Erich Fromm |
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"In bocca ai
diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti od
opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua
religiosa, giuridica, politica, comune. Così , per Antigone, novmo" designa il contrario di ciò che Creonte,
nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo". Per la fanciulla il termine significa
"norma religiosa"; per Creonte, "editto promulgato dal capo
dello Stato"[1].
Altrettanta
ambiguità e impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi in cerca d'autore (parte
prima) quando il padre dice: “Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo
tutti un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo
intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore
delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta,
inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo
com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!".
Il v. 915 si chiude,
con l'invocazione al capo fraterno, come il v. 899.
"Gli
interlocutori reali di Antigone sono i suoi morti[2],
suo padre, sua madre (si noti al v. 898 l'improvviso scatto alla seconda
persona e all'appello diretto), suo fratello Eteocle, e ovviamente, con particolare
insistenza, suo fratello Polinice (cfr. vv. 902 ss.: al v. 915 Antigone usa per
Polinice la stessa espressione e nella stessa sede metrica come aveva fatto per
Eteocle: anche in questo i due fratelli sono accomunati da Antigone"[3].
- a[gei me: il soggetto può essere una guardia di
Creonte, o Creonte stesso, o addirittura la morte o un suo inserviente dal
quale la ragazza si sente afferrata come l'Alcesti
di Euripide da Caronte che
le grida: “Tiv
mevllei"; /ejpeivgou: su;
kateivrgei"" (vv. 255
- 256), Perché indugi? affrettati: tu mi fai perdere tempo. - a[lektron: formato da aj
- privativo e levktron, "letto"; ajnumevnaion da ajnavv e uJmevnaio" , privo di canto nuziale già usato al v. 876, sono termini con i quali
Antigone compiange il suo destino di moglie e madre mancata.
"Antigone muore
vergine cioè non appagata nella sua identità sessuale, nella teleologia
implicita del suo essere. Più e più volte, nel suo tormento e nei suoi lamenti,
Antigone insiste su questa immaturità crudele, su ciò che le impedirà di essere
sposa e madre, le due condizioni supreme dell'esistenza di donna. I versi 915 e
seguenti sono quasi insopportabili per la precisione con cui esprimono il
dolore: Antigone piange non solo l'annientamento della sua giovane vita, ma l'annientamento
dentro di sé di quelle altre vite future che solo una donna può generare. Se
nelle simmetrie della condizione mortale esiste una controparte alla tomba,
questa è rappresentata dal letto nuziale e dal letto puerperale (così spesso
uniti nelle immagini e nelle metafore). Nel quarto stasimo c'è uno strano,
sovversivo accenno di consolazione. Il coro ricorda i crimini commessi dalle
madri contro figli o contro figliastri. La maternità non è di per sè garanzia
di amore e felicità"[4].
La negazione dell'amore è forse il tormento massimo per un essere umano: “in
una natura femminile l'impassibilità è quanto di più vicino ci sia al tormento
di una vera passione"[5].
L'inferno, afferma giustamente
lo Stariez Zossima non è altro che "la sofferenza di non poter più
amare"[6].
L'inferno è anche l'incapacità di essere riconosciuti, l'impossibilità di
comunicare e l'assenza del prossimo: “ Il bisogno dell'altro è radicale;
testimonia l'incompletezza del Me - Io quando è senza riconoscimento, senza
amicizia e senza amore. Hugo ha pienamente ragione: “L'Inferno è nella parola
solitudine"[7].
Il verso forse più
noto ed emblematico dell'Antigone di Sofocle è il 523: “ ou[toi sunevcqeinajlla;
sumfilei'n e[fun",
certamente non sono nata per condividere l'odio ma l'amore.
Concludo la terza
stazione di questo Calvario con due schede che mutuo dal mio commento
all'intera tragedia di Sofocle[8].
Amore e umanesimo.
