Lodovico Cardi detto "il Cigoli", Ecce homo |
Oggetti ,
persone e divinità polivalenti. Il letto (con dentro la moglie). L’oro. La via
coperta di porpora di nuovo “il tappeto rosso” ). La porpora di Dario III,
“l’eroe del dolore”[1]. Anche il
Cristo Ecce homo presentato da Pilato
è vestito di porpora. La fiaccola e la fiamma. Properzio, Ovidio, Stazio,
Apuleio, Apollonio Rodio.
Nulla è scontato e definitivo; tutto è problematico[2]
e suscita pensieri nei testi degli ottimi autori: la pluralità dei significati
concerne le parole, le persone, e anche gli oggetti: il letto, il mobile più
importante della casa, può essere "il santuario della vita"[3],
oppure una trappola mortale ordita dalla moglie, come nell'Agamennone di Eschilo dove
Cassandra grida:"Ahi, Ahi, che
orrore! Cos'è ciò che appare?/è forse una specie di rete di Ades?/ma una rete (ajll j a[[rku") è la compagna di letto (hJ xuvneuno", formato da suvn +
eujnhv), la complice/dell'assassinio"(vv. 1114-1117).
A sua volta la moglie può essere la vendicativa Clitennestra
dell'Agamennone di Eschilo ma anche la mite e sottomessa Andromaca delle
Troiane o dell' Andromaca di Euripide. Moglie, a[loco", è composto da aj- copulativo + levco", formato
sulla radice lec-/loc- che si trova sia in levcomai
"sono a letto" sia in lovco",
"agguato", "imboscata". C'è dunque una parentela
etimologica tra il letto, la moglie, e
l'agguato.
L'oro viene
maledetto o santificato dal contesto. Si pensi all’età dell’oro e all’auri sacra fames[4].
Esso infatti può essere sporco del sangue versato dalla brama che spinge l'ospite ad assassinare l'ospite[5],
o pure la
"maledetta mota, comune bagascia del genere umano"[6]
, ma può anche essere valutato per la sua bellezza, lucentezza e sacralità
indipendentemente dal prezzo economico. Pindaro[7]
nell’ Olimpica I mette in luce il
valore estetico e spirituale, più che economico, quasi antieconomico dell'oro
che "come fuoco avvampante brilla nella notte al di sopra di ogni superba
ricchezza" (vv.1-2). Così nella Parodo dell'Edipo re, il coro evidenzia il valore estetico e votivo dell'oro
delfico:"O voce dolciloquente di Zeus/ quale mai da Pito ricca d'oro (ta'" polucruvsou-Puqw'no")/ sei venuta alla splendida
Tebe?" (vv. 151-153). Anche il Cristo di Matteo splendidamente reso in
immagini filmiche da Pasolini[8]
mette in rilievo la sacralità che l'oro riceve dall'altare quando censura gli
Scribi e i Farisei ipocriti:" Stulti et caeci! Quid enim maius est: aurum an templum, quod santificat
aurum?" (23,
17), stolti e ciechi, che cosa è più grande: l'oro o il tempio che santifica
l'oro? E ancora:" Caeci! Quid enim maius est: donum an altare, quod
santificat donum? (23, 19), ciechi! Che cosa infatti è più grande:
l'offerta o l'altare che santifica l'offerta?
Sentiamo anche Nietzsche: “Ditemi: come è giunto ‘oro ad avere il
massimo valore? Perché non è volgare,
non è utile e luccica di mite splendore; sempre esso dona se stesso”[9].
La via coperta di porpora (porfurostrwvto" povro" )
stesa davanti al re vincitore nell'Agamennone (v. 910) "non
è affatto, come egli immagina, la consacrazione quasi troppo alta della sua
gloria, ma un modo di consegnarlo alle potenze infere, di votarlo senza
remissione alla morte, questa morte "rossa" che viene a lui nella
stessa "sontuosa stoffa" preparata da Clitennestra per prenderlo in trappola
come in una rete"[10].
