conferenza del 31 luglio 2015 pomeriggio
Goethe
alcuni mesi prima della morte scriveva nel suo Tagebuch Diario:
"Non finisco di meravigliarmi come l'elite dei filologi non comprenda i
suoi meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi
predecessori seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane...Ma c'è forse
una nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di
porgergli le pantofole?"[1].
G. recitò questo dramma nella prima
redazione del 1779 nel ruolo di Oreste.
In questo stesso anno appariva l’Iphigénie
en Tauride del Gluck su libretto
del Guillard
Quattro anni
prima aveva portato sulle scene operistiche parigine l'Iphigénie
en Aulide, su libretto dell'amico Le Bailly du Roullet,[3]
il quale probabilmente ebbe una parte anche nell'ideazione della seconda
Iphigénie; il nuovo libretto fu però opera di Nicolas-François Guillard, un
giovane poeta che nell'occasione indossò per la prima volta quelle vesti di
librettista tragico dalle quali avrebbe tratto fama e successo nei due decenni
successivi.
Alla fine dell’Ifigenia
in Tauride di Goethe, la forza e l’atuzia di cui tanto si gloriano gli
uomini (Gewalt und List , der Männer höchster Ruhm, 2142-parla
Oreste) , cedono alla nobiltà dell’anima della ragazza che ottiene la pace tra i
contendenti, e, con la libertà anche la benedizione del re dei barbari Sciti.
Si tratta di
giungere alla conciliazione benefica delle unilateralità come nelle Eumenidi
di Eschilo .
“Il lato
profondo di questo principio è la concezione che, nonostante le differenze e i
conflitti di interessi, passioni e caratteri, viene tuttavia portata ad effetto
per mezzo dell’agire umano una realtà in sé armonica. Già gli antichi hanno
tragedie con un simile esito, in quanto gli individui non vengono sacrificati,
ma si salvano: p. e., l’ Areopago, nelle Eumenidi di Eschilo, concede il
diritto alla venerazione ad entrambe le parti, ad Apollo e alle vergini
vendicatrici. Anche nel Filottete si giunge ad appianare con
l’apparizione divina ed il consiglio di Eracle ls lotta fra Neottolemo e
Filottete che combattono poi uniti contro Troia. Ma qui la pacificazione avviene
dall’esterno, per comando degli dèi, ecc., e non ha la sua fonte nelle parti
stesse, mentre nel dramma moderno sono gli individui stessi che dal corso della
loro azione si trovano condotti a questo abbandono del contrasto ed alla
conciliazione reciproca del loro fine o del loro carattere. Per questo aspetto
l’Ifigenia di Goethe è un autentico modello poetico del dramma ”[2].
Atto primo.
Scena prima.
Ifigenia sola
Nella scena
prima Ifigenia appare sola e lamenta la sua condizione di straniera (fremd,
v. 9) rimasta sempre come lo era appena arrivata in una terra lontana dalla
sua. Il mare la separa dai suoi cari e lei passa lunghi giorni lange Tage
(11) sulla riva cercando mit der Seele, con l’anima (12) la terra dei
Greci das Land der Griechen.
Ma l’onda
die Welle risponde ai suoi sospiri mugghiando solo suoni sordi nur
dumpfe Töne (14).
Viene in mente
Odisseo nel V canto dell’Odissea. Il
poluvtropo~ è prigioniero di Calipso la quale
:" lo trovò
seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la
dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la
ninfa./Certo di notte dormiva sempre anche per forza/nella spelonca profonda
controvoglia accanto a lei che lo voleva" (151-155).-
Ulisse non sa
che farsene di questa immortalità lontana da tutto.
A chi sta
lontano da genitori e fratelli in una vita solitaria, la pena rode via dalle
labbra la più vicina felicità das nächste Glück (17) e rimpiange la casa
del padre dove il sole die Sonne per la prima volta gli rivelò il cielo
dove giocando si consolidavano sempre più saldamente e reciprocamente i legami
con i consanguinei.
Questo richiamo
al legame di sangue è più sofocleo che euripideo cfr. rispettivamentel’Antigone
e l’Alcesti.
Quindi Ifigenia
lamenta la miserevole condizione delle donne
L’uomo der
Mann domina in casa e in guerra zu Haus und in dem Kriege (25)
Invece la
felicità della donna è ristretta eng-gebunden (29)
Va già bene se
può obbedire a un rozzo marito. Se è straniera va molto peggio.
Cfr. l’appello
alla solidarietà femminile nella Medea di Euripide.
“Fra tutti gli esseri,
quanti sono vivi e hanno raziocinio, 230
noi donne siamo la
creatura più tribolata:
noi che innanzitutto
dobbiamo comprare un marito
con gran dispendio di
ricchezze, e prenderlo come padrone
del corpo, e questo è un
male ancora più doloroso del male. 234
E in questo sta la gara
massima, prenderlo cattivo
o buono. Infatti non
danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è
possibile ripudiare lo sposo.
Quella poi giunta tra
nuovi costumi e leggi,
bisogna che sia
un'indovina, se non ha appreso da casa
con quale atteggiamento
tratterà nel modo più appropriato il marito.
E se con noi che ci
affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive,
sopportando il giogo non per forza,
la vita è invidiabile; se
no, bisogna morire.
Un uomo poi , quando gli
pesa stare insieme a quelli di casa,
uscito fuori, depone la
noia dal cuore 245
(volgendosi a un amico o a
un coetaneo);
per noi al contrario è
necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo
una vita senza pericoli
in casa, mentre loro
combattono con la lancia,
pensando male: poiché io
tre volte accanto a uno scudo
preferirei stare che
partorire una volta sola”.
Però non vale
proprio lo stesso discorso per te e per me;
tu hai questa
tua città e la casa paterna
e comodità di
vita e compagnia di amici,
io, poiché sono
isolata e senza città, devo subire oltraggi
da un uomo, dopo
essere stata rapita da una terra barbara, 256
senza avere la
madre, né un fratello, né un congiunto
per trovare un
ancoraggio fuori da questa sventura.
Tanto dunque io
vorrò ottenere da te,
se trovo una
qualche via e mezzo
per far pagare
allo sposo il fio di questi mali
(e a chi gli ha
dato la figlia e a quella che ha sposato),
ti prego di
tacere. La donna infatti per il resto è piena di paura
e vile davanti a
un atto di forza e a guardare un'arma;
ma quando sia
offesa nel letto,
non c'è non c'è
altro cuore più sanguinario. 266
Nella
Lisistra[3],
Aristofane fa dire all'ateniese Cleonice:"caleph;
toi gunaikw'n e[xodo" "(v. 16), è difficile per noi donne uscire.
Infatti, spiega questa sposa, una di noi deve attendere il marito, l'altra deve
svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo,
l'altra imboccarlo (vv. 17-20).
Ma, ribatte
Lisistrata, ci sono cose più importanti per loro donne (v. 20). Si tratta di
porre termine alla guerra. Noi donne di Atene, con quelle di Beozia e con quelle
del Peloponneso, sostiene la protagonista, insieme salveremo la Grecia (koinh'/
swvsomen th;n JEllavda"[4]
(v. 41).
Nella Danae di Nevio leggiamo:"
Desubito famam tollunt, si quam solam videre in via " (fr. 6 Marmorale) se
hanno visto una donna sola per strada, la coprono subito di infamia.
Thoas, ein edler Mann,
un uomo nobile, mi trattiene qui in severi e sacri lacci di schiavitù (in
ernsten, heil’gen Sklavenbanden, 34)
Ifigenia spera in Diana che l’ha già salvata
dal padre dopo avergliela chiesta in sacrificio. Ora vuole essere salvata anche
dalla vita che conduce là, unde rette mich, die du vom Tod errettet,-
auch von dem Leben hier, zweiten Tode, la sua seconda morte (53).
Scena seconda
Ifigenia e Arcade
Arcade preannuncia l’arrivo del re
Ifigenia dice di essere pronta a riceverlo, ma
Arcade vede uno sguardo che lo fa rabbrividire
E’ quello di una ripudiata, un’orfana, dice
la ragazza che separata dai suoi cari ha perso la gioia ed è diventata un’ombra
per se stessa ich nur ein Schatten mir, e la fresca gioia della
vita und frische Lust des Lebens non rifiorisce più in me blüht
in mir nicht wieder auf (89-90)
Arcade la chiama ingrata undankbar (92)
Ifigenia invece esprime la sua gratitudine,
ma senza sguardo ilare che mostra vita lieta e cuore propizio.
Toante la accolse con rispetto e benevolenza
come un’inviata dagli dèi.
