Johann Joachim Winckelmann ritratto da Raphael Mengs |
Winckelmann: la
libertà come presupposto dell’arte che a sua volta libera le menti. Il
“filosofo”, personaggio del trattato Sul
sublime, e Curiazio Materno, portavoce di Tacito nel Dialogus de oratoribus. Leopardi commenta Arriano a proposito delle
caste indiane le quali, escludendo la schiavitù e pure l’uguaglianza, “senza
cui non c’è vera libertà”, consentono una libertà dimezzata e snaturata. La
libertà come problema. La leggenda del Grande Inquisitore in I fratelli Karamazov. Il film Cuore sacro di Ozpetek. 1984 di Orwell: gli uomini sono troppo
deboli per sopportare la libertà o affrontare la verità. Prometeo secondo Snell:
la giustizia per Eschilo si trova a metà tra libertà e costrizione. Freud e il
bisogno di autorità da ammirare. Il grande uomo autoritario e la figura paterna.
Victor di Guido Croci.
Sentiamo prima, sulla libertà greca in generale, Salvatore
Settis che riferisce il punto di vista di Winckelmann [1]:
"Ancor più sorprendente[2]
è la centralità e l'efficacia, in Winckelmann, di una problematica
squisitamente politica, e in particolare la sua esaltazione della "libertà
greca", la libertà attiva del cittadino della polis, la libertà che
favorisce il fiorire delle arti e delle scienze (Pflegerin der Künste). La
libertà rivela lo spirito del cittadino a se stesso, gli dona una vita gioiosa,
lo spinge a dare il meglio di sé. E' per questo, egli argomentava, che con la
libertà si raggiunsero le vette dell'arte; e con la fine della libertà (l'asservimento
della Grecia a Macedoni e Romani) le arti principiarono a decadere. Questi
pensieri disegnavano più una profezia per il futuro che la storia del passato, e
perciò potevano essere letti (e lo furono) in chiave tutta settecentesca, antiassolutistica:
per questo nella Francia rivoluzionaria le nuove libertà furono rivendicate
anche nel nome di Winckelmann. Non solo in libri e opuscoli, ma in discorsi
alla Convention e in progetti ufficiali, si dichiarò che la Francia
doveva diventare una nuova Grecia, l'impero della libertà che diventa l'impero
delle arti (proprio questa dottrina fornì la giustificazione ideologica al
massiccio trasferimento di sculture antiche da Roma a Parigi; e con lo stesso
carico giunsero da Roma a Parigi i manoscritti di Winckelmann) …La libertà dei
Greci, non sempre e dovunque ma in sommo grado nell'Atene democratica e
"classica" (quella dell'arte più elevata), apriva le porte alla
libertà dei moderni. Solo più tardi (1819) Benjamin Constant avrebbe compreso
che l'idea moderna della libertà individuale, come si era formata nelle
rivoluzioni americana e francese e nella filosofia tedesca, era molto diversa
dalla libertà degli Antichi, da intendersi piuttosto come il diritto di
partecipare all'amministrazione dello stato. Ma quello che Winckelmann
prometteva ai suoi lettori non era solo la "libertà greca" del
cittadino nel governo delle istituzioni: era soprattutto la liberazione
intellettuale dell'individuo attraverso l'esperienza estetica"[3].
La liberazione attraverso l’estetica di Winckelmann è anche
liberazione dalle passioni: la “dottrina di Winckelmann, così fascinosa per
tante intelligenze…fa della serenità, della calma e della impassibilità le
condizioni necessarie alla vera bellezza, e…relega a un rango inferiore i segni
della passione, nemici dell’armonia della linea”[4].
Anche il “filosofo”, personaggio
dialogante del Peri; u{you"[5], e pure Tacito nel Dialogus de
oratoribus sostengono che le grandi opere dell'ingegno hanno bisogno di
libertà.
La decadenza della
letteratura nel trattato dell'Anonimo prende il nome di universale carestia
letteraria (lovgwn kosmikh;... ajforiva,
44). Essa, secondo il filovsofo", dipende dalla fine della
democrazia che è la vera nutrice della grandezza (44, 2). La sorgente
dell'eloquenza è la libertà; noi siamo fin dall'infanzia imbalsamati nei
costumi della servitù e non siamo altro che grossolani adulatori[6]
(kovlake"... megalofuei'", 44, 3). Un servo infatti non potrà mai diventare oratore per la
sua incapacità di parlare liberamente e per la cautela inculcata dalle abituali
vessazioni. Come dice Omero (Odissea,
XVII, 322-323) il giorno della schiavitù toglie all'uomo metà del suo valore. Ogni
schiavitù è una gabbia della mente e una comune prigione.
