Michel de Montaigne |
La “testa
ben fatta” sa organizzare le conoscenze. Il didattichese avalla l’obbrobrio
dell’ignoranza dei testi. Ancora il Dialogus
de oratori bus
"La prima finalità dell'insegnamento è stata formulata
da Montaigne: è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena…una testa
ben fatta è una testa atta a organizzare le conoscenze così da evitare la loro
sterile accumulazione"[1].
“Intelligenza” infatti in greco è suvnesi", capacità di mettere insieme (cfr. sunivhmi) e di individuare i nessi.
Viceversa quella chi non sa connettere nulla con nulla (I
can connect/Nothing with nothing[2])
ha una testa intronata tra spazi ventosi: "A dull head among windy
spaces"[3].
Le
conoscenze organizzate corrispondono alle competenze di cui tanto, pur troppo
si parlava al tempo dell'ultimo, o penultimo, didattichese il quale d'altra
parte permetteva, quasi imponeva, di ignorare gli autori.
Ignoranza
lamentata già da Messalla nel Dialogus de oratoribus: non si dedica più
abbastanza lavoro alla lettura degli autori (nec in auctoribus cognoscendis)
né allo studio dell'antichità (nec in evolvenda antiquitate), né
alla conoscenza della storia (nec in notitiam vel rerum vel hominum vel
temporum satis operae insumitur, 30). Si cercano solo le lezioni dei
retori.
Odiamo il brutto
senza semplicità del didattichese. Le parolacce e i solecismi: “griglia”, “pof”,
“funzione obiettivo”. L’invadenza dei “metodi” e l’assenza dei contenuti
Le
parole del didattichese sono inappropriate e brutte assai: per esempio “griglia”
applicata alla valutazione. Secondo me la griglia è una graticola (craticula)
sulla quale si arrostiscono pesci o salcicce. Per non dire dell'impagabile “Pof”.
E’ una parolaccia. Un singulto da indigestione, se non peggio. "Io credo
che dovremmo rifiutarci di usare certe parole così brutte…La scuola di oggi fa
così. Insegna i Metodi. L'ultima cosa che vuole è insegnare i cosiddetti e
vilipesi Contenuti…l'azzeramento (o riduzione) dei contenuti ha prodotto
l'ignoranza "[4].
E
l'ipocrisia della così detta "funzione obiettivo"? Sembra un
solecismo peggio che pedestre. Chi la assume deve passare parecchie ore a
scuola sottraendole alla vita e allo studio. "Ed ecco allora profilarsi
all'orizzonte una possibile qualificazione degli insegnanti non in base al
merito, ma in base alle ore di lavoro svolte, e soprattutto alla disponibilità
a entrare nelle varie commissioni e a occuparsi dei vari progetti. Vince
l'insegnante poli-funzione. E dell'insegnante che passa le sue giornate in
biblioteca a studiare Dante, o il teorema di Fermat, o Kant, non importa niente
a nessuno"[5].
La valutazione. Nietzsche,
Don Milani. Proposta modesta e sintetica per una valutazione realistica
Per
quanto riguarda la valutazione, essa deve essere rivolta in primis a noi stessi: i ragazzi costituiscono un ottimo test della nostra capacità di
interessarli. Se non ci ascoltano, è molto probabile che sia colpa nostra: o
non conosciamo[6] l’argomento di
cui parliamo, o non ci piace, o non ci piacciono gli allievi cui dobbiamo
comunicarlo. Sentiamo Nietzsche che parla della sua esperienza di docente di
greco: “io addomestico gli orsi, insegno la buona educazione ai buffoni. Durante
tutti i sette anni in cui ho insegnato greco nella classe superiore del liceo
di Basilea, mai una volta ho avuto l’occasione di dover punire qualcuno; anche
i pigroni diventavano diligenti con me”[7]. Comunque
dobbiamo pensarci bene prima di bocciare un ragazzo: non mi è mai uscito di
testa quanto, molti anni fa, imparai da Don Milani: “ Bocciare è come sparare
in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo”[8].
