Cirene |
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Abbiamo visto che
Callimaco, autore di un'arte ironica e allusiva, imita molto, con un'imitazione
del resto sempre evidenziata: "non
ut lateat imitatio, sed ut pateat ", non perché rimanga nascosta
l'imitazione, ma perché sia evidente, e significhi amore e fede, se non altro,
per la tradizione letteraria.
D'altra parte il
poeta di Cirene è stato anche oggetto di ammirazione imitazione e traduzione: da Catullo, al Pope
di Il ricciolo rapito (1712), al
Foscolo che volgarizza la versione latina del La chioma di Berenice .
La vicenda del
ricciolo sparito era la conclusione degli Aitia
: Callimaco, con grazioso omaggio cortigianesco e raffinata perizia letteraria,
canta l'assunzione in cielo della ciocca di capelli offerta da Berenice perché suo marito, Tolomeo III Evergete,
tornasse salvo e vittorioso da una spedizione militare contro Seleuco II di
Siria (anno 246). Già l'astronomo di corte Conone aveva riconosciuto il
ricciolo sparito dal tempio di Arsinoe Zefirite in una nuova costellazione da
lui scoperta tra l'Orsa maggiore e la Vergine; ebbene il poeta diede il proprio
contributo all'apoteosi della chioma regale con i distici che fanno parlare gli
stessi capelli "incielati". Il testo è troppo mutilo per consentirci
una traduzione letterale; i versi più chiari e interessanti sono quelli con i
quali il ricciolo ricorda la potenza
ineluttabile del ferro che scavò il monte Athos per consentire il passaggio
delle navi di Serse, quindi lamenta la crudeltà di questo metallo trovato dalla
stirpe maledetta dei Calibi[1],
in quanto l'ha staccato dal capo augusto
della regina la cui lontananza è dolorosa più di quanto sia motivo di piacere e
di orgoglio trovarsi tra gli astri.
Anche Catullo nel
carme 66 fa parlare la capigliatura (caesaries
) con note di rimpianto: "invita,
o regina, tuo de vertice cessi ,/invita
", contro voglia o regina mi sono allontanata dal tuo capo, contro
voglia, le fa dire, con un verso (39) che verrà in gran parte utilizzato anche
da Virgilio (Eneide , VI, 460) a
proposito della partenza quasi coatta di Enea dal lido cartaginese:"invitus, regina, tuo de litore cessi
", contro voglia o regina mi allontanai dalla tua costa. Così tenta di
giustificarsi il pio eroe con l'ombra dell'amante ammazzatasi dopo la fuga
delle navi troiane. Come si vede parole quasi identiche servono per
un'adulazione cortigiana e per un estremo, accorato addio all'ombra di una
persona morta.
Per quanto riguarda
la forza non resistibile del ferro che
scava canali tra i monti, Catullo scrive (66, vv.45-47):
"cum Medi peperere novum mare, cumque
iuventus
per medium classi barbara navit Athon.
Quid facient crines, cum ferro talia cedant? ",
quando i Persiani crearono un nuovo mare, e
quando la gioventù barbarica navigò con la flotta in mezzo all'Athos. Cosa
possono fare i capelli, quando tali monti cedono al ferro?
Il poeta latino inserisce dieci versi (79-88)
che esaltano la fedeltà della sposa e biasimano l'adulterio: la chioma della
regina bella e casta non accetta i doni votivi portati da mogli infedeli:
"namque ego ab indignis praemia nulla peto
"(v.86), infatti dalle indegne io non desidero offerte.
Sappiamo quanto a
Catullo stesse a cuore la fides di
Lesbia e come solo nell'imminenza della propria morte poté rinunciarvi
"non iam illud quaero, contra me ut diligat illa,
aut (quod non potis est)
esse pudica velit;
ipse valere opto et taetrum hunc deponere
morbum "(76, 23-26):, non
chiedo più quella grazia famosa, che quella là contraccambi il mio affetto,o
(cosa di cui non è capace) che voglia essere pudica; io desidero stare bene e
mettere via questo male oscuro.
Callimaco
trattò vari generi letterari e per questo venne accusato dai detrattori.
Nell'episodio di Aconzio e Cidippe , una famosissima storia d'amore compresa nel
terzo libro degli Aitia, poi imitata
da Ovidio nelle Heroides (XXI lettera: Cidippe ad Aconzio) il poeta di
Cirene afferma che l'ampiezza e la varietà del conoscere è un bene soltanto se
conferisce a chi lo possiede e lo usa la capacità di padroneggiare la lingua:
"
il molto sapere è un grave male, per chiunque non è padrone
della
lingua: è proprio come per un bambino avere un coltello"(fr.75 Pf, vv.
8-9).
Il
sapere che non è sapienza è un celebre verso delle Baccanti :"to; sofo;n d&ouj sofiva"(395).
