Pietro Canonica, Pudore |
Il pudor nella cultura latina ha forza anche maggiore dell’ aijdwv" dei Greci
"Pudor è il
senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che
nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv"
dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia era una divinità oggetto di un culto importante; al culto
della Pudicitia patricia la plebe
aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia "[1].
Valerio Massimo[2]
nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia: "virorum pariter
ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso
tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea: "Tu
enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis
pulvinaribus incubas…[3]",
tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culto, tu giaci sui
cuscini di Giunone Capitolina.
La giustizia, il rispetto e l’arte politica. Il Protagora di Platone
La scuola dunque deve insegnare il rispetto, il ritegno, e
pure la giustizia, non solo personale ma anche politica: nel Protagora
di Platone il sofista racconta che gli uomini commettevano ingiustizie
reciproche (hjdivkoun ajllhvlou")
in quanto non possedevano l'arte politica (a{te
oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che
deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e
perivano: allora Zeus temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a
portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini
delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta
eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi"
(322c).
Senza la politikh;
tevcnh “ la condizione dell’uomo, per usare le parole che molti secoli
più tardi usò Hobbes nel Leviatano[4], si rivelò
“solitaria, miserevole, sgradevole, brutale e breve (“solitary, poor, nasty, brutish and short) ”, una continua serie
d’ingiustizie reciproche e una totale incapacità di riunirsi in comunità
stabili”[5].
Antigone rappresenta
l’umanesimo. H. Hesse: il necessario idealismo dei ceti colti. Quando la
venerazione dello spirito non è più valida, non funzionano nemmeno le banche e
la borsa. Ortega. T. Mann: l’umanesimo è amore per gli uomini. E’ necessaria la
solidarietà tra gli umani. Morin. Galimberti. Marco Aurelio imperatore. John
Donne. Leopardi (La ginestra).
All'opposto della chiusura nell'ego c'è l' Antigone
di Sofocle che afferma il suo amore per l'umanità: " ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun",
(v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore. "Esiste
un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a
quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le
leggi disumane che sono opera dell'uomo"[6].
"Mi aspetto da un medico, nemmeno io so bene perché, un
resto di quell’umanesimo per cui si richiede la conoscenza del latino e del
greco oltre a una certa preparazione filosofica, e che nella maggior parte
delle professioni, oggigiorno, non è più necessario. Io, che in genere amo così
fervidamente tutto ciò che è nuovo e rivoluzionario, in questo sono senz'altro
retrivo, e dai ceti colti pretendo un certo idealismo, una certa disposizione a
discutere e a capire del tutto indipendentemente da ogni vantaggio materiale, insomma
un resto di umanesimo, anche se so che quest'umanesimo, in realtà, ha cessato
di esistere e che tra poco anche la sua apparenza esterna non si troverà più se
non nei musei delle figure di cera"[7].
Bisogna comunque lottare perché la sostanza dell'umanesimo
rimanga nella scuola italiana. E non solo nella scuola: "Si sa o si
intuisce che quando il pensiero non è puro e vigile, quando la venerazione
dello spirito non è più valida, anche le navi e le automobili incominciano presto
a non funzionare, anche il regolo calcolatore dell'ingegnere e la matematica
delle banche e della borsa vacillano per mancanza di valore e di autorità, e si
cade nel caos (…) Erano tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei
quali popoli e partiti, vecchi e giovani[8],
rossi e bianchi non s'intendevano più. Andò a finire che, dopo sufficienti
salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire il
desiderio di rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di ordine,
di costumatezza, di misure valide, di un alfabeto e di un abbaco che non
fossero dettati dagli interessi dei grandi, né venissero modificati a ogni piè
sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di ragionevolezza, di
superamento del caos"[9].
La scuola può aiutare i giovani a trovare la strada di
questo superamento. Deve farlo: “E’ in stato di rovina l’economia-quella delle
nazioni e quella teorica. E’ in stato di rovina, infine, e di grave rovina, perfino
la femminilità”[10].
“Che cos’era in fondo l’umanesimo? Nient’altro che amore
verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che macchinava
e offendeva l’idea dell’uomo”[11].
“Concepito in modo solo tecnico-economico, lo sviluppo a
breve termine è insostenibile. Abbiamo bisogno di un concetto più ricco e
complesso dello sviluppo, che sia nello stesso tempo materiale, intellettuale, affettivo,
morale…Il XX secolo non è uscito dall’età del ferro planetaria, vi è
sprofondato”[12].
Sullo sviluppo (senza progresso) torneremo in 53. 3.
“L’umanesimo non dovrebbe più essere portavoce
dell’orgogliosa volontà di dominare l’Universo. Diviene essenzialmente quello
della solidarietà fra umani, la quale implica una relazione ombelicale con la
natura e con il cosmo”[13].
