Francesco Salviati (Roma, XVI sec.) Kairos, particolare di affresco |
Cogliere l’occasione
che è “calva di dietro”. Pindaro. Isocrate. Sofocle. Cicerone. Shakespeare, Marlowe,
Nietzsche
La scuola classica deve insegnare pure a cogliere
l'occasione, a individuare quello che è significativo in mezzo al turbinio di
offerte insignificanti: il ragazzo impari a non fallire le opportunità
favorevoli alla sua crescita. I nostri classici insistono su questo concetto.
L’intelligenza dell’occasione serve a capire la misura
appropriata: “C’è una misura in tutto: e l’occasione è ottima a comprenderla” (Pindaro,
Olimpica XIII, vv. 47-48).
Isocrate[1]
nel manifesto della sua scuola, Contro i sofisti [2]
afferma che difficile non è tanto acquisire la conoscenza dei procedimenti
retorici, quanto non sbagliarsi sul momento opportuno per usarli: "tw'n kairw'n mh; diamartei'n" (16).
Già Oreste nell'Elettra di Sofocle, dove si tratta di
vita o di morte, conclude il suo primo discorso affermando che l'occasione è
sovrana: "kairo;" gavr, o{sper
ajndravsin - mevgisto" e[rgou pantov" ejst j ejpistavth""
(vv. 75-76), l'occasione infatti è appunto per gli uomini la più grande
presidente di ogni agire.
Cicerone suggerisce di usare il vocabolo occasio per
tradurre il greco eujkairiva che
designa il tempus…actionis opportunum, il tempo opportuno di un'azione[3].
Nell’Antonio e Cleopatra Menas decide di non
seguire più l’indebolita fortuna di Sesto Pompeo che ha perso l’occasione di
sbarazzarsi dei suoi nemici: “Who seeks
and will not take, when once ‘tis offer’d, -Shall never find it more” (II, 1),
chi cerca e non prende qualcosa una volta che viene offerta, non la troverà mai
più.
Né bisogna
dimenticare che l'occasione "è calva di dietro"[4].
Marlowe risale forse
a Fedro (V, 8) che ricorda come gli antichi foggiarono l’immagine del Tempo un
uomo calvus, comosa fronte, nudo
occipitio. Tale immagine (effigies)
occasionem rerum significat brevem.
Infine Nietzsche: “Forse il genio non è affatto così raro: sono
rare le cinquecento mani che gli sono
necessarie per dominare il kairov~, “il
momento opportuno”, per afferrare per i capelli il caso!”[5].
Il valore pratico
della parola. Tucidide (I, 22, 2). La Medea
di Euripide (v. 1064). Canfora. La parola retoricamente e politicamente
organizzata. I personaggi della tragedia parlano non solo retoricamente ma
anche politicamente. La condizione dell’impolitico per i Greci dell’età
classica è innaturale e viziosa (Kierkegaard e Tucidide). Racconto mimetico, diegetico
e misto (Platone, Repubblica)
Insomma il ragazzo deve trovare il riscontro delle lingue
classiche in rebus ipsis.
Si può chiarire il valore pratico, oltre che estetico, della
parola attraverso l'espressione di Tucidide ta;
e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), le azioni, tra i fatti. L'altra
componente dei fatti sono le parole dette dai capi della guerra: sul modo di
riferirle Tucidide dichiara le intenzioni e il metodo nella prima parte del
capitolo metodologico (I, 22, 1).
Facciamo un altro esempio di parola che equivale ai fatti: la
Medea di Euripide, dopo avere
dichiarato il suo proposito di uccidere i propri nemici, e pure i propri figli,
quando ancora nulla è stato compiuto, ma già deciso e detto a parole, assicura:
“pavntw" pevpraktai tau'ta koujk ejkfeuxetai” (v. 1064),
comunque questa è cosa fatta e non ci sarà scampo.
"La mentalità
greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso piano la parola e l'azione. Tale
modo di concepire la parola come "fatto" è vivo anche nella
tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica.
Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il
proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi
intraducibile: ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I
22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non
dà senso (...) Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli
"eventi" (ta; pracqevnta) comprende
sia le "azioni" (e[rga) che
le "parole" (lovgoi), delle
quali si è appena detto nel periodo precedente (...) La parola infatti-scriverà
secoli dopo Diodoro- la parola retoricamente organizzata, è l'elemento che
distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari"[6].
