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Nell’Antigone di Sofocle, la protagonista
figliola di Edipo si rifiuta di obbedire a Creonte, suo re e zio, che ha decretato con un bando il divieto
di seppellire Polinice, il figlio di Edipo morto combattendo contro la patria.
Dopo che la ragazza ha compiuto il gesto di ribellione, il despota le domanda
“Kai; dh`t j ejtovlmaς touvsd j
uJperbaivnein novmouς;” e allora osavi trasgredire queste
leggi?" v. 449.
E Antigone risponde:
“"Sì,
infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto/né
Giustizia che convive con gli dei di sotterra/determinò tali leggi tra gli
uomini,/né pensavo che i tuoi bandi avessero tanta/forza che tu, essendo
mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti[1]
(a[grapta
kajsfalh` qew`n novmima.)/Infatti non solo oggi né ieri, ma sempre/ sono vivi questi, e nessuno
sa da quando apparvero (vv. 450-457)".
I
versi 455-457 sono citati da Aristotele, quando nella Retorica distingue la legge particolare di ciascun popolo da quella
comune secondo natura levgw…koino;n de; to;n kata;
fuvsin
(1373b). Tra queste c’è l’abitudine e la norma di seppellire i morti, poi
quanto dice Empedocle a proposito di non uccidere i viventi (peri; tou` mh;
kteivnein to; e[myucon), e quanto scrive Alcidamante nel Messeniaco:” ejleuqevrou~ ajfh`ke
pavnta~ qeov~, oujdevna dou`lon hJ fuvsin pepoivhken”, dio
ci lasciò tutti liberi, la natura nessuno fece schiavo.
All'opposto dell’ u{bri~ tirannica, Antigone afferma il suo
amore per l'umanità :" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata
per condividere l'odio, ma l'amore. "Esiste un umanesimo greco, al quale
dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie
ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e
Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo"[2].
Le
leggi che contano per Sofocle sono quelle provenienti dagli dèi. Lo stesso
pensa il coro dell'Edipo re che nella prima strofe del secondo Stasimo,
"punto nodale della tragedia"[3],
canta:"Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare/ la sacra purezza
delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite
leggi/sublimi (novmoi uJyivpode"),
procreate/attraverso l'aria celeste di cui Olimpo è padre da solo né le
/generava natura mortale di uomini/né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande
c'è un dio in loro e non invecchia (“mevgaς ejn touvtoiς qeovς, oujde; ghravskei", vv. 863-872).
"Da questi versi risuona chiaro ad ognuno l'addolorato avvertimento
del poeta:"la religione è in pericolo", la religione che per lui
coincide con le leggi non scritte, eterne e divine che rappresentano il
fondamento morale della vita sociale. Con tutta la forza della sua convinzione
egli scende in campo per essa nel luogo sacro, per umiliare con la
rappresentazione della storia sacra la superbia dell'intelletto, per fugare il
dubbio e per sostenere la fede vacillante"[4].
Cfr. e[rrei de; ta; qei`a, Edipo
re, 910, tramonta il divino.
Edipo con il suo
impareggiabile vigore, la sua fede nell'azione, la volontà di rischiare pur di
sapere, sarebbe un microcosmo della popolazione ateniese che in
effetti, dovrà provare pure l'onta della sconfitta, al pari del re di Tebe il
quale, insuperbitosi per la propria forza intellettuale, subisce un'umiliazione
rimasta paradigmatica nella letteratura europea, come ci mostrano queste parole
di Proust:" E meglio di un coro di Sofocle sull'umiliato orgoglio di
Edipo, meglio della morte stessa e di qualsiasi orazione funebre, il saluto
premuroso e umile del barone alla signora di Saint-Euverte proclamava quanto di
fragile e perituro c'è nell'amore d'ogni terrena grandezza e d'ogni umana
superbia"[5]
.
tiv
dei' me coreuvein vv.895-896."è
detto assai più che dal Coro, da Sofocle", secondo Perrotta."Qui non
parla più il Coro, ma il poeta che si lamenta dell'empietà del suo
popolo"(Sofocle, p.239).
