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Leopardi
nella Storia del genere umano
sostiene che il massimo della felicità e della forza amorosa è concessa da
"Amore, figliuolo di Venere
Celeste". E spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i
cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi
siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed
empiendoli di affetti nobili e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora
provano, cosa del tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza
di beatitudine. Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno
e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in
ambedue; benché pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli
occupa: ma Giove non gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi;
perché la felicità che nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo
superata dalla divina. A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé
qualunque più fortunata condizione fosse in alcuno uomo ai migliori
tempi".
L'altro
comparativo (a[reion, v.
182) anch'esso collegato ad ajgaqov", è
formato sulla radice ajr(e)- che si trova anche in ajrethvv , "virtù".
A
proposito di questa graduatoria, che considera quale "cosa più bella"
l'accordo con il compagno o la compagna, possiamo utilizzare la favola ovidiana
di Filemone e Bauci che, dopo
avere accolto e ospitato piamente nella loro casetta agreste Giove e Mercurio
respinti da altri abitanti, empi del luogo[1],
ottengono in premio la possibilità di vedere esaurito un desiderio. Ebbene i
due vecchi sposi si consultano, quindi Filemone esprime il desiderio comune:
essere sacerdoti custodi del tempio degli dèi e di morire nello stesso momento
" poscimus, et quoniam concordes egimus annos,/auferat hora duos eadem,
nec coniugis umquam/busta meae videam neu sim tumulandus ab illa" (Metamorfosi
, VIII, 708-710), vi preghiamo, poiché abbiamo passato concordi tanti anni, che
la stessa ora ci porti via insieme, né io veda mai la tomba della mia sposa né
debba essere sepolto da lei.
Passando
al Novecento, l'Ulisse di Joyce che impiega tale tovpo" quando
Leopold Bloom "Abbassa gli occhi al volto e alla figura di Stephen ",
lo osserva con amore paterno e gli fa un augurio:"Il viso mi ricorda la
sua povera mamma. Il profondo seno bianco....Una ragazza. La miglior cosa che possa capitargli"[2].
Il
verbo oJmofronevonte ( v.
183) è participio presente duale non contratto (=oJmofronou'nte) da oJmofronevw e
riprende la oJmofrosuvnh del v.
181.
Odisseo dunque insiste sulla concordia
affettiva e mentale. Egli comunque non si innamora della ragazza:"Bisogna
prendere congedo dalla vita come Odisseo da Nausicaa-benedicendola, più che
restandone innamorati"[3].
Snell
parte da oJmovfrwn di Iliade
XXII, 263 e nota che " L'Odissea conosce due derivati da questa parola: il
nome oJmofrosuvnh, cioè
la condizione di avere la stessa mente, e il verbo oJmofronevein,
"avere la stessa mente". Entrambi si trovano nel canto VI (vv. 180
sgg.)[4].
Odisseo augura a Nausicaa[5].....Anche
qui le parole greche cercano di spiegare, un pò laboriosamente e a fatica, che Odisseo ha in mente più che la
comunione convenzionale, qualche cosa di intimo e caloroso; anche qui,
tuttavia, è conservato il modo di vedere primitivo: si tratta del comportamento
pratico verso amici e nemici. Quando parla di unanimità, Omero si riferisce
sempre a una comunità consacrata per tradizione: famiglia, consiglio e
assemblea, esercito e gruppo di combattimento; in questa"unanimità",
dunque, alcuni individui danno uno speciale contenuto ai legami comunitari
tradizionali, ma non fondano forme sociali nuove"[6].
Quanto
ai nemici di chi ama ( dusmenevessi , i maldisposti v. 184), costoro sono i
produttori e i mercanti delle cose inutili o nocive che uomini e donne devono
comprare per gratificarsi compensando,
male, l'incapacità di amare.
Concludo
il commento ai versi omerici con
l'esordio del discorso di Aristofane (445 ca a. C.-388) nel Simposio
platonico che è un elogio incondizionato del dio Eros: è il dio che più
ama gli uomini (qew'n
filanqrwpovtato", 189d), ") poiché è il loro soccorritore e
il medico di quei mali, una volta guariti i quali, ci sarebbe grande felicità
per il genere umano:" ejpikourov" te w]n tw'n ajnqrwvpwn kai;
ijatro;"
touvtwn w|n ijaqevntwn megivsth eujdaimoniva aj;n
tw`/ ajnqrwpeivw/ gevnei ei[h
(189d). -ijaqevntwn:
genitivo del participio aoristo passivo di ijavomai. Quindi Aristofane procede
spiegando la potenza (th;n duvnamin) di questo dio. Una potenza, abbiamo
visto riconosciuta da Leopardi che pure si sentì negata "anche la
speme"[7].
Nella letteratura europea ha avuto più spazio
la calunnia, la quale identifica l'amore con il male, che questa grande verità
dell'Aristofane di Platone.
Questo luogo dell'Odissea viene ripreso da
Euripide nel prologo della Medea ,
pur con un arretramento di posizione: la salvezza più grande, afferma la
nutrice, accontentandosi di un bene minore, sta nel fatto che la donna non sia
in disaccordo con l'uomo:" h{per megivsth givgnetai swthriva-o{tan gunh; pro;"
a[ndra mh; dicostath'/" (vv. 14-15). Ma sappiamo che nemmeno questo
viene concesso alla maga della Colchide e all'eroe tessalo.