La
valutazione realistica secondo me deve premiare la crescita del giovane nella
capacità di usare in modo appropriato, magari elegante, la lingua madre in
primis, poi deve tenere conto dell’apprendimento di altre lingue, della storia,
delle letterature studiate, e, più in generale, deve apprezzare ogni progresso,
in termini culturali, etici, estetici.
Tutta la Cultura (Pascal),
come tutta la natura (Platone, Menone),
è imparentata con se stessa. Dostoevskij: “tutto scorre e interferisce insieme”.
Bisogna cogliere i nessi
Morin[9]
cita Pascal[10]
a proposito del connettere: "Pascal aveva già formulato l'imperativo
dell'interconnessione che si tratta oggi d'introdurre in tutto il nostro insegnamento,
a cominciare dalle scuole elementari: "Dunque, poiché tutte le cose sono
causate e causanti, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono
legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più
disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il
tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere le
parti"[11].
Molto prima di Pascal[12]
Platone [13]
aveva detto che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'"
ou[sh", Menone, 81d). Dostoevskij fa dire allo stariez
Zossima che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme,
di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari
all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli
uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi,
anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo
migliore"[14].
Bisogna dunque cogliere i nessi.
La connessione
organica del Capo con la sua gente. Sofocle (Edipo re, Antigone, Filottete). Omero (Odissea). Esiodo (Opere e
giorni). Isocrate (Encomio di Elena).
Cicerone (I Catilinaria). Polibio. Seneca
("fecimus coelum nocens, Oedipus, 36) e Shakespeare (Macbeth): la contaminazione arriva al
cielo. Dante (“la mala condotta”). Erasmo (Elogio
della follia). Nietzsche (Zarathustra). Il cattivo esempio delle
donne importanti alle donne comuni biasimato da Fedra nell’Ippolito di Euripide. At pueri ludentes 'Rex eris '
aiunt/ 'si recte facies" [15]
Secondo questo principio dell'unità del tutto, e, in particolare,
per quello della connessione organica tra il Capo e la sua gente, nel prologo
dell'Edipo re di Sofocle viene descritta la sterilità della terra tebana
sconciata e resa malata dai delitti di Edipo, vero mivasma della sua povli"
(v. 353), e nell' Antigone Tiresia accusa Creonte di essere la sorgente
inquinata del male della città: " kai;
tau'ta th'" sh'" ejk freno;" nosei' poli"" (v. 1015)
e la città è ammalata di questo per la tua disposizione mentale. Creonte
infatti ha ereditato da Edipo non solo il ruolo regale ma anche la funzione di mivasma, homo piacularis che contamina la città.
Sappiamo anche da Omero[16]
e da Esiodo[17],
che i costumi, virtù, vizi e perfino malattie del capo si riverberano sulla sua
terra per una sorta di responsabilità collettiva.
Sofocle nel Filottete rappresenta
Neottolemo adirato con Odisseo che si è impadronito delle armi di Achille, spettanti
a lui, figlio di Deidamia e del Pelide. Il ragazzo lamenta di essere stato
espropriato dei suoi beni “pro;~ tou'
kakivstou kajk kakw'n jOdusseuv~” (384), dal peggiore di tutti, nato da
malvagi, Odisseo. Eppure il giovane biasima ancora più tou;~ ejn tevlei (v. 385), quelli che sono al potere, civile
e militare: “povli~ ga;r e[sti pa'sa tw'n
hJgoumevnwn-stratov~ te suvmpa~, oiJ d j ajkosmou'nte~ brotw'n-didaskavlwn
lovgoisi givgnontai kakoiv” (386-388), la città infatti è tutta di
coloro che la governano e l’esercito pure, e quelli tra i mortali che si comportano
male, diventano malvagi per le parole di chi li ammaestra. Una concezione
pedagogica del potere.
Isocrate nell' Encomio
di Elena[18] chiama i despoti che cercano di
dominare i concittadini con la forza, non capi ma pesti delle città (oujk a[rconta" ajlla; noshvmata tw'n povlewn,
34).