Ifigenia ribatte al messo del re che ella
vive nel lutto, come un’ombra accanto al proprio sepolcro: una vita inutile è
una morte immatura: questo destino delle donne è soprattutto il suo ( Dies
Frauenschicksal ist vor Allen meins, 116)
Ma Arcade le ricorda i suoi benefizi: ha
rasserenato il torbido carattere del re, ha salvato molti prigionieri. Il re
vince in guerra e gioisce anche nella clemenza. Non puoi chiamare inutile il
balsamo che da te scende su migliaia di uomini. Il popolo di Tauri riceve
felicità da te e gli stranieri ottengono la salvezza.
A Ifigenia però questo pare poco in confronto
a ciò che le manca
Sta per arrivare il re che da quando ha perso
il figlio teme una vecchiaia derelitta in solitudine er fürchtet
ein einsam hilflos Alter (162) e pure rivolte.
Gli Sciti non attribuiscono alcun pregio alle
parole: Der Skyte setz ins Reden keinen Vorzug (164) setzen porre,
Rede parola,Vorzug pregio.
E il re meno di tutti am wenigsten der König
165.
Dunque Ifigenia deve andargli incontro con la
sua civiltà maggiore e superiore, quella greca.
Il culto del
lovgo~
è greco, la trascuratezza della parola è barbarie
Isocrate
arriva alla celebrazione quasi religiosa della parola fondatrice di umanità e
civiltà: " ejggenomevnou d j hJmi'n
tou' peivqein ajllhvlou~ kai; dhlou'n pro;~
hJma'~ aujtou;~ peri; w|n a]n boulhqw'men, ouj movnon tou' qhriwdw'~ zh'n
ajphllavghmen, ajlla; kai; sunelqovnte~ povlei~ w/jkivsamen kai; novmou~
ejqevmeqa kai; tevcna~ eu{romen, kai; scedo;n a{panta ta; di j hJmw'n
memhcanhmevna lovgo" hJmi'n ejstin oJ sugkataskeuavsa" "( Nicocle[5],
6), ma siccome è connaturata in noi la capacità di persuaderci a vicenda e di
rendere chiaro a noi stessi quello che vogliamo, non solo ci siamo allontanati
dalla vita selvaggia, ma ci siamo riuniti, abbiamo fondato città, dato leggi e
inventato arti, e quasi tutto quanto è stato costruito da noi è stata la parola
a organizzarlo.
La parola dunque
è creatrice e civilizzatrice.
Il prologo del
Vangelo di Giovanni del resto estende questa considerazione a termini
cosmici " jEn ajrch'/ h\n oJ lovgo", kai;
oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/
pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou'
ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In
principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc
erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est
nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con Dio e la
Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e
senza lei nulla fu fatto.
Quindi il verbo
si fece carne:"kai; oJ lovgo" savrx
ejgevneto" (14). Io collego questa affermazione, del tutto
arbitrariamente, alla facundia persuasiva che attira gli ascoltatori,
massime le donne, poiché è in corpo di donna che il verbo si fa carne.
Rprendiamo in
mano Isocrate per sottolineare il valore anche etico del
lovgo" inteso come parola e come
pensiero: "to; ga;r levgein wJ" dei' tou'
fronei'n eu\ mevgiston shmei'on poiouvmeqa, kai; lovgo" ajlhqh;" kai; novmimo"
kai; divkaio" yuch'" ajgaqh'" kai; pisth'" ei[dwlovn ejstin" ( Nicocle,
7) il parlare come si deve lo consideriamo segno massimo del saper pensare, e un
discorso veritiero, legittimo e giusto è l'immagine di un'anima buona e leale.
Queste parole celebrative del logos, tornano, come espressioni liturgiche, nell’Antidosis
(255). Entrambe le orazioni giungono a una conclusione che indica nella potenza
della parola l’unico mezzo per trasformare il pensiero in prassi: “eij
de; dei' sullhvbdhn peri; th'~ dunavmew~ tauvth~ eijpei'n, oujde;n tw'n
fronivmw~ prattomevnwn eurhvsomen ajlovgw~ gignovmenon, alla; kai; tw'n e[rgwn
kai; tw'n dianohmavtwn aJpavntwn hJgemovna lovgon o[nta, kai; mavlista
crwmevnou~ aujtw'/ tou;~ plei'ston nou'n e[conta~”, se si deve tirare le
somme su questa potenza, troveremo che nulla di quanto è fatto con intelligenza
viene fatto senza la parola, ma che anzi la parola è guida delle azioni e dei
pensieri tutti, e che si avvalgono soprattutto di essa quelli che hanno la più
grande capacità di pensiero[6].
"Sicché il
Logos, nel suo doppio significato di parola e di pensiero, diventa per Isocrate
il "symbolon", il contrassegno della paideusis"[7].
Non solo
dell’educazione ma anche della duvnami~
dell’uomo.
Il ragazzo che
ha studiato bene, con buoni insegnanti, possiede, prima di tutto, una facoltà di
eloquio superiore a chi non ha fatto studi altrettanto buoni e ben guidati.
Platone
afferma che parlare male, fa male all'anima. Lo fa dire a Socrate nel
Fedone :" euj ga;r i[sqi…a[riste
Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev"[8],
ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene…ottimo
Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche
del male nelle anime.
Il re vorrebbe sposare Ifigenia che non vuole
e teme Toante. Tanto che non gli ha rivelato le sue origini. Arcade le consiglia
di non abbandonarlo a se stesso. Ifigenia teme che il re voglia trarla
dall’altare della dea a forza (mit Gewalt) nel suo letto (in sein
Bette, 196)
Allora invocherà Diana che certo accorda la
sua protezione alla sacerdotessa, da vergine a vergine (Jungfrau, 200)
Arcade annuncia l’arrivo del re e prega
Ifigenia di accoglierlo con fiducia e riconoscenza. Un uomo nibile (ein edler
Mann) viene condotto lontano (weit) da una buona parola di donna (durch
ein gutes Wort der Frauen, 214).
Ifigenia sente il dovere di dare buone parole
(217) al re per il suo benefizio.
Scena terza Ifigenia e Toante
Ifigenia augura ogni bene al re da parte della
desa
Il re spera (ich hoffe, 248) di poter
sposare Ifigenia che però non vuole nulla tranne la protezione e il riposo che
già ha avuto.
Toante sperava maggiore confidenza da Ifigenia
che non lo ha informato nemmeno sulle sue origini.
Ifigenia risponde che non gli ha detto chi è
per imbarazzo e per paura di essere cacciata a causa dell’ orrore della sua
famiglia.
Ma Toante sente che la ragazza è per lui una
benedizione.
Ifigenia replica: è il benefizio che ti porta
benedizione, non l’ospite Dir bringt die Wohltat Segen, nicht der Gast
(286).
Il re la considera sacra (heilig, 291)
alla dea e sacra a lui. Le chiede ancora quale sia la sua stirpe
E lei: sono della stirpe di Tantalo.
Quel Tantalo, chiede il re, che Giove volle al
suo consiglio e alla sua tavola?
Sì, è lui ma gli dei non dovrebbero camminare
con gli uomini come loro pari.
Er ist es; aber Götter
sollten nicht-mit Menschen wie mit ihres Gleichen wandeln
(315-316)
La schiatta mortale è troppo debole (317) per
non avere le vertigini se giunge a vette inconsuete.
Per quanto
riguarda la debolezza dei mortali, il Prometeo di Eschilo si vanta di avere dato
pensiero e coscienza agli uomini
Prima
blevponte~, e[blepon mavthn,
volgendo lo sguardo, lo volgevano invano, ascoltando non udivano
kluvonte~ oujk h[koun (v. 448),
somigliavano a forme di sogno, non conoscevano le case di mattoni esposte al
sole (plinqufei`~ dovmou~ proseivlou~
, Prometeo incatenato, 450.
plivnqo~-mattone-ei[lh-h",
calore del sole).
Vivevano
sottoterra come labili formiche, in grotte fonde, senza sole. Prometeo ha
insegnato loro tutto: i numeri, le lettere, l’aggiogamento degli animali, la
navigazione. Non avevano farmaci, e io indicai loro miscele
e[deixa kravsei~ di salutari rimedi
che tengono lontani tutti i morbi. E ordinai le molte forme della mantica e
l’interpretazione dei sogni (485-6) e rivelai i significati dei presagi, dei
voli degli uccelli, degli auspici. Aprii anche gli occhi dei mortali ai
significati della fiamma. Ho scoperto i metalli. Tutte le tecniche ai mortali
derivano da Prometeo :"pa'sai
tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw"
(v. 507).
Il Goethe
stürmeriano rappresenta Prometeo che dice: "Io non conosco al mondo/nulla di
più meschino di voi, o dèi/…Io renderti onore? E perché?/Hai mai lenito i
dolori/di me ch'ero afflitto?/
Hai mai calmato
le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…Io sto qui e creo uomini/a mia immagine e
somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire e per piangere,/per
godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[9].
