Catullo e Lesbia |
La
sintassi, al pari della grammatica, va “condita” con la letteratura. Due
congiuntivi esortativi e la perifrastica passiva in Catullo (5). Commento ai basia mille. Due subordinate finali
nell’Ars amatoria di Ovidio (Spectatum
veniunt, veniunt spectentur ut ipsae", I, 99)
Il congiuntivo esortativo della terza e della prima
coniugazione si rendono memorabili ai ragazzi leggendo e commentando: "Vivamus mea Lesbia atque amemus"[1]
prendiamoci la vita, mia Lesbia, e facciamo l'amore, con quello che segue. Vediamo
come: “nobis cum semel occidit brevis
lux/nox est perpetua una dormienda” (5, 5-6), noi, quando è tramontata la
breve luce, dobbiamo dormire una notte eterna, si traduce, si spiegano la
perifrastica passiva e l’endecasillabo faleceo o, se si preferisce, falecio, poi
si passa ai baci (da mi basia mille, deinde
centum, v. 7), non solo per insegnare i numerali, ma pure per indicare
altri baci insidiati dalla morte nella grande letteratura: “perché l’amore…è la
simpatia per la materia organica, il commovente abbraccio voluttuoso di colui
che è destinato alla putrefazione. E la Charitas
esiste certo sempre nella passione sia che essa ammiri in purezza o avidamente
brami ”. E’ il commento che segue il bacio di Hans Castorp e di Claudia
Chauchat[2].
E più avanti: “Dio del cielo, che istituzione è mai questa, che la carne brami
la carne soltanto perché non è propria ma appartiene ad un altro? Quanto è
strana, e a ben guardare, di quante poche pretese!”[3].
Due forme delle subordinate finali si possono esemplificare
con Spectatum veniunt, veniunt spectentur ut ipsae"[4],
vengono (le donne al circo) per osservare, vengono per essere osservate loro
stesse. C’è un chiasmo, un poliptoto con due costruzioni: il supino indica uno
scopo più generico; ut + il congiuntivo è maggiormente connotato dalla
volontà.
I versi naturalmente vanno pure contestualizzati. Ovidio è un autore gradevolissimo anche per
i più giovani: "Il primo gusto che presi ai libri mi venne dal diletto
delle favole delle Metamorfosi di Ovidio"[5].
Un esempio di
commento letterario sulle due subordinate finali dell’esametro di Ovidio citato
sopra: maledizioni del teatro e del circo. Platone. Seneca. Tacito. Tertulliano:
l’impudicizia del teatro e la crudeltà dell’arena. Agostino. Flaubert. Cromwell
il Lord Protector. La lettera
scarlatta di Hawthorne. Il palcoscenico elisabettiano (mal) visto come il
sito dell’omoerotismo. Vittorio Alfieri e papa Pio VI Braschi. L’ostilità del
potere odierno nei confronti del teatro che fa pensare
Spiegate le finali dunque, si può procedere con un commento[6]
contenutistico-comparativo riferendo i punti di vista di autori ostili agli spettacoli
circensi davvero atroci, e a quelli del teatro considerati poco pudichi. Questo
genererà stupore nel ragazzo abituato a pensare che il teatro sia una cosa, magari
noiosa ma nobile, o darà soddisfazione a chi ritiene che invece sia solo una
noia.
Platone[7]
critica gli agoni drammatici frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico
becero, trascinato dalla musica caotica diffusa da poeti ignoranti, maestri di
disordinate trasgressioni, i quali mescolavano peani con ditirambi, confondendo,
appunto, tutto con tutto (pavnta eij~
pavnta sunavgonte~, Leggi, 700d)
; di conseguenza le càvee dei teatri divennero, da silenziose, vocianti, e al
posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per
quanto riguarda quest’arte (701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono
impavidi e l'audacia generò l'impudenza (701b).
Seneca condanna l'efferatezza dei giochi circensi quali mera
omicidia (Ep. 7), omicidi veri e propri.
Nel Dialogus de oratoribus[8] di Tacito[9]
Messalla biasima i vizi particolari di Roma propria et peculiaria huius
urbis vitia, che sono quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora: "paene
in utero matris concipi mihi videntur, histrionalis favor et gladiatorum
equorumque studia" (29), sembrano quasi concepiti nello stesso grembo
materno, la simpatia per gli istrioni, la passione per i gladiatori e i cavalli.
Nell'animo dei ragazzi occupatus et obsessus, occupato e bloccato da
tali studia, non rimane spazio per l'interesse nei confronti delle arti
liberali. Questo avvertimento può essere attualizzato con la passione per il
calcio o per la musicaccia fatta di rumore.
