NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 25 marzo 2016

Callimaco. Parte I

presunto ritratto di Callimaco

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Callimaco nacque intorno al 310 a Cirene la città fondata da Batto del quale il poeta si dirà discendente. Andò presto a vivere ad Alessandria dove riuscì a entrare nella corte di Tolomeo II Filadelfo (283-246) prima, e successivamente in quella Tolomeo III Evergete (246-221) che aveva sposato Berenice, di Cirene anche lei.
Morì verso il 240.

Callimaco in alcuni versi programmatici  raccomanda la brevità o sottigliezza delle composizioni, ma questo canone, ripreso da Catullo (95) e dai poetae novi  di Roma, non significa che l'autore debba scrivere poco, bensì evitare i lunghi poemi epici sul tipo delle  Argonautiche  del suo discepolo infedele Apollonio Rodio, o della Tebaide  del ridondante Antimaco per menzionare un'altra volta il carme 95 di Catullo.
Calimaco in effetti  produsse molto  e in parecchi generi: dalle Tavole , un catalogo ragionato delle opere precedenti, a studi di carattere scientifico o erudito, a versi di vario metro, distici, esametri, giambi.
Di tutto questo ci sono arrivati sei Inni  agli dèi, una sessantina di Epigrammi ,13 Giambi; inoltre centinaia di  frammenti degli Aitia (le origini), un poema eziologico, che cioé cerca, appunto, origini e cause, e frammenti dell'Ecale  un epillio o poemetto che racconta l'impresa di Teseo contro il toro di Maratona osservandola da un punto di vista non eroico ma umile e agreste.
Caratteristiche della poesia callimachea sono, oltre la brevità, l'erudizione, talora soffocante, come per intenderci in certi carmina docta  del suo emulo latino, talora lieve e assimilata bene, ma sempre presente, e non è inesatto definire "di seconda mano" i suoi versi: tanto più che egli stesso affermava:"ajmavrturon oujde;n ajeivdw, non canto nulla che non sia testimoniato (fr. 612 Pfeiffer).
Altre caratteristiche sono la cura formale e l'ironia con la quale l'autore cerca di prendere distanza dai sentimenti e dalle passioni descritte per non cadere nel patetico, ritenuto antiquato e di cattivo gusto.

Snell, in La cultura greca e le origini del pensiero europeo, sostiene che Callimaco scrive in epoca postfilosofica, ossia in un periodo che ha perduto la fede nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo,  e per questo egli, come Teocrito ed altri alessandrini, rinunciano all'universale e ripiegano sul particolare, autorizzandolo del resto con l'erudizione, il buon gusto e la raffinatezza formale. "Questi poeti ellenistici erano, per dirla in una parola, post-filosofici, mentre i poeti arcaici erano pre-filosofici" (p.371).

Il lettore colto, cui si rivolge il poeta, nota gli echi e le reminiscenze, generalmente costituite da glosse, parole desuete, rare le quali significano innanzitutto il culto di quella tradizione letteraria che fornisce non solo materiale eletto ma pure stimoli e ispirazione a poeti cortigiani del despota di un paese dove non c'era libertà, né dibattito politico, né un popolo cui rivolgersi in quanto la lingua greca in Egitto era compresa solo dal  sottile strato della classe dominante, di origine ellenica.
Eppure è grande l'importanza di questa poesia che avrà un lungo seguito nella cultura occidentale poiché essa costituisce un primo esempio di quel monumento alla letteratura europea che verrà ripreso in mano e ingrandito da successivi autori i quali, per dirla con Eliot, hanno usato i frammenti del passato come puntello  per i loro edifici, o, più pessimisticamente  per le loro rovine (The Waste Land , 430).
Questo non significa l'esclusione della realtà effettuale delle cose dall'opera di Callimaco. Infatti, per citare alcune parole dell'ottimo saggio di Snell (Il giocoso in Callimaco , p. 382 op. cit.), "cultura è per lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente in contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze della vita".
Certo non possiamo aspettarci la vastità e la cosiddetta ingenuità della visione omerica, né la dimensione guerresca dei canti tirtaici, né quella civica delle elegie di Solone, né l'anima infiammata dei lirici arcaici o dell'arcaizzante Pindaro;
pure la tensione educativa presente nella migliore letteratura greca è assente, siccome nella metropoli cosmopolita di Alessandria, abitata e frequentata da genti diverse, divise da differenze culturali, economiche e sociali enormi, l'uomo di cultura non aveva la prospettiva certa di un popolo che lo ascoltava o leggeva; dunque l'autore scriveva poesia dotta per degli specialisti, bibliotecari,  filologi, e scienziati che, raccolti e mantenuti nel Museo dalla munificenza dei Tolomei, catalogavano i frutti del genio e del sapere ellenico dando lustro al regime che dominava sull'Egitto.