Nell'Iliade al guerriero Ipsenore mentre muore, colpito dalla daga del
tessalo Eurìpilo, arriva sugli occhi porfuvreo" qavnato" (V, 83), purpurea morte.
“Non di rado l’oggetto acquista significato sulla scena come
simbolo. La brocca che l’Elettra euripidea porta sul capo serve ad esempio a
mostrare in quali umili condizioni l’abbia costretta a vivere la tracotanza di
Egisto.
Un forte valore simbolico ha anche il tappeto di porpora che
Clitemestra fa dispiegare dinanzi ad Agamennone e che porterà il re nel bagno
ove sarà assassinato; esso rappresenta il mondo di lussi e di sfarzi di cui
Clitemestra si compiace, ma ha al tempo stesso un valore quasi magico,
preludendo alla ricca veste in cui al momento del delitto Agamennone resterà
impigliato come in una rete”[11].
Dario III a capo dell' esercito persiano schierato contro Alessandro
spiccava per il suo sfarzo: "purpurae
tunicae medium album intextum erat"[12],
la tunica di porpora era intessuta d'argento nel mezzo. Ebbene, era già
consacrato alla morte. Anche il Cristo tribolato, già destinato alla morte,
presentato da Pilato, è vestito di porpora: "Exiit ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum
vestimentum. Et dicit eis-Ecce homo!-" ( Giovanni, 19, 5)
La fiaccola (fax)
è latrice di significato simbolico ambivalente: evoca le nozze ma anche
i funerali, come risulta da questo verso di Properzio dove Cornelia, la sposa
defunta di Paolo, dice :"viximus insignes inter utramque facem"
(IV, 11, 46), sono vissuta nella luce tra l'una e l'altra fiaccola (quella
delle nozze e quella del rogo funebre).
Tale fax ambigua si ritrova nei Remedia amoris[13]
di Ovidio dove il poeta ricorda al dio Amore:"non tua fax avidos digna
subire rogos (v. 38), la tua fiaccola non si merita di stare sotto i roghi
ingordi.
Fiaccola mortale è quella che Ecuba sogna di partorire
quando era incinta di Paride: “dalou'
pikro;n mivmhma” (Troiane, v.
922), amara immagine di una torcia consumata.
Lo spengimento della fax durante le cerimonie e i sacrifici, e pure la
scarsa luminosità della fiamma, è comunque un segno negativo.
Nelle Metamorfosi di Ovidio durante le nozze di
Euridice e Orfeo, la fiaccola senza fuoco di Imeneo preannunzia la morte
:"fax quoque, quam tenuit, lacrimoso stridula fumo/usque fuit nullosque
invenit motibus ignes " ( X, 6-7), perfino la fiaccola, che (Imeneo)
tenne in mano, sfrigolò per tutto il tempo, con un fumo da far lacrimare, né
trovò il fuoco sebbene agitata.
Nella Tebaide di
Stazio, nero è il fuoco su tutti gli altari poco prima dell’eccidio dei maschi
di Lemno perpetrato dalle “femmine spietate”[14]
dell’isola: “niger omnibus aris/ignis”
(V, 175-176).
Nell' Asino d'oro
di Apuleio, dopo che Apollo ha vaticinato uno sposo mostruoso per la
povera Psiche la quale con la sua bellezza aveva scatenato l’ira di Venere, la
luce della fiaccola nuziale appassisce in cenere di nera fuliggine :"iam
taedae lumen atrae fuliginis cinere marcescit ", IV, 33.
Lo sposo orrendo previsto da Apollo è Amore, e la profezia
del Dio Milesio (Apuleio, Metamorfosi
III, 32) è una delle tante calunnie che cercano di denigrare Eros. Il padre di Psiche dunque interrogò
Apollo che gli rispose: “Nec speres
generum mortali stirpe creatum,/sed saevum atque ferum vipereumque malum,/quod
pinnis volitans super aethera cuncta fatigat/flammaque et ferro singula
debilitat,/quod tremit ipse Iovis, quo numina terrificantur/fluminaque
horrescunt et Stygiae tenebrae” (Metamorfosi,
III, 33), non sperare in un genero nato da stirpe mortale, ma uno crudele e
feroce, un mostro viperino, che con le ali volteggiando per l’aere tutto
tormenta, che lo stesso Giove fa tremare, di cui i Numi hanno terrore, ne
rabbrividiscono i fiumi, e le tenebre Stigie.