“Questa formula denota la concezione fattuale del parlare, che
nell’epica è già un retaggio remoto”[7].
La parola “retoricamente organizzata” non esclude la sua
dimensione politica.
Nella Poetica
Aristotele sostiene che il pensiero (diavnoia) mette in grado di dire quanto è
possibile e appropriato (ta; ejnovnta kai; ta; aJrmovttonta, 1450b, 5), e questo poi è il
compito della politica e della retorica riguardo ai discorsi: infatti gli
antichi rappresentavano personaggi che parlavano politicamente, i moderni
invece retoricamente (1450b, 7-8).
Direi che i personaggi della tragedia parlano
tutti sia politicamente, sia retoricamente. Infatti per l'uomo greco che viveva
nella povli" democratica
la condizione dell’impolitico è innaturale: "benché si muovesse
liberamente, l' individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali,
nello stato, nella famiglia, nel fato "[8].
Tucidide, il creatore della storia politica, l’autore che ha
dato alla storiografia quella svolta pragmatica la quale "è valsa ad
affermare l'identificazione tra storia e politica"[9],
fa dire a Pericle: "movnoi ga;r tovn
te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen"
(Storie, II 40, 2), siamo i soli a
considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica.
Il dramma in effetti contiene più personaggi che
parlano: è, spiega Socrate, la specie di poesia e mitologia che toglie le
parole del poeta intercalate ai discorsi diretti lasciando solo le alterne
battute (ta; ajmoibai'a) e
dunque si esprime dia; mimhvsew~, per imitazione (Repubblica,
394 b-c).
Se non appaiono i personaggi parlanti abbiamo una narrazione
semplice senza mimesi (a[neu mimhvsew~
aJplh' dihvghsi~), che si trova soprattutto nei ditirambi, specifica
Platone attraverso Socrate, poi c’è la forma mista che è l’epica.
La priorità della parola:
verba tene res sequetur. Tucidide e
la potenza oratoria di Pericle. Omero e l’educazione di Achille. L’incipit del
Vangelo secondo Giovanni. Le parole, come le cose, constano di elementa (stoicei'a), che sono tanto
elementi primordiali quanto lettere dell’alfabeto, che si mettono insieme e si
separano, si aggiungono e si tolgono. Ivano Dionigi rileva una coincidenza tra
terminologia grammaticale e terminologia atomistica, con precedenza della prima.
Lucrezio. Platone.
Tucidide nel presentare Pericle, che sta per pronunciare il
primo dei suoi discorsi, lo definisce uomo che in quel tempo era il primo degli
Ateniesi, il più capace di parlare e di agire (prw'to"
w[n… Aqhnaivwn, levgein te kai;
pravssein dunatwvtato", I, 139).
Per primeggiare dunque sono necessarie la potenza (duvnami") della parola (lovgo") innanzitutto, poi quella
dell'azione (pra'gma).
Infatti più avanti leggiamo: “touv~
te lovgou~ o{sti~ diamavcetai mh; didaskavlou~ tw`n pragmavtwn givgnesqai…ajxunetov~ ejstin” (III 42, 2), chiunque
contesti che i discorsi siano maestri delle azioni è stupido.
Già nell'eroe dell'epica la capacità della mente, che si
esprime attraverso la parola, deve precedere quella dell'azione.
Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli
insegni: "muvqwn te rJhth'r j e[menai
prhkth'rav te e[rgwn"[10],
a essere dicitore di parole ed esecutore di opere. Si vede bene la priorità
della parola.
Insomma: "In principio erat Verbum"[11].
Ma il verbum deve diventare factum. “Im
Anfang war das Wort…Im anfang war die Tat”[12].
Ivano Dionigi nel De rerum natura di Lucrezio accerta
una "coincidenza di terminologia grammaticale e terminologia
atomistica" e presume una "probabile mutuazione della seconda dalla
prima" per cui "i fatti verbali vanno ritenuti prioritari non solo
nell'esegesi filologica ma anche nella critica letteraria lucreziana a causa
della omologia e connaturalità di lingua e realtà. E' come se il detto
catoniano fosse invertito: verba tene, res sequetur"[13].