Altre cause di decadenza adduce l’Anonimo autore che parla
in prima persona: l’avidità di ricchezze, (filocrhmativa),
l’amore dei piaceri (filhdoniva) ci
rendono schiavi, e l’amore del denaro (filarguriva)
è novshma mikropoiovn (44, 6) una
malattia che rende meschini.
Tacito nel Dialogus de
oratoribus[7] dà una spiegazione simile a quella del filovsofo". Curiazio Materno, portavoce
dell'autore, sostiene che una grande oratoria era possibile solo con la libertà
o addirittura con la licenza della peggiore repubblica, nel fervore dei tumulti
e dei conflitti civili. "Magna
eloquentia, sicut flamma, materia alitur, et motibus excitatur et urendo
clarescit " (36), la grande eloquenza, come una fiamma, si alimenta
con del materiale, si ravviva con il movimento e bruciando diventa più luminosa.
Leopardi nello Zibaldone,
commentando l’ Indiké di Arriano (9, 10
sgg.) riflette sull’assenza della schiavitù tra gli Indiani. Il Recanatese sostiene
che il sistema delle caste preserva gli Indiani dalla schiavitù: “Perché sebben liberi, non avevano
l’uguaglianza” (919). Tale libertà però è limitata assai, poiché senza
uguaglianza non può esserci piena libertà. Questa divisione in caste
elimina le speranze di avanzamento e non presenta “i grandi vantaggi della
libertà. Si troverà la quiete e la detta costituzione sarà adattata ad un
popolo, che per qualunque cagione, sia capace di contentarsi di questo
vantaggio, e contenere i suoi desideri dentro i limiti del tranquillo e libero
ben essere, e ben vivere, senza curarsi del meglio che in verità è sempre
nemico del bene. Ma l’entusiasmo, la vita, le virtù splendide dei popoli liberi,
non pare che si possano compatire con questa costituzione. Tolte le due molle
dell’ambizione e della cupidigia, vale a dire dell’interesse proprio; tolta
quasi la molla della speranza, almeno della grande speranza; deve seguirne
l’inattività, e il poco valore in tutto il significato di questa parola, la
poca forza nazionale ec. (921) …. una conseguenza immancabile di questa
costituzione, dev’essere, secondo il mio discorso, che un tal popolo, ancorché
libero, e quanto all’interno, durevole nella sua libertà, e nel suo stato
pubblico, tuttavia non possa essere conquistatore” (922)... “ nessuna nazione è così
atta alla qualità di conquistatrice, come una nazione libera…così anche è pur
troppo vero che il maggior pericolo della libertà di un popolo nasce dalle sue
conquiste e da’ suoi qualunque ingrandimenti che distruggono appoco appoco
l’uguaglianza, senza cui non c’è vera libertà, e cangiano i costumi, lo stato
primitivo, l’ordine della repubblica” (923).
La libertà come problema.
E’ il significato della leggenda del Grande Inquisitore dei Fratelli
Karamazov. Ivan racconta ad Alioscia questo poema che ha composto solo
mentalmente. Qui c'è un'idea molto diversa della libertà. Vediamola nei sommi
capi. L'azione si svolge nel sedicesimo secolo, in Spagna, a Siviglia "nei
tempi più terribili dell'Inquisizione, quando per la gloria di Dio si
accendevano ogni giorno dei roghi e con grandiosi autodafé ardean gli eretici
malvagi". In questa situazione torna Cristo sulla terra. "Egli scende
nelle torride strade di una città meridionale in cui il giorno prima il
cardinale Grande Inquisitore, in presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei
prelati, delle affascinanti dame di corte e di tutti gli abitanti di Siviglia, ha
fatto bruciare, in un superbo autodafé, circa un centinaio di eretici in una
sola volta, ad maiorem dei gloriam". Cristo dunque "passa in
mezzo a loro con un dolce sorriso d'infinita misericordia. Il sole dell'amore
arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, della Saviezza e della Forza splendono
nei Suoi occhi e, scendendo sugli uomini, fan tremare i loro cuori di un amore
reciproco". Il Redentore quindi opera miracoli. Finché arriva il Grande
Inquisitore. "E' un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso
asciutto, con gli occhi incavati, ma con una scintilla che vi arde
ancora…Dietro a lui, a una certa distanza, camminano i suoi foschi coadiutori e
i suoi schiavi, e la "sacra guardia". Quindi "Egli si ferma
davanti alla folla e osserva da lontano. Egli ha visto tutto, ha visto che hanno
deposto la bara ai Suoi piedi, ha visto che la fanciulla è risuscitata, e il
suo viso si è accigliato. Egli aggrotta le sopracciglie folte e canute, e il