Tantalo dunque, continua Ifigenia, era nur
ein Mensch (321) solo un uomo. Così il suo delitto fu umano. So war auch
sein Vergeben menschlich. Ma i poeti cantano che l’infedeltà Untreu
lo precipitò dal seggio di Giove (von Jovis Tisch, 324)
nell’ignominia dell’antico Tartaro (des alten Tartarus).
E tutta la stirpe risente di questo odio.
Pindaro
modifica il mito di Tantalo : non è vero che fu condannato a pene eterne poiché
aveva imbandito il figlio Pelope, cotto, ai numi suoi ospiti, infatti gli dei
non sono cannibali, ma venne punito perché era un privilegiato che, non sapendo
smaltire la sua fortuna, si insuperbì. Sentiamo alcuni versi dell’Olimpica I
:
Per me è
inconcepibile chiamare
51
ghiotto uno
dei beati: me ne tengo lontano;
una perdita
tocca spesso ai malèdici.
Ma se mai i
protettori dell'Olimpo onorarono un uomo
mortale, era
Tantalo questo; però
55
di fatto non
seppe
digerire la
grande felicità, e con la sazietà attirò
un
accecamento pieno di prepotenza, e su di lui
il padre
sospese un macigno pesante,
che egli
desidera sempre stornare dal capo
ed erra
lontano dalla gioia.
60
In diverse occasioni Pindaro afferma il credo
che non bisogna dire male degli dèi. Nell'Olimpica IX
leggiamo:"diffamare gli dei è odiosa sapienza (;
tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra;
sofiva, vv. 37-38)
Del resto secondo il poeta tebano l’uomo è
solo sogno di ombra Pitica VIII, 95-96 "skia``~
o[nar-a[nqrwpo~ ", sogno di ombra è l’uomo.
I sui figli e
nipoti ereditarono il suo petto potente die gewaltige Brust (328) e la
forza dei Titani, ma un dio non diede loro senno e moderazione sapienza e
pazienza (cfr.Giganti e Titani, gli eterni nemici della cultura) il desiderio in
loro diveniva passione (cfr. lo qumov~
di Medea) e la furia loro-
drang ihre, 335- era senza confini.
"non esiste…una
vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la
continua battaglia contro di essi"[10],
contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[11].
Pelope si prese
con tradimento e assassinio durch Verrat und Mord la donna più bella
das schönste Weib 338, Ippodamia la figlia di Enomao.
Nascono Atreo e
Tieste che odiano Crisippo il figlio di primo letto di Pelope (con la ninfa
Astioche) e lo uccidono. Pelope crede che sia stata Ippodamia ed ella si uccise.
Euripide scrisse
un dramma Crisippo dove il giovane è vittima di Laio che lo rapì.
Ifigenia
racconta altri orrori che crescono: “Non subito nicht gleich una casata
ein Haus genera il semidio den Halbgott né il mostro (noch das
Ungeheuer, 356)
Tieste disonora
il talamo del fratello. Atreo lo caccia, ma Tieste gli aveva sottratto un figlio
e lo istiga a uccidere il padre cui ha fatto credere che è lo zio, Atreo lo
uccide poi si accorge che è suo figlio e fa mangiare a Tieste i suoi figli. Il
sole cambiò percorso e la notte con pesante ala copre molte azioni
dell’intelletto disordinato (396).
Toante dice
basta: abbastanza di orrori! Es sei genug der greuel
Cfr. Ecuba
di Euripide, 278:
tw`n teqnhkovtwn a{li~.
Nell’Agamennone
di Eschilo, Egisto e il Coro stanno per venire alle mani ma arriva Clitennestra
e dice a Egisto, non facciamo altri mali. C’è ne sono già tanti da mietere,
sciagurata messe duvsthnon qevro~
(1655). phmonh`~ dj a[li~ ci sono
già abbastanza sciagure (1657). u{parce
mhdevn, non dare inizio a nulla, hJ/matwvmeqa,
siamo già coperti di sangue aiJmatovw.
Clitennestra vuole spezzare la catena dei
delitti. Ma il suo non può essere l’ultimo anello (Pohlenz).
Ifigenia poi
racconta di Agamennone, Clitennestra, Elettra e Oreste. Tutti in pace fino alla
guerra. Il vento contrario in Aulide. Diana era irata auf ihren grossen
Führer (421) contro il loro grande condottiero, e tratteneva i Greci che
avevano fretta. E richiedeva per bocca di Calcante la figlia maggiore del re –und
forderte durch Kalcha’s Mund des Königs ält’ste Tochter- (423)
La fecero andare
al campo ins Lager mit der Mutter con la madre attraverso la frode, ma la
dea la salvò avvolgendola in una nube. Dunque io sono Ifigenia, io che parlo con
te, die mit dir spricht, proprietà della dea- della dea der Göttin
Eigentum (432).
Il re non dà la
preferenza alla figlia di un re rispetto a un’ignota e vuole sposarla. Ma
Ifigenia dice forse è vicino a me un lieto ritorno: “Vielleicht ist mir die
frohe Rückkeher nah-444 (cfr. near). Ein Zeichen (un segno)
bat ich (chiesi io, bitten chiedere) wenn ich bleiben sollte,
se dovevo restare. 447
Il re le chiede
di non cercare pretesti: lui ha capito nur das Nein, solo no.
Ifigenia
ribadisce che vuole tornare a Micene dove il lutto si trasformerebbe in gioia
come per una neonata-wie um eine Neuegeborne. (460).
Toante le dice
allora di tornare seguendo la voce del cuore (Herz, heart) . Sii del
tutto donna Sei ganze ein Weib (465) e abbandonati all’istinto –und
gib dich hin dem Triebe- che ti trascina senza freni.
Quando le donne
desiderano qualcosa, nulla le trattiene, se perdono il desiderio, non c’è forza
di persuasione che le trascini.
Nell’Ulisse di Joyce l’ istinto della
donna è irefrenabile: “Tinnulo calessino (quello che porta l’adultero Boylan
all’incontro erotico con Molly). Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto
vale fermare il mare” (p. 372).
Oppure Emilia nell’Otello: “Let
husband know. Their wifes have sense like them: they see and smell, and have
their palates both for sweet and sour, as husband have” (IV, 3),
sappiano i mariti che le loro mogli hanno sensi come loro: esse vedono e odorano
e hanno il palato per il dolce e per l’aspro, come i mariti.
Ifigenia dice
al re di pensare alla sua nobile parola-Gedenk’ o Köing, deines edeln
Wortes! (475).
E Toante: da una
donna ci si può aspettare di tutto!
E Ifigenia: non
signorili come le vostre (nicht herrlich wie die euern), ma non ignobili
(aber nicht unedel) sono le armi di una donna sind die Waffen eines
Weibes (483).
T.: Parla il tuo
cuore , non un dio
E Ifigenia: Gli
dei ci parlano solo per mezzo del nostro cuore- Sie reden nur durch unser
Herz zu uns- 494
“Quando un Dio
parla al nostro cuore-come dice Ifigenia di Goethe, opponendosi alla barbarica
consuetudine dei sacrifici umani-bisogna essere pronti a seguirlo a ogni costo,
ma solo dopo essersi interrogati con la massima lucidità possibile se a parlare
è un Dio universale o un idolo dei nostri oscuri gorghi interiori”[12].
Toante dunque le
dice: sii sacerdotessa della dea, come ti ha eletta.
Devi tornare a
sacrificare gli stranieri come richiede il popolo. Io ero rimasto incantato
dalla tua gentilezza, in te vedevo l’amore di una figlia e di una sposa
Ifigenia
risponde che fraintende gli dèi missversteht i celesti die Himmlischen
-Himmel, cielo- chi li immagina sanguinari , der sie blutgierig wähnt
(523) e li incolpa delle sue orrende voglie.
Cfr. l’Ifigenia
taurica di Euripide Giudico non credibili (a[pista
krivnw) anche i conviti di Tantalo[13]
agli dèi, che questi abbiano goduto del pasto del figlio, e ritengo che la gente
di qui, essendo loro assassini di uomini, attribuiscano alla dea la loro
malvagità (to; fau`lon, 390).
Infatti credo
che nessuno tra i numi sia cattivo (
oujdevna ga;r oi\mai daimovnwn ei\nai kakovn, 392).
La dea stessa
mi ha salvato, continua Ifigenia a lei era più gradita la mia servitù che la mia
morte ihr war mein Dienst willkommer als mein Tod (525-527).
Toante non vuole
interpretazioni del santo costume fatta con volubile ragione. Due stranieri
sind in mainer Hand (534) sono in mano mia. Tu fai il tuo dovere e io il
mio.
Scena quarta-
Ifigenia sola
Prega Diana, la
luna: Tieni lontane dal sangue le mie mani-O, enthalte vom Blut meine Hände!