Amore dunque, da cui
“nasce il piacer maggiore/che per lo mar dell’essere si trova”[15]
è, pure lui, segno di contraddizione. Lo chiariremo più avanti (cap. 60) con
un’ampia scheda.
Viceversa è beneaugurante la fiamma che splende vigorosa:
nelle Argonautiche di Apollonio Rodio
il vate Idmone gioìva vedendo splendere dovunque la luce brillante (sevla~..pavntose lampovmenon) dei
sacrifici (1, 435-436).
Polisemia degli animali. L'usignolo e la rondine ( con aprile). Il cane.
Anche il classico può essere variamente interpretato (S. Settis).
Anche un animale, la rondine o l'usignolo, può essere
polisemico. Questi uccelli infatti in letteratura significano il ritorno della
primavera e dell'amore, e pure ricordano lo stupro orrendo compiuto da Tereo,
il barbaro re di Tracia sposato con la
principessa ateniese Procne, nei confronti della cognata Filomela, e la
vendetta che ne seguì, da parte delle due donne, con successiva trasformazione
in uccelli dei tre sciagurati: Tereo in un’upupa, Procne in una rondine,
Filomela in un usignolo. Ne fa un lungo racconto in esametri Ovidio nelle Metamorfosi (VI, 426-674) cui allude Eliot per significare la
decadenza del mito nella ricezione degli uomini moderni:"The change of Philomel, by the barbarous
king/So rudely forced; yet there the nightingale/Filled all the desert with
inviolable voice/And still she cried, and still the world pursues,/'Jug Jug' to
dirty ears " (The Waste Land
, vv. 99-103), la metamorfosi di Filomela, dal barbaro re così brutalmente
forzata; eppure là l'usignolo riempiva tutto il deserto con voce inviolabile, e
ancora ella piangeva, e ancora il mondo continua, 'Giag Giag' a orecchie
sporche.
Il canto della voce inviolabile di Filomela è degradato e
dissacrato, poiché suona oramai solo naturalisticamente come un "giag
giag" per le orecchie inquinate del mondo contemporaneo. Il canto
dell’usignolo che evoca tragedie si trova già nella poesia Sweeny among the nightingales che ha come epigrafe un verso dell’Agamennone di Eschilo: “w[moi, pevplhgmai kairivan plhgh;n e[sw” (1343), ahimé, sono colpito profondamente
da un colpo mortale!. Sentiamo
dunque il canto tragico e rituale degli usignoli: “The nightingales are singing near/The Convent of the Sacred Heart,
//And sang within the bloody wood/When Agamemnon cried aloud/ And let their
liquid siftings fall/To stain the stiff dshonoured shroud” (vv. 35-40), gli
usignoli cantano vicino al Convento del sacro cuore, e cantarono nel bosco
insanguinato, quando Agamennone forte gridò, e lasciarono cadere le loro feci
liquide a macchiare il duro disonorato sudario.
Eliot richiama ancora il mito di Filomela e Procne nella
nota al v. 428 di La Terra desolata
il quale fa:"Quando fiam uti chelidon-O swallow swallow ",
quando diverrò come la rondine- O rondine rondine.
La citazione è tratta dal Pervigilium Veneris, La veglia di Venere, un carme anonimo,
compreso nell'Anthologia latina, di
novantatré versi (tetrametri trocaici catalettici), di età e attribuzione
incerta, dal II secolo d. C. , al IV, al VI; da Floro, a Tiberiano, a
un'autrice anonima.