“Se l’estirpazione radicale dell’insicurezza appartiene
ancora all’utopia modernista dell’onnipotenza umana, la strada da seguire è
un’altra: quella della costruzione di legami affettivi e di solidarietà capaci
di spingere le persone fuori dall’isolamento nel quale la società tende a
rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici che, a partire dall’America,
si vanno paurosamente diffondendo anche da noi”[14].
Marco Aurelio, imperatore (161-180 d. C.) e filosofo, scrive
(Ricordi, II, 1): noi siamo nati per
darci aiuto reciproco ("pro;"
sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file
dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para;
fuvsin").
Questa idea di humanitas che risale al circolo scipionico
è stata e sarà ripresa nei secoli dei secoli: in Devotions upon Emergent Occasion di John Donne (1572-1631) per
esempio leggiamo: " Nessun uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una
parte del Continente, una parte del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa
ne è diminuita, come ne fosse stato spazzato via un promontorio.. la morte di
qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non
mandare mai a chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[15])
; suona per te.
Leopardi aveva suggerito una relazione polemica con la
natura, ma nello stesso tempo un rapporto di solidarietà e amore tra gli uomini:
“Costei chiama inimica; e incontro a questa /congiunta esser pensando, /siccome
è il vero, ed ordinata in pria/l’umana compagnia, /tutti fra se confederati
estima/gli uomini, e tutti abbraccia/con vero amor, porgendo/valida e pronta ed
aspettando aita/negli alterni perigli e nella angosce della guerra comune”[16].
Il pragmatismo e il
vuoto di carità. Giasone ("dra'/ ta; sumforwvtata ", Medea, v. 876, fa quello che è più utile)
e Charles Grandet. I matrimoni di Tony Buddenbrook (e la “Civiltà di vergogna”).
Viceversa: Kierkegaard e Svevo. Pasolini: l’interpretazione puramente
pragmatica è priva di carità. San Paolo e la caritas. Il kevrdo" è un’ ossessione di alcuni
personaggi della tragedia come l’utilitas
per Poppea Sabina di Tacito. Secondo Leopardi è la ragione che, cercando
l’utile, toglie le illusioni e “inferocisce le persone”
P. P. Pasolini
parlava di vuoto di Carità[17]
dell'Italia degli anni Settanta. Riferiamolo alla Medea di Euripide. Da
questa tragedia, com'è noto, lo stesso Pasolini ha tratto un film[18]
nel quale ha voluto mettere in evidenza "il confronto dell'universo
arcaico, ieratico, clericale[19],
con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico"[20].
Queste affermazioni, utilissime a capire il testo di Euripide, vanno però prima
chiarite e autorizzate attraverso un confronto con alcune parole del dramma
antico.
Il pragmatismo dell'uomo greco si manifesta chiaramente
quando il seduttore dichiara a Medea di avere voluto cambiare donna, prendendo
la principessa di Corinto, non perché odiasse la madre dei suoi figli, o perché
ne volesse altri, ma per la cosa più importante: vivere bene, lui con la
famiglia (o le famiglie) e senza restrizioni[21],
sapendo con certezza che il povero tutti lo sfuggono, anche se amico. Egli
insomma "dra'/ ta; sumforwvtata[22]
" (v. 876) fa quello che è più utile, come riconosce con ironia la moglie
abbandonata, quando finge di sottomettersi e di approvarlo, beffeggiandolo.
In maniera analoga a Giasone si comporta Carlo Grandet
quando scrive a sua cugina Eugenia che lo aveva atteso per sette anni, amandolo,
dopo che si erano giurati amore eterno: "L'amore, nel matrimonio, è una
chimera. Oggi la mia esperienza mi dice che bisogna obbedire a tutte le leggi
sociali e salvaguardare col matrimonio tutte le convenienze volute dal
mondo…Oggi io posseggo ottantamila lire di rendita. Questo denaro mi consente
di unirmi alla famiglia d'Aubrion, la cui ereditiera, una giovane di diciannove
anni, mi porta col matrimonio il suo nome, un titolo, la carica di gentiluomo
onorario di camera di sua Maestà, e una posizione fra le più brillanti. Vi
confesserò, mia cara cugina, ch'io non amo affatto la signorina d'Aubrion; ma, unendomi
a lei, assicuro ai miei figli una situazione sociale i cui vantaggi saranno in
avvenire incalcolabili"[23].
Una pretesa non tanto diversa troviamo nell'epopea borghese di I
Buddenbrook di T. Mann dove Tony affronta diversi matrimoni per una
presunta convenienza individuata dalla famiglia capeggiata dal fratello, il
console Thomas Buddenbrook che "considerava legge suprema quella di
salvare le apparenze"[24].
Siamo non solo nella cultura del profitto, ma altresì nella Civiltà di
vergogna di cui parla E. R. Dodds. In essa "il bene supremo non sta nel
godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima "[25].
