Friedrich Nietzsche |
La necessaria
indipendenza di giudizio. Lo studente deve diventare kritikov~ : deve arrivare a
dare un’interpretazione sua. Luperini: ogni interpretazione è relativa; c’è un
nesso che unisce l’interpretazione alla democrazia. Pohlenz e Cratete che a
Pergamo compenetra la filologia di spirito filosofico e rivendica “l’antico
nome di kritikov~”. Interpretazioni (filosofiche
e letterarie) della Storia. La “Storia critica” di Nietzsche. Mazzarino: lo
“storicismo” antico di Senofonte e di Isocrate. La Penna: lo storicismo romano
identifica l’antica res publica con lo stato ideale ed è reazionario come ogni storicismo.
La razionalità del reale e l’interpretazione opposta: la storia come
distruzione totale, incubo e labirinto: l’Ulisse
di Joyce e Gerontion di T. S. Eliot. L’eterno
presente della storia (The waste land).
La storia come palinsesto. Caligola e Cremuzio Cordo. Altri storiografi martiri:
Tito Labieno e Trasea Peto. Orwell e uno scrittore cinese: Qiu Xiaolong. Galimberti
e l’atteggiamento critico-eretico senza il quale il pensiero si impoverisce. Ibsen:
l’unica moralità consiste nell’indipendenza di giudizio. P. P. Pasolini: Scuola senza feticci: “la critica
dovrebbe essere la prima cosa da coltivare in un ragazzo”
Gli ossimori possono stimolare lo spirito critico. Bruto e
Amleto sono ossimori viventi, e Cristo è segno di contraddizione.
Il docente dovrebbe
procurare al giovane il possesso degli strumenti che lo mettano nella
condizione del kritikov", ossia
del lettore capace di dare un giudizio (krivsi")
autonomo, cioè di giudicare (krivnein)
con un criterio suo, eppure non arbitrario, l'opera in questione.
“L’insegnare non è quasi altro che assuefare” sostiene
Leopardi[1].
Ebbene l’insegnante deve assuefare il giovane a pensare con la sua testa, quella
del giovane.
“L’interpretazione…è consapevole della propria relatività e
problematicità. Mentre dunque interpretare abitua il giovane ad assumersi la
responsabilità di cercare e indicare un significato, gli insegna anche che i
significati sono infiniti e che ogni interpretazione è destinata a essere
superata. Abitua ad assumere la parzialità e la relatività del proprio punto di
vista e a inserirla all’interno di una civiltà che può progredire proprio
grazie all’intreccio di diverse interpretazioni. Se ogni interpretazione è
relativa, è tuttavia necessaria perché è grazie a essa che il patrimonio di
valori sarà continuato e arricchito, selezionato e tramandato al futuro. L’abitudine
all’interpretazione forma nello studente il cittadino critico e responsabile, rispettoso
degli altri e del testo che ha davanti, ma pronto a battersi per la propria
idea…Puntare sulla interpretazione e sulla attualizzazione del testo, motivare
le ragioni per cui lo leggiamo e valorizziamo, significa interrogarsi sul mondo,
scommettere su un suo senso possibile, confrontare valori con valori. In un
mondo in cui ogni valore appare azzerato in un magma indifferenziato, la scuola
ha oggi il dovere terribile di non arrendersi, di tentare e di prefigurare una
civiltà come dialogo e come conflitto di interpretazioni libero da dogmatismi e
da verità precostituite. Sta qui…il nesso che unisce il problema della
interpretazione a quello della democrazia ”[2].
Sul significato di kritikov~
posso aggiungere alcune parole del Pohlenz che chiarisce l’indirizzo critico
degli stoici pergameni contrapposti ai filologi analogisti alessandrini: "Cratete[3],
invece, si pose lo scopo preciso di compenetrare di spirito filosofico la
filologia, di cui era insegnante a Pergamo. In antitesi con i
"grammatici" alessandrini egli rivendicò l'antico nome di kritikov", dandogli però un
significato nuovo, intendendo cioè che solo un'esegesi della poesia fondata su
una conoscenza filosofica e "giudicante" porta a una vera
comprensione della poesia stessa e mette in grado di giudicarla correttamente. Infatti,
per quanto ricercasse in un componimento poetico l'armonia e lo stile, da buono
stoico rinveniva il suo vero valore nel contenuto di pensiero e nelle tracce
del logos divino, che devono essere
presenti in ogni poesia veramente grande"[4].