Il verso polivalente della rondine è ricordato nel Pervigilium Veneris dove l’anonimo
autore si assimila all’uccello migratore e si sforza di interpretarlo come
canto d’amore.
Il poemetto celebra il ritorno della primavera e la potenza
di Venere con l'esaltazione dell'amore, della natura e del piacere, non senza
però un'ombra di malinconia che si allunga nel finale con la menzione del mito
della tragica sposa ateniese:
"Iam loquaces ore
rauco stagna cycni perstrepunt/adsonat Terei puella subter umbram populi,/ut
putes motus amoris ore dici musico/et neges queri sororem de marito
barbaro./Illa cantat, nos tacemus. Quando ver venit meum?/Quando fiam uti
chelīdon, ut tacere desinam?/Perdidi Musam tacendo nec me Phoebus respicit./Sic
Amyclas, cum tacerent, perdidit silentium./Cras amet qui numquam amavit quique
amavit cras amet! " (vv. 85-93) , già i cigni loquaci fanno risonare
gli stagni con voce roca. Fa eco la sposa di Tereo[16]
sotto l'ombra del pioppo, sì che tu pensi che passioni d'amore siano cantate
dalla voce musicale e non dica che pianga la sorella stuprata dal marito barbaro.
Quella canta, noi taciamo. Quando viene la mia primavera? Quando diverrò come
rondine e smetterò di tacere? Ho perduto il canto tacendo e Febo non mi guarda
più. Così il silenzio ha perduto Amicla[17]
quando tacevano. Ami domani chi non ha mai amato e chi ha amato ami domani![18].
L'amore è contaminato dal dolore attraverso il ricordo delle due disgraziate
sorelle.
La rondine è un segno ambiguo anche
nel Macbeth dove Banquo giungendo al castello del protagonista già
pronto al cupo delitto sostiene che la presenza di questo uccello significa
amenità del luogo e amabilità dell'aria: l'alito del cielo qui sa di amore (I,
6). Invece si sta preparando un assassinio.
Il ritorno della primavera è accompagnato dal verso perpetuo
delle figlie di Pandione trasformate in uccelli anche nel sonetto CCLXVI de Il Canzoniere di Petrarca:" Zefiro torna e 'l bel
tempo rimena/e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,/e garrir Progne e pianger
Filomena, e primavera candida e vermiglia" (CCCX ,vv. 1-4).
Il motivo dell'uccello dolente che piange per avere perduto
i suoi cari si trova, più precisamente
nel sonetto successivo (CCLXVII):"Quel rosignuol che sì soave piagne/forse
suoi figli o sua cara consorte/di dolcezza empie il cielo e le campagne/con
tante note sì pietose e scorte" (CCCXI ,vv. 1-4).
Insomma il ritorno della primavera con Aprile "the cruellest month "[19],
evoca, con l'amore, storie dolorose di tradimenti, stupri e violenze.
Corrisponde a quanto afferma Medea, per poi metterlo in
pratica con un comportamento estremo:"ahi ahi, che grande male (kako;n mevga) è l'amore per i
mortali!" (v. 330). Nelle Argonautiche infatti Eros mandato da
Afrodite a sconvolgere Medea arriva sconvolgente come si getta sulle giovani
vacche l'assillo che i mandriani chiamano tafano (III, 276-277).
Dante allude al mito raccontato da Ovidio, nel Purgatorio,
per dare un'indicazione temporale:"Nell'ora che comincia i tristi lai/la
rondinella presso alla mattina,/forse a memoria de' suo' primi guai" (IX,
13-15).
Questo uccello dà un
segno addirittura falso nel Macbeth[20]
dove Banquo, giungendo al castello del protagonista già pronto al cupo delitto,
sostiene che la presenza della rondine "ospite dell'estate" prova l' amenità del luogo e l'amabilità
dell'aria: "l'alito del cielo qui sa di amore" (I, 6). Invece il
feudatario fellone sta preparando l'assassinio del suo re e parente.