La punizione divina non può mancare poiché, se
gli dei non intervenissero a colpire gli empi, le stesse tragedie di Sofocle,
sacre rappresentazioni di condanna dell'ateismo, perderebbero credibilità e
valore. Un frammento (12) del sofocleo Aiace
locrese afferma che l'occhio aureo
della giustizia vede e contraccambia l'ingiusto:"to; cruvseon de; ta'" Divka" devdorken
o[mma to;n d& a[dikon ajmeivbetai".
Su
questa domanda chiave sentiamo anche Dodds:“the meaning is surely ‘Why should
I, an Athenian citizen, continue to serve in a Chorus? (il significato è
certamente ‘Perché dovrei io, un cittadino ateniese, continuare a servire nel
coro? )
In
speaking of themselves as a chorus they step out of the play into the
contemporary world, as Aristophanes’ choruses do in the parabasis. And in effect the question they are asking seems to be
this: ‘ If Athens loses faith in religion, if the views of the Enlightement
prevail, what significance is there in tragic drama, which exists as part of
the service of the gods? To that question the rapid decay of tragedy in the
fourth century may be said to have provided an answer. In sayng this, I am not
suggesting with Ehrenberg that the position of Oedipus reflects that of
Pericles[6],
or with Knox that is intended to be a symbol of Athens[7]:
allegory of that sort seems to me wholly alien to Greek tragedy. I am only
claiming that at one point in this play Sophocles took occasion to say to his
fellow citizens something which he felt to be important. And it was important, particularly in the
period of the Archidamian War, to which the Oedipus rex probably belongs. Delphi
was known to be pro-Spartan: that is why Euripides was given a free hand to
criticize Apollo.
But if
Delphi could not be trusted, the whole fabric of traditional belief was
threatened with collapse”[8],
Sofocle
si inserisce nel dibattito acceso dalla sofistica: esso contrapponeva le leggi
naturali a quelle artificiali o culturali. Delle une e delle altre vengono date
interpretazioni differenti.
Il
poeta di Colono non considera naturali e degne di obbedienza le regole che
lasciano correre o addirittura convalidano l' u{bri", intesa come prepotenza, sia
essa di un tiranno, suo parto mostruoso ( u{bri" futeuvei tuvrannon, Edipo re , v.873), sia di un popolo
intero che per avidità di maggior avere (pleonexiva) scatena guerre aggressive foriere
di stragi e lutti, tanto per gli aggrediti quanto per gli aggressori.
Difesa
delle leggi scritte. Euripide Supplici e Ciclope. Cicerone De officiis
G.
Ugolini sostiene che le leggi scritte sono anteposte a quelle non scritte dai
sostenitori della democrazia e fa l'esempio delle Supplici di Euripide dove
"Teseo si produce in un'esaltazione del sistema democratico...replicando
alle accuse dell'araldo, puntualizza un aspetto della democrazia che in questa
sede ha grande rilevanza: mentre nella città governata da un tiranno la legge è
del tutto arbitraria, in un regime democratico (Eur. Suppl. 433-437): le leggi sono scritte (gegrammevnwn tw'n
novmwn),
la giustizia è uguale per il debole e per il ricco” [9]...
“gegrammevnwn de; tw'n
novmwn o{ t ’ ajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv.
433-434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi
diritti
Nelle
Supplici di Euripide, Teseo propugna
la democrazia e dice all’araldo tebano mandato da Creonte che quando c’è un tiranno, non c’è niente di
più malevolo per la città, e non
esistono più leggi comuni (novmoi- koinoiv 430-431)
“Chi
è più debole può fronteggiare chi sta meglio, qualora ne riceva offesa, e se ha
ragione il piccolo prevale sul grande. Al di là dei topoi democratici ricorrenti
nel discorso di Teseo, che per molti aspetti hanno richiamato il parallelo con
l'epitafio di Tucidide[10], è
importante soffermarsi sul nesso che egli istituisce tra "leggi
scritte" e democrazia: la pratica effettiva della giustizia e
dell'uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dai loro rapporti di censo
e di forza, è garantita dalla scrittura delle leggi, che tutela i diritti dei
meno potenti[11]. La necessità e la difesa della scrittura
delle leggi doveva essere percepita come un punto essenziale della propaganda
democratica nell'ambito di quella tensione e contrapposizione che vi era ad
Atene tra la legislazione scritta della polis e quella orale propugnata e
gestita dalle casate aristocratiche"[12].