Ebbene Tony si sentiva "Come un anello in
una catena…Sì appunto come anello di quella catena lei aveva una grande
importanza e responsabilità: era chiamata a collaborare con fatti e risoluzioni
alla storia della famiglia"[26].
Questo pragmatismo coniugato con
il “salvare la faccia” crea dolori e vittime nel matrimonio e non solo.
Viceversa Kierkegaard afferma: " sincerità, apertura di cuore, rivelarsi,
intendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è
contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si
separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale (...) L'intesa, ecco dunque il principio vitale del
matrimonio"[27].
Analoga riflessione (sempre a proposito del matrimonio) si trova in Svevo: "Se
il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[28].
Nelle scuole si dovrebbe insegnare qualche cosa sul rapporto
tra uomo e donna.
“in fondo, è una cosa importante
quanto la geografia del nostro paese, o le regole fondamentali della
conversazione. Influisce sulla serenità di una persona tanto quanto l’educazione
o una sicura padronanza dell’ortografia. E non ha nulla di frivolo…voglio dire,
al momento giusto, persone intelligenti e preparate-poeti, medici- dovrebbero
parlare ai giovani delle gioie della convivenza…non di “vita sessuale”, ma di
gioia, pazienza, modestia, appagamento”[29].
Sentiamo ancora Pasolini: "L'interpretazione
puramente pragmatica (senza Carità) delle azioni umane deriva dunque in
conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura
puramente formale e pratica"[30].
In un altro scritto Pisolini
associa l’assenza di cultura alla droga: “Perché ci si droga? Non lo capisco, ma
in qualche modo lo spiego. Ci si droga per mancanza di cultura…E’ chiaro che
chi si droga lo fa per riempire un vuoto, un’assenza di qualcosa, che dà
smarrimento, angoscia. E’ un sostituto della magia. I primitivi sono sempre di
fronte a questo vuoto terribile, nel loro interno”[31]
L’incolto, come il primitivo, è
terrorizzato dall’idea della perdita della propria presenza.
La caritas secondo l'apostolo
Paolo è il valore massimo: "Si linguis hominum loquar et angelorum, caritatem
autem non habeam, factus sum velut aes sonans aut cymbalum tinniens" [32],
se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, però non avessi la carità, diverrei
un rame risonante o un cembalo che squilla.
"Nunc autem manet fides, spes,
caritas, tria haec; maior autem ex his est caritas"[33]
ora dopo tutto restano fede, speranza e carità, questi tre pilastri, ma la più
grande è la carità.
Bisogna pure chiarire che la protagonista della tragedia di
Euripide impiega, strumentalmente, questa cultura dell'utile che la rende
infelice, quando adula Creonte per ottenere un giorno di permanenza a Corinto
onde compiere la sua terribile vendetta: " credi che avrei blandito
costui-chiede alla corifea-se non per guadagnarci qualcosa (eij mh; ti kerdaivnousan) o per
tramare?" (Medea, vv. 368-369). Eugenia
Grandet invece non accetta le convenzioni dell'eterna borghesia e risponde al
cugino arrampicatore sociale: "Sì, cugino, avete giudicato bene il mio
spirito e i miei modi: non sono fatta per la società, non ne conosco né i
calcoli né i costumi, e non saprei darvi i piaceri che voi volete trovarvi. Siate
felice, secondo le convenzioni sociali alle quali avete sacrificato il nostro
primo amore"[34].
Tony Buddenbrook, la vestale della religione della famiglia borghese, invece
accetta la logica del matrimonio-contratto e rinuncia all'amore senza del resto
trarre alcun vantaggio da diverse nozze mal calcolate. Nell’ultima pagina del
romanzo, diventata una cinquantenne benportante, dice queste parole di commento
alla vita: “Dio mi perdoni, si comincia a dubitare della giustizia, della
bontà…di tutto. La vita, voi sapete, frantuma tante cose nel nostro cuore, delude
tante volte la nostra fede…Rivedersi?... Fosse vero!... ”[35].
Personaggio simile a
Giasone è nel Filottete[36] di Sofocle,
Odisseo, la consumata volpe, che suggerisce allo schietto figlio di Achille di
agire con la frode (dovlw/, v. 101) e
di parlare mentendo, se la menzogna porta salvezza e profitto: "o{tan ti dra'/" ej" kevrdo", oujk
ojknei'n prevpei" (v. 111), quando fai qualche cosa per un guadagno
non è conveniente esitare. Odisseo[37]
in conclusione raccomanda a Neottolemo di ricavare un utile dalle parole che
dirà e da quelle che ascolterà via via: "devcou
ta; sumfevronta tw'n ajei; lovgwn" (v. 131).