Anche la storia può e deve essere studiata con spirito
critico. Abbiamo già visto in capitoli precedenti (4, 5, 6) la necessità dello
studio della storia e le diverse possibilità di approccio.
Ora torniamo sull’argomento riprendendo la prospettiva
filosofica e quella letteraria.
Sentiamo Nietzsche: “Sono
questi i servigi che la storia può rendere alla vita; ogni uomo e ogni popolo
ha bisogno, secondo le sue mete, forze e necessità, di una certa conoscenza del
passato, ora come storia monumentale[5],
ora come storia antiquaria[6]
e ora come storia critica”[7].
La storia “hegelianamente intesa
la si è chiamata con scherno il cammino di Dio sulla terra…per Hegel il vertice
e il punto terminale del processo del mondo si sono identificati con la sua
stessa esistenza berlinese…egli ha istillato nelle generazioni da lui lievitate
quell’ammirazione di fronte alla “potenza della storia", che praticamente
si trasforma a ogni istante in nuda ammirazione del successo e conduce
all'idolatria del fatto…Se ogni successo contiene in sé una necessità razionale,
se ogni avvenimento è la vittoria di ciò che è logico o
dell'"idea"-allora ci si metta subito giù in ginocchio e si percorra
poi inginocchiati l'intera scala dei "successi! "[8].
Ma l’uomo “ovunque egli è virtuoso… si ribella alla cieca
forza dei fatti, alla tirannia del reale…Egli nuota sempre contro le onde della
storia[9]…mentre
la menzogna intesse tutto intorno a lui le sue reti scintillanti…Fortunatamente
essa serba però anche la memoria dei grandi che lottarono contro la
storia, cioè contro la cieca forza del reale…La grandezza non può dipendere dal
successo, e Demostene ebbe grandezza, benché non avesse successo"[10].
A Nietzsche lo storicismo “appare la consolatoria patina
ottimista sovrapposta alla reale irrazionalità e alle reali contraddizioni
della vita, una mistificazione della verità operata dall’ideologia al potere”[11].
Santo Mazzarino ricorda che “in un suo libro, ormai celebre,
su The open society and its enemies (1950),
Karl. R. Popper ha ricondotto lo “storicismo” a Platone, ed anche più indietro.
Questa terminologia è del tutto moderna…assai difficilmente essa può adattarsi
alla cultura antica. Tuttavia, se
"storicismo" significa un'accettazione della storia con le sue
implicazioni autoritarie (come vuole Popper), forse questa parola, meglio
che a Platone, potrà adattarsi (sia pure con infinite riserve) a Isocrate e
Senofonte. Di questi due uomini, infatti, si può dire ch'essi hanno intuito il
corso della storia del loro tempo; Isocrate soprattutto, ma anche Senofonte... Il
corso della storia: che si svolgeva, appunto, verso la prevalenza di forti
personalità (come furono Iason[12],
in qualche modo, ma soprattutto Filippo), capaci di intendere che l'avvenire
del mondo ellenico era in terra d'Asia, e si affidava al disgregamento
dell'impero persiano. Nelle Elleniche
Senofonte fa dire a Iason: "io ritengo che assoggettare il re dei Persiani
sia ancora più facile che assoggettare l'Ellade" (VI, 1, 12): sono parole
scritte, come abbiamo visto, verso il 358/355. Ma già nel 380, scrivendo il Panegirico....