Ribaltare il motto di Catone "Rem tene, verba sequentur" (fr. 15
Jordan), tieni in pugno l'argomento, le parole seguiranno, significa affermare
in qualche modo la priorità dei verba.
Nel Nuovo Testamento
vediamo che Cristo pre-dice quasi sempre quello che sta per fare. “Il rapporto
di antecedenza della parola rispetto all’evento importante (morte, guarigione, tradimento,
ecc.) ci appare tanto abituale che ogni avvenimento di qualche peso, qualora
non sia “spiegato” da una parola che lo precede, è destinato a essere percepito
come anomalo e a provocare l’imbarazzo dei commentatori. Questo vale nel nostro
testo per la caduta dei porci in mare”[14].
“Come l’equivalente greco stoicei'a
(cfr. Epicuro, ep. Pyth. 86; ep. Men. 123), elementa ha il doppio senso di “elementi primordiali” e “lettere
dell’alfabeto”. Sul parallelismo e addirittura sulla connaturalità di elementi
naturali ed elementi linuistici, di realtà fisica e realtà verbale, di cosmo e
testo, Lucrezio interverrà ripetutamente e intenzionalmente (I, 817-819; 2, 688-699
e 1007-1022 vd. note ad. loc.) ”[15].
Più avanti Dionigi commenta i versi lucreziani i quali
presentano gli atomi, determinati corpi immutabili, per l’allontanarsi e il
sopraggiungere dei quali, mutato l’ordine, le cose mutano natura e i corpi si
trasformano: “certissima corpora quaedam/
sunt quae conservant naturam semper eandem, / quorum abitu aut aditu mutatoque ordine mutant/ naturam res et convertunt
corpora sese ” (I, 677-678).
“Le cause lucreziane
della formazione dei corpi hanno una rspondenza evidente e significativa con le
cause della formazione delle parole, quali troviamo puntualmente segnalate da
Varrone (ling. Lat. 6, 2 qui omnes verba ex verbis ita declinari
scribunt, ut verba litteras alia assumant, alia mittant, alia commutent, “
tutti costoro scrivono che le parole derivino da altre parole per assunzione, perdita
e mutamento delle lettere) e codificate dall’autore della Rhetorica ad Herennium (4, 20, 29, dove tra le diverse cause dell’adnominatio, “paronomasia”, vengono
elencate: litterarum additio, demptio, translatio,
commutatio). Il ‘distaccamento’, l’’accostamento’, il ‘mutamento’ degli
atomi convertono la natura delle cose nello stesso modo in cui l’ ‘omissione’, l’
‘aggiunta’, il ‘mutamento’ delle lettere convertono l’identità delle parole”[16].
Lucrezio torna sull’argomento più avanti affermando che nei
suoi versi si possono vedere molti elementi comuni a molte parole: “multa elementa vides multis communia verbis” (I, 824), mentre versi e parole si
differenziano.
Tantum elementa queunt
permutato ordine solo (v. 827), tanto possono le lettere se viene mutato
solo l’ordine. I primordia rerum possono
impiegare un maggior numero di forme in quanto da essi si creano tutte le varie
sostanze.
Elementum (stoicei'on)
è dunque inteso come costituente originario sia dell'essere sia dell'alfabeto. Il
maggior conforto sulla priorità del modello alfabetico viene da Platone il
quale "teorizza chiaramente che la scrittura è il modello conoscitivo, anzi
il modello del modello (to; paravdeigma
paradeivgmato", Pol. 278 d ss.), e che le lettere e sillabe
dell'alfabeto (ta; tw'n grammavtwn
stoicei'a kai; sullabaiv) sono i modelli che, al pari di ostaggi in
nostro possesso, garantiscono la teoria degli elementi primi (w{sper ga;r oJmhvrou" e[comen tou' lovgou
ta; paradeivgmata, oi|" crwvmeno" ei\pe pavnta tau'ta, Theaet.
202e) "[17].
Il parere di Ovidio: prima
viene la cupido poi, se questa c’è, seguiranno
i verba: "fac tantum cupias, sponte disertus eris" (Ars amatoria, I, 608).
L'opinione che la parola venga
prima di tutto non è assurda; sentiamo comunque un parere diverso.