Analogamente Cicerone nella prima Catilinaria intima al suo
nemico mortale di uscire da Roma portando via la contaminazione da lui stesso
costituita (purga urbem, 1, 10) ;
quindi ringrazia gli dèi e in particolare Giove Statore: “quod hanc tam taetram, tam horribilem tamque infestam rei publicae
pestem totiens effugimus” (1, 11), poiché siamo sfuggiti tante volte a
questa peste tanto ripugnante, tanto spaventosa e tanto minacciosa per lo Stato.
Anche Polibio[19] fa dipendere il carattere della città da
quello dei suoi capi: ai tempi di Aristide e Pericle, Atene era generosa
e meritava lode; sotto il governo di Cleone[20]
e Carete[21]
era crudele e degna di biasimo: ne deriva che i costumi della povli" cambiano con il variare di quelli
dei governanti ("w{ste kai; tw'n
povlewn e[qh tai'" tw'n proestwvtwn diaforai'" summetapivptein",
Storie, IX, 23, 8).
Ricordo pure l'Oedipus senecano dove il protagonista
si accusa dicendo "fecimus coelum
nocens (v. 36), abbiamo reso colpevole il cielo. Nel Macbeth[22],
un nobile scozzese, Lennox riferisce quanto si dice sia avvenuto nella notte
dell’assassinio del re: "some say the earth was feverous, and did shake"
(II, 3), la terra era febbricitante e ha tremato.
Quindi un altro
nobile, Ross, fuori dal castello del delitto fa notare a un vecchio che il
cielo, quasi sconvolto dal misfatto umano (as troubled with man's act), minaccia
la sua scena sanguinosa, e il giorno è buio come la notte. Infatti, risponde l'old
man: " 'Tis unnatural, Even like the deed that ' s done" (II,
4), è innaturale, come l'azione che è stata perpetrata. In questi ultimi due
esempi la contaminazione “oltrepassa la luna”[23].
La città malata per antonomasia è Tebe: Dante chiama Pisa "vituperio
delle genti"[24]
e "novella Tebe"[25]
per la crudeltà della pena inflitta ai figli innocenti del conte Ugolino. “C’è
da domandarsi se tutto il resto del mondo possegga una sola città che abbia una
preistoria così ricca e fatale come quella di Tebe”[26].
Nell’Oedipus un
sole incerto (Titan dubius, v. 1) nega
il suo splendore e diffonde sull’empia Tebe un maestum iubar (v. 2), uno splendore cupo, e un lumen triste, una luce afflitta, con una flamma luctifica (v. 3), una fiamma luttuosa. Il re ha impestato la
sua città. La luce che vivifica e rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria.
Con l'uscita di Edipo da Tebe la vita languente si raddrizza,
i colli si rialzano: "relevate
colla! " (v. 1054),
grida lo stesso cieco in procinto di allontanarsi. Il raddrizzamento della vita
è il compito del re, un ufficio per il quale il contorto Edipo non era adatto.
Nel De clementia[27]
Seneca ricorda a Nerone che è il principe a stabilire i buoni costumi per il
suo Sato: “constituit bonos mores
civitati princeps” (III, 20, 3).
La premessa è che la immensa
multitudo dei cittadini illius
spiritu regitur, illius ratione flectitur, è retta dal suo spirito, viene
piegata dalla ragione di lui, mentre si spezzerebbe per i propri sforzi se non
venisse sostenuta dalla saggezza del reggitore (III, 1, 5). Nella cooperazione
tra il principe e lo Stato, questo costituisce la forza del corpo del quale
Cesare è il caput (III, 2, 3).
Dante ripropone
questa idea che il benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e pietà
religiosa di chi lo guida, e fa derivare la malvagità del mondo dal malgoverno:
"Ben puoi veder che la mala condotta/è la cagion che il mondo ha fatto
reo/e non natura che in voi sia corrotta"[28].