Luogo simile si trova
nel Prologo nell'Elettra[38]
quando Oreste dice al pedagogo: "dokw'
mevn, oujde;n rJh'ma su;n kevrdei kakovn" (v, 61), penso che
nessuna parola che porti guadagno sia male. "Sofocle provoca e scuote il
suo pubblico nell'Elettra come nel Filottete, e lo induce a
chiedersi se l'azione immorale possa essere giustificata da un bene, dalla
giustizia, dalla salvezza collettiva, e perfino dalla parola di un dio. La
risposta non arriva subito; solo più tardi si palesa che questa giustificazione
non esiste"[39].
In fondo Giovenale attribuisce al Graeculus[40] proprio
tale attitudine quando afferma che i grecastri sono una razza di commedianti (natio
comoeda est[41])
che si trova in vantaggio sugli italici autoctoni poiché quelli sono capaci di
sostenere tutte le parti per convenienza.
Studiando la figura del tiranno nella tragedia si vede che
il kevrdo" è una vera
ossessione per il despota.
In questa categoria dell'utile non onesto può essere inserita
anche la Poppea Sabina di Tacito[42]
la quale: "unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat
" (Annales, XIII, 45), volgeva la libidine là dove si
mostrava l'utile. Si pensi alla maggior parte degli individui, femmine e maschi,
che appaiono nelle trasmissioni televisive.
“E la ragione facendo naturalmente amici dell’utile proprio,
e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie
assolutamente la società, e inferocisce le persone” (Leopardi, Zibaldone, 23).
[1]A. La Penna-C. Grassi (a cura di)
Virgilio, Le Opere, Antologia, p.
373.
[2]
Vissuto nella prima metà del I secolo d. C.
[3]
Factorum et dictorum memorabilium libri, VI, 1.
[4]
Del 1651 ndr.
[5]
Roberto Mordaci, Rispetto, p. 56
[6]E. Fromm, La disobbedienza e altri saggi, p. 63.
[7]
H. Hesse, La Cura, (del 1925), p. 27.
[8]
Oggi aggiungerei “maschi e femmine” (ndr).
[9]
H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 33 e p. 368.
[10]
J. Ortega y Gasset, Idea del teatro, p.
29.
[11]
T. Mann, La montagna incantata, I, p.
177.
[12]
E. Morin, I sette saperi, p. 70.
[13]
E. Morin, La testa ben fatta, p. 101.
[14]
U. Galimberti, L’ospite inquietante, p.
30.
[15]
E', notoriamente, il titolo di un romanzo di Hemingway, 1940
[16]
La ginestra (del 1836, vv. 126-135).
[17]
Marzo 1974. Vuoto di Carità, vuoto di Cultura: un linguaggio senza origini. (Scritti
corsari, p. 44).
[18] Medea, 1970.
[19] quello della barbara Medea.
[20]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il
sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini,
una vita, p. 81.
[21] "ajll j wJ", to; men; mevgiston, oijkoi''men
kalw'"-kai; mh; spanizoivmeqa"
(vv. 559-560).
[22] Si può notare che il suvmforon, l'utile,
il vantaggioso, è etimologicamente connesso a fwvr (lat. fur),
ladro. Chi guarda esclusivamente all'utile insomma non può essere onesto.
[23]
H. d. Balzac, Eugenia Grandet (del 1833), pp. 158-159.
[24]
T. Mann, I Buddenbrook (del 1901), p. 201
[25]
I
greci e l'irrazionale
(del 1951), p. 31.
[26] I Buddenbrook, p. 101.
[27]Enten-Eller (Aut-Aut), Validità estetica del matrimonio, trad. it.
Adelphi, Milano, 1981, p. 163 del Tomo Quarto.
[28]
Una vita, p. 208.
[29]
Sàndor Màrai, La donna giusta, p. 136.
[30]
Scritti corsari, p. 49.
[31]
Saggi sulla politica e sulla società, I
Meridiani, Mondatori, Milano 1999, p. 1168.
[32]
Ep. Ad Conrinthios, I, 13, 1.
[33]
Ad Corinthios, I, 13, 13.
[34]
H. d. Balzac, Eugenia Grandet, p. 165.
[35] T. Mann, I Buddenbrook, p. 484.
[36]
Del 409 a. C.
[37]
Personaggio nel quale, secondo Luciano Canfora, gli spettatori potevano
riconoscere l’abile e spregiudicato Teramene, soprannominato “coturno”, il
calzare che si adatta ad entrambi i piedi, per la sua ambiguità politica. Filottete
viene invece identificato con Alcibiade e Neottolemo con il più giovane
stratego Trasillo.
[38]
Composta nell'ultimo periodo dell'attività di Sofocle.
[39]
Sofocle Filottete, a cura di G. Avezzù e P. Pucci, p. 174.
[40]
Satire, III, 78.
[41]
Satire, III, 100.
[42]
55 ca. -120 ca d. C.
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