NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 23 marzo 2016

l'estate del 1979 a Debrecen. VIII parte

Il demone che nega[1] e tenta


Nell’intervallo andai a bere il caffè, non con Ifigenia purtroppo che villeggiava sul mare Adriatico, ma con Alfredo che sedeva vicino a me nel banco dei vecchi studenti, o studenti pensionati, come ci chiamavano i giovani del ’79, non senza ragione. Mentre camminavamo nei corridoi lunghi in direzione del bar situato vicino all’ingresso, Alfredo propose: “Amico mio, perché non ci diamo da fare con un paio di finniche delle quali tu hai, se non sbaglio, una bella esperienza?
Lo guardai con aria di scherzosa riprovazione e canticchiai “Sempre andrai farfallone amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando,/ delle belle turbando il riposo,/ narcisetto adoncino d’amor[2].
Poi, assunta una faccia quasi severa, risposi: “No, amico carissimo, scusami ma quest’anno non voglio: ho promesso la mia fedeltà a una donna splendida, quella collega giovane che hai conosciuto. Non hai visto com’è ben fatta ? A parte il discorso morale, non voglio rischiare di perdere una relazione seria con tale bellezza per un’avventura mensile. Non sarebbe utile oltre non essere onesto”.
“Ma va’ là” ribatte quel demone tentatore. “Non ricominciare a fare il fighetto. Ora  vuoi fare il fighetto morale. In un modo o in un altro tu vuoi distinguerti sempre: qui tutti tradiscono! Le donne prima e più volentieri degli uomini! E Ifigenia, cosa credi che faccia? Dov’è in questi giorni?”
“A Rimini”, gli ricordai.
“Ah, già. Me l’hai detto. A Rimini ci sono più maschi puntatori che gocce d’acqua nel mare. Rimini è un casino più popolato, sudato e frenetico di Debrecen. A parte Rimini poi, una volta che venni a trovarti nel vostro liceo, ho visto la tua donna, una bellona senza dubbio, però abbracciata con un giovane uomo. Allora non te lo dissi perché pensavo che nemmeno tu le fossi fedele. Sei matto? Quella era proprio avvinghiata al ganzo suo. “Son qui tra le tue braccia ancor,  avvinta come l’edera”, cantava Nilla Pizzi, quando eravamo bambini. Ora non lo siamo più e tu non puoi vedere il tutto nel nulla”.

Quel giorno di primavera Ifigenia si era accorta di essere stata osservata e, immaginando che sarebbe stata denunciata, prevenne il delatore e mi raccontò quell’episodio, spiegandomi che l’uomo era un suo amico d’infanzia un po’ strambo, un conducente di autoambulanze. Avevo avuto il sospetto di essere stato ingannato, ma poi l’avevo rimosso. Non ricordo se l’avevo superato del tutto.
Comunque risposi: “Lo so, Alfredo caro, lo so: me l’ha detto lei stessa. Quello è un suo amico. Quanto al casino di Rimini, se Ifigenia mi ama, non mi tradisce, come io non la tradisco in questo casino. Debrecen anzi sarà un casino per te; per me è stato il luogo degli amori più belli dei miei, dei nostri vent’anni. A Helena, Kaisa e Päivi[3] io devo buona parte della mia umanità e della mia felicità. A te ora devo un rifiuto”.
“Non te la prendere”, ribatté l’amico. Quindi riprese l’attacco: “Però, scusami e toglimi una curiosità: come fai a dire che lei ti è fedele? Come puoi essere sicuro che ti ami o ti voglia bene? Quante lettere ti ha scritto da quando siamo arrivati a Debrecen? Ricordati che una nave ormeggiata con una sola ancora non è per niente sicura. Fatti un’amante anche qui: arricchisci la tua collezione, fanne una cosa da museo!”
Il demone cercava di strangolare la mia fiducia in Ifigenia stringendo ogni cosa bella con il suo pugno infernale. Ero turbato, ma cercai di non darlo a vedere per non subire ghigni più o meno cattivi.
“Se incontrerà uno che le piacerà molto, me lo farà sapere subito con un telegramma. Altrettanto farò io. Siamo d’accordo così. In ogni caso io non infrango il patto. Ho promesso e non rompo la fede. E anche tu non rompere”.

Dissi quest’ultima frase così bruscamente che si diede per vinto.
“Fai un po’ come vuoi”, brontolò e si allontanò, per cercare, forse, un altro compare di caccia amorosa, o almeno di burle e bevute.
Improbus”, pensai nella mia ingenuità annosa. Non avevo capito che quel compagno di colazioni e lezioni non aveva torto. Stavo commettendo un errore mentale, amoroso e pure politico poiché le angosce  inflitte da  quella donna avrebbero sottratto energie al mio lavoro dedito al bene comune, alla scuola, e, dopo tutto, alla polis.
 Sentivo già che qualche cosa non andava, che si profilava un autunno lugubre.
Per liberarmi da pensieri e dubbi penosi andai a correre i 5000 metri nel caldo sicuro e luminoso del mezzogiorno. Corsi bene: le membra divinamente compatte dal vincolo dell’armonia e della salute migliorarono l’ultimo tempo di sette secondi.



giovanni ghiselli

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[1] Cfr. Goethe, Faust , Prima parte,  Studio: “Ahi, ahi, con il tuo pugno potente, hai distrutto un mondo ridente!”
[2] Mozart-Da Ponte, Le nozze di Figaro, II, 9, aria.
[3] Sono tre storie d’amore presenti in questo blog.

1 commento:

  1. Mi piace. Il tema della fedeltà è sempre coinvolgente e questo dialogo contrapposto è universale . Per quanto mi riguarda hai colto l'argomento e questa lettura è appassionante. Giovanna Tocco

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