L' histrionale
studium del gaglioffo Percennio, per esempio, la sua esperienza di attore, e
il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Annales, I, 16)
un capo della claque teatrale, ne fa un acclamato duce durante la rivolta delle
legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.
Queste parole di Tacito, secondo Auerbach, denigrano la
ribellione dei legionari: "A suo modo di vedere, si tratta soltanto
d'arroganza plebea e di mancanza di disciplina. (…) Egli batte e ribatte che è
soltanto la schiuma sempre pronta alla ribellione; per il caporione Percennio, ex
capo di claques teatrali col suo "histrionale studium",
che si atteggia a generale (velut contionabundus"), egli ha il più
profondo disprezzo"[10].
Nella Germania Tacito nota che le donne di quella
terra vivono con la castità ben custodita, senza essere guastate dalla
seduzione degli spettacoli né dagli stimoli dei banchetti: "saepta
pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum
inritationibus corruptae" (19, 1).
Negli Annales lo storiografo denuncia, tra le
altre passioni basse (foeda studia) di
Nerone quella di cantare accompagnandosi con la cetra, come si fa negli spettacoli: “ nec
minus foedum studium cithărā ludĭcrum
in modum canere” (14, 14).
Poco più avanti
Tacito ricorda che dopo la conquista dell’Asia e della Grecia, a Roma i giochi
si erano organizzati con maggiore cura, “nec
quemquam Romae honesto loco hortum ad theatralis artes degeneravisse, ducentis
iam annis a L. Mummii triumpho qui primus id genus spectaculi in urbe
praebuerit” (14, 21), anche se nessun romano nato in una buona famiglia si
era abbassato a fare l’attore per duecento anni dal trionfo di Mummio[11]
che per primo aveva fatto vedere a Roma quel genere di spettacolo.
Tertulliano[12]
nell’ Apologeticum [13]
afferma che i sensi puri dei cristiani non hanno nulla in comune con la follia
del circo né con l'impudicizia del teatro (cum impudicitia theatri)
né con la crudeltà dell'arena (cum atrocitate arenae) né con la vanità
del portico (38).
Quindi nel De spectaculis [14]
l’apologista predica contro teatri e circhi in quanto tutta la messinscena
degli spettacoli trae la sua essenza ex idolatrīa (IV, 3) dall'idolatria.
Sant'Agostino nelle Confessiones[15]
definisce miserabilis insania la passione per il teatro, una follia da
lui stesso provata quando lo trascinavano gli spettacoli teatrali "plena
imaginibus miseriarum mearum et fomitibus ignis mei" (III, 2), pieni
di immagini delle mie miserie e di esche del mio fuoco.
Nel De civitate Dei [16]
Agostino sostiene che i ludi scenici, introdotti a Roma[17]
per placare la pestilenza dei corpi, importarono dall'Etruria la pestilenza nei
costumi. Infatti il pontefice, per sedare la pestilenza delle anime, proibiva
addirittura la costruzione del teatro (I, 32).
Insomma il teatro, che tratta spesso della peste[18],
è esso stesso latore di peste.
In Madame Bovary
il curato di Yonville sembra condividere l'opinione di Ovidio sul lenocinio dei
teatri, i quali perciò, dato il punto di vista critico del prete autorizzato da
"tutti i Santi Padri", vengono sconsigliati: "So anch'io"
obiettò il curato, "che esistono buone opere, buoni autori, tuttavia, non
fosse altro, tante persone di sesso diverso riunite in un locale seducente, ornato
di pompe mondane, e poi tutti quei travestimenti pagani, tutto quel belletto, tutti
quei candelabri, tutte quelle voci effemminate, tutto insomma deve ingenerare
alla fin fine un certo libertinaggio dello spirito e suggerirti pensieri
disdicevoli, tentazioni impure. Almeno questa è l'opinione di tutti i Santi
Padri. Infine…se la chiesa ha condannato gli spettacoli, significa che aveva la
sua ragione di farlo: occorre sottometterci ai suoi decreti"[19].
Questa linea platonico-cristiana di avversione per gli
spettacoli teatrali si riscontra fra i Puritani del Seicento: il Lord
Protector Cromwell[20]
fece chiudere i teatri durante la sua tirannide in Inghilterra.
Per quanto riguarda la presenza di tale ostilità nel Nuovo
Mondo, sentiamo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne[21],
pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII secolo: "inutilmente
si sarebbe immaginato di vedere quel popolo abbandonarsi ai divertimenti
popolari che erano in uso in Inghilterra sotto la regina Elisabetta o sotto re
Giacomo. Niente spettacoli teatrali,
né musiche di sonatori ambulanti, né canzoni di menestrelli, né trucchi di
giocolieri, né lazzi di saltimbanchi. Il fondo del carattere di questa
gente-s'è detto-era triste, e tutti questi professionisti dell'allegria
sarebbero stati scacciati non soltanto dalla legge, ma dal sentimento popolare
che conta assai più della legge"[22].