549- enthalten trattenere.
Il sangue non
reca benedizione né riposo e l’ucciso atterrisce le ore di chi lo ha ucciso
anche involontariamente. Gli immortali amano i buoni.
Già Eschilo
nell'Orestea aveva proclamato che il sangue, soprattutto se di un
genitore, versato al suolo non si raccatta né si riscatta ( Eumenidi vv.260
e sgg.); che vana è la fatica di spargere tutti i libami per espiare una goccia
sola di sangue ( Coefore vv.520-521); e che il nero sangue di un uomo,
una volta caduto sulla terra, nessuno può chiamarlo indietro con incantesimi (Agamennone
vv.1019-1021). Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle
Osservazioni sulla morale cattolica (cap. VII) scrive:" Il sangue di un
uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per
tutta la terra".
Secondo atto
Scena prima
Oreste e Pilade
Oreste dice: è
la via della morte quella su cui camminiamo:” Es ist der Weg des Todes
den wir treten- (561). Questo gli dà tranquillità.
Egli può
sanguinare in disperata morte come un animale da sacrificio, come i suoi
antenati-wie meine Ahnen- e come suo padre wie mein Vater (576).
Accada pure così.
Chiede alle
potenze sotterranèe che come cani sguinzagliati –wie losgelassne Hunde
seguono il sangue che stilla dai suoi passi di lasciarlo: sarà lui a seguirle
negli inferi.
Sono le cagne della
madre uccisa La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste
già nelle Coefore di Eschilo, quando il matricida le vede
quali donne "simili a Gorgoni/dalle nere
tuniche e intrecciate/di fitti draghi"(vv.1048-1050). Tali mostri sono"le rabide
cagne della madre" (v1054) che appaiono soltanto a lui:"
uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd j, ejgw; d
‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma
io le vedo"(1061).
Le Furie lo incalzano: “ejlauvnomai
de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv”
(v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi delle Coefore
quale epigrafe di Sweeny agonista (1930), :" You don’t see them, you
don’t-
But I see them: they are hunting
me down, I must move on”.
Nel dramma La Riunione di famiglia
(1939) Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.
Secondo l'autore di The waste land
bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare
invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme
urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le
Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.
Alla fine dell’Orestea le Erinni
diventano Eumenidi: “ Dopo l’intervento razionale di Atena, le Erinni-forze
scatenate, arcaiche, istintive, della natura-sopravvivono: e sono dee, sono
immortali. Non si possono eliminare, non si possono uccidere. Si devono
trasformare, lasciando intatta la loro sostanziale irrazionalità: mutarle cioè
da “Maledizioni” in “Benedizioni”. I marxisti italiani non si sono posti,
ripeto, questo problema”[14].
Non sempre del resto c’è redenzione dopo un
delitto del genere: Nerone aveva fatto ammazzato Agrippina (59 d. C.) e non si
sentì rassicurato dalle congratulazioni dei soldati, del Senato e del popolo: “neque
tamen conscientiam sceleris…aut statim aut umquam ferre potuit, saepe confessus
exagitari se materna specie verberibusque Furiarum ac taedis ardentibus” (Svetonio,
Neronis vita, 34), tuttavia non poté subito né poi sopportare il rimorso
del delitto, e spesso confessò di essere tormentato dalla visione della madre e
dalle fruste e dalle fiaccole ardenti delle Furie.
Nerone amava interpretare sulla scena la parte
di Oreste, ossia del matricida assolto.
L’Oreste di Goethe dice che il bel tappeto
verde della terra non deve essere arena di spettri (für
Larven, 588): sarà lui a scendere
tra le larve.
Nell’Iliade i morti vengono bruciati. "Così il
sereno mondo omerico è libero da fantasmi...il vivo è lasciato in pace dai
morti"[15],
o, se vogliamo ricordare Carducci, "Non paure di morti ed in
congreghe/diavoli goffi con bizzarre streghe"[16].
Pilade invece vuole tentare di sollevarsi di
nuovo verso la vita-zu dem Leben wieder aufzuwinden-600. Ich denke
nicht den Tod, io non penso alla morte.
La morte avanza comunque inarrestabile. Apollo
ci ha promesso il ritorno e le parole divine non sono ambigue Der Götter
Worte sind nicht doppelsinning
(613) come immagina nella sua tristezza chi è oppresso
Oreste ricorda la sue triste infanzia, ma
Pilade lo ferma: ricordare i tempi belli dà nuove forze per una vita eroica: “
Die Götter brauchen manchen
guten Mann- zum ihrem Dienst,
(631-632) gli dèi hanno bisogno di diversi uomini valenti per il lloro servizio.
Gli dèi ti hanno salvato la vita poiché contano su di te.
Ma Oreste avrebbe preferito morire con il
padre.
E Pilade dice che lui può vivere solo con
Oreste e per Oreste.
Oreste ricorda quando, nella casa di Strofio,
Pilade simile a una farfalla leggera e variopinta giocava intorno al fiore cupo
dunkle Blume (649) a un giovane mezzo irrigidito che era lui,
fino a comunicargli la sua gioia.
Ma Oreste si sente come un bandito infetto che
contamina gli altri ich wie ein verpesteter Vertrieb’ner (657)
Pilade ribatte che lui non è infettato, bensì
pieno di coraggio e letizia che con l’amore sono le ali per le grandi azioni.
(666) und Lust
–(gioia) und Liebe-(amore)- sind die Fittige-zu grossen Taten.
Oreste ricorda il tempo quando le vedevano
davanti. Quando il mondo sembrava così grande, così aperto.
Pilade ribatte che corriamo dietro l’ombra
degli avi che come un dio corona di nubi d’oro le cime di monti lontani. In
questo modo non badiamo alla via sulla quale passiamo.
Oreste è stato scelto per operare.
l
Ma il matricida ribatte che gli dèi l’hanno
scelto come assassino della madre e hanno preso di mira la casa di Tantalo che
deve esaurirsi in lui.
Pilade risponde che dei genitori si eredita la
benedizione non la maledizione (der Eltern Segen, nicht ihr Fluch, 717).
Un problema
grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei padri.
Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe non è
personalmente colpevole ma deve pagare per :"la trasgressione antica/dalla
rapida pena/che rimane fino alla terza generazione:/quando Laio faceva
violenza/ad Apollo che diceva tre volte,/negli oracoli Pitici dell'ombelico/del
mondo, di salvare la città/morendo senza prole;/ma quello vinto dalla sua
dissennatezza/generò il destino per sé,/Edipo parricida,/quello che osò
seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice insanguinata,/e fu
la pazzia a unire/gli sposi dementi"(vv.742-757).
Il Coro dell ’Antigone deplora
la catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso
l'estremità dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso trono della
Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (vv.
853-856).
Ora leggiamone
un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini:“Uno
dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli
a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii:
se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro-un coro
democratico- che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza
introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”
Per la nostra generazione Pasolini trova una
ragione nella legge della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i
giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi
responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente
democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei
consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti.
“Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’
giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza
risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore
moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e
tragicamente, comprensibile l’affermazione-che pareva così ciecamente
irrazionale e crudele-del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè
devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle
colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di
colpevolezza che l’infelicità”.
E le colpe dei padri? Esse sono la complicità
col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché c’è-ed eccoci al punto-un’idea
conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il
male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi
povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre
parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la
storia non sia e non possa essere che la storia borghese”
[17].
Oreste non trova che una benedizione lo abbia
portato nella Tauride.
Si tratta, dice Pilade, di riportare Artemide
da Apollo a Delfi. Per questo atto, la veneranda coppia sarà benigna. Diana
brama allontanarsi da questa riva di barbari. Saggezza umana è sentire
attentamente la volontà degli dèi. Un dio chiama den edeln Man, l’uomo
nobile che ha molto peccato a una difficile impresa che sembra impossibile.
Vince l’eroe Es siegt der Held (748)
Oreste chiede che se deve vivere e operare, è
necessario che un dio tolga dalla sua fronte oppressa la vertigine che dallo
sdrucciolevole sentiero bagnato di sangue materno mit Mutterblut mi
trascina verso i morti (753). Asciughi la fonte die Quelle che
spruzzandomi dalle ferite materne mir aus der Mutter Wunden (754)
mi macchia in eterno (ewig mich befleckt).
Pilade lo invita a riflettere e Oreste fa: mi
sembra che parli Ulisse: “ich hör
’ Ulyssen reden (762).
Pilade avverte dell’ironia e un riferimento al
lato negativo di Ulisse: quello messo in evidenza da Pindaro, Sofocle, Euripide
e Dante che lo presentano come un demagogo un truffatore, una consumata volpe:
dice all’ amico che List-astuzia- und Klugheit e senno non fanno
vergogna all’uomo che si dedica a opere ardite.
