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sabato 19 marzo 2016

Ghenos e famiglia. Parte II

Erich Fromm

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"In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti od opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, comune. Così , per Antigone, novmo" designa il contrario di ciò che Creonte, nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo". Per la fanciulla il termine significa "norma religiosa"; per Creonte, "editto promulgato dal capo dello Stato"[1].
Altrettanta ambiguità e impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi in cerca d'autore (parte prima) quando il padre dice: “Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!".
Il v. 915 si chiude, con l'invocazione al capo fraterno, come il v. 899.
"Gli interlocutori reali di Antigone sono i suoi morti[2], suo padre, sua madre (si noti al v. 898 l'improvviso scatto alla seconda persona e all'appello diretto), suo fratello Eteocle, e ovviamente, con particolare insistenza, suo fratello Polinice (cfr. vv. 902 ss.: al v. 915 Antigone usa per Polinice la stessa espressione e nella stessa sede metrica come aveva fatto per Eteocle: anche in questo i due fratelli sono accomunati da Antigone"[3]. -  a[gei me: il soggetto può essere una guardia di Creonte, o Creonte stesso, o addirittura la morte o un suo inserviente dal quale la ragazza si sente afferrata come l'Alcesti di Euripide da Caronte che le grida: “Tiv mevllei"; /ejpeivgou: su; kateivrgei"" (vv. 255 - 256), Perché indugi? affrettati: tu mi fai perdere tempo. - a[lektron: formato da aj -  privativo e levktron, "letto"; ajnumevnaion da ajnavv e uJmevnaio" , privo di canto nuziale già usato al v. 876, sono termini con i quali Antigone compiange il suo destino di moglie e madre mancata.
"Antigone muore vergine cioè non appagata nella sua identità sessuale, nella teleologia implicita del suo essere. Più e più volte, nel suo tormento e nei suoi lamenti, Antigone insiste su questa immaturità crudele, su ciò che le impedirà di essere sposa e madre, le due condizioni supreme dell'esistenza di donna. I versi 915 e seguenti sono quasi insopportabili per la precisione con cui esprimono il dolore: Antigone piange non solo l'annientamento della sua giovane vita, ma l'annientamento dentro di sé di quelle altre vite future che solo una donna può generare. Se nelle simmetrie della condizione mortale esiste una controparte alla tomba, questa è rappresentata dal letto nuziale e dal letto puerperale (così spesso uniti nelle immagini e nelle metafore). Nel quarto stasimo c'è uno strano, sovversivo accenno di consolazione. Il coro ricorda i crimini commessi dalle madri contro figli o contro figliastri. La maternità non è di per sè garanzia di amore e felicità"[4]. La negazione dell'amore è forse il tormento massimo per un essere umano: “in una natura femminile l'impassibilità è quanto di più vicino ci sia al tormento di una vera passione"[5]. L'inferno, afferma giustamente lo Stariez Zossima non è altro che "la sofferenza di non poter più amare"[6]. L'inferno è anche l'incapacità di essere riconosciuti, l'impossibilità di comunicare e l'assenza del prossimo: “ Il bisogno dell'altro è radicale; testimonia l'incompletezza del Me - Io quando è senza riconoscimento, senza amicizia e senza amore. Hugo ha pienamente ragione: “L'Inferno è nella parola solitudine"[7].
Il verso forse più noto ed emblematico dell'Antigone di Sofocle è il 523: “ ou[toi sunevcqeinajlla; sumfilei'n e[fun", certamente non sono nata per condividere l'odio ma l'amore.
Concludo la terza stazione di questo Calvario con due schede che mutuo dal mio commento all'intera tragedia di Sofocle[8].

Amore e umanesimo.
Legge naturale e personale dunque per Antigone è l'inclinazione ad amare, mentre il bando di Creonte è un editto di odio. La fuvsi" di Antigone non riconosce come naturale il khvrugma di Creonte. Tra i sofisti, oltre Antifonte, Ippia di Elide denuncia la discrepanza tra leggi della natura e leggi scritte dagli uomini che sanciscono differenze innaturali. Nel Protagora di Platone il sofista afferma: “ to; ga;r oJvmoion tw'/ oJmoivw/ fuvsei suggenev" ejstin, oJ de; novmo" tuvranno" wj;n tw'n ajnqrwvpwn polla; para; th; fuvsin biavzetai" (337d), infatti il simile è parente del simile per natura, mentre la legge, essendo tiranna degli uomini, in molti casi commette violenze contro natura.
La legge naturale dell'amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo "tiranno": “ ajll& eij povlin thvnd& ejxevsws&, ouj moi mevlei" (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa città, non mi importa. In queste espressioni gli eroi sofoclei sono "le macchie luminose" cui Nietzsche li assimila nella Nascita della tragedia [9].
Il figlio di Laio nell'Edipo re va in rovina poiché non comprende in tempo che deve anteporre le norme divine a quelle umane ma alcuni versi preludono alla trasfigurazione di Colono. "Edipo sta su un piano più alto di Creonte; e tuttavia precipita rovinosamente, perché anch'egli tenta di vivere in base al criterio secondo cui l'uomo sarebbe la misura di tutte le cose"[10].
 Perrotta confuta alcune interpretazioni di questo verso e di tutta la tragedia: “lasciamo stare l'interpretazione cristiana, che è di tutte quella assolutamente falsa. Ma è anche errata l'interpretazione di chi...riassume tutta la tragedia in un conflitto tra le leggi ideali ed eterne rappresentate da Antigone e le leggi scritte rappresentate da Creonte. Chi intende a queto modo il dramma, cade ancora nella interpretazione hegeliana, anche se ritiene di essersene liberato: importa relativamente poco s'egli sostituisce, alla tesi e all'antitesi che vedeva in questa tragedia l'Hegel, un'altra tesi e un'altra antitesi non troppo differenti"[11].
Sul significato di "amore" in questo verso, sentiamo ancora V. Ehrenberg: “Dobbiamo intendere il termine "amore" senza le posteriori implicanze erotiche o cristiane - come e[rw" o come ajgavph - , bensì concepirlo puramente come filiva, -  ed infatti tale è la sua designazione in questo passo - , qualora intendiamo captare una delle componenti che agiscono in seno alle leggi non scritte di Antigone. L'amore come filiva, come opposto rispetto all'"odio" o all'"inimicizia" (in greco designati con il medesimo termine), è un vincolo umano che forse appare più vicino all'amicizia che all'amore; esso costituisce il vincolo che unisce gli uomini ed è uno dei fondamenti su cui poggiava la società greca"[12].