Il ritorno della primavera è accompagnato dal verso perpetuo
delle figlie di Pandione trasformate in uccelli anche nel sonetto CCLXVI di Il Canzoniere di Petrarca:" Zefiro torna e 'l bel
tempo rimena/e i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,/e garrir Progne e pianger
Filomena, e primavera candida e vermiglia" (CCCX , vv. 1-4).
Il motivo dell'uccello dolente che piange per avere perduto
i suoi cari si ritrova nel sonetto
successivo (CCLXVII):"Quel rosignuol che sì soave piagne/forse suoi figli
o sua cara consorte/di dolcezza empie il cielo e le campagne/con tante note sì
pietose e scorte" (CCCXI ,vv. 1-4).
Insomma il ritorno della primavera con Aprile "the cruellest month "[21],
evoca, con l'amore, storie dolorose di tradimenti, stupri e violenze. Definire
Aprile il più crudele dei mesi significa rovesciare un locus e indicare
un’altra polisemia: infatti Ovidio nei Fasti[22] ricorda che il quarto mese è quello nel quale
si onora sommamente Venere (IV, 13) che lo rivendica a sé (v. 90), e fa
derivare il nome Aprilis "ab
aperto tempore" (v.89) dalla stagione che si apre.
Il verso della rondine per giunta viene assimilato, negativamente, a una parlata non greca: nelle Rane di
Aristofane il coro, per infamare l'ultimo demagogo della guerra del Peloponneso,
Cleofonte[23],
dice che nelle sue labbra bilingui orribilmente freme la rondine tracia (vv.
680-681).
Maurizio Bettini dedica un capitolo (il IV "Turno e la
rondine nera") del suo Le orecchie di Hermes alla rondine come
uccello dal doppio significato. A una nigra hirundo viene paragonata
Giuturna mentre si sposta tra i nemici
alla guida del carro e trascina il fratello Turno verso la morte cui è già
consacrato:"Nigra velut magnas domini cum divitis aedes-pervolat et
pennis alta atria lustrat hirundo-pabula parva legens nidisque loquacibus
escam,-et nunc porticibus vacuis, nunc umida circum-stagna sonat: similis
medios Iuturna per hostis-fertur" (Eneide, 12, 473 sgg.), come
quando nera una rondine vola attraverso la grande casa di un uomo ricco e con
le ali percorre gli alti atri raccogliendo piccoli alimenti e il cibo per il
garrulo nido, e garrisce ora per i portici vuoti, ora intorno agli umidi
stagni: similmente Giuturna si muove in mezzo ai nemici. Questa similitudine
risulta "molto virgiliana…per una certa atmosfera sottilmente inquieta,
ambigua, che la pervade tutta. La rondine è creatura lieta, si dice, porta la
primavera e ama le case degli uomini[24].
Eppure, questo suo correre di rondine nigra attraverso l'edificio (aedes)
e gli alta atria, il grido che risuona dalle vacuae porticus,
suscitano in chi legge un imprecisabile senso di angoscia…quel nigra, trascurando il dato ornitologico,
ha soprattutto la funzione di preannunziare il cupo destino che incombe su
Turno… E poi c'è nigra. La
similitudine si apre con questo aggettivo, e il sostantivo hirundo
compare solo alla fine del verso successivo, in una tensione lunghissima. Due
interi versi in cui una macchia nera, indefinita, attraversa volando la casa
dell'uomo ricco, fra le colonne del portico: e quando, finalmente, questa
macchia-epiteto si riaggancia al suo sostantivo, hirundo, l'impressione
di "nero" è già troppo profondamente marcata in chi legge. Scoprire
che si tratta della rondine-l'amica degli uomini, si dice- è sollievo limitato…
Ma l'esempio forse più interessante è costituito da una storia che si narrava
di Alessandro Magno[25].
Il generale stava dormendo , "a mezzogiorno", quando una rondine
cominciò a volteggiare sulla sua testa. Alessandro, ancora nel sonno, tentò di
scacciarla con una mano, ma la rondine non voleva saperne di andarsene. Si
allontanò solo quando il Macedone, destatosi, la colpì con forza- ma prima
lasciò cadere su di lui i suoi escrementi[26].