Oreste, come Neottolemo nel Filottete
di Sofocle, dice che apprezza chi è prode e retto.
Pilade ha raccolto notizie sulla sacerdotessa:
si crede (man glaubet) che discenda dalle Amazzoni.
Non sarà una donna a salvarci dalla ferocia
del re, dice Oreste.
Ma Pilade replica che una donna buona rimane
buona, mentre un uomo che si abitua al male diviene malvagio.
Dunque: “buon per noi che è una donna!” (786)
Cfr. Euripide (Medea) che è meno
ottimista nei confronti delle donne.
Ottimismo pedagogico invece nelle Supplici
del 422.
Scena seconda del secondo atto
Ifigenia e Pilade.
Ifigenia chiede a Pilade da dove venga. Gli
sembra un Greco piuttosto che uno Scita. Gli toglie le catene.
Pilade conferma di essere greco e gradisce il
dolce suono (süsse
Stimme della lingua materna (Muttersprach)
Ifigenia si presenta come sacerdotessa.
Pilade dice di essere di essere Cretese, di chiamarsi Cefalo e di essere fuggito
con il fratello Laodamante che ha ucciso un altro fratello rozzo e feroce.
Apollo li ha mandati là perché vengano aiutati da Artemide. Viene in mente il
detto di Epimenide: i Cretesi sono bugiardi. La tradizione attribuisce la
prima formulazione del paradosso a
Epimenide di Creta (VI
secolo a.C.), il quale, cretese egli stesso, affermò che «i
Cretesi sono bugiardi»
il paradosso del mentitore.
Se assumiamo che l'affermazione
sia vera, allora Epimenide, in quanto cretese, è un bugiardo. Ma allora la sua
affermazione «i Cretesi sono bugiardi» non sarebbe vera ed otteniamo una
contraddizione.
Se invece assumiamo che
l'affermazione sia falsa, allora sarebbe falso che «i Cretesi sono bugiardi»,
cioè sarebbe vero che alcuni cretesi dicono la verità e Epimenide mente. In
questo caso possiamo identificare Epimenide come uno dei cretesi che mentono.
Per quanto argomentato nel caso precedente, non può infatti esser vero che
Epimenide dica la verità.
Non si conosce il contesto in cui
Epimenide fece questa affermazione; fu solo più tardi che questa fu di nuovo
citata (per esempio nella
Lettera a Tito 1,12-13 di
Paolo di Tarso) e presentata come
il paradosso del mentitore.
Ifigenia viene a sapere anche che
Troia è caduta.
Pilade le chiede di salvare il
fratello: la sua bella anima libera -seine schöne freie Seele- viene
data in preda alle Furie (854)
Pilade informa Ifigenia sulla
guerra di Troia. Achille giace là con il suo amico bello Achill liegt dort
mit seinem schönen Freunde. Anche Palamede e Aiace Telamone. Quindi le
racconta la fine di Agamennone per mano di Clitennestra con l’aiuto di Egisto.
Clitennestra gli gettò sulle
spalle e sul capo un tessuto piento di pieghe e mentre lui cercava di
liberarsene wie von einem Netze, come da una rete Egisto lo colpì.
Cassandra
nell'Agamennone di Eschilo dice, alludendo a Clitennestra :"ajll
j a[rku" hJ xuvneuno"" (v. 1116), ma una rete è la compagna di letto
Nell'Elettra di Sofocle
troviamo la rete della nemesi, quando Clitennestra sta per pagare il fio del
delitto ordito cadendo a sua volta nella rete preparata dai figli:"kalw'"
a[r ' a[rkun eij" mevshn poreuvetai"
(v. 965), cammina giusto verso il mezzo della rete.
La moglie adultera e assassina era
mossa da una cattiva passione (eine böse lust) e dal profondo sentimento
di un’antica vendetta (904).
Il re l’aveva offesa con un grave
atto che la scuserebbe se ci fosse scusa del delitto.
Euripide nell’Ifigenia in
Aulide tende a trovare queste scuse per il grave atto di Clitennestra.
Il sacrificio di Ifigenia impresse
un profondo odio nel cuore di lei che poi cedette alle richieste di Egisto e
uccise il marito con reti di rovina.
Ifigenia si copre il volto
commossa, e Pilade comprende che conobbe il re.
Quindi Pilade, come Odisseo, si
rivolge al proprio cuore-Nur stille, liebes Herz-ora calma, caro cuore e
lascia che ci venga incontro la stella della speranza und lass dem Stern der
Hoffnung (925).
Nell’Odissea, Ulisse si rivolge al
proprio cuore perché sopporti le beffe delle ancelle in casa propria, e per
incoraggiarsi ricorda quando nell’antro del Ciclope si credeva già morto, e la
mh'ti~
lo trasse fuori (se mh'ti~-ejxavgag
j, XX, 18-21).
Nel
Satyricon di Petronio c’è una ripresa parodia di questo luogo.
Encolpio
inveisce contro la mentula che ha disertato:"erectus igitur in cubitum hac fere
oratione contumacem vexavi:"quid dicis-inquam-omnium hominum deorumque pudor?
nam nec nominare quidem te inter res serias fas est." (132, 9-10), drizzatomi
dunque sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno:" che
cosa dici-faccio- vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un
sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie.
Encolpio
si rammarica di avere questionato con quella parte del corpo che non si dovrebbe
nemmeno menzionare.
Però poi
ci ripensa: allora gli vengono in mente anche l'Odissea e l'Edipo re:"
quid? non et Ulixes cum corde litigat suo, et quidam tragici oculos suos
tamquam audientes castigant?" (132, 13) e che? non litiga anche Ulisse con
il suo cuore e certi personaggi tragici non se la prendono con gli occhi come se
ascoltassero?
Ulisse
parla con il cuore che latra di sdegno di fronte al gozzovigliare dei proci,
esortandolo a sopportare:"tevtlaqi dhv,
kradivh: kai; kuvnteron a[llo pot j e[tlh"" (Odissea, XX, 18),
sopporta, cuore, anche sofferenze più da cane hai già sopportato.
Edipo come
è noto si accieca (Edipo re, v. 1270); secondo Freud anzi si evira
simbolicamente.
Atto terzo.
Scena prima.
Ifigenia. Oreste
Ifigenia deve sacrificare Oreste secondo la
barbara usanza scitica. Per giunta è un uomo della sua patria Landsmann
(941) dove l’ospitalità è un dovere sacro anche nei confronti dell’ultimo uomo
che passa accanto al focolare.
Sentiamo quello
che dicono Nausicaa a Odisseo e Eumeo sempre a Odisseo
La principessa
dei Feaci Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207-208) vuole aiutare
Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice queste parole alle ancelle
in fuga spaventate dall’aspetto di Odisseo : “
to;n nu`n crh; komevein:
pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv
te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, questo è un misero
naufrago e dobbiamo curarcene: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i
poveri, e un dono pur piccolo è caro
Le stesse
parole (Odissea, XIV, 57-59) dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca
quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante, irriconoscibile, e il
porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare
lo straniero (xei`non ajtimh`sai),
nemmeno quando ne arriva uno kakivwn
più malconcio di lui.
Eumeo dunque aiuta e onora Odisseo, che
presentatosi come un pezzente e irriconoscibile, suscita la sua compassione:"aujtovn
t j ejleaivrwn"(v.389), perché ho
compassione di te, gli dice.
Bisognerebbe
che Salvini e la gente come lui leggessero i classici.
Non dissimile è la situazione di Edipo giunto
a Colono cieco e vagabondo, per giunta malfamato. Teseo, il re di Atene, lo
aiuta poiché, dice “so di essere uomo”(Edipo a Colono, v. 567).
I
Oreste chiede alla sacerdotessa chi sia.
Ifigenia dice di essere stata condotta in Aulide da giovane. Allora,
meravigliata e ansiosa, gettava un timido sguardo su quegli eroi.
Agamennone era splendido sopra tutti Und
Agamemnon war vor allen herrlich (964). Poi chiede se cadde per la perfidia
della moglie e di Egisto. Oreste: du sagst’s, tu lo dici.
Poi Ifigenia chiede di Oreste e di Elettra.
Sie leben,
vivono dice Oreste.
Quindi racconta che, alla morte del padre,
Elettra nascose il fratello che fu accolto da Strofio. Oreste crebbe con il
cugino Pilade. Andarono insieme a Micene dove Elettra spinse Oreste attizzando
il fuoco della vendetta der Rache Feuer che davanti alla sacra presenza
della madre si era consumato.
Nell’Elettra di Sofocle, si sente
Clitennestra che grida da dentro. Chiama Egisto. Poi dice al figlio
oi[ktire th;n tekou`san
(1411), abbi pietà per chi ti ha partorito.
Elettra ribatte
da fuori che lei non ha avuto pietà.