suo sguardo brilla di un fuoco minaccioso. Tende il dito e ordina alle guardie
di arrestarLo". Quindi va a trovarLo in prigione. Lo accusa di essere
venuto a disturbare. Gli promette il rogo. Il prigioniero lo osserva con uno
sguardo mite e non lo degna nemmeno della Sua indignazione. Il cardinale
inquisitore "non fa che ascrivere a merito proprio e dei suoi di aver
finalmente soggiogato la libertà e di avere con ciò reso felici tutti gli
uomini: "L'uomo fu creato ribelle; come possono i ribelli essere
felici?…poiché nulla è mai stato più insopportabile, per l'uomo e per la
società umana, della libertà!" L'inquisitore ricorda al Cristo le
tentazioni subite nel deserto dal diavolo, "uno spirito terribile e
intelligente". Il redentore era affamato dopo quaranta giorni e quaranta
notti di digiuno. Il diavolo gli disse. "Si Filius Dei es, dic, ut
lapides isti panes fiant "[8],
se sei figlio di Dio, di' che queste pietre divengano pani". E Cristo
rispose. "Non in pane solo vivet homo, sed in omni verbo, quod procedit
de ore Dei " (4, 4), non di solo pane vivrà l'uomo ma di ogni parola
che viene dalla bocca di Dio. Ebbene l'inquisitore rinfaccia al Redentore
questa scelta: "Ma Tu non hai voluto togliere all'uomo la libertà e hai
respinto la proposta…La Tua risposta fu che l'uomo non vive di solo pane; sai
Tu, però, che in nome di questo pane quotidiano si solleverà contro di te lo
spirito della terra ed entrerà in lotta con Te e Ti vincerà, e tutti lo
seguiranno…Si persuaderanno pure che non potranno mai essere liberi, perché
sono deboli, viziosi, miserabili e ribelli. Tu hai promesso loro il pane
celeste, ma- lo ripeto ancora- come potrebbe esso tornar gradito quanto il pane
terrestre, agli occhi della debole, eternamente viziosa e ignobile razza
umana?" Solo pochi essere forti e grandi sono capaci di intendere e
seguire il Cristo. La gran parte dell'umanità non può capirlo. Né Lui può
comprendere questa moltitudine. "A noi-continua il Grande Vecchio- invece,
sono cari i deboli. Essi sono depravati e ribelli, ma, infine, i più obbedienti
sarannno proprio loro. Essi ci ammireranno e ci considereranno come altrettanti
dei, per aver consentito, dopo esserci messi alla loro testa, a prendere sulle
nostre spalle il carico della libertà, della quale essi hanno avuto paura, e
per aver consentito a dominarli; tanto tremendo finirà col sembrar loro
l'essere liberi!…Per l'uomo rimasto libero non esiste una preoccupazione più
assillante e tormentosa che quella di trovare al più presto qualcuno davanti al
quale prosternarsi". Non solo: gli uomini hanno bisogno di un idolo comune,
di "comunione nell'adorazione. " Per il "bisogno di
questa generale genuflessione gli uomini si sono massacrati l'un l'altro a
colpi di spada. Creavano gli dèi ed esclamavano, rivolgendosi gli uni agli
altri: "Abbandonate i vostri dèi e venite a prosternarvi davanti ai
nostri; altrimenti, morte a voi e ai vostri dèi!" E così sarà fino alla
fine del mondo anche se tutti gli dèi saranno distrutti, perché allora si
inchineranno lo stesso davanti agli idoli. Tu conoscevi, Tu non potevi non
conoscere questo fondamentale segreto della natura umana; ma Tu hai respinto
l'unica bandiera assoluta che Ti era offerta per obbligare tutti a inchinarsi
unicamente davanti a Te- la bandiera del pane umano; l'hai respinta in nome
della libertà e del pane celeste…Ti ripeto che per l'uomo non esiste una
preoccupazione più tormentosa di quella di trovar qualcuno cui rimettere subito
il dono della libertà…Col pane Ti si offriva una bandiera indiscutibile: avresti
dato il pane, e l'uomo Ti si sarebbe sottomesso, giacché non esiste nulla di
più indiscutibile del pane…Hai forse dimenticato che la tranquillità, e qualche
volta persino la morte, sono più care all'uomo che la libera scelta nella
conoscenza del bene e del male?". Cristo ha oppresso l'umanità "con
un peso terribile come il libero arbitrio". Viceversa "esistono tre
forze, le uniche sulla terra che potrebbero affascinare e catturare per sempre
le coscienze di questi impotenti ribelli e dar loro la felicità; queste tre
forze sono: il miracolo, il mistero e l'autorità". Cristo invece, quando
il diavolo lo tentò di nuovo, non volle gettarsi dal pinnacolo del tempio. E
non scese dalla croce poiché non voleva asservire l'uomo con il miracolo. Infatti
aspirava a una libera fede, non a una fede basata sui miracoli.