Secondo Ovidio, ancora prima dei verba
viene la cupido: il maestro di erotismo consiglia al corteggiatore
l'audacia e la facondia che sarà nutrita dalla forza del desiderio: è il "rem tene verba sequentur " di Catone trasferito in campo erotico: "fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars amatoria, I, 608), pensa solo a
desiderarla, e sarai facondo senza sforzo. Tereo che arde di passione per la
cognata Filomela è reso eloquente dallo stesso ardore amoroso: "Facundum
faciebat amor " (Metamorfosi, VI, 469). A dire il vero non è un
esempio felice perché poi il barbaro re violenterà la sorella della moglie, la
principessa ateniese, così brutalmente forzata[18].
La cupido di Ovidio è un
elemento della ragione, come il pathos di Hegel[19],
ed è produttiva tanto di persuasione quanto di successo erotico.
E’ vero per essere eloquenti non
basta conoscere l’argomento: bisogna altresì provare per lo menno interesse e
simpatia per la persona alla quale si parla.
L’uomo è animale linguistico. Wilde. Steiner. Frasnedi
Io sostengo che il sicuro possesso dei verba potenzia
l'azione, la quale del resto non può essere efficace se non è supportata da energie
istintive.
La parola comunque è più duratura dell'azione: “Non c’è tipo
di azione né forma di emozione che non condividiamo con gli animali inferiori. E’
soltanto attraverso il linguaggio che ci eleviamo sopra di loro o l’uno
sull’altro; attraverso il linguaggio che è padre, non figlio del pensiero (It is only by language that we rise above
them, or above each other-by language, which is the parent, and not the child, of
thought”) [20].
"Da un punto di vista biosociale l'uomo è davvero un
mammifero dalla vita breve, programmato per l'estinzione come ogni altra specie.
Ma l'uomo è un animale linguistico, ed è questa singola caratteristica, più
di ogni altra, a rendere sopportabile e feconda la nostra condizione
effimera"[21].
Ancora: "Come essere irripetibile esisto anche nell'orizzonte del
linguaggio. Sono un animale linguistico in quanto faccio mio lo strumento della
lingua, secondo le modalità individuate dal Devoto con chiarezza suprema: o
forzando la lingua, per costringerla a dire il mio mondo, o forzando il mio
mondo, per costringerlo dentro gli strumenti che la lingua mi offre (1950[22]:
32, 43, 48) "[23].
Di conseguenza, quanti più strumenti verbali possiedo, tanto meno sono
costretto a forzare il mio mondo, e tanto più sono capace di ascoltare: "L'intero
processo dell'educazione linguistica ha per fine il radicarsi di questa
coscienza, e, con essa, della consapevolezza che l'ascolto dell'altro non è mai
un'operazione ovvia. Che ascoltare davvero, come leggere davvero, è sempre
incessantemente tradurre"[24].
La povertà di
linguaggio prelude alla violenza. Pasolini, Galimberti, Pirani e Auden citato
da Sermonti. Menandro (il duvskolo~ tira le pietre invece di parlare)
e Teofrasto. Di nuovo Pasolini: il genocidio culturale. L’ottimismo anomalo di
Euripide nelle Supplici (del 422) dovuto
ai doni divini: in primis l’intelligenza e la lingua, messaggera delle parole. Luperini:
la capacità di linguaggio. Marco Lodoli e il bullismo (“carognismo”) nella
scuola
La letteratura è un serbatoio di parole, a loro volta
messaggere di idèe. Queste non di rado sono paradossali. Alcuni paradossi: la
malattia riguarda solo gli stupidi e i viziosi (il vecchio Bolkonskij), l’inumanità
della malattia (Settembrini e Hans Castorp), la malattia “altamente umana” e
l’elogio della bastonatura (Naphta).
P. P. Pasolini aveva capito che la povertà del linguaggio è
una forma di impotenza che prelude alla violenza: "Quando vedo intorno a
me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i
nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità,
una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una
faziosa passività, ricordo che queste erano le forme tipiche delle SS: e vedo
così stendersi sulle nostre città l'ombra orrenda della croce uncinata"[25].