Erasmo da Rotterdam utilizza questo topos nell'Elogio
della follia[29]:
" aliorum vitia neque perinde sentiri neque tam late manare; principem
eo loco esse, ut si quid vel leviter ab honesto deflexerit, gravis protĭnus ad
quam plurimos homines vitae pestis serpat" (55), i vizi degli altri né
si sentono allo stesso modo né si diffondono così ampiamente; il principe si
trova in posizione tale che se in qualche maniera, perfino di poco, egli si
scosta dalla rettitudine, subito una grave peste della vita si espande su un
numero enorme di persone.
“Non vi è, nel
destino tutto dell’uomo, sventura più dura di quando i potenti della terra non
sono anche i primi uomini. Tutto diventa falso obliquo mostruoso, quando ciò
avviene”[30].
Questo topos vale anche per il costume
femminile: il cattivo esempio che le donne importanti danno a tutte le altre, viene
biasimato da queste parole di Fedra nell'Ippolito
di Euripide: " wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat j aijscuvnein
levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409),
fosse morta malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini
esterni. Infatti, continua, questo male ha cominciato a propagarsi dalle case
nobili: "ejk
de; gennaivwn dovmwn" (v. 409).
Quando le turpitudini (aijscrav)
sono reputate belle dalle persone di alta condizione, certo sembreranno belle
anche al volgo (vv. 411-412).
Se si pone mente al latino rex si deve pensare alla
parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw,
"tendo, stendo". "La radice deriva dall'indoeuropeo *reg-
che ha dato come esito in greco ojreg-
(con protesi di oj-) in latino reg-"[31]
da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto. Quindi
"in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che
traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è
retto"[32].
Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando
giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri ludentes 'Rex eris '
aiunt/ 'si recte facies" [33]. Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere
contorto. Nemmeno la virtù può esserlo: “et
haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.
Altrettanto la verità che è pure “non latenza”
Nell’Antigone il
messo in procinto di raccontare la catastrofe di Antigone e di Emone, avverte
la regina Euridice che non la blandirà con menzogne: “ojrqo;n aJlhvqei j ajeiv” (v. 1195), la verità è sempre una
cosa dritta.
Il determinismo geografico. Connessione terra-uomo. In questo topos l’influenza
viene dalla terra e dal suo clima. Erodoto. Ippocrate. Tito Livio, Tacito, Seneca
(De ira). La Medea di Seneca. La vita ecologica è anche vita psicologica (Hillman).
Curzio Rufo e il determinismo vestiario. Leopardi e i Marchigiani. Nietzsche. H.
Hesse e il paesaggio come educatore
Il rovescio del re malato che
rende malata la terra è il tovpo"
del determinismo geografico: c'è una corrispondenza
fra la terra, il clima e gli uomini. In questo caso è la terra che
prevale influenzando l’uomo.
Il capitolo finale delle Storie di Erodoto contiene
un monito per i Persiani attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero. Alcuni
sudditi gli avevano presentato la proposta fatta da Artembare di trasferire il
popolo persiano dalla sua terra "piccola, scabra e montuosa" in
un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re
dei Medi Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di
solito nascono uomini molli ("filevein
ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai",
9, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e
uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani rinunciarono, vinti dal parere di
Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere
servi di altri coltivando pianure fertili. Sono le ultime parole delle Storie.
Questo passo finale trova una qualche analogia nello scritto
del Corpus Hippocraticum[34]
Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn, in
quanto esso afferma che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il
clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana". Ho citato
Santo Mazzarino il quale aggiunge: "Si potrà forse osservare che il
concetto della connessione fra la terra e l'uomo non è portato, qui[35],
alle estreme conseguenze metodiche, come invece nello scritto (del corpus ippocrateo) Sui climi sulle acque sui luoghi, in cui le differenze tra Asiatici
ed Europei sono ricondotte al rapporto fra gli uomini e la natura del paese, e
le caratteristiche degli abitanti del Fasi-gialli di colorito, alti e grassi, inadatti
alle fatiche[36]-sono
riportate alle condizioni della loro regione paludosa e malsana. In Erodoto la
connessione terra-uomo c'è tuttavia"[37].