"Tu-continua l'inquisitore- eri assetato di amore
libero, e non già delle servili effusioni dello schiavo al cospetto del potente,
che l'ha una volta per sempre atterrito. Anche qui, però, giudicasti gli uomini
troppo altamente, giacché essi sono certamente degli schiavi, pur essendo stati
creati ribelli…Se Tu lo avessi stimato meno, le tue pretese sarebbero diminuite,
e questa sarebbe stata una cosa più vicina all'amore, giacché il suo fardello
sarebbe stato meno pesante. L'uomo è debole e vile". L'inquisitore afferma
che lui stesso e pochi altri come lui hanno capito meglio gli uomini e le
esigenze umane togliendo ai più la libertà e accollandosene il terribile peso.
"Essi si persuaderanno da sé che abbiamo ragione,
quando si ricorderanno la spaventosa schiavitù e il disordine in cui li aveva
gettati la tua libertà…E tutti saranno felici, tutti i milioni di esseri, tranne
le centinaia di migliaia che li governano. Perché unicamente noi, noi che
conosceremo il segreto, saremo veramente infelici. Ci saranno allora migliaia
di bambini felici e centomila infelici e martiri che avranno preso su di sé la
maledizione della conoscenza del bene e del male". Quindi il vecchio
annuncia a Cristo la sua condanna al rogo "perché sei venuto a
disturbarci". Però all'ultimo momento cambia idea.
"Egli ha visto che il Prigioniero ha seguito il
suo discorso fissandolo negli occhi con una espressione mite e penetrante, e
con l'evidente determinazione di non rispondere. Il vecchio avrebbe voluto che
l'Altro gli dicesse qualche cosa, sia pure qualche cosa di amaro e terribile. Ma
Egli si avvicina ad un tratto al vecchio, e, continuando a tacere, lo bacia
dolcemente sulle esangui sue labbra di novantenne. In ciò consiste tutta la sua
risposta. Il vecchio sussulta. Un fremito contrae gli angoli della sua bocca;
egli si avvicina alla porta, l'apre e Gli dice: "Va' e non tornar più…non
tornare mai più!". E Lo lascia uscire "per le buie vie della
città"[9]. Il bacio di Cristo al Grande Inquisitore si può
confrontare[10] con la carezza che Irene, la protagonista del film Cuore sacro di Ozpetek dà, senza dire parola, al prete che le ha
fatto un discorso, non assurdo, sull’impossibilità di esercitare la carità
fuori dall’istituzione e contro il potere.
Ho riferito questa splendida storia perché anche noi
insegnanti abbiamo il dubbio che i giovani, molti tra i giovani, non vogliano
davvero la libertà. Bisogna comunque sapergliela dosare.
Un’idea analoga si trova il 1984 di Orwell. Winston, scoperto quale oppositore del
Grande Fratello e del partito, viene torturato da O’Brien, un membro del
partito interno, e, durante una pausa, si aspetta che l’aguzzino gli dica
queste parole nell’intento di convertirlo dopo averlo sottomesso con il dolore:
“He
knew in advance what O’Brien would say. That
the Party did not seek power for its own ends, but only for the good of majority.
That it sought power because men in the mass were fraily cowardly creatures who
could not endure liberty or face the truth, and must be ruled over and
systematically deceived by others who were stronger than themselves. That the
choice for mankind lay between freedom and happiness and that, for the great
bulk of mankind, happiness was better. That the Party was the eternal guardian
of the weak, a dedicated sect doing evil that good might come, sacrifing its
own happiness to that of others”[11], egli sapeva già
quello che O’ Brien avrebbe detto. Che il
Partito non cercava il potere per i propri fini, ma solo per il bene della
maggioranza. Che esso cercava il potere perché gli uomini in massa sono deboli
e vili creature che non potrebbero sopportare la libertà o affrontare la verità,
e devono essere governate e sistematicamente ingannate da altri che siano più
forti di loro. Che la scelta per l’umanità si pone tra libertà e felicità e che,
per la grande massa dell’umanità la felicità è migliore. Che il Partito era
l’eterno tutore dei deboli, una setta dedicata a fare il male che possa
diventare bene, sacrificando la propria felicità a quella degli altri.