E immediatamente dopo, per
variare la serietà dell'argomento con una nota tragicomica, ricorda che
all'alba stava stringendosi il cuore ai buoi del sacrificio che vedevano i
coltelli riflessi nell'acqua.
Se la poluidreivh , il
molto sapere, può essere un male, la polueivdeia, la varietà nell'uso dei generi
letterari praticata dal poeta viene difesa nell'ultimo Giambo , il tredicesimo, con
l'osservazione che nessuno biasima l'artefice se fa vasi di molte specie. Il Giambo più noto però è il quarto, quello
chiamato "dell'ulivo e dell'alloro", dove i due alberi si
cimentano in una contesa che vede prevalere l'utilità e l'umiltà del primo
sulla pretenziosità del secondo il quale viene ridicolizzata dall'ironia del
poeta.
L’alloro (davfnh)
rivendica la sua sacra presenza a Delfi, in quanto albero amato da Apollo.
Spregia l’olivo la cui foglie hanno un lato bianco wJ~ udrou gasthvr, come
ventre di biscia (IV, 22) e uno arso dal sole (hJlioplhvx).
Cfr. Giacomo Zanella (1820-1888) Alloro-Vite
Odio l’allor, che quando alla
foresta
Le nuovissime fronde invola il
verno,
avviluppato nell’intatta vesta
verdeggia eterno,
pompa de’ colli; ma la sua
verzura
gioia non reca all’augellin
digiuno;
ché la splendida bacca invan
matura
non coglie alcuno.
Te, poverella vite, amo, che
quando
Fiedon le nevi i prossimi arboscelli,
tenera l’altrui duol commiserando
sciogli i capelli.
Tu piangi, derelitta, a capo
chino
Sulla ventosa balza. In chiuso
loco
Gaio frattanto il vecchierel
vicino
Si asside al foco,
Tien colmo il nappo: il tuo licor
gli cade
Nell’ondeggiar del cubito sul
mento;
poscia floridi paschi ed auree
biade
sogna contento”.
I Giambi di Callimaco non
presentano la consueta aggressività del metro e possono essere ascritti al
nuovo genere spoudogevloion,
seriocomico, del quale troviamo già un esempio nell'Alcesti di Euripide.
Indubbiamente a Callimaco l'argomento e il
genere letterario interessano meno della forma che deve dare una
giustificazione estetica a qualsiasi contenuto. Questo infatti può essere di
ambientazione cortigiana come abbiamo visto, ma anche semplice e umile quale troviamo nell'epillio in esametri Ecale dove si racconta come Teseo, la notte prima
della lotta contro il toro di Maratona venne ospitato dalla vecchina Ecale in
una casetta rustica con cibo campagnolo. Il quadretto agreste, un poco di
maniera, viene rifinito in tutti i particolari. Anche questo epillio includeva
un aition (origine), in quanto
Teseo al ritorno dallo scontro con il toro
trovava la vecchietta morta e istituiva in suo onore le Ecalesie, gare
di corsa, poi fondava il santuario di Zeus Ecalio.
Un'imitazione di questo poemetto
si trova nell'episodio di Filemone e Bauci delle Metamorfosi di Ovidio (VIII,
625-723).
Leopardi utilizza un’espressione
dell’Ecale (fr. 74, 26-27): a[xwn-tetrigw;~ uJp j
a[maxan (l’asse
che stride sotto ei carro-e sveglia chi abita sulla strada) in La quiete dopo la tempesta: “il carro
stride-del passeggier che il suo cammin ripiglia” (23-24)
Un'anticipazione
dell’ interesse per la vita degli anziani umili si trova nell'Ifigenia in Aulide di Euripide (del 405) quando il grande capo
Agamennone dice a un vecchio servitore: "Ti invidio, vecchio,/invidio tra
gli uomini chi passa/una vita senza pericoli, ignoto, oscuro;/quelli che vivono
tra gli onori li invidio meno"(vv. 17-19). Questi versi, pur poco curati
formalmente, prefigurano già il "vivi appartato" di Epicuro e in
generale il disimpegno politico dell'intellettuale nella civiltà ellenistica.
Del resto l'invidia del potente per l'umile si ritrova parecchi secoli
più tardi in Guerra e Pace (p. 577):"-Discutiamo pure-, disse il principe
Andrej.-Tu parli di scuole-, continuò, e piegava un dito.-Parli di istruzione,
eccetera. Cioè vuoi togliere lui,-disse, indicando un contadino che passava
davanti a loro levandosi il berretto-, dalla sua condizione d'animale e
renderlo consapevole di esigenze morali, mentre a me sembra che l'unica
felicità possibile sia la felicità animale...Io lo invidio e tu vuoi farlo
diventare come me...".
continua
[1]
Cfr. la maledizione del ferro fatta da Erodoto (I, 68, 4): il ferro è stato inventato per il
male dell'uomo :" ejpi; kakw'/
ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai".
Dunque noi maestri sbagliamo? Giovanna Tocco
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