Nella sua opera Nietzsche più di una volta se la prende con il filologo evirato, con il bibliotecario alessandrino che si accieca nell'oscurità e si intisichisce in mezzo alla polvere dei libri, e sicuramente la letteratura di questo periodo lascia un'impressione di scarsa forza creativa o di una "calva assennatezza", per dirla con Rohde (Psiche , p.631),"un calmo razionalismo…ecco la disposizione d'animo che domina scienza e cultura nel periodo ellenistico…una intelligenza da vecchi, savia e povera".
Eppure in Callimaco non c'è la tetraggine, anzi dai suoi versi affiora un libero gioco capace di utilizzare argutamente echi dotti e assai elaborati, come sentimenti osservati con fine ironia, pensieri e riflessioni acute,  aspetti rari del mito e momenti significativi della vita quototidiana anche umile o ingenua e infantile.
Certo è che rimarrebbe deluso chi cercasse in queste composizioni i grandi valori dell'eroismo, della giustizia e della virtù, o le smisurate passioni suscitate da Eros che scioglie le membra quali abbiamo trovato negli autori precedenti.
Ma oramai è tempo di dare qualche saggio del massimo poeta alessandrino.
Partiamo dagli Aitia , il poema in distici, lungo (constava di 4000 versi divisi in 4 libri) ma non  costituito da un tema unico, da "un solo canto continuato o di re" ossia di argomento eroico, per dirla con l'autore, bensì da una raccolta di elegie che narravano antiche leggende e miti  attraverso i quali venivano spiegate le origini di usi, cerimonie, toponimi strani.
L'opera constava di 4 libri e, probabilmente di migliaia di versi, dei quali, soprattutto attraverso i papiri, ci sono arrivati frammenti anche piuttosto estesi.

Cominciamo dal prologo (vv. 1-38):

Spesso i Telchìni stridono contro la mia poesia,
ignoranti, che della Musa non nacquero amici,
siccome non un solo canto continuato o di re
per glorificare in molte migliaia di versi ho cantato
o il fiore degli eroi, ma avvolgo il racconto in un breve giro
come un ragazzo, mentre i decenni non sono pochi.
Ora io dico questo ai Telchìni: razza spinosa
che sa solo rodersi il fegato,
certo io ero un poeta di pochi versi, ma la feconda
Demetra fa cadere di molto la lunga...10
E delle due opere, che Mimnermo fu piacevole, i brevi racconti ce l'hanno mostrato, non la grande donna.
Lontano verso la Tracia voli dall'Egitto
la gru godendo del sangue dei Pigmei,
e i Massageti scaglino lontano le frecce contro15
il Medo: gli usignoli così sono più dolci.
Andate in malora, maledetta stirpe dell'Invidia; un'altra volta giudicate
la capacità del poeta con il criterio dell'arte, non con la chilometrica misura persiana;
e non aspettatevi che nasca da me un canto che rumoreggi forte: tuonare non è affar mio, ma di Zeus. 20
E infatti quando per la prima volta misi la tavoletta sulle mie ginocchia, mi disse Apollo Licio:
"bisogna, poeta, la vittima nutrire il più possibile
grassa, ma la Musa, o caro, deve essere fine;
inoltre anche questo io ti prescrivo: di calcare le strade25
che i carri non battono, di non spingere il cocchio sulle stesse orme degli altri né su una strada larga, ma per sentieri
non calpestati, anche se ti spingerai per una via piuttosto stretta".
Gli diedi retta: infatti cantiamo tra quelli che amano l'armonioso frinire della cicala, non lo strepitare degli asini 30.
In modo del tutto simile alla bestia orecchiuta ragli
un altro, io invece voglio essere il leggero, l'alato,
oh assolutamente, affinché la vecchiaia, affinché la rugiada, questa io canti
mangiando cibo stillante dall'etere divino,
di quella invece mi spogli, che mi sta sopra, peso gravoso quanto l'isola tricuspide sul maledetto Encelado.
Non me ne curo: infatti  quanti giovani le Muse  guardarono con occhio
non storto, non mettono da parte quando sono diventati amici canuti.