Ma O’ Brien
smentisce la previsione di Winston: “We
are not interested in the good of others; we are interested solely in
power…only power, pure power…. We know that no one ever seizes power with the
intention of relinquishing it. Power
is not a means, it is an end…We are the priests of power ”[12],
noi non siamo interessati al bene degli altri; noi siamo interessati soltanto
al potere…solo il potere, puro potere…noi sappiamo che nessuno mai afferra il
potere con l’intenzione di lasciarlo. Il Potere non è un mezzo, è un fine…noi
siamo i sacerdoti del potere.
Il potere secondo
l’Antigone di B. Brecht è una specie di droga che asseta di sé: "Perché
chi beve il potere/Beve acqua salsa, non può smettere, e seguita/Per forza a
bere".
“Il mondo è divenuto “illuminato”.
L’angoscia si è
dissolta, e la “libertà” minaccia di prevaricare. Già il Prometeo ha mostrato come il valore della “libertà” per Eschilo
sia mutato, ed essa sia divenuta problematica. Quindi la paura della
costrizione diviene timore riverente di ciò che sta all’ultimo. A Clitennestra
era mancata questa soggezione, questo scrupolo. La giustizia ora per Eschilo si
trova a metà tra libertà e costrizione…Eschilo conosce l’orgoglio dello spirito,
che ardisce spingersi fino all’estremo. Il suo Prometeo aveva offeso questa aijdw'~. Dalla lotta e dalla problematica
dell’essere nasce l’insegnamento del mevson,
la concezione classica dell’aureo mezzo (Eum.,
525ss.) …Il compito dell’uomo è trovare il giusto mezzo tra indipendenza e
dipendenza”[13].
Il discorso del dosaggio della libertà vale non solo
per i ragazzi ma anche per la maggior parte degli adulti secondo Freud che
aggiunge un chiarimento coerente con il suo sistema: “Sappiamo che nella massa
degli uomini vi è grande bisogno di un’autorità da ammirare, a cui inchinarsi, da
cui essere dominati, fors’anche maltrattati. Dalla psicologia dell’individuo
abbiamo appreso donde provenga questo bisogno della massa. E’ la nostalgia del
padre insita in ognuno dall’infanzia, dello stesso padre che l’eroe della
leggenda si vanta di aver vinto. E ora cominciamo a vederci chiaro: tutte le
qualità di cui dotiamo il grande uomo sono caratteristiche paterne, e in questa
concordanza consiste l’essenza del grande uomo da noi vanamente cercata. La
risolutezza dei pensieri, la forza di volontà, l’impeto dell’azione
appartengono all’immagine paterna, ma più di tutto vi appartengono l’autonomia
e l’indipendenza del grande uomo, la sua divina noncuranza che può crescere
fino alla mancanza di qualsiasi riguardo. Lo si deve ammirare, è consentita la
fiducia in lui, ma non si può fare a meno anche di temerlo”[14].
[1]
1717-1768.
[2]
Rispetto alla visibilità data al topos della "nobile semplicità e quieta
grandezza" di cui ci occuperemo più avanti.
[3]
S. Settis, Futuro del "classico", p. 49.
[4]
J. Starobinski, Tre furori, p. 122.
[5] Trattato anonimo, generalmente attribuito a un retore
della prima metà del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di
Gadara che ebbe tra gli allievi anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola
sosteneva l'anomalia e l'elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva
al discorso. Il filosofo potrebbe essere Filone di Alessandria che fece parte
di un'ambasceria di giudei alessandrini a Caligola nel 39 d. C.
[6]
Si pensi alla maggior parte dei nostri giornalisti.
[7]
Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più
tardi.
[8]
Matteo, 4, 3.
[9]
F: Dostoevskij. I fratelli Karamazov, pp. 320 e sgg.
[10]
Confronto suggeritomi dall’amico e collega Davide Monda.
[11]
G. Orwell, 1984, p. 275.
[12]
Op. cit., p. 276.
[13]
B. Snell, Eschilo e l’azione drammatica,
p. 174.
[14]
S. Freud, L’uomo Mosè e la religione
monoteistica, terzo saggio, pp. 428-429.
[15]
Guido Croci, Victor, p. 18.
Ancora tanto materiale per pensare. Io ,personalmente, condivido l'idea che la libertà vada somministrata con cautela. La troppa libertà senza discernimento è un vicino pericoloso,come la ricchezza. Un bacio Giovanna Tocco
RispondiElimina