
[10] Sei personaggi in cerca d'autore
( parte prima). Parla il personaggio del Padre. La commedia andò in
scena la prima volta il 10 maggio 19 21 al teatro Valle di Roma.
[11] Pubblicato a puntate sul settimanale "La fiera
letteraria" nel 1926.
[12]
Svetonio Vita di Nerone, 28.
[13]
Cassio Dione, Storia romana, 63, 22,
4
[14]
Cassio Dione, Storia Romana, 62, 6,
3.
[15]
“kai; zw'san eijpei'n kai; qanou'san e[sti
soi” (Euripide, Alcesti, v. 141).
[16]
Jan Kott, Mangiare Dio, p. 142.
[17]
V. Di Benedetto (introduzione a) Eschilo,
Orestea, p. 26.
[18]
P. Mastrocola, La scuola raccontata al
mio cane, p. 102 e p. 103.
[19] F. Frasnedi, La lingua le
pratiche la teoria p. 29 e p. 30.
[20]
Il quale nella Retorica afferma che gli enigmi ben fatti sono piacevoli
poiché si produce apprendimento e si esprime una metafora :"mavqhsi"
ga;r, kai; levgetai metaforav"1412a.
[21]
Morin, I sette saperi, p. 99.
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