E Clitennestra
w[[moi pevplhgmai (1414). Quindi
Elettra: “pai`son, eij sqevnei~,
diplh`n /1415).
Clitennestra era diventata da madre matrigna,
e cadde per mano del figlio.
Ifigenia chiede di Oreste al fratello. Il
sangue di Clitennestra gridò alle antichissime figlie della notte di non
lasciarsi sfuggire il matricida.
Quindi il vuoto sguardo delle Erinni mira
attorno con l’avidità dell’aquila. Esse passano sulla terra con il diritto di
guidare alla rovina e il loro piede veloce ihr schneller Fuss insegue il
fuggiasco (1069).
Le sciagure mandate dagli dèi per punire i
tiranni hanno il piede veloce secondo il corifeo dell'Antigone che
consiglia a Creonte di cedere:"quanto più presto è possibile: infatti
tagliano fuori/ gli stolti le sciagure dal piede veloce (podwvkei"…blavbai)"
mandate dagli dei, vv. 1103-1104.
Quindi Oreste si rivela-ich bin Orest-
siccome non può tollerare che du grosse Seele, tu anima grande, venga
ingannata mit einen falsen Wort, con una falsa parola. E dice che il suo
capo colpevole cerca la morte sucht den Tod (1083) dandole della
benvenuta-wilkommen-.
Oreste suggerisce alla sorella di partire con
Pilade.
Ifigenia benedice la sopraggiunta
realizzazione-Erfüllung
1094- bellissima figlia del grandissimo padre- schönste
Tochter des grössten Vaters-,
e pure gli dèi che ascoltano tranquilli le preghiere, ma la vostra mano non
rompe mai gli aurei frutti celesti quando sono immaturi aber eure Hand-bricht
unreif nie die golden Himmelsfrüchte
1111 . E guai a chi und wehe dem
li richiede con impazienza e gusta un cibo amaro.
In Guerra e
pace Kutuzov "sapeva che non bisogna cogliere la mela finché è verde: cadrà
da sé quando sarà matura, ma se la cogli verde, rovinerai la mela e l'albero e
ti si allegheranno i denti"(p.1541).
Oreste non vuole salvarsi, ma Ifigenia replica
che le loro sorti sono legate.
Oreste replica che lei può coprire il reo con
un velo, ma non nasconderlo allo sguardo delle sempre vigilanti du birgst
ihn nicht vorm Blick der immer Wachen 1126.
Esse non possono entrare nel terreno sacro con
i loro insolenti piedi di bronzo però Oreste sente il loro orrendo sghignazzare
ihr grässliches Gelächter
1132. Lo aspettano scuotendo la
testa piena di serpenti. Ifigenia chiede della sorella più grande, cioè di sé
stessa, a Oreste e lui dice che la buona sorte l’ha sottratta alla miseria della
loro casa. La sacerdotessa non deve accompagnarsi alle Erinni.
Ifigenia contrappone al sangue versato della
madre che lo chiama giù nell’inferno, la benedizione della sorella e si rivela
Sieh Iphigenien! Ich lebe! (1173), guarda Ifigenia, io vivo!
Ma Oreste non vuole che lo tocchi. Il suo
corpo sprigiona fiamme come l’abito nuziale-i doni nuziali invero- di Creusa
nella Medea di Euripide o come la tunica di Nesso.
Ifigenia vuole salvarlo e salvarsi. La gioia
gli scorre dal cuore più chiara dell’acqua che scende dal Parnaso.
Oreste le consiglia di amare Pilade, e
insiste: vuole essere sacrificato da lei poiché il fratricidio der Brudermord
(1229) è tradizionale costume dell’antica stirpe.
Consiglia a Ifigenia di non amare troppo il
sole né le stelle: die Sonne nicht zu lieb un nicht die Sterne (1234). La
nostra stirpe si distrugge. Ifigenia deve seguirlo nel tenebroso regno senza
figli e senza colpa. Cfr. Il “chiuditi in convento” di Amleto a Ofelia.
Oreste continua a delirare poi cade svenuto.
Nell’Oreste di Euripide Menelao
chiede al nipote tiv~ s j ajpovllusin noso~
; e Oreste risponde hJ suvnesi~, o{ti
suvnoida deivn j eijrgasmevno~ (395-396).
Ifigenia si
allontana cercando Pilade
Atto terzo.
Scena seconda
Oreste
rinviene e vede gli avi della sua casa. Tieste e Atreo che parlano
amichevolmente. Crede di essere sceso nell’Ade dove i Tantalidi sono tutti
spogli di inimicizia.
Scena terza
Oreste. Pilade Ifigenia.
Oreste crede che
anche la sorella e il cugino siano scesi nel regno dei morti. Ifigenia prega i
fratelli divini, Apollo e Diana che si amano, di aiutare i fratelli terreni e di
liberare Oreste dalla follia.
Pilade cerca di
fare ritornare in sé Oreste.
Oreste è guarito
e abbraccia la sorella. Si scioglie la maledizione, me lo dice il cuore. Le
Eumenidi vanno al Tartaro, le odo, e chiudono dietro di sé le bronzee porte con
rumore di tuono.
Oreste si sente
invitato a rintracciare la gioia di vivere e le grandi azioni.
Pilade li esorta
a non perdere il tempo che è misurato (1365)
Atto quarto.
Scena prima
Ifigenia sola
Elogia
l’equilibrio dell’anima di Pilade-seine Seel’ ist Stille (1386), quieta è
la sua anima e aiuta gli amici privi di tranquillità. La ragazza è stata
istruita su quello che deve fare ma si rifiuta di apprendere la menzogna che non
libera il petto, non consola, e torna indietro a colpire chi la scoccò.
Parla in maniera
simile Neottolemo nel Filottete di Sofocle, quando il giovane non vuole
seguire il suggerimento di Odisseo che lo spinge a mentire al protagonista
Il figlio di Achille lamenta di essere stato
espropriato dei suoi beni, ossia delle armi del padre dal peggiore di tutti,
nato da malvagi[18],
Odisseo .
"Pindaro non amava il carattere di Ulisse. L'Aiace
e il Filottete di Sofocle testimoniano che accanto all'ammirazione
convenzionale per il grande eroe esisteva anche un'opinione meno favorevole.
Anche l'Ippia minore di Platone esprime per bocca del sofista gli stessi
dubbi sul carattere di Ulisse, ma Platone ci fa intendere che Ippia non fa che
seguire, su questo punto, una tendenza generale...In ultima analisi questa
disposizione verso Ulisse risale all'Iliade che lo mette a contrasto
come poluvtropo"
con lo schietto carattere di Achille. Anzi nell'Odissea (q
75[19])
si ritrova l'antica tradizione intorno a questo contrasto dei due grandi eroi
nel canto di Demodoco sulla contesa di Ulisse e Achille"[20].
Ifigenia dunque
dovrebbe mentire ad Arcade ma ne è turbata
Scena
seconda. Ifigenia. Arcade
La ragazza dice
al messo dice che il caso di cui non siamo padroni (der Zufall, dessen wir
nich Meister sind) le ha impedito di eseguire l’ordine del re (di
sacrificare i due). Uno dei due ha profanato il luogo sacro e il simulacro della
dea va bagnato nel mare. C’è una sticomitia tra i due. Arcade dice che gli dèi
salvano gli uomini umanamente (1463).
E anche Ifigenia
può fare molto: con la sua dolcezza ingentilire un popolo giovane e torbido. Si
appella all’anima bella di Ifigenia (eine schöne Seele)
Ma l figlia di
Agamennone non vuole dare a Toante altro che la gratitudine.
IV atto Scena
terza. Ifigenia sola
La ragazza
riflette e prova ripugnanza per l’inganno. Ma cerca di incoraggiarsi a
perpetrarlo.
Scena quarta.
Ifigenia. Pilade.
Pilade dice: tuo
fratello è guarito! C’è un’altra buona notizia poiché la felicità giunge come un
principe ben accompagnata. (1550)
Hanno ritrovato
i compagni e sono pronti a partire. Lui porterà via la statua. Si avvia verso il
tempio ma Ifigenia non lo segue.
Dice che deve
attendere il nunzio del re. Pilade le fa notare il pericolo, ma Ifigenia sente
il dovere di fare quello che il cuore le suggerisce.
Eppure, dice
Pilade, dobbiamo sottrarre il sacro tesoro al rozzo popolo indegno
Apollo ci invia
i migliori segni. Oreste è guarito. Andremo all’isola pietrosa di Apollo, poi a
Micene
Ifigenia dice
che la sua anima colpita dal raggio delle parole di Pilade si volge al dolce
conforto come il fiore si volge al sole (wie sich die Blume nach der Sonne
wendet, 1621).