“Nel deserto della comunicazione emotiva che da piccoli non
ci è arrivata, da adolescenti non abbiamo incontrato e da adulti ci hanno
insegnato a controllare, fa la sua comparsa il gesto, soprattutto quello violento, che prende il posto di tutte le
parole che non abbiamo scambiato né con gli altri per istintiva diffidenza, né
con noi stessi per afasia emotiva”[26].
“Oggi, mentre il discorso pubblico, politicamente corretto, propone
una lingua insignificante, insieme banale e incomprensibile, quello corrente, che
i parlanti usano, è largamente influenzato dal linguaggio televisivo, “ridicolo,
orrendo, miserabile e scadentissimo”, secondo la definizione di Sermonti…Ben a
proposito è stato ricordato, sempre da Sermonti, un aforisma di Auden: “Quando
la lingua si corrompe, la gente perde fiducia in quello che sente, e questo
genera violenza”[27].
In effetti Cnemone, il Duskolo~[28]
di Menandro, invece di parlare, tira pietre e zolle (v. 83) a chi gli si
avvicina; e la Scortesia[29]
di Teofrasto è ajphvneia oJmiliva~ ejn
lovgoi~, rozzezza di relazione attraverso le parole.
Il discorso più generale di Pasolini è quello dello sviluppo
senza progresso: " E' in corso nel nostro paese…una sostituzione di valori
e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di
massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali
mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un
grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li
hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza
progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani"[30].
Il genocidio culturale parte sempre dall’impoverimento e
imbarbarimento della lingua. La fiducia nel progresso della vita è fiducia
nella lingua.
Euripide in uno dei suoi rarissimi momenti di fiducia nella
vita, nelle Supplici scritte nel 422,
quando si stava preparando la pur malsicura pace di Nicia, fa dire a Teseo
parole di un ottimismo non solo pedagogico[31],
ma più generale e ampio, relativo alla vita umana che ha ricevuto dagli dèi
grandi benefici. Segue l’elenco di questi: i primi sono l’intelligenza e la
lingua indispensabile per esprimerla. Vediamo la successione leggendo alcune
parole del tragediografo: “ e[lexe gavr ti~
wJ~ ta; ceivrona-pleivw brotoi'sivn ejsti tw'n ajmeinovnwn. - ejgw; de;
touvtoi~ ajntivan gnwvmhn e[cw, -pleivw ta; crhsta; tw'n kakw'n ei\nai brotoi'~.
-eij mh; ga;r h\n tovd j, oujk a]n h\men ejn favei” (Supplici, vv. 196-200), un tale[32]
infatti disse che il male supera il bene per i mortali. Io invece ho il parere
contrario a questi: che sono più numerosi i beni dei mali per gli uomini. Se
non fosse così infatti non vivremmo nella luce. Il "Pericle in vesti
eroiche” procede lodando chi tra gli dèi ha dato ordine alla vita umana, un
tempo bestiale e confusa, prima infondendo nell’uomo l’intelligenza, poi
aggiungendo la lingua, messaggera delle parole (prw'ton
me;n ejnqei;~ suvnesin, ei\ta d j a[ggelon -glw'ssan lovgwn douv~), in
modo che distinguesse le voci, quindi il nutrimento dei frutti della terra, e
la pioggia del cielo per farli crescere, e ha procurato difese dal freddo e dal
caldo, ha insegnato a navigare per i mari e a scambiare i prodotti di cui è
povera la terra.
“Il rilancio dell’insegnamento della letteratura…comporta
altresì un interesse linguistico volto all’acquisizione-tanto nel discorso
parlato quanto in quello scritto-di una capacità di linguaggio non soltanto
corretto, ma anche astratto, culturale e problematico, volto alla formulazione
di ipotesi logiche e all’argomentazione rigorosa e persuasiva”[33].
Marco Lodoli torna sull’argomento in seguito a episodi
cosiddetti di bullismo, che “ sarebbe meglio chiamare carognismo”, nella scuola:
“Sono vent’anni almeno che l’immaginario della nostra società si struttura
attorno alla violenza, al denaro, al cinismo, alla brutalità, sono vent’anni
almeno che gli insegnanti si trovano ad affrontare ragazzi ipernutriti da un
cibo avariato che avvelena la mente, eccita a dismisura i desideri, accelera i
tempi fino alla frenesia, cancella ogni pazienza ed esalta sempre e comunque
una trasgressione senza scopi…Così umilia, perseguita, picchia il compagno più
debole, ancora incastrato nella sua naturale fragilità, così calpesta il
compagno handicappato, perché quella debolezza non trova alcuno spazio nel suo
ordine di valori”[34].