La protagonista del romanzo è una donna bella e fine, marchiata e messa al
bando da questa gente tetra.
Una studiosa della scuola del Dramma dell’università di
Washington rileva un nesso tra l’ostilità dei Puiritani nei confronti del
teatro e il fatto che nel teatro elisabettiano le parti femminili fossero
recitate da maschi travestiti. Sicché il palcoscenico poteva essere visto come
il sito dell’omoerotismo: “Several extant
Puritan sermons were built upon a quotation in Deutoronomy (22: 5) which
specifically forbade cross-dressing: ‘The woman shall not wear that which
pertaineth unto a man, neither shall a man put a woman’s garment; for all that
do so are an abomination unto the Lord thy God”[23],
diversi sermoni puritani arrivati sino a noi erano costruiti su una citazione
del Deuteronomio che proibiva specificamente I travestimenti: ‘La donna non
indosserà quello che appartiene a un uomo, né un uomo si metterà un articolo di
vestiario da donna; in quanto tutto questo è abominio nei confronti del Signore
tuo Dio.
Nella propria autobiografia Vittorio Alfieri racconta che
cercò ingraziarsi Pio VI, papa
Braschi, offrendogli di dedicargli il Saul.
Il papa rifiutò l’omaggio e “ se ne scusò, dicendo che egli non poteva
accettar dedica di cose teatrali quali ch’elle si fossero”. “Né io altra cosa
replicai su ciò”, conclude l’autore (Vita,
IV, 10).
Insomma c'è tutta una letteratura contro il teatro.
Tuttora c’è un’ostilità del potere contro il teatro che
presenta l’uomo come problema, e spinge a pensare, pone degli interrogativi, instilla
dei dubbi. La televisione non manda più in onda i drammi grandi e meravigliosi
dei grandi autori che così perdono visibilità e presenza anche nella scuola.
Esempi di congiuntivo
potenziale e di ottativo spiegati con il “condimento” della letteratura. Musil
e Steiner
Sul congiuntivo potenziale si può fare dell'ironia citando
Musil: "Ulrich scrisse nel componimento…che probabilmente anche Dio
preferisce parlare del mondo da lui creato servendosi del congiuntivo
potenziale (hic quispiam dixerit…) perché Dio fa il mondo e
intanto pensa che potrebbe benissimo farlo diverso"[24].
Sull'uso dell'ottativo da parte di Antigone, anzi dei
personaggi femminili in generale, c'è una considerazione interessante di Steiner: " La prima impressione è
che il linguaggio femminile sia più ricco di quello maschile in quelle
sfumature di desiderio e di progetti futuri note in greco e in sanscrito come
ottativo; si ha l'impressione che le donne esprimano molto più frequentemente
propositi ipotetici e promesse velate"[25].
[1]
Catullo, 5, 1.
[2]
T. Mann, La montagna incantata, p. 285.
[3]
T. Mann, La montagna incantata, p. 303.
[4]
Ovidio, Ars amatoria, I, 99.
[5]
Montaigne, Saggi, p. 233.
[6] “Ribadire la necessità del commento in un mondo che
non sopporta il commento perché si presenta falsamente già commentato: questo è
il rilievo etico e pedagogico del commento” (R. Luperini, op. cit., p. 112)
[7]
427-347 a. C.
[8]
Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più
tardi.
[9]
55 ca-120 ca.
[10]
Mimesis, p. 43.
[11]
146 a. C.
[13] 197 d. C.
[14]
Del 200 ca d. C.
[15]
In 13 libri composti fra il 397 e il 401 d. C.
[16]
In 22 libri composti fra il 413 e il 426 d. C.
[17]
Nel 364 a. C. secondo il racconto di Tito Livio (VII, 2-3)
[18]
Si pensi, per esempio all’ Edipo re
di Sofocle e all’Oedipus di Seneca.
[19] G. Flaubert, Madame Bovary (del
1857), p. 177.
[20]
Esercitò una dittatura personale dal 1653 al 1658. Suo segretario fu John
Milton, l’autore di Il paradiso perduto
(1667)
[21]
Scrittore statunitense: 1804-1864.
[22]
N. Hawthorne, La lettera scarlatta, p. 180.
[23] Sue-Ellen Case, Feminism and theatre, p. 24.
[24]
L'uomo senza qualità, p. 14.
[25]G. Steiner, Dopo Babele, p. 69.
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