Pure Tito Livio stabilisce questa connessione quando
racconta lo scavalcamento delle Alpi da parte di Annibale: "Triduo inde ad planum descensum, iam et locis mollioribus et accolarum
ingeniis " (21, 37), in tre giorni di lì si scese alla pianura, dove
oramai erano più miti sia i luoghi sia i caratteri degli abitanti. Più avanti
Tito Livio trattando di alcune regioni della Macedonia fa una considerazione
analoga: “Frigida haec omnis duraque
cultu et aspera plaga est; cultorum quoque ingenia terrae similia habet” (45,
30, 6), è fredda tutta questa zona e dura e difficile a coltivarsi: ha simili
alla terra anche le indoli degli abitanti.
L’influenza del resto è reciproca: “Ciò che rende bello un
luogo è l’umanità che vi aleggia. Non è saggio colui il quale, potendo
scegliere, non si insedia tra gli esseri veramente umani”[38].
Seneca nel De ira afferma che per governare è
necessaria una natura equilibrata, non intrattabile, e questa ha bisogno di un
clima mite: "nemo autem regere potest nisi qui et regi. Fere itaque
imperia penes eos fuere populos qui mitiore caelo utuntur. In frigora
septentrionemque vergentibus immansueta ingenia sunt, ut ait poeta "suoque
simillima caelo" (II, 15), nessuno del resto può governare se non può
anche essere governato. Perciò gli imperi in generale si sono trovati presso
quei popoli che fruiscono di un clima più mite. Sono feroci le indoli esposte
al freddo e al settentrione, e, come dice il poeta, "molto somiglianti al
loro cielo".
Qualche luogo simile può trovarsi nella Germania[39]
di Tacito: un luogo inameno bagnato da un mare horridum et ignotum, terribile,
ignoto e poco desiderabile: "quis porro…Germaniam peteret, informem
terris, asperam caelo, tristem cultu aspectuque, nisi si patria sit?"
(2), chi andrebbe in Germania, dal territorio desolato, dal clima inclemente, squallida
ad abitarsi e a vedersi, se non fosse la patria?
I nativi (indigenae) costituiscono una razza non
contaminata e hanno un aspetto che risente della loro terra: "truces et
caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida (4),
occhi[40]
feroci e azzurri, chiome rossicce, grandi corpi e gagliardi solo per l'assalto.
Subito dopo (5) Tacito ribadisce che la terra è silvis
horrida aut paludibus foeda, irta di selve, oppure orribile per le paludi.
Negli Annales Germanico prima della battaglia di
Idistaviso (16 d. C.) descrive l’aspetto dei Germani come visu torvum (II,
14), minaccioso a vedersi.
La Medea di Seneca, quando vuole assumere la ferocia massima
negando la propria femminilità, dice a se stessa: "pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum
mente indue" (Medea, vv. 42-43), scaccia le paure
femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Il Caucaso, situato tra
il Mar Nero e il Mar Caspio, significa un luogo selvaggio[41]
che, indossato psicologicamente, rende feroce la persona: " un ambiente
fisico reale-sorgente, primavera, albero, crocicchio- è animato…Le nostre anime
sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime…La vita ecologica è anche
vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci
te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[42].
Curzio Rufo impiega questo topos estendendolo fino al determinismo
vestiario. Alessandro sottomise gli Aracosii[43],
e si addentrò tra i Parapamĭsădae[44]:
agreste hominum genus et inter barbaros
maxime inconditos. Locorum asperitas hominum quoque ingenia duraverat” (Historiae Alexandri Magni 7, 3, 6), razza
di gente rozza, e, tra i barbari, i più incivili. L’asprezza dei luoghi aveva
indurito anche l’indole degli uomini.