Bisogna anche dire che la letteratura è ricca di personaggi,
situazioni, caratteri. Insomma, se la lingua è messaggera delle parole, queste
a loro volta annunciano le idèe, le quali non di rado sono piuttosto lontane
dal pensare comune. Vediamo qualche esempio di questo pensiero paradossale.
Le malattie talora vengono considerate segno di colpa e di
debolezza della volontà, o anche come qualcosa di inumano. Quando il principe
Andrej Bolkonskij domanda al padre: "Come va la vostra salute?", il
vecchio risponde: "Mio caro, solo gli stupidi e i viziosi si ammalano. Tu
però mi conosci: dalla mattina alla sera sono occupato, sobrio, e quindi
sano"[35].
Aggiungil Leopardi sul malato egoista
“La malattia porta con sé minorazioni sensorie, deficienze, narcosi
provvidenziali, misure di adattamento e di alleggerimento spirituali e morali
della natura, che il sano ingenuamente dimentica di mettere in conto. L’esempio
migliore era tutta quella marmaglia di malati di petto con la loro leggerezza, la
loro stupidaggine, il loro leggero libertinaggio, e la mancanza di buona
volontà per raggiungere la salute”[36].
La teoria della inumanità della malattia esposta
dall’umanista Settembrini, convince Hans Castorp: “Giovanni Castorp trovò la
cosa bellissima, interessante, e disse al signor Settembrini che la sua teoria
plastica lo aveva completamente conquistato. Poiché, si dicesse pure quello che
si voleva-e qualcosa si poteva pur dire; per esempio: che la malattia era uno
stato vitale accentuato, ed aveva quindi in sé qualcosa di festivo, di
solenne-si dicesse dunque pure quello che si voleva, fatto sta che la malattia
significava una superaccentuazione dell’elemento corporeo; essa additava, per
così dire, all’uomo il suo corpo e lo riconduceva, lo respingeva ad esso, pregiudicando
la dignità umana fino al suo annientamento, appunto perché abbassava l’uomo fino
a diventare soltanto corpo. La malattia era dunque inumana”.
Il gesuita naturalmente ribatte e confuta questa teoria: “Naphta
replicò dicendo che la malattia era invece altamente umana; poiché essere uomo
significa essere malato”[37].
Secondo paradosso di Naphta la bastonatura potrebbe anche elevare
lo spirito: “ Non destò invece sorpresa e tuttavia sbalordì per una certa aspra
insolenza il sentire Naphta esprimersi in favore della bastonatura. Secondo lui
era assurdo, in quel caso, farneticare sulla dignità umana, poiché la nostra
dignità consiste nello spirito, non nella carne, e siccome l’anima ha purtroppo
una grande tendenza a trarre tutta la sua gioia di vita dal corpo, così i
dolori che si infliggono a questo sono un mezzo raccomandabilissimo per amareggiare
all’altra il gusto del sensuale e contemporaneamente per distoglierla dalla
carne e ricondurla allo spirito che, solo in tal modo, potrà riconquistare la
sua supremazia. Santa Elisabetta era stata staffilata a sangue dal suo
confessore Corrado di Marburgo; questo trattamento, come dice la leggenda, ‘inebriò
la loro anima fino al terzo coro’ ”[38].
Il potenziamento dei lovgoi
è pure rafforzamento degli e[rga in tutti i campi, compreso quello
centralissimo di Eros. Seneca, Hesse, Ovidio e Kierkegaard. Ulisse quale eroe
ovidiano (La Penna). Leopardi
Noi antichisti dobbiamo chiarire che la facoltà verbale è
potenziata dalla conoscenza dell'italiano antico, ossia dal latino, e da quella
del greco[39],
e che tale rafforzamento delle parole si trasmette alle azioni.
La sapientia, sostiene
Seneca "res tradit, non verba"[40]
insegna ad agire, non solo a parlare. E in un'altra Epistula: "Sic
ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera" (108, 35), cerchiamo
di apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino
azioni.
Infatti "Soltanto il pensiero vissuto ha valore"[41].