Legge naturale e
personale dunque per Antigone è l'inclinazione ad amare, mentre il bando di
Creonte è un editto di odio. La fuvsi"
di Antigone non riconosce come naturale il khvrugma di Creonte. Tra i sofisti, oltre Antifonte, Ippia di Elide denuncia la
discrepanza tra leggi della natura e leggi scritte dagli uomini che sanciscono
differenze innaturali. Nel Protagora di
Platone il sofista afferma: “ to; ga;r oJvmoion tw'/
oJmoivw/ fuvsei suggenev" ejstin, oJ de; novmo" tuvranno" wj;n
tw'n ajnqrwvpwn polla; para; th; fuvsin biavzetai" (337d), infatti il simile è parente del simile per natura,
mentre la legge, essendo tiranna degli uomini, in molti casi commette violenze
contro natura.
La legge naturale
dell'amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo
"tiranno": “ ajll& eij povlin thvnd& ejxevsws&, ouj moi
mevlei" (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa
città, non mi importa. In queste espressioni gli eroi sofoclei sono "le
macchie luminose" cui Nietzsche li assimila nella Nascita della tragedia [9].
Il figlio di Laio
nell'Edipo re va in rovina poiché non
comprende in tempo che deve anteporre le norme divine a quelle umane ma alcuni
versi preludono alla trasfigurazione di Colono. "Edipo sta su un piano più
alto di Creonte; e tuttavia precipita rovinosamente, perché anch'egli tenta di
vivere in base al criterio secondo cui l'uomo sarebbe la misura di tutte le
cose"[10].
Perrotta confuta alcune interpretazioni di
questo verso e di tutta la tragedia: “lasciamo stare l'interpretazione
cristiana, che è di tutte quella assolutamente falsa. Ma è anche errata
l'interpretazione di chi...riassume tutta la tragedia in un conflitto tra le
leggi ideali ed eterne rappresentate da Antigone e le leggi scritte
rappresentate da Creonte. Chi intende a queto modo il dramma, cade ancora nella
interpretazione hegeliana, anche se ritiene di essersene liberato: importa
relativamente poco s'egli sostituisce, alla tesi e all'antitesi che vedeva in
questa tragedia l'Hegel, un'altra tesi e un'altra antitesi non troppo
differenti"[11].
Sul significato di
"amore" in questo verso, sentiamo ancora V. Ehrenberg: “Dobbiamo
intendere il termine "amore" senza le posteriori implicanze erotiche
o cristiane - come e[rw" o come ajgavph - , bensì concepirlo puramente come filiva, - ed
infatti tale è la sua designazione in questo passo - , qualora intendiamo
captare una delle componenti che agiscono in seno alle leggi non scritte di
Antigone. L'amore come filiva,
come opposto rispetto all'"odio" o all'"inimicizia" (in
greco designati con il medesimo termine), è un vincolo umano che forse appare
più vicino all'amicizia che all'amore; esso costituisce il vincolo che unisce
gli uomini ed è uno dei fondamenti su cui poggiava la società greca"[12].
Sull'amore
umanistico, sull'amore per l'umanità e per la vita, ha scritto parole sante E.
Fromm: “In realtà, esiste soltanto l'atto
di amare ; e amare è un'attività produttiva, che implica l'occuparsi
dell'altro, conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di una persona,
di un albero, di un dipinto, di un'idea. Significa portare la vita, significa
aumentare la vitalità dell'altro, persona od oggetto che sia. E' dunque un
processo di autorinnovamento, di autoincremento"[13].
In un altro libro lo
psicoanalista sostiene che "Antigone rappresenta l'umanità e l'amore;
Creonte, il despota totalitario, l'idolatria dello stato e l'ubbidienza"[14].
Inoltre: “Esiste un umanesimo greco, al quale
dobbiamo opere come l'Antigone di
Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa,
Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera
dell'uomo"[15].
Un'altra espressione
di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono :
"e[xoid&
ajnh;r w[n"(v.567),
so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni
atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta?
Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio,
provarne pietà, incoraggiarla
ponendo domande:: “kaiv s& oijktivsa" - qevlw &perevsqai, duvsmor&
Oijdivpou, tivna - povleaw" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t& e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo
compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la
città e per me ti sei fermato qui. Poi significa ascoltare e comprendere con
simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla
morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato
allevato fuggiasco come te"(vv.562 - 563)."Dunque so di essere uomo (e[xoid j ajnh;r w[n) e che del domani nulla appartiene più a me
che a te" (vv. 567 - 568). Comprendere dunque comporta un processo di
identificazione: “Se vedo un bambino in lacrime, cerco di comprenderlo non
misurando il tasso di salinità delle sue lacrime, ma rievocando in me i miei
sconforti infantili, identificandolo in me e identificandomi in lui. La
comprensione, sempre inter - soggettiva, richiede apertura e generosità"[16].
Ascoltare è parte essenziale di questo umanesimo, ascoltare e farsi ascoltare:
“Se avrai davanti a te gente cattiva che non vorrà ascoltarti, prosternati
davanti ad essa e chiedile perdono, poiché, in verità, anche tu sei colpevole
se non vogliono ascoltarti. E se non puoi farti ascoltare dagli uomini ostili,
taci e servili con umiltà, senza mai perdere la speranza"[17].
Anche questa dello stariez Zossima è una
dichiarazione di quella filanqrwpiva
che si diffuse in età ellenistica e partorì l'humanitas latina.
Una simile
dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad
ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: “Homo sum: humani nil a me alienum puto"[18].
"Il primo peccato mortale, ora credo, è il tradimento della cortesia. Il
venir meno dell'ascolto"[19].
E più avanti, ricordando Bachtin che parla di responsività: “Un autentico
ascolto, egli dice, è sempre responsivo, come è responsiva ogni presa di
parola. Si ascolta rispondendo, come rispondendo si parla"[20].
Anche Oblomov di Gončarov nega valore
all'intelligenza che non comprende l'umanità: “Voi credete che il pensiero
possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete
la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se
egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e
trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"(p.53).
Aggiungo che l'amore è necessario anche per essere bravi educatori. L'insegnamento, sostiene Morin, deve ridiventare una missione.
L'insegnante deve essere capace di trasmettere: “La trasmissione richiede
certamente competenza, ma richiede anche, oltre a una tecnica, un'arte. Essa
richiede ciò che nessun manuale spiega, ma che Platone aveva già indicato come
condizione indispensabile di ogni insegnamento: l'eros, che è allo stesso tempo
desiderio, piacere e amore, desiderio e piacere di trasmettere amore per la
conoscenza e amore per gli allievi. L'eros permette di tenere a bada il piacere
legato al potere, a vantaggio del piacere legato al dono…Là dove non c'è amore,
non ci sono che problemi di carriera, di retribuzione, di noia per
l'insegnamento. La missione suppone evidentemente la fede, in questo caso la
fede nella cultura e nelle possibilità della mente umana"[21].
Concludo affermando che l'umana Antigone non è
priva di colpe: “Essere umani reca con sé il bene e il male, significa muoversi
con un carico, gravati dal male e obbligati al bene. Essere umani significa
essere colpevoli, come tutta la saggezza tragica ha sempre saputo"[22].
fine
[1]J.
P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito
e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89-90.
[2]Su
questo giuste considerazioni si leggono in Reinhardt, Sophokles , p. 91.
[3]V.
Di Benedetto, Sofocle , p. 32.
[4]G.
Steiner, Le Antigoni , p. 270.
[5]
Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p. 48.
[6]
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 405.
[7]
E. Morin, L'identità umana, p. 58.
[8]
Loffredo, Napoli, 2001.
[9]Capitolo
IX.
[10]V.
Ehrenbeg, Sofocle e Pericle , p. 107.
[11]I tragici greci , p. 117.
[12]Op.
cit., p. 50.
[13]Avere o essere? , p. 69.
[14]Amore, sessualità e matriarcato , p. 21.
[15]La disobbedienza e altri saggi , p. 63.
[16]
E. Morin, op. cit., p.96.
[17]
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , p. 403.
[18]Heautontimorumenos ,77.
[19]
F. Frasnedi, op. cit., p. 55.
[20]
F. Frasnedi, op. cit., p. 91.
[21]
La testa ben fatta , p. 106.
[22]
M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 153.
Fa.pensare. Giovanna Tocco
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