Ifigenia è
turbata: pena e angoscia passano davanti alla sua anima come nubi leggere
davanti al sole.
La pena è
associata al pericolo da un patto, dice Pilade.
Ma, ribatte
Ifigenia, è nobile la pena che mi dice di non ingannare il re che è stato der
mein zweiter Vater (1641), il mio secondo padre.
Pilade: vuole
uccidere tuo fratello
Ifigenia: egli è
lo stesso che mi ha fatto del bene: Er ist derselbe, der mir Gures tat.
Pilade: Non è
ingratitudine ciò che la necessità ordina: das ist nicht Undank, was die Not
gebent (1645)
(If.) La
necessita è una scusa che non toglie l’ingratitudine
P. Essa ti scusa
davanti agli dèi e davanti agli uomini
If. Solo che il
mio cuore proprio cuore Allein mein eigen Herz non è contento
ist nicht befriedigt. Io non cerco, io sento solamente ich untersuche
nicht, ich fühle nur (1650). Il cuore gode di se stesso solo quando è
immacolato.
P. il primo
dovere di un uomo è quello di marciare innanzi-zu wandeln – e di guardare
la propria vita.
If. vorrebbe
avere ein männlich Herz in mir , che quando si propone un atto audace lo
porta avanti senza scrupoli.
P. Quando la
bronzea, inflessibile mano della necessità ordina-die ehrne Han der Not
gebietet (1680) anche gli dèi devono sottomettersi. Essa è la sorella della
sorte eterna.
Il fuso della Necessità (
jAnavgkh" a[trakton)
secondo Platone (Repubblica 616c) è l'asse dell'universo attraverso il
quale avvengono tutti i movimenti circolari:"di
j ou| pavsa" ejpistrevfesqai ta;" periforav"".
Eschilo nell’Agamennone
fa dire a Clitennestra: “to; mevllon h{xei”
(v. 1240), il futuro verrà.
Il potere
assoluto dell' jjjjAnavgkh viene
apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della
tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute, il Coro
eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola
e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso
le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn
aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né
alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron
oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo,
né tra quanti farmaci/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe
come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).
Da questi versi
si vede che la Necessità è più forte del
lovgo" , della poesia, dell'arte medica. Se confrontiamo l’Alcesti
con la Medea, possiamo affermare che la Necessità ha una potenza
confrontabile solo con lo qumov".
“ For
Euripides, Man is the slave, not the favourite child, of the gods;[21]
and the name of the ‘ageless order’ is Necessity.
krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron,
cry the Chorus in the Alcestis[22].”[23],
per Euripide l’Uomo è lo schiavo, non il figlio favorito degli dèi; e il nome di
‘ordine eterno’ è Necessità, niente ho trovato più forte della Necessità, grida
il Coro dell’Alcesti.
Vittorio Alfieri
tradusse l’Alcesti nel 1797; vediamo come ha reso questi versi: “Per
quanto io pur delle Celesti Muse/volgendo andassi i Fasti,/nullo altro dir mi
schiuse/forza, che al Fato eterno incontro basti./Non quei, che tu
cantasti/carmi fra i Traci, o sacro vate Orfeo;/non quanti altri mai farmachi
alla prole/di Esculapio poteo/Febo donar, con cui sanarci ei suole: nulla è, che
scampi i miseri mortali/dagli artigli fatali” (Alceste prima[24]).
Il Prometeo
eschilèo, il sedicente benefattore tecnologico, sa che la necessità è più forte
delle sue tevcnai, del suo sapere
pratico: “ tevcnh d j ajnavgkh"
ajsqenestevra makrw'/ ” (Prometeo incatenato, v. 514), la
conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Cfr. a questo
proposito anche : “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non
usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”(
Historiae Alexandri Magni,
IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì
loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono gli abitanti di
Tiro che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C.
Ifigenia
dunque secondo Pilade dovrebbe fare ciò che la necessità ordina.
Scena quinta
Ifigenia da sola
lamenta la maledizione che grava sulla sua stirpe e incolpa die taube Not,
la necessità sorda che pone su di lei ein doppelt Laster una doppia
colpa, con mani di bronzo (1707), ossia rauben, rubare il santo simulacro
e ingannare hintergeh’n l’uomo cui deve la vita
Teme che il
profondo odio dei Titani der alten Götten (1714) degli antichi dèi
afferri il suo tenero petto con artigli rapaci. Sente risuonare das alte
Lied der Parzen, 1720, l’antica canzone che le Parche cantavano con
raccapriccio quando Tantalo cadde dal suo seggio.
Canzone delle
Parche
La stirpe umana
deve temere gli dèi che hanno il potere nelle loro mani.
Li tema il
doppio colui che essi innalzano
Hanno seggi e
tavole d’oro su rocce e nubi.
Se si leva un
dissidio, precipitano gli ospiti svergognati e disonorati nelle tenebre. Ma
quelli rimangono in feste eterne agli aurei tavoli
Sie aber, sie
bleiben
In ewigen Festen
An goldenen Tischen.
Dai baratri
profondi si leva fino a loro il respiro dei Titani, simile a odori di
sacrificio, una nube leggera. I dominatori volgono via il loro occhio
benedicente da intere stirpi e nel nipote non vedono i tratti belli
dell’antenato un tempo amato
So sangen die
Parzen (1761), così cantavano le Parche
Atto Quinto
Scena prima
Toante. Arcade.
Arcade dice al
re che sospetta qualche cosa.
Scena seconda
Toante allein
Il re ordina che
die Priesterin la sacerdotessa venga condotta da lui e che si cerchino
gli uomini con eventuali complici. Il re prova collera der Grimm verso
chi credeva una santa heilig. Se la prende anche con se stesso che l’ha
allevata con indulgenza e bontà durch Nachsicht und durch Güte (1766).
Bontà che a lei sembra dovuta.
Scena terza
Ifigenia Toante
Ifigenia si
rivela nicht Priesterin, ma nur Agamemnons Tochter
Dice di avere
obbedito solo ai genitori e agli dèi, mai al rozzo ordine di un uomo.
Non io dice
Toante ma ein alt Gesetz ti comanda, un’antica legge.
I.: mi parla una
legge più antica: das Gebot, il comando dem jeder Fremde heilig ist,
per cui ogni straniero è sacro.
Cfr. il codice
tripartito delle Supplici di Eschilo.
Toante le
ricorda la prima parola della saggezza: che non si deve eccitare il potente.
If. dice che
abbiamo il dovere di contraccambiare agli sventurati quanto gli dèi benigni ci
hanno concesso. Del resto, aggiunge, ich bin so frei geboren als ein Mann
(1858), io sono nata libera così come un uomo.
Io non ho che
parole ich habe nicht als Worte e un uomo nobile deve tenere conto delle
parole di una donna
T. dice di farne
più conto che della spada .
If. oppone a
Toante la bella preghiera-die Schöne Bitte, e il ramo leggiadro (cfr,
quello dei supplici nell’Edipo re di Sofocle) che in mano di donna
dovrebbe valere più di una spada
T. chiede chi
siano i due
If. sie sind,
sie scheinen sono, sembrano, li ritengo Greci.
Quindi dice
tutta la verità: sono Oreste mein bruder e Pilade sein Jugendfreund
, il suo compagno di gioventù, mandati da Apollo per rapire l’immagine di Diana
(das Bild Dianens) e ricondurre la sorella a lui.
Ho messo nelle
tue mani noi due, superstiti della casa di Tantalo. E ora rovinaci, se puoi!
Verdirb uns-wenn du darfst (1936)
T. il greco
Atreo non udì la voce dell’umanità e della verità die Stimme der Wahrheit und
der Menschlichkeit (1937) e credi che l’oda der rohe Skythe, der barbar?,
il rozzo Scita, il barbaro?
If. l’ode
ognuno-es hört sie jeder, nato sotto ogni cielo, geboren unter jeden
Himmel nel cui petto scorra pura e libera des Lebens Quelle, la fonte
della vita.
If. ricorda al
re che aveva promesso di lasciarla andare se le fosse stato offerto di tornare
dai suoi. Un re non promette a vanvera poiché sente l’altezza della sua carica.
T. chiede tempo
per riflettere e Ig. : per far del bene non occorre riflessione (1989) Il dubbio
può deformare il bene in male: non pensare-bedenke nicht- concedi secondo
il tuo sentimento.
Scena quarta.
Oreste, Toante, Ifigenia
Ifigenia dice a
Oreste che sta per affrontare il re che è stato il suo secondo padre der mein
zweiter Vater ward (2004). E ha dovuto dirgli tutto salvando la propria
anima dal tradimento.
Scena quinta
Oreste, Toante, Ifigenia, Pilade e Arcade.
Pilade annuncia
che i greci cedono e Arcade che la loro nave è stata catturata ihr Schiff is
unser (2020) la loro nave è nostra.