Alessandro si spaventò molto del prodigio, e mandò a chiamare l'indovino
Aristandro di Telmisso, che abilmente lo rassicurò. L'indovino volse il
prodigio in bonam partem appellandosi al carattere di "amica
dell'uomo" posseduto dalla rondine. Si tratta di uno dei tipici casi in
cui, di fronte a una credenza di tipo bipolare, la dialettica fra dark side
e bright side viene utilizzata per fini di carattere
"contestuale": sfruttandone le intrinseche possibilità di manipolazione."[27].
Un esempio di lato luminoso e positivo di uccello nero, del
tuttonero, si trova nel Satyricon: “aetatem bene ferebat, niger tamquam corvus”
(43, 7), portava bene l’età, nero come un corvo.
Socrate nel Fedone
platonico nega la possibilità che un uccello possa cantare per dolore: gli
uomini-dice-non tengono conto che nessun uccello canta quando ha fame o ha
freddo o soffre qualche altro dolore, “oujde;
aujth; h{ te ajhdw;n kai; celidw;n kai; oJ e[poy, a} dhv fasi dia; luvphn
qrhnou'nta a[/dein” (85a), neppure lo stesso usignolo e la rondine e
l’upupa, dei quali dicono che cantino lamentando il dolore.
Il cane può essere un simbolo di fedeltà. Tale è quello accucciato ai
piedi di Ilaria del Carretto nel monumento funebre commissionato a Jacopo della
Quercia da Paolo Guinigi, signore di Lucca, per la moglie morta di parto nel
1405. Ma la cagna può significare la femmina dissoluta, quindi anche la moglie
infedele. Quando Clitennestra nell'Agamennone "afferma che il re
ritrova in lei gunai'ka
pisthvn, dwmavtwn kuvna, essa dice in realtà il contrario di ciò che
sembra: gunai'k
j a[piston, "una moglie
infedele", che si è comportata come una cagna (606-7). Come nota lo
scoliaste, kuvwn (la cagna) significa una donna che ha più di
un uomo"[28].
Tito Livio narra che una lupa offrì la mammella a Romolo
e Remo i quali poi vennero raccolti dal pastore Faustolo che li portò nella sua
capanna perché li allattasse la moglie Larenzia. Quindi aggiunge una
spiegazione razionalistica della leggenda:"Sunt qui Larentiam vulgato
corpore, lupam inter pastores vocatam putent; inde locum fabulae ac miraculo
datum." (I, 4, 7) Ci sono quelli che pensano che Larenzia fosse
chiamata lupa tra i pastori in quanto si prostituiva; di qui prese origine la
leggenda e il miracolo.
Erodoto, narrando la storia di
Ciro, nipote di Astiage, narra che Arpago ricevette dal nonno l’ordine di
esporre il bambino.
Invece, dal momento che sua moglie aveva
partorito un bimbo morto, le permise di allevare il figlio di Mandane e di
Cambise al posto di quello. Il nome
della della donna era Kunw' che sarebbe la traduzione in greco della parola meda
Spakwv: th;n ga;r kuvna
kalevousi spavka Mh'doi (I, 110), i Medi chiamano il cane
“spax”.
La cagna dunque può essere una
figura che sostituisce quella materna e assumere diverse valenze. Clitennestra
nelle Coefore presagisce al figlio la vendetta delle
Erinni:" fuvlaxai mhtro;"
ejgkovtou" kuvna"" (v. 924), guardati dalle cagne
rabbiose di tua madre.
Nell’Edipo re “la Sfinge dal
canto variopinto"(v.130), non è solo un atroce flagello ma è pure un
allettante cartello pubblicitario: Edipo la chiama hJ rJayw/dov"… kuvwn (v.
391), la
cagna cantatrice.
“Nella mitologia
greca la figura ibrida è, in generale, un contrassegno di appartenenza a un
mondo primitivo"[29].