Le azione si preparano con il pensiero e con la parola. Ciò
che è verbale deve diventare reale in termini di comunicazione produttiva: "aveva
visto che la sua esperienza era reale. Era irradiata da lui e l'aveva mutato, aveva
attirato verso di lui un'altra creatura umana. Il suo isolamento era
infranto…"[42].
Le invenzioni, le rivoluzioni puramente verbali, lasciano il
tempo che trovano. Si pensi al movimento letterario della neoavanguardia dei
primi anni Sessanta. Presentava e propugnava “lo sperimentalismo assoluto, letterario
fino all’illeggibilità e all’inservibilità”[43].
Quando i giovani
capiscono questo, e lo constatano, diventano più disponibili a faticare per impossessarsi
di tale forza. Noi quarant'anni fa nei licei ci impegnavamo a studiare per non
essere bocciati, se non per altro motivo; questi ragazzi, che non hanno quasi
più lo spauracchio della bocciatura contro l'infingardaggine, devono essere
motivati a imparare le lettere con l'incentivo della forza della parola, utile
in tutti i campi, compreso quello centralissimo di Eros: "Non formosus erat, sed erat facundus[44] Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas
"[45].
Abbiamo nominato Kierkegaard che cita questi due versi. Sentiamo
anche come li commenta: “Una bellezza maschile, un aspetto lusinghevole
eccetera, sono ottimi mezzi. Con essi si può anche giungere a varie conquiste, ma
non mai a una vittoria completa. Perché? Perché con essi si porta guerra a una
fanciulla nel suo stesso campo, e nel proprio campo ella è sempre più forte. Con
tali mezzi si può spingere una fanciulla ad arrossire, ad abbassare gli occhi, ma
mai si arriva a ingenerarle quell’ansia soffocante e indescrivibile che rende
interessante la bellezza”[46].
Nei versi precedenti
Ovidio consiglia di imparare bene il latino e il greco, per potenziare lo
spirito e controbilanciare l'inevitabile decadimento fisico della vecchiaia: "Iam
molire animum qui duret, et adstrue formae: /solus ad extremos permanet ille
rogos. /Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes/cura sit et linguas
edidicisse duas" (Ars amatoria, II, vv. 119-122), oramai
prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane
sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare la mente
attraverso le arti liberali, e di imparare bene le due lingue. Il latino e il
greco ovviamente. Senza con questo disprezzare altre lingue.
Nei versi seguenti il poeta di Sulmona racconta che Calipso
chiese a Ulisse in procinto di partire di farle conoscere il destino crudele di
Reso, re di Tracia.
Egli allora disegnò sulla sabbia parte della vicenda crudele
narrata nel X libro dell’Iliade. Non
aveva finito di segnare la rena con una verga, “subitus cum Pergama fluctus-abstulit et Rhesi cum duce castra suo”
(vv. 139-140), quand’ecco che un’ondata improvvisa cancellò Pergamo e
l’accampamento di Reso con il suo comandante.
Quindi Calipso fece notare all’amante che non era il caso di
fidarsi delle onde, tanto rapide a cancellare ogni cosa.
Infine il commento di Ovidio: “Ergo age, fallaci timide confide figurae, -quisquis es, atque aliquid
corporis pluris habe” (vv. 143-144), su dunque, fidati con precauzione
dell’aspetto esteriore, chiunque tu sia, e considera qualche cosa più di valore
del corpo.
“Si capisce che il portatore dei valori ovidiani è Ulisse, l’eroe
che alla bruta forza, al coraggio cieco contrappone le doti e le arti sottili
della mente, la prudenza, la seducente eloquenza; un pezzo dell’Ars amatoria (II 107-44), una scena di
singolare grazia in cui Ulisse, un momento prima di imbarcarsi, conversa con
Calipso, ci dà la prova sicura della predilezione di Ovidio e ci fa capire il
senso di questa predilezione”[47].
“Egli è indubitato: la nuda cognizione di molte lingue
accresce anche per se sola il numero delle idee, e ne feconda poi la mente”[48].
[1]
436-338 a. C.
[2]
Del 390.
[3]
De officiis, I, 142.
[4]
C. Marlowe, L'ebreo di Malta, V, 2.
[5]
Di là dal bene e dal male, p. 203.