Il Macedone dal canto suo imitava la
magnificenza persiana. Si mise sul capo purpureum
diadēma distinctum albo, un
diadema purpureo guarnito di bianco, come quello di Dario, vestemque Persicam sumpsit, e adottò l’abbigliamento persiano, sostenendo
di portare le spoglie dei vinti, ma, commenta Curzio Rufo, “cum illis quoque mores induerat, superbiamque
habitus animi insolentia sequebatur” (6, 6, 4-5), con quelle aveva
indossato anche i costumi, e allo sfarzo dell’abbigliamento esterno teneva
dietro l’arroganza interna.
Leopardi nello Zibaldone assume la teoria ippocratica
della connessione fra la terra e l'uomo in lode degli Italiani e dei
Marchigiani in particolare: "Ne' luoghi d'aria sottile, gl'ingegni
sogliono esser maggiori e più svegliati e capaci, e particolarmente più acuti e
più portati e disposti alla furberia. I più furbi p. abito e i più ingegnosi p.
natura di tutti gl'italiani, sono i marchegiani: il che senza dubbio ha
relazione colla sottigliezza ec. della loro aria[45].
Similmente gl'italiani in generale a paragone delle altre nazioni. Mettendo il
piede ne' termini della Marca si riconosce visibilmente una fisonomia più viva,
più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello de'
convicini, né de' romani stessi che pur vivono nella società e nell'uso di un
gran capitale" (p. 3891).
Quindi Nietzsche: " Vediamo un po' in quali luoghi si
trovano o si sono trovati uomini di grande spirito, dove l'arguzia, la
raffinatezza, la cattiveria facevano parte della felicità, dove il genio si
trovava quasi necessariamente a casa: tutti sono contraddistinti da un'aria
particolarmente asciutta. Parigi, la Provenza, Firenze, Gerusalemme, Atene-questi
nomi stanno a provare qualcosa: che il genio è condizionato dall'aria
asciutta, dal cielo puro-e questo vuol dire metabolismo rapido, possibilità di
attirarsi continuamente grandi, e anche enormi, quantità di forza"[46].
Il paesaggio può ricevere anche il ruolo di Mentore: H. Hesse
in Peter Camezind scrive: "Le montagne, il lago, le tempeste e il
sole erano i miei educatori ed amici che per molto tempo mi furono più cari
degli uomini e del loro destino"[47]
[1] E. Morin, La testa ben fatta,
p. 15 e p. 18.
[2] T. S. Eliot, La terra
desolata, vv. 301-302
[3] T. S. Eliot, Gerontion, (del
1920) v. 16.
[4]P.
Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 22, p. 75 e p. 187.
[5]
P. Mastrocola, op. cit., p. 174.
[6]
“I filosofi studiati sul manuale diventan tutti odiosi” (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 12).
[7]
Ecce homo, p. 14.
[8]
Lettera
a una professoressa
(p. 39).
[9]
La testa ben fatta, p. 20.
[10]
1623-1662.
[11] B. Pascal, Pensieri, p. 143.
[12]
1623-1662
[13]
427-347 a. C.
[14]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, del 1880, p. 402.
[15]
Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[16] Un re buono, afferma lo stesso Ulisse nel XIX canto
dell'Odissea. parlando con Penelope, porta il popolo alla prosperità: "Raggiunge
l'ampio cielo la tua fama, / come quella di un re irreprensibile che pio, /
regnando su molti uomini forti, /tenga alta la giustizia; allora la nera terra
produce/ grano e orzo, gli alberi si appesantiscono di frutti, /figliano
continuamente le greggi e il mare offre i pesci, /per il suo buon governo, insomma
prosperano le genti sotto di lui" (vv. 108-114). Il ribaltamento di questa
situazione è il re negativo, cattivo e malato, che contamina la sua terra, rendendola
sterile e sconciandola quale mivasma. Come si scopre essere
il protagonista dell'Edipo re che
perciò si allontana da Tebe.
[17]
L'altro lato della stessa
concezione secondo la quale il bene e il male di un solo uomo ridondano in
favore e in danno di una città intero lo troviamo nel secondo archetipo della
poesia greca, cioé in Esiodo (Opere, vv.