Della vasta
produzione euripidea ci sono arrivate 18 drammi
di sicura attribuzione, tra i quali uno satiresco, il Ciclope , di cronologia incerta, ma
probabilmente posteriore al 410. L’autore porta sulla scena il noto episodio
omerico del IX canto dell’Odissea. “Attraverso
Polifemo, Euripide critica apertamente l’estremismo degli intellettuali del suo
tempo, che consideravano lo “stato di natura” un modello al quale ritornare ed
esaltavano il ruolo dell’uomo come misura di tutte le cose, proclamando
l’individualismo sfrenato, la supremazia assoluta del diritto del più forte,
l’agnosticismo religioso[13].
Il valore di questa polemica risulta ancora più chiaro se si accetta di
attribuire il Ciclope agli ultimi
anni della vita del poeta, dopo la fallimentare spedizione militare degli
ateniesi in Sicilia[14],
in un momento delicato per il destino della democrazia ateniese” [15].
Polifemo, dopo che
si è ingozzato dei compagni di Odisseo e
intende mangiare anche lui, fa una predica all’”ometto” dicendo che la
ricchezza è l’unico dio per le persone sagge (oJ plou`to~, ajnqrwpivske, toi~ sofoi`~ qeov~, v.316). Più avanti, coerentemente con questa
visione crassamente materialistica, il Ciclope aggiunge che sacrifica le greggi
a se stesso kai;
th`/ megivsth/ gastri; th`/de, daimovnwn (v. 335), e a questa pancia, la più grande tra le dèe. Zeus per i saggi è mangiare e bere tutti i
giorni e non prendersela per niente (lupei`n de; mhdevn, v. 338).
Devono invece
piangere i legislatori che con le leggi hanno complicato la vita umana: “oi{ de; tou;~ novmou~
e[qento poikivllonte~ ajnqrwvpwn bivon” (v. 338-339).
Cicerone
bel De officiis ricorda che la causa
della creazione delle leggi fu un bisogno di giustizia e di uguaglianza: “leges sunt inventae, quae cum omnibus semper
unā
atque eādem
voce loquerentur” (II, 42), furono trovate le leggi perché
parlassero a tutti con una sola e identica voce.
Vediamo
adesso alcune testimonianze di autori che, come Sofocle, criticano le leggi
scritte.
Platone
nella Lettera VIII sostiene che mentre la servitù e la libertà
smodate sono un gran male (pavgkakon), quelle moderate sono un gran bene, e
moderata è la servitù a Dio, smodata agli uomini ("metriva de; hJ qew'/
douleiva, a[metro" de; hJ toi'" ajnqrwvpoi"",
354e).
Dunque
dio per gli uomini saggi è
legge, per gli stolti il piacere (" qeo;" de; ajnqrwvpoi" swvfrosin
novmo", a[frosin de; hJdonhv", 355a ).
Platone
consiglia ai familiari e amici di Dione un accordo e la divisione del potere in
tre re (Ipparino, figlio di Dioniso I e di Aristomache, Dioniso II, figlio di
Dioniso I ( fu tiranno dal 405-367) e di Doride, e Dione II, il figlio di Dione
(410-354) che era cognato e genero di Dioniso I poiché era fratello di
Aristomache e aveva sposato Arete,
figlia di Dioniso I e Aristomache.
Il modello, secondo Platone, può essere
la costituzione di Licurgo il quale come
favrmakon contro
la tirannide introdusse tre poteri: i
re, il consiglio degli anziani e il freno degli efori-kai; to;n tw`n ejfovrwn
desmovn,
354b. Non viene nominata l’apella, l’assemblea popolare che del resto non aveva
facoltà di iniziativa.
La
legge deve essere signora degli uomini e non gli uomini tiranni della legge.