[6]L. Canfora, L'agorà: il discorso
suasorio in Lo spazio letterario della
Grecia antica, I, 1, p. 385.
[7]
L. Canfora, Noi e gli antichi, p. 99.
[8]S.
Kierkegaard, Enten-Eller, Tomo Secondo, p. 24 e p. 30.
[9]Canfora,
Teorie e tecnica della storiografia
classica, p. 12.
[10]Iliade, IX, 443.
[11]
Vangelo di Giovanni, Prologo.
[12]
Goethe, Faust I, Studio. In principio
era la Parola …in
principio era l’Azione.
[13] I. Dionigi, Lucrezio, Le
parole e le cose, p. 37.
[14]
J. Starobinski, Tre furori, p. 71. L’episodio
commentato è quellodell’indemoniato di Gerasa (Matteo, V, 1-20)
[15]
I. Dionigi (a cura di) Lucrezio, La
natura delle cose, nota a I, 197, pp. 87-88.
[16]
I. Dionigi, Op. cit., p. 123.
[17]
I. Dionigi, Lucrezio, Le parole e le cose, p. 35.
[18] Cfr. T. S. Eliot, The
Waste Land, vv. 99-103 già citato in 16. 10.
[19]
"Il pathos in tal
senso è una potenza in se stessa legittima dell'animo, un contenuto essenziale
della razionalità e della volontà libera", Estetica, Tomo I, p. 306
[20]
O, Wilde, Il critico come artista, p. 54.
[21] G. Steiner,
Errata. Una
vita sotto esame,
p. 105.
[22] Studi di stilistica. Firenze:
Le Monnier.
[23] F. Frasnedi, op. cit., p. 112.
[24] F. Frasnedi, op. cit., p. 112.
[25] Scritti corsari, p. 187.
[26]
U. Galimberti, L’ospite inquietante, p.
49.
[27]
Mario Pirani, La lingua italiana
“penzata” e “leggislativa”, “la Repubblica ”, 11 giugno 2007, p. 20.
[28]
Commedia del 316 a. C.
[29]
Aujqavdeia, XV dei Caratteri
[30]
Scritti corsari, p. 286.
[31]
Che vedremo più avanti, verso la fine (69).
[32]
Probabilmente Euripide allude a un passo di Prodico di Ceo, o comunque di un
sofista.
[33]
R. Luperini, Insegnare la letteratura
oggi, p. 100.
[34]
M. Lodoli, Ma il bullismo in classe non è colpa della scuola, “la Repubblica ” 17 novembre
2006, p. 22.
[35]
L. Tolstoj, Guerra e pace, p. 146.
[36]
T. Mann, La montagna incantata, II, p.
119.
[37]
T. Mann, La montagna incantata, II, p.
134.
[38]
T. Mann, La montagna incantata, II, p.
123.
[39]"In ogni caso, la cosiddetta cultura classica ha
un unico punto di partenza sano e naturale, cioè l'assuefazione, artisticamente
seria e rigorosa, a servirsi della lingua materna", Nietzsche, Sull'avvenire
delle nostre scuole, p. 52.
[40]Seneca,
Epist. ad Luc., 88, 32.
[41] H. Hesse,
Demian (del 1919), p. 116.
[42] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920),
p. 132.
[43]
Pasolini, in Saggi sulla Letteratura e sull’arte, p. 2614.
[44] Un limite alla facundia,
come del resto alla pietas, lo
suggerisce Orazio: " Cum semel
occideris et de te splendida Minos/ fecerit arbitria, / non Torquate, genus, non
te facundia, non te/restituet pietas" (Carm. IV, 7, vv. 21-24), una volta che sarai morto e Minosse avrà
dato sul tuo conto chiare sentenze, non la stirpe, Torquato, non la facondia, non
la devozione ti restaurerà. Questo limite dunque è la morte, solo la morte.
[45] Ovidio, Ars Amatoria, II, 123-124. Bello non era ma era bravo a parlare
Ulisse e pure fece struggere d'amore le dee del mare. Sono versi non per caso
citati da Kierkegaard nel Diario del
seduttore.
[46]
Diario del seduttore, p. 75.
[47]
A. La Penna, Aspetti del pensiero storico
latino, p. 9.
[48]
Leopardi, Zibaldone, 2214
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