Isocrate... aveva dichiarato che il re dei Persiani poteva essere vinto, e
doveva; proprio questo fu il tema del Panegirico ; e gli argomenti di esso erano tratti, come si direbbe
in termini hegeliani, dalla razionalità della storia passata. "Nessuna di
queste cose" diceva allora, nel 380, Isocrate "avvenne senza
ragione"[13]
(Isocr. IV 72). In questa razionalità
del reale, è dunque, se si vuole, quel tanto di "storicismo che troviamo
in Isocrate e Senofonte "[14].
Sentiamo alcune parole di La Penna sullo storicismo dei
Romani: “la classe politica romana elaborò una concezione originale di grande
portata: è ciò che viene chiamato, con analogia non infelice, lo “storicismo”
romano. La sua espressione più profonda si trova in apertura del II libro del De re publica: lo stato romano non è una
creazione di un solo uomo e di una sola età, ma creazione di molte generazioni
attraverso molti secoli. La serenità della vecchiaia nel Cato maior deve molto al senso della vita umana come momento
fattivo di una lunga tradizione…la res
publica romana del passato, prima della malattia presente, incarna già lo
stato ideale o, almeno, è il migliore degli stati possibili. Sarebbe
interessante cercare quanto questa concezione dello stato come organismo che si
sviluppa senza rivoluzioni abbia influito sulla nascita e la crescita dello
storicismo moderno; lo studio delle istituzioni nella storiografia moderna è
impregnato non poco di quella concezione; Montesquieu partì dallo studio delle
istituzioni; Vico dedica una parte cospicua della sua opera al diritto romano. Probabilmente
una ricerca del genere confermerebbe ciò che sappiamo già per altre vie, vale a
dire che lo storicismo è sempre reazionario”[15].
L’interpretazione opposta a quella storicistica.
“La storia è sottomessa al caso, a perturbazioni e a volte a
terribili distruzioni di massa di popolazioni e di civiltà”[16].
Nell’Ulisse di
Joyce la storia è vista “come distruzione totale, distruzione appunto delle
dimensioni storiche, il tempo e lo spazio. Non a caso l’argomento di storia è
Pirro, che, con la sua affermazione, “un’altra vittoria come questa e siamo
spacciati”[17],
diventa emblematico della Storia stessa, concepita unicamente come elemento
distruttore”[18].
Si tratta del secondo capitolo del romanzo: “Nestore, la
scuola”. Il giovane Stephen Dedalus, dal “nome assurdo, da greco antico”[19],
tiene una lezione di storia a ragazzi disattenti. E riflette: “Se Pirro non
fosse caduto ad Argo per mano di una vecchiaccia, o Giulio Cesare non fosse
stato ucciso a coltellate. Cose che non si possono abolire col pensiero…O fu
possibile soltanto ciò che avvenne? Tessi, tessitore del vento”[20].
“Ironizzando sul proprio atteggiamento, Stephen può
concludere la sua prima meditazione sulla storia con il commento rivolto a se
stesso: Weave, weaver of the wind, “Tessi,
tessitore del vento”. Stephen descrive così il proprio processo mentale, e
definisce al tempo stesso l’oggetto del suo pensiero, la storia, vuota di
senso…I suoi movimenti epifanici sono battaglie sanguinose, la rovina dello
spazio e la livida fiamma finale, quando il tempo sembra fermarsi o rimbalzare
indietro”[21].
“Certàmi. Il tempo scosso rimbalza, scossa su scossa. Certàmi, limo e frastuono
di battaglie, la bava della morte raggelata sugli uccisi, un urlo di lance
adescate con sanguinolente interiora umane”[22].
“E nella pagina
seguente troviamo l’affermazione di Stephen (poco importa se echeggia Laforgue:
L’histoire est un vieux cauchemar bariolé):
-History, -Stephen said, -is a nightmare from
which i am trying to awake”[23]. La storia, disse Stephen, è
un incubo da cui cerco di destarmi”[24].
Passiamo a Gerontion
di T. S. Eliot: qui la visione della storia è diversa da quella presente in Che cos’è un classico? già menzionato (6).
Vediamola: “
Vacant shuttles/weave the wind…After such Knowledge, what forgiveness?