Pure l'interpretazione del
classico è problematica e doppia:" anche nel nostro tempo è possibile
scegliere tra due opposti usi del "classico" : quello che lo iconizza
come un immobile sistema di valori e quello che vi cerca la varietà e la
complessità dell'esperienza storica. Il primo dei due usi del
"classico" (il più frequente) può accettare agevolmente, anzi
incoraggiare, il continuo regresso degli studi classici nei percorsi formativi,
perché si accontenta di poco (le icone si riveriscono, non si esplorano); il secondo
richiede invece di interrogarsi a fondo sul possibile significato e futuro del
"classico" nella scuola, nell'università, nella cultura condivisa dai
cittadini"[30].
Sentiamo un intervento
giornalistico dello studioso.
“L’antica Roma ha riguadagnato una
sua attualità attraverso lo specchio della storia contemporanea (film come Gladiator e L’ultima legione si spiegano così). Se possibile ancora più attuale
è (o sembra) la cultura greca. Parliamo ogni giorno di democrazia, magari citando l’Atene di Pericle. Parliamo di politica, anche se di solito
dimenticando che per tale dovrebbe intendersi il governo della polis, e non il piccolo cabotaggio dei
partiti. Greche sono parole come “storia” e “filosofia”, greci il lessico della
medicina e il giuramento di Ippocrate, greci molti concetti della critica
d’arte e della letteratura. Le Olimpiadi si portano fino a Pechino nome e
ritualità di matrice greca, greco di nome è il “complesso di Edipo”; e non si
contano le arti, scienze e discipline, dalla matematica alla geografia,
dall’astronomia alla musica, che in tutte le lingue europee portano un nome
greco. Perciò Hegel poté dire che “al nome Grecia
l’uomo colto europeo subito si sente in patria”; perciò per Stuart Mill “la
battaglia di Maratona, anche come evento della storia inglese è più importante
della battaglia di Hastings. Se in quel remoto giorno i Greci non avessero
vinto, Britanni e Sassoni forse vagherebbero ancora per le selve”. Eppure
questo senso di familiarità, di attualità dell’antico rischia di essere
doppiamente ingannevole. Da un lato, esso si accompagna a un arretramento
costante della cultura e dell’educazione classica nelle scuole…Dall’altro, il
richiamo alla cultura greco-romana come radice dell’Occidente troppo spesso
sfuma in un più o meno nascosto senso di superiorità della nostra cultura
rispetto alle altre…Pezzi staccati di un riconoscibile DNA greco e romano ci
stanno nel sangue, negli occhi, nelle parole, nei concetti e nelle visioni del
mondo. Eppure non ci bastano, e se non allarghiamo lo sguardo ci frenano e ci
infastidiscono…Forse è per questo che in impressionante escalation persino intellettuali e saggisti rinunciano sempre più
spesso a leggere le letterature classiche, non entrano nei musei archeologici,
confondono Cesare con Alessandro. Intanto, si continua nonostante tutto a
cercare in quei testi e in quelle storie una vaga e desultoria ispirazione, che
prende spesso la forma del più arbitrario florilegio, delle citazioni fatte a
caso, e tuttavia con valore legittimante: come un capitello, un fregio o una
colonna si incastrano inconsapevoli, inerti nelle architetture post-moderne.
Eppure, una vera e vibrante curiosità verso i Greci e i Romani può generare
un’altra tensione, imporre altri orizzonti. Insoddisfatti dell’opposizione fra
Greci e “barbari” (ma consapevoli che il greco barbaros non implica giudizi di
valore[31],
non equivale a “selvaggio”; indica chi parla una lingua diversa dal greco), che
in passato ispirò imperialismi e colonialismi d’Europa, possiamo ormai
ricordarci che i Greci non pensarono mai di fondare l’Occidente, ma al
contrario esplorarono con viva ansia di scoperta l’Oriente e l’Egitto,
cercandovi miti, e merci, e saggezza. Li troviamo sulle coste del Mar Nero o
della Spagna, in Sicilia o in India, a costruire un’infinita varietà di culture
locali, sempre curiosi di vedere e di conoscere, con quello spirito che un
sacerdote egizio, parlando con Solone, riconobbe come una loro caratteristica:
“Un Greco vecchio non esiste, voi Greci siete sempre fanciulli”. Lo racconta Platone
nel Timeo[32]”[33].