240-244: "Pollavki kai;
xuvmpasa povli" kakou' ajndro;" ajphuvra-oJv" ti"
ajlitraivnh/ kai; ajtavsqala mhcanavatai.
-Toi'sin d j oujranovqen meg j
ejpevgage ph'ma Kronivwn-limo;n oJmou' kai; loimovn: ajpofqinuvqousi de; laoiv.
-Oujde; gunai'ke" tivktousin, minuvqousi de; oi\koi", spesso anche un'intera
città soffre per un uomo malvagio, /uno che si rende colpevole e architetta
scelleratezze. /Su di loro dal cielo il Cronide fa piombare grandi malanni, /fame
e peste insieme, e le genti vanno in rovina, /le donne non fanno figli e le
case diminuiscono". Infatti quando sbaglia solo Prometeo tutti gli
uomini pagano.
[18]
Del 390 a. C.
[19]
200 ca-118 ca a. C.
[20]
Il famigerato demagogo bersagliato da Aristofane ed esecrato, probabilmente
calunniato, da Tucidide. Fu il beniamino del popolo dopo la morte di Pericle, fino
al 422 quando morì combattendo ad Anfipoli.
[21]
Comandante della flotta ateniese ai tempi di Demostene
[22]
1605-1606.
[23]
Cfr. Shakespeare, Coriolano, V, 1.
[24]
Inferno, XXXIII, 79.
[26].
Jacob Burckhardt, Storia della civiltà
greca (1902), vol II, p. 214.
[27]
In tre libri, scritti nel 55 d. C. per Nerone diciottenne, con l’intento, forse,
di distoglierlo dall’ammazzare Britannico.
[28]Purgatorio
XVI, 103-105.
[29]
Del 1510.
[30]
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,
p. 298.
[31]
G. Ugolini, Lexis, p. 346.
[32]
E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, p. 295.
[33]
Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[34]
I cui scritti furono prodotti tra il V e il IV secolo.
[35]Sta
commentando le Storie di Erodoto
dove" Ellèni e barbari sono studiati... in rapporto al nesso causale fra
la terra in cui vivono e la forma della loro esperienza umana", Il pensiero storico classico, I, p. 160.
[36]Precisamente:
"prov"
te to; talaipwrei'n to; sw'ma ajrgovteroi pefuvkasin,
[37]Il pensiero storico classico, I, p. 161.
[38]
Confucio citato da K. Jaspers in I grandi
filosofi, p. 255.
[39]
Del 98 d. C.
[40] Che sono la parte più significativa del corpo umano.
[41]
Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre 2004.
[42]
J. Hillman, Variazioni su Edipo, p. 96.
[43]
Nell’attuale Afganistan.
[44]Il
Parapamisus corrisponde all’attuale
Hindukush.
[45] L'alta considerazione dei marchigiani sembra
risentire di questo passo di Cicerone: "Athenis tenue caelum, ex quo
etiam acutiores putantur Attici " (Cicerone, De fato, 7), ad
Atene l'aria è limpida, e anche per questo gli Attici sono ritenuti più
perspicaci.
[46]
Ecce homo, p. 25.
[47]
H. Hesse, Peter Camezind. p. 12.
Caro Gianni,altro bellissimo pezzo. L'unico punto che mi lascia perplessa riguarda la bocciatura. Andrebbe semmai pensata diversamente...alle elementari sarebbe buona norma riflettere che se permettiamo l'anticipo dovremmo consentire anche il posticipo del primo anno. Inoltre, ritengo che, in caso di assenze prolungate ,si dovrebbe prendere in considerazione un anno di sosta.Non ultimo ,valuterei bene un fermo di quei ragazzi, figli di buona famiglia, che si divertono ad interrompere le lezioni per gioco, e per scherno, degli insegnanti e dei compagni studiosi: indipendentemente dai risultati raggiunti.Leggerti è sempre un piacere , Giovanna Tocco
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