Come abbiamo detto, questo prologo contiene la poetica di Callimaco.
Prima regola: la poesia deve essere breve. Il fr. 465 Pfeiffer dice:"Kallivmaco" oJ grammatiko;" to; mevga biblivon i[son e[legen ei\nai tw'/ megavlw/ kakw'/", il filologo Callimaco sosteneva che un grande libro è uguale a un grande malanno.

I Telchìni, che nella mitologia sono demoni malefici dell'isola di Rodi, qui rappresentano i malevoli detrattori della poesia callimachea, a capo dei quali forse era l'ex discepolo Apollonio detto, appunto, Rodio, autore di un poema lungo e continuato: le Argonautiche .
Costoro accusano Callimaco di ojligosticiva, di essere un poeta di pochi versi.
 Nella polemica contro gli avversari, troviamo l'eterno tema dell'invidia che riempie di risentimento i mediocri e i goffi.

Forse molti ricordano il film Amadeus  di Forman su Mozart e Salieri basato su un microdramma di Puskin (Mozart e Salieri , 1830) dove il compositore di corte ammette:"Sono invidioso. Invidio; con tormento, profondamente invidio. O cielo! dunque dov'è giustizia..quando il genio immortale..illumina la testa d'un ozioso vagabondo, d'un folle? O Mozart, Mozart!"(p. 7).
Non molti anni più tardi, A. Schopenhauer in Parerga e Paralipomena scrive:"L'invidia è appunto l'anima dell'alleanza dovunque fiorente e tacitamente stipulata, senza previa intesa, di tutti i mediocri contro il singolo individuo eccellente di qualsiasi specie"(p. 610).

Il tema dell'invidia torna nell' Inno II  ad Apollo, alcuni esametri (105-112) del quale fanno:
"L'invidia disse di nascosto agli orecchi di Apollo:
"non ammiro il cantore che non canta temi grandi quanto il mare".
Apollo respinse l'invidia con il piede e parlò così:
"grande è la corrente del fiume di Assiria, ma molta
lordura della terra e molta spazzatura trascina sull'acqua.
Le api portano l'acqua a Demetra non da ogni parte
ma quella che pura e incontaminata zampilla
da sacra sorgente piccola vena, fiore sublime.

Un'immagine del genere troviamo nel Cimbelino  di Shakespeare:"I mari sovrani generano mostri; i poveri tributari, i fiumi, danno invece alla nostra mensa pesci squisiti" (IV, 2).

Il grande fiume pieno di scorie è ancora una volta il grande poema quale Le Argonautiche, o, per tornare al prologo degli Aitia (v.12), l'opera non riuscita di Mimnermo, la grande donna, cioè il poema Nannò  o la Smirneide .  Callimaco contrappone il canto dell'usignolo, il dolce cantore cui ambisce assimilarsi il poeta, alle trombonate  dell'epica . Fu lo stesso Apollo ad avvisarlo riguardo al fatto che la Musa deve essere fine, delicata, sottile (Mou'san...leptalevhn, Aitia , v. 24).
 Ebbene il "sottilizzarsi" della Musa risale a Euripide secondo Aristofane che nelle Rane (vv. 941-942) gli fa dire, in polemica con la magniloquenza di Eschilo:" i[scnana me;n prwvtiston aujth;n kai; to; bavro" ajfei'lon-ejpullivoi" kai; peripavtoi"" io prima di tutto resi sottile l'arte e le tolsi pesantezza con giri di parolette brevi.

Dunque l'opposizione alla poesia grossa, con pretese di grandiosità, parte dalle rivendicazioni attribuite dal massimo commediografo al tragediografo più innovativo, passa per Callimaco, e, rimanendo nelle letterature classiche, arriva a Catullo che nel carme 95 già menzionato, annuncia l'uscita della Smirna di Cinna, un poemetto breve ed elaborato per nove anni, una specie di manifesto del neoterismo, contrapposto agli antiquati Annali  di Volusio di stampo enniano rozzi e noiosi, utili tutt'al più per incartocciare gli sgombri. Il distico finale (9-10) si chiude con parole di ortodossia callimachea:" Parva mei Cinnae mihi sint cordi monumenta,/at populus tumido gaudeat Antimacho ", a me stiano a cuore i piccoli capolavori del mio Cinna, mentre il volgo si goda l'enfatico Antimaco. Questo (vissuto tra V e IV secolo) è autore di due  poemi elegiaci, Tebaide  e Lide , che Callimaco (fr.398 Pf.) definì: " pacu; gravmma kai; ouj torovn", libro grossolano e non fine".



continua

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