[1]
J. G. Droysen, Alessandro Il Grande, p. 187.
[2]
Ha detto bene l'Emerito professore Bruno Gentili nel suo intervento al Convegno Scuola e Cultura Classica tenuto a
Lamezia Terme l'1 e il 2 marzo 2004 che "l'analfabetismo di ritorno è
sprovvisto di saperi problematici".
[3]
Guy de Maupassant (1850-1893) , Le sorelle Rondoli (del 1884), in Racconti d'amore, p. 256.
[4]
Cfr. 16. 1.
[5]
Quid non mortalia pectora cogis,/ auri
sacra fames! " (Eneide , III, 56-57).
[7]
518-438 a .
C.
[8]
Il vangelo secondo Matteo, 1964.
[9]
Così parlò Zarathustra, p. 88.
[10]
J. P. Vernant, Mito e tragedia nell'antica Grecia, p. 91.
[11]
Di Marco, Op. cit., p. 65.
[12]
Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni,
3, 3, 17.
[13]
I Remedia amoris, un poemetto di 814 versi (412 distici
elegiaci), appartengono
all'ultimo periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella
elegiaco- amorosa che arriva al 2 d. C.
[14]
Dante, Inferno, XVIII, 89.
[15]
Leopardi, Amore e morte, vv. 6-7.
[16]
Procne
[17]Città
della Laconia nella quale in seguito a falsi annunci di attacchi nemici seguiti
da turbamenti fu vietato di dare l'allarme, sicché quando gli aggressori
arrivarono davvero la trovarono impreparata.
[18]E'
questo il ritornello che si trova già in apertura, si ripete dieci volte e
indica la destinazione popolare del componimento.
[19]Il
più crudele dei mesi, La terra desolata
, 1.
[20]
Del 1605-1606
[21]Il
più crudele dei mesi, La terra desolata
, 1.
[22]
Un calendario in distici composto fra il 3 e l'8 d. C. quando fu interrotto,
dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.
[23] Portò avanti la linea politica di Cleone e di Iperbolo:
nel 410 ristabilì la piena democrazia e propugnò la guerra a oltranza
respingendo ogni proposta di resa. Venne processato e condannato a morte nel 404. Subito dopo Teramene si recò a
Sparta quale plenipotenziario degli Ateniesi con il mandato di accettare le
condizioni degli Spartani.
[24]
Cfr. soprattutto Eliano, La natura degli animali, I, 52; D. W. Thompson,
A Glossary of Greek Birds, Oxford, London 1936, pp. 314 sgg.
[25]
Arriano, L'anabasi di Alessandro, I, 25, 6, sgg.
[26]
Si narrava che lo stesso incidente fosse capitato a Gorgia. Il quale se la
cavò, però, senza allarmarsi e con molto spirito, esclamando "non son cose
da farsi, queste, Filomela!" (Plutarco, Questioni conviviali, 8, 7,
2).
Il particolare degli
escrementi non è raccontato da Arriano (n.d. r)
[27]
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p.
126 sgg..
[28]
J. P. Vernant, Mito e tragedia nell'antica Grecia, p. 90
[29]K.
Kerényi, Miti e misteri , p. 45.
[30]
S. Settis, Futuro del "classico" , p. 106.
[31]
Non va sempre in questo modo: cfr. p. e.
Ifigenia in Aulide 1400-1401 citati in 13, 2. Ndr.
[33]
Salvatore Settis, Pericle, nostro vicino di casa, “Il sole 24 ore”, domenica 31 agosto 2008 ,
p. 27.
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