Oreste e il re
si accordano sul fatto che nessuno dei loro deve combattere finché si parla
solang ‘ wir reden finché parliamo.
Scena sesta
Ifigenia
Toante Oreste
Ifigenia teme la
triste contesa di Oreste e Toante che non odono ragione
Toante dice
ich halte meinen Zorn, trattengo la mia collera, come conviene al più
vecchio
Oreste chiede di
battersi con il più valente dei nobili dell’esercito degli Sciti per mostrare
che è figlio di Agamennone
T. non è un
nostro costume.
O. allora
cominci da te e da me il nuovo costume: So beginne-die neue Sitte denn von
dir und mir!
Toante trova non
ignobile la proposta e accetta.
Ma Ifigenia
depreca la prova di sangue. L’uomo si eterna morendo da eroe , ma le lacrime
delle donne rimaste sole nessuno le racconta e il poeta tace sui mille giorni e
notti trascorsi nel pianto-und der Dichter schweigt-von tausend
durchgeweinten Tag und Nachten (2071).
Cfr Edipo re di
Sofocle, vv. 182-185:"e intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là,
presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose".- le
donne restano sole, a pregare, mentre i mariti e i figli partono per la guerra,
come verso una festa, immaginando di trovare la gloria dell'eroismo, esaltanti
avventure amorose, e grandi ricchezze; poi, invece degli uomini, tornano a casa
urne e ceneri. Per questo cfr. Eschilo, Agamennone, vv.434-436:"ajnti;
de; fwtw'n teuvch kai; spodo;" eij" eJkavstou dovmou"
ajfiknei'tai. Eschilo e
Sofocle scrivono contro la guerra dove molti giovani muoiono, e pochi
speculatori si arricchiscono; del resto non ha difesa di ricchezza l'uomo che
per sazietà ha preso a calci il grande altare della Giustizia cercando di farlo
sparire: "ouj
gavr e[stin e[palxi" plouvtou pro;" kovron ajndri; laktivsanti mevgan Divka"
bwmo;n eij" ajfavneian",Agamennone, vv.381-384.
Cfr. anche bellaque
matribus detestata di Orazio Carmi , I, 1, 24-25.
Ifigenia non ha
dubbi sull’identità di Oreste: la convince questa cicatrice diese Schramme,2087
che indica, la quale taglia il sopracciglio die Augenbraue spaltet.
Gliela procurò Elettra facendolo cadere quando era bambino dalle sue braccia su
un tripode per la fretta e la mancanza di precauzione secondo il suo solito
Il riconoscimento delle
Coefore
di Eschilo (ciocca di capelli e impronte dei piedi), viene criticato duramente
da Euripide
nell'Elettra[25]
dove la stessa figlia di Agamennone polemizza con il sillogismo di Eschilo
riproposto nel dramma di Euripide dal vecchio che l’ha allevata, in quanto, dice
la ragazza, i capelli di Oreste non possono essere simili ai miei, siccome egli
è un uomo cresciuto nelle palestre; io invece sono una donna che usa il pettine;
del resto molti hanno riccioli simili senza essere parenti (
Elettra
, vv.527-531). Altrettanto aspramente viene confutato l'indizio delle orme che
il
prevsbu~, quasi
echeggiando Eschilo, le fa notare (i[cno~…ajrbuvlh~,
v. 532, l’impronta dello stivale), dopo i "riccioli recisi dalla testa bionda" (
Elettra,
v.515). Le impronte infatti sulla roccia, replica Elettra, non restano neppure,
e anche se rimanessero, quelle del fratello non sarebbero uguali a quelle della
sorella, ma più grandi (Elettra,
vv. 534-537). Il riconoscimento avviene comunque poco più avanti attraverso il
segno convincente di una cicatrice sul sopracciglio (oulh;[26]
par j ojfruvn) che
Oreste si procurò inseguendo con la sorella un cerbiatto nel palazzo del padre
( Elettra,
vv. 573-574).
Toante sente la
necessità di battersi, Sono venuti a rubare. I Greci spesso volgono il loro
occhio bramoso ai beni dei barbari, il vello d’oro dem gold’nen Felle,
Pferden, i cavalli, schönen Töchtern, belle figlie 2014.
Ma la loro
forza e astuzia non li ha sempre ricondotti in patria con il bottino.
Oreste chiede al
re di lasciarli andare con la sorella che ha fatto fuggire il male del fratello,
come un serpente, verso un antro wie eine Schlange zu der Höle (2024) .
Oreste chiede al re di lasciare che l’anima sua si volga alla pace. Forza e
astuzia (Gewalt und List), altissima gloria degli uomini (der Männer
höchster Ruhm) viene svergognata per la verità (durch die Wahreit) di
quest’anima nobile e viene premiata la pura, infantile confidenza verso un uomo
nobile zu einem edlen Manne (2145).
Ifigenia dice a
Toante: tu non hai spesso occasione per un atto così nobile: “Du hast nicht
oft-zu solcher edlen Tat Gelegenheit (2149).
T.: allora
andate! So geht!
If. Nicht so,
mein König! , non così mio re! 2151 Senza la tua benedizione, non mi
allontano da te! Non mi scacciare! Tu sei per me onorato e caro come era mio
padre wert und teuer, wie mir mein Vater war, so bist du’s mir (2156)
Se in futuro
vedrò il più misero degli Sciti, voglio accoglierlo come un dio; voglio io
stessa preparargli il giaciglio e invitarlo a sedere presso il focolare.
Addio! E tendimi
la destra in pegno dell’antica amicizia!
Toante: Lebt
wohl! State bene! 1273
Giovanni Ghiselli Pesaro 31 luglio 2015
note:
[1] B.
Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p.
189.
[2] Hegel,
Estetica trad. it. Milano, 1978, Tomo II, p. 1595.
[3] Del 411
a. C.
[4] Ricevo
oggi, 3 marzo 2003, questa posta elettronica dagli USA:"Oggi, in almeno
600 citta americane, leggeranno Lysistrata (non lo so come
si scrive in italiano) come una forma di lotta contro la guerra. Purtroppo non ho informazione piu precise, la cosa e organizzata da un
gruppo di femministe, l'ho sentita su CNN.
Tanti saluti .Agatha.
si scrive in italiano) come una forma di lotta contro la guerra. Purtroppo non ho informazione piu precise, la cosa e organizzata da un
gruppo di femministe, l'ho sentita su CNN.
Tanti saluti .Agatha.
[5] Del 368
a. C. Le stesse parole tornano nell’Antidosis (254-255) del 354
a. C.
[6]
Nicocle 9 e Antidosi 257.
[7] W.
Jaeger, Paideia 3, p.134.
[9] Vv.
13-14, 38-42, 52-58 dell'Inno Prometeo del 1774 (l'anno del
Werther) trad. it. di G. Baioni
[10] H.
Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.
[11] J.
Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore , p. 144.
[12]
Claudio Magris, La storia non è finita, Garzanti, Milano, 2006,
p. 18.
[13] Cfr.
Pindaro, Olimpica I, 35-53.
[14] P. P.
Pasolini, Le belle bandiere, p. 54.
[15]Rhode,
op. e p. citata sopra.
414 De Clementia , III, 1.
[17] P. P.
Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.
[19] Nell'VIII
dell'Odissea Demodoco canta tra l'altro:"nei'ko"
jOdussh'o" kai; Phleïvdew
jAcilh'o"", la lite tra Odisseo e
Achille Pelide.
[20] W.
Jaeger, Paideia 1, p. 61 n. 16.
[21]
Or. 418.
Oreste riconosce l’oggettiva
sottomissione degli uomini a potenze che li sovrastano:"noi siamo
asserviti agli dèi, qualsiasi cosa siano mai gli dèi" (v. 418). Una
dichiarazione di malinconica impotenza che ritroviamo accentuata
ed esasperata nel Re Lear : “" As flies to wanton boys are we
to the gods. They kill us for their sport "(IV, I), come mosche
per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro
passatempo. Ndr
[22]
965; cf. Hel. 513 f., and the repeated insistence that Man is
subject to the same cycle of physical necessity as Nature, frags.
330, 415, 757. Cfr. Elena 513 ss. e la ripetuta insistenza che
l’Uomo è soggetto al medesimo ciclo della necessità fisica, come Natura,
frammenti 330, 415, 757.
[23]
Dodds, The ancient concept of progress, p. 85.
[24] Nel
1798 Alfieri rielaborò questa traduzione in un’Alceste seconda.
Anche questa collocò “fra le traduzioni…al fianco inseparabile dell’Alcesti
prima sua madre” ( Vita, parte seconda, 26)
[25]
Composta in una anno tra il 416 e il 413.
[26] Cfr.
il riconoscimento di Odisseo da parte di Euriclea il XIX canto dell’Odissea.
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