Think now/History has many cunning passages, contrived corridors/And issues, deceives
with whispering ambitions, /Giudes us by vanities”[25], spole vuote tessono il vento… dopo
una tale conoscenza, cos’è mai il perdono? Pensa ora, la Storia ha molti
anditi ingannevoli, corridoi artificiosi e varchi, ci inganna con sussurranti
ambizioni, ci guida con le vanità”.
“Gerontion, il
monologo di un vecchio la cui saviezza è giunta al punto in cui ha compreso di
non saper nulla, è una meditazione sulla storia, e il protagonista può essere
considerato la personificazione della storia stessa…L’immagine usata da Stephen
in Ulysses, “ Tessi, tessitore del
vento”[26],
si fa qui più precisa: il Tempo e la Storia, tessitori di vento, esercitano la
loro azione su individui umani ridotti a meri nomi…Gerontion stesso, la sua
mente, la sua casa-tutte epifanie della Storia e dell’uomo nella storia, sono
come le vuote conchiglie nello studio di Mr Deasy[27],
aride e abitate dal vento. E’ un motivo annunciato fin dal primo verso,
Here I am, an old man
in a dry month[28]
e ripetuto a
intervalli regolari:
I an old man
e ancora:
An old man in a draughty house
Under a windy knob[30]
Per essere ripreso più
ampiamente nei versi finali:
And an old man driven by the Trades
To a sleepy corner.
Tenants of the house,
La Storia, dunque, il movimento nel tempo e nello spazio, la
consapevolezza del passato nel presente, è essenzialmente impostura, un
labirinto in cui l’uomo si perde e da cui viene alla fine distrutto. In questo
momento, nel 1919, sotto l’impressione ricevuta da un immane inutile massacro, Eliot
condivide la concezione joyciana della storia come incubo[32];
ed entrambi cercano vie d’uscita, modi per svegliarsi. L’unica differenza
sostanziale fra l’idea della storia espressa in Gerontion e quella nel secondo capitolo dell’Ulysses è che, mentre lo Stephen di Joyce si rifiuta
categoricamente di ammettere l’esistenza stessa del soprannaturale come via
d’uscita dall’incubo, il Gerontion di
Eliot ne è consapevole ma ne ha paura”[33].
In Gerontion la storia non presenta
alcun momento trascendente; essa è priva di logos, è un labirinto ingannevole. Labirinto
della storia che corrisponde al labirinto della coscienza la quale perde la
bellezza nel terrore e il terrore nella ricerca, una inquisition (v. 60) che è non solo indagine, iJstorivh, ma anche Inquisizione, degenerazione
terroristica della Chiesa di Cristo. Quindi c’è la perdita della vitalità, della passione: “I have lost my passion: why should I need to
keep it/Since what is kept must be adulterated?” (vv. 61-62), ho
perduto la mia passione: perché dovrei conservarla, dal momento che quanto si
conserva deve adulterarsi? Gli ultimi versi della poesia evocano di nuovo
l’aridità del primo verso[34]:
“Tenants of the house/Thoughts of a dry
brain in a dry season” (vv. 79-80), padroni della casa, pensieri di un
arido cervello in un’arida stagione.
Rimane il fatto che l’uomo deve porsi il problema della
Storia per conoscersi e che tutta la Storia deve essere chiamata in causa per
capire l’uomo. Gerontion mostra una
storia caotica e ingannevole, ma con una presenza eterna e simultanea.
Nella
successiva The Waste Land (1922) ritorna questo eterno presente della Storia: “Unreal City, /Under the brown fog of a
winter dawn, /A crowd flowed over London Bridge, so many, /I had not thought
death had undone so many. …There I saw one I knew, and stopped him, crying: ‘Stetson!/You
who were with me in the ships at Milae!” (vv. 59-62 e vv. 69-70), Città
irreale/sotto la nebbia scura di un’alba d’inverno, una folla scorreva sul
London Bridge, così tanta, che io non avrei creduto che morte tanta n’avesse
disfatta…Là vidi uno che conoscevo, e lo fermai, gridando: “Stetson, tu che eri
con me sulle navi, a Myle![35]”.
Più avanti Eliot si volge dalla terra desolata alla terra
promessa e la Storia viene assunta nella prospettiva dell’eterno. Nell’ultimo
dei Quattro quartetti, Little Gidding (del 1942), il poeta
afferma: “A people without history/Is not
redeemed from time, for history is a pattern/Of timeless moments” (vv. 236-238),
un popolo senza storia non è redento dal tempo, poiché la storia è un paradigma
di momenti senza tempo.
Lo sguardo critico può portare a vedere la storia come
palinsesto: Quando un regime cambia, ci possono essere rivalutazioni o nuove
condanne secondo l'interesse o la simpatia del despota, o anche del governo
democratico: Tito Labieno (soprannominato Rabienus
per la sua rabbia contro i vincitori) si uccise per non sopravvivere alla
sua opera, che Augusto fece
bruciare, siccome esaltava la libertas.
Cremuzio Cordo chiamava Cassio, il cesaricida "ultimo
dei Romani"[36].
"Anche del senatore Cremuzio Cordo furono bruciati i
libri, per ordine di Seiano, il celebre prefetto del pretorio di Tiberio; ed egli, accusato, s'era
lasciato morire di fame. (La sua autodifesa fu un'esaltazione della libertà di
pensiero storico)... Caligola fece
tornare alla luce gli scritti di Labieno e di Cremuzio: "è nel mio
interesse" diceva "che la storia sia conosciuta" (ut facta quaeque posteris tradantur: Suet.
Cal. 16, 1): un punto di vista che
entra nella tendenza antitiberiana, e nella ricerca della popularitas, con cui Caligola, ai suoi inizi, si presentò come un
monarca, a suo modo, costituzionale… Sotto Nerone, il padovano Trasea Peto "la virtù in persona[37]",
come lo definì Tacito, si uccise[38]
accusato di lesa maestà[39]:
aveva scritto una monografia su Catone
Uticense. Questi storici capaci di eroismo sapevano benissimo che le
loro opere, seppur con varie gradazioni, non solo difendevano l'antico regime, ma
in realtà ponevano in questione lo stesso principato"[40].
Torneremo sull’argomento al cap. 58.
La riabilitazione di Tito Labieno e Cremuzio Cordo fa
pensare ai vari “revisionismi” recenti.
Tutto questo corrisponde alla concezione orwelliana della storia come palinsesto: "La
Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della
scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante si sarebbe reso
necessario"[41].
“A quei tempi, lo splendore e la gloria erano rappresentati
come qualcosa di decadente, di malvagio, realizzato sfruttando la classe
lavoratrice. Allora si dava importanza a ciò che stava dietro alle ricchezze, e
questo tipo di enfasi aveva giustificato la rivoluzione comunista. E anche a
ragione, fino a un certo punto. A essere cambiato era il tipo di enfasi, che
adesso veniva destinato alla facciata, allo splendore e alla gloria, un’enfasi
che adesso giustificava il rovesciamento della rivoluzione comunista, anche se
l’autorità di partito non lo avrebbero mai ammesso.
Chen era confuso. Nei libri di testo la storia era come una
serie di palle colorate nelle mani di un giocoliere”[42].
Concludiamo il capitolo tornando a raccomandare lo spirito
critico.
"L’atteggiamento critico è diventato l'atteggiamento
eretico, quando la Chiesa poteva bruciare i dissenzienti. Ed è diventato
atteggiamento da guardare con sospetto quando si assume un atteggiamento
critico nei confronti di quello che è l'assestamento del sapere e della
verità"[43].
Senza la capacità critica il pensiero si impoverisce: "perché pensare non
significa trasmettere velocemente dei dati ma significa elaborare
dei dati"[44].
"L'unica moralità, piaccia o no, consiste
nell'indipendenza di giudizio, nel libero pensiero"[45].
Roberto Pretagostini ha affermato che "la scuola deve
esaltare l'originalità che c'è in ognuno di noi".
“ E’ dimostrabile che il ragazzo fin dai primi momenti debba
acquistare coscienza non solo della propria eccezionalità ma anche di quella
degli altri, venendo così a porsi nei confronti dell’esistenza in uno stato
d’animo critico e polemico. Anzi la critica dovrebbe essere la prima cosa da
coltivare in un ragazzo, anche se questo dovesse costare la caduta di
un’infinità di idoli: primo idolo da far cadere è l’insegnante
stesso…L’obiettivo della nostra polemica non è il professore severo ma il
professore convenzionale…Ma come suscitare nel ragazzo il gusto della critica e
provocare la caduta degli idoli? Evidentemente immettendolo in un clima di
scandalo e di incertezza, in cui le cose “eterne” non siano quelle imparate a
memoria, ma quelle che più somigliano alle vocazioni che sono in lui (per
esempio, quelle che si presentano mentre gioca): la passione a creare, la
curiosità, l’impulso a impadronirsi”[46].
La critica può essere davvero “a creation within a creation”[47],
una creazione dentro la creazione.
Gli ossimori, che sono
costituiti da contraddizioni, mettono in crisi i luoghi comuni dell'ortodossia
e possono stimolare le facoltà critiche del ragazzo: Antigone ha compiuto
un'illegalità santa (o{sia panourghvsa" j, v. 74) ;
Bruto e Amleto sono addirittura ossimori viventi[48]:
"ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia. Diciamo
meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che il
significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron,
è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che
Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle
figure retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[49].
Del resto il Cristo è segno di contraddizione, signum cui contradicetur, ut
revelentur ex multis cordibus cogitationes (Luca, 2, 34-35), perché siano
svelati i pensieri da molti cuori. Anche a te, dice a Maria Simone, uomo giusto
e timorato di Dio, anche a te una spada trafiggerà l’anima.
“L’economia del dono: un
ossimoro che rende felici, e che funziona. Come l’opulenza frugale, l’abbondante
sobrietà: la via delle contraddizioni apparenti, l’unica strada possibile per
cambiare. Uno shock ossimorico: solo le parole, e i loro anagrammi talvolta, fanno
capire cosa veramente ci serve”[50].
[1]
Zibaldone, 1727.
[2]
R. Luperini, Op. cit., p. 113.
[3] II sec. a. C. (ndr).
[4]M.
Pohlenz, La Stoa, 1, p. 365.
[5]
Cfr. cap. 4, 1.
[6]
Cfr. cap. 6.
[7]
F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, p. 103.
[8]
F. Nietzsche, op. cit., pp. 137-138.
[9] Cfr. S. Benni: “Solo i pesci morti vanno con la
corrente”, Margherita dolcevita, p. 143
(ndr).
[10]
F. Nietzsche, op. cit., p 139 sgg.
[11]
C. Magris, Dietro le parole, p. 90.
[12]
Giasone, tiranno di Fere in Tessaglia, dal 390 ca. a. C. Divenne anche tago (comandante supremo) della
Tessaglia. Raggiunse il massimo prestigio nell’anno della battaglia di Leuttra
(371), con la vittoria di Epaminonda, del quale era alleato. Venne però assassinato
nel 370 durante una rassegna militare da un gruppo di cavalieri congiurati (Senofonte,
Elleniche, VI, 4, 16-32) (ndr).
[13]
Non ho trovato queste parole nel luogo indicato del Panegirico. Il senso complessivo tuttavia non è discordante (ndr).
[14]
S. Mazzarino, Il pensiero storico
classico, I, pp. 368-369.
[15]
A. La Penna, Aspetti del pensiero storico
latino, p. 14.
[16]
Morin, La testa ben fatta, p. 60.
[17]
J. Joyce, Ulisse, p. 33 (ndr).
[18]
G. Melchiorri, I funamboli, p. 115.
[19]
Ulisse, p. 6.
[20]
Ulisse, p. 35.
[21] G. Melchiorri, I
funamboli, p. 115. Cfr. “Et ducibus
tantum de funere pugna” di Lucano (Pharsalia,
VI, 811), i duci combattono solo per il luogo della loro morte.