Bisogna fuggire a gambe levate (feuvgein fugh`/)
la tirannide, ajplhvstw~ peinwvntwn eujdaimovnisma ajnqrwvpwn kai; ajnohvtwn
(354c), presunta felicità di uomini insaziabilmente affamati e stupidi.
La
tirannide è dunque universalmente biasimata
Condanna
della tirannide con elogio dell’uguaglianza in Euripide
Nelle
Fenicie[16] di
Euripide, Giocasta è fautrice
dell'uguaglianza. Chiede a Eteocle perché tenda all'ambizione (Filotimiva) che è
la pessima tra le divinità, è anzi una dea ingiusta (a[diko" hj qeov" ,
v.531). E' per lei che Eteocle è impazzito. Molto meglio è onorare
l'uguaglianza:"kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n"
(vv. 535-536). L'uguaglianza infatti crea legami (sundei', v.
538). L'uguaglianza è stabile (to; ga;r i[son movnimon, v. 538), mentre il meno è
sempre in guerra con il più e fomenta le inimicizie.
L' ijsovth" è la
legge che ha stabilito le misure per gli
uomini, le partizioni di pesi e ha dato ordine distinguendo i numeri; essa per giunta è legge di natura, anzi è
legge cosmica cui si sottopone perfino la luce del sole :"nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te
fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del
sole, uguale percorrono il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si
assoggettano a queste misure, domanda la madre, tu non tollererai di avere una
parte uguale del palazzo (su; d j oujk
ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son,
v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu
la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi
che sia un gran che?
Il consiglio di
seguire la natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte,
per prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum
rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep.
3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il
giorno e la notte.
continua
[1]
Mentre il tiranno è zoppo (cfr. Edipo re
di Sofocle e Riccardo III di
Shakespeare)
[2]E. Fromm, La disobbedienza e altri saggi , p. 63.
[3]W.
Nestle, Storia della religiosità greca ,
p. 218.
[4]Nestle,
op. cit., p. 219.
[5]
Il
tempo ritrovato, p.
190.
[6] V. Ehrenberg, Sophocles and Pericles (1954), 141 ff.
[7]B. M. W. knox, Oedipus at Thebes (1957), ch. ii
[8] Dodds, On Misunderstanding the Oedipus rex in The Ancient Concept Of
Progress, p. 75.
[9]G.
Ugolini, Sofocle e Atene , pp.
150-151.
[10]II,
35-46.
[11]“Anche
in Eur. Hec 866 sgg. c'è un nesso tra scrittura delle leggi
(novmwn grafaiv) e potere del popolo
(plh'qo")”.
[12]G.
Ugolini, Sofocle e Atene , pp.
150-151.
Veramene Ecuba dice che non esiste uomo libero in
quanto il mortale è impedito di agire secondo il proprio carattere e il proprio
giudizio dal denaro o dalla folla o dalle leggi scritte ( Ecuba, vv. 864-867)
[13]
“Lo stesso argomento si individua in un passo di una quarantina di versi del
dramma satiresco Sisifo di Crizia (il
principale esponente della rivoluzione oligarchica che alla fine della guerra
del Peloponneso rovesciò la democrazia per instaurare il cosiddetto governo dei
Trenta): in esso si suppone che un antico saggio, per favorire lo sviluppo
della società organizzata, avesse escogitato l’esistenza degli dei onniscienti,
ai quali non sfuggono neppure gli atti che rimangono nascosti alla giustizia
terrena”. Canfora scrive che “è ragionevole pensare” che il
dramma satiresco Sisifo di Euripide,
rappresentato nel 415 ad Atene con le Alessandro,
Palamede, Troiane, sia “il medesimo
che una parte della tradizione antica conosceva come di Crizia” (“”Dioniso”
2011 I numero, nuova serie, p. 75.
[14]
…alla spedizione ateniese in Sicilia fanno pensare le insistite allusioni
all’ambientazione del dramma nell’isola.
[15]
Orietta Pozzoli, traduzione e note di, Eschilo
Sofocle Euripide, Drammi Satireschi, pp 124-125.
[16]
Rappresentate tra il 410 e il 408
Bisogna riflettere molto su questi argomenti,grazie per gli spunti . Giovanna Tocco
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