Ricorro
ancora a Joyce per indicare una possibilità di accordo salvifico, perfino della
stima e dell'amore dovuti all'attrazione e all'ammirazione, anche in condizioni
difficili, addirittura in presenza e con coscienza dell'adulterio :" Molly
dà dei punti a tutte. E' il sangue del sud. Moresco. Anche la forma, la linea.
Mani cercavano le opulente. Fa un po' il paragone con quelle altre. Moglie
chiusa in casa, segreto di famiglia. Mi permetta di presentare la mia. Ed ecco
che ti tirano fuori qualcosa d'indefinito, non sai come chiamarla...Come l'uomo
e la donna. Calamita e acciaio. Molly e lui[8]....Perché
io? Perché eri così diverso dagli altri[9]...la
loro compagna più bruna con non so quale fascino nella sua posa, Nostra Signora
delle Ciliegie, con un grazioso orecchino formato da due di esse, per dare
risalto alla calda tinta esotica della pelle in delicato contrasto con il
fresco frutto ardente[10]".
Certamente
non piccola parte dell'inclinazione verso la persona amata dipende dall'attrazione fisica:" Mia
moglie è , per così dire spagnola, a metà per meglio dire...Ha il tipo
spagnolo. Piuttosto scura, una vera bruna, nera di capelli. Io, per quel che mi riguarda, sono
fermamente convinto che il carattere dipende dal clima"[11]. Una convinzione questa, un tovpo" , già presente in Erodoto. Il
capitolo finale delle Storie (IX, 122) contiene un monito attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero persiano.
Alcuni sudditi gli avevano proposto di trasferire il popolo dei Persiani dalla
loro terra "piccola, scabra e montuosa" in un'altra
"migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi
Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito
nascono uomini molli ("filevein ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;"
a[ndra" givnesqai", IX, 122, 3): infatti non è della stessa
terra produrre frutti meravigliosi e uomini valenti in guerra. Sicché i
Persiani si allontanarono desistendo, vinti dal parere di Ciro, e preferirono
comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere servi di altri
coltivando pianure fertili.
Questo passo finale dell'opera di Erodoto trova una certa corrispondenza nello
scritto del Corpus Hippocraticum[12] Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn, Sulle
arie, le acque, i luoghi di probabile paternità ippocratica[13].
Entrambe le opere infatti affermano che c'è
una "unità indissolubile" tra la terra, il clima, gli uomini e
"le forme della loro esperienza umana…Si potrà forse osservare che il concetto della connessione fra la
terra e l'uomo non è portato, qui[14],
alle estreme conseguenze metodiche, come invece nello scritto (del corpus
ippocrateo) Sui climi sulle
acque sui luoghi , in cui le differenze tra Asiatici ed Europei sono
ricondotte al rapporto fra gli uomini e la natura del paese, e le
caratteristiche degli abitanti del Fasi-gialli di colorito, alti e grassi,
inadatti alle fatiche-sono riportate alle condizioni della loro regione
paludosa e malsana. In Erodoto la connessione terra-uomo c'è tuttavia[15]".
C'è pure in Joyce
come si è visto.
Si diceva dell'importanza dell'attrazione
fisica. Il richiamo visivo è più profondo quando viene dagli occhi. Il legame
di coppia, anche il più spirituale, riceve il primo e basilare impulso
dall'attrazione fisica. Atena rende Odisseo più attraente affinché Nausicaa,
vedendolo, se ne innamori:"Atena, prole di Zeus, lo rese più grande a
vedersi e più robusto (meivzonav t j eijsidevein kai; pavssona ), e
dal capo folti fece scendere i capelli, simili ai fiori del giacinto (Odissea , VI, 229-231).
La somiglianza più
alta dell'essere umano è quella con gli dèi immortali. La consegue Odisseo (,
ma ora assomigli agli dèi, Odissea , VI, 243) in seguito
all'intervento di Atena Nausicaa dice
alle ancelle:" prima in effetti mi sembrava davvero essere uno volgare (ajeikevlio" ) , ma ora assomiglia agli dèi (nu'n de; qeoi'si
e[oike) che abitano l'ampio
cielo ( Odissea , VI, vv.
242-243). Questa similitudine con dio
costituisce per la creatura dotata la più alta forma di identificazione, il
massimo della sua identità: "quando è privo di ogni charis, l'essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è
simile agli dei, theoisi eoikei . La
somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si
manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso
i mortali una costante, fissata una volta per tutte. Tra i due poli opposti del
non rassomigliare a nulla e del rassomigliare agli dèi, essa si situa in
posizioni variabili a seconda del prestigio o della celebrità di cui uno gode,
della paura e del rispetto che uno ispira...La grazia e la bellezza del corpo,
facendo vedere chi siete, danno la misura della vostra time, della vostra dignità o della vostra infamia".
Viceversa: "A
volte capita che anche gli uomini tentino di fare ciò che gli dèi possono
realizzare facilmente, ma in peggio, quando cercano