[22]
Ulisse, p. 45.
[23]
G. Melchiorri, I funamboli, p. 116.
[24]
Ulisse, p. 47.
[25]
T. S. Eliot, Gerontion (del 1920), vv.
29-30 e 35-37).
[26]
Questa espressione si trova nel II capitolo dell’Ulisse di Joyce, Nestore, la scuola, p. 33 (ndr).
[27]
Il preside della scuola, filoinglese con venature antisemite. L’Ulisse (del 1922) è ambientato a Dublino.
[28]
Eccomi, un vecchio in un mese arido.
[29]
Io un vecchio, una testa intronata fra spazi ventosi.
[30]
Un vecchio in una casa piena di spifferi, sotto un monticello ventoso.
[31]
Un vecchio sospinto dagli alisei in un angolo sonnolento. Inquilini della casa
i pensieri di un arido cervello in un’arida stagione.
[32]“
La storia, disse Stephen, è un incubo da cui cerco di destarmi” (Ulisse, p. 47) ndr
[33]
G. Melchiori, I funamboli, pp. 120 ss.
[34]
Here I am, an old man jn a dry month,
eccomi, un vecchio in un mese arido.
[35]La
battaglia di Milazzo, del 260 a. C., durante la prima guerra guerra punica. I
Romani sbaragliarono i Cartaginesi.
[36]
"Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus Cremutius Cordus postulatur
novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus laudatoque M. Bruto C.
Cassium Romanorum ultimum dixisset", Tacito, Annales, IV, 34, sotto
il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa (25 d. C.) viene citato in
giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima
volta: pubblicati degli annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva
chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
[37]
"Nero virtutem ipsam excindere concupivit interfecto Thrasea Paeto",
Annales, XVI, 21, Nerone volle uccidere la virtù in persona con
l'ammazzare Trasea Peto.
[38]
Nel 66 d. C.
[39] Cassio Dione racconta la morte di Trasea Peto e di Sorano
che non ebbero l’accusa di cospirazione (ejpiboulh'~ me;n aijtivan
oujk e[scon,
62, 26), ma morirono o{ti toiou'toi h\san, poiché erano fatti così. Peto era
odiato poiché non ascoltava Nerone.
[40]S.
Mazzarino, Il pensiero storico classico,
3, p. 64.
[41]G.
Orwell, 1984.
[42]
Qiu Xiaolong, Quando il rosso è nero,
p. 200.
[43] U. Galimberti, La lampada di
Psiche, p. 25.
[44] U. Galimberti, op. cit., p. 70.
[45]
H. Ibsen, Un nemico del popolo (del 1882), atto IV..
[46]
P. P. Pasolini, Scuola senza feticci,
(“Il Mattino del popolo”, 25 dicembre 1947) in Pasolini) sulla politica e sulla
società, p. 57.
[47] O. Wilde, The critica s artist, p. 67.
[48]
Vedi il mio La donna abbandonata, p. 133.
[49]
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 86.
[50]
A. Segré. Economia a colori, p. 96.
Ciao Gianni,queste metodologie sono dense di significati e di spunti: fanno pensare.Temo che i tempi della scuola ,in questa fase ,non siano adeguati ad uno studio che vede protagonista il pensiero divergente.
RispondiEliminaLa mia impressione di maestra è che si corra molto e si pensi poco, si affastellano gli obiettivi didattici in una corsa a dimostrare di aver somministrato più che insegnato.
Si nega, di fatto , il tempo di pensare ai discenti. Inoltre questi insegnamenti sono semplicistici....quasi si dovesse riempire il tempo degli studenti invece dei cervelli. Insomma mi pare un mangiare americano,veloce e omologato. Che ingrassa senza nutrire. Grazie per le cose che scrivi.Giovanna Tocco
Grazie Gianni , leggo e concordo i tuoi meravigliosi scritti, sempre con molto piacere. Un abbraccio affettuoso Francesca
RispondiEliminaComplimenti , molto interessante. Francesca
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