Sull'amore umanistico, sull'amore per l'umanità e per la vita, ha scritto parole sante E. Fromm: “In realtà, esiste soltanto l'atto di amare ; e amare è un'attività produttiva, che implica l'occuparsi dell'altro, conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di una persona, di un albero, di un dipinto, di un'idea. Significa portare la vita, significa aumentare la vitalità dell'altro, persona od oggetto che sia. E' dunque un processo di autorinnovamento, di autoincremento"[13].
In un altro libro lo psicoanalista sostiene che "Antigone rappresenta l'umanità e l'amore; Creonte, il despota totalitario, l'idolatria dello stato e l'ubbidienza"[14].
 Inoltre: “Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo"[15].
Un'altra espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid& ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande:: “kaiv s& oijktivsa" - qevlw &perevsqai, duvsmor& Oijdivpou, tivna - povleaw" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t& e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato fuggiasco come te"(vv.562 - 563)."Dunque so di essere uomo (e[xoid j ajnh;r w[n) e che del domani nulla appartiene più a me che a te" (vv. 567 - 568). Comprendere dunque comporta un processo di identificazione: “Se vedo un bambino in lacrime, cerco di comprenderlo non misurando il tasso di salinità delle sue lacrime, ma rievocando in me i miei sconforti infantili, identificandolo in me e identificandomi in lui. La comprensione, sempre inter - soggettiva, richiede apertura e generosità"[16]. Ascoltare è parte essenziale di questo umanesimo, ascoltare e farsi ascoltare: “Se avrai davanti a te gente cattiva che non vorrà ascoltarti, prosternati davanti ad essa e chiedile perdono, poiché, in verità, anche tu sei colpevole se non vogliono ascoltarti. E se non puoi farti ascoltare dagli uomini ostili, taci e servili con umiltà, senza mai perdere la speranza"[17].
Anche questa dello stariez Zossima è una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffuse in età ellenistica e partorì l'humanitas latina.

Una simile dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: “Homo sum: humani nil a me alienum puto"[18]. "Il primo peccato mortale, ora credo, è il tradimento della cortesia. Il venir meno dell'ascolto"[19]. E più avanti, ricordando Bachtin che parla di responsività: “Un autentico ascolto, egli dice, è sempre responsivo, come è responsiva ogni presa di parola. Si ascolta rispondendo, come rispondendo si parla"[20].
Anche Oblomov di Gončarov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità: “Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"(p.53).
Aggiungo che l'amore è necessario anche per essere bravi educatori. L'insegnamento, sostiene Morin, deve ridiventare una missione. L'insegnante deve essere capace di trasmettere: “La trasmissione richiede certamente competenza, ma richiede anche, oltre a una tecnica, un'arte. Essa richiede ciò che nessun manuale spiega, ma che Platone aveva già indicato come condizione indispensabile di ogni insegnamento: l'eros, che è allo stesso tempo desiderio, piacere e amore, desiderio e piacere di trasmettere amore per la conoscenza e amore per gli allievi. L'eros permette di tenere a bada il piacere legato al potere, a vantaggio del piacere legato al dono…Là dove non c'è amore, non ci sono che problemi di carriera, di retribuzione, di noia per l'insegnamento. La missione suppone evidentemente la fede, in questo caso la fede nella cultura e nelle possibilità della mente umana"[21].
 Concludo affermando che l'umana Antigone non è priva di colpe: “Essere umani reca con sé il bene e il male, significa muoversi con un carico, gravati dal male e obbligati al bene. Essere umani significa essere colpevoli, come tutta la saggezza tragica ha sempre saputo"[22].


fine



[1]J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89-90.
[2]Su questo giuste considerazioni si leggono in Reinhardt, Sophokles , p. 91.
[3]V. Di Benedetto, Sofocle , p. 32.
[4]G. Steiner, Le Antigoni , p. 270.
[5] Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p. 48.
[6] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 405.
[7] E. Morin, L'identità umana, p. 58.
[8] Loffredo, Napoli, 2001.
[9]Capitolo IX.
[10]V. Ehrenbeg, Sofocle e Pericle , p. 107.
[11]I tragici greci , p. 117.
[12]Op. cit., p. 50.
[13]Avere o essere? , p. 69.
[14]Amore, sessualità e matriarcato , p. 21.
[15]La disobbedienza e altri saggi , p. 63.
[16] E. Morin, op. cit., p.96.
[17] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 403.
[18]Heautontimorumenos ,77.
[19] F. Frasnedi, op. cit., p. 55.
[20] F. Frasnedi, op. cit., p. 91.
[21] La testa ben fatta , p. 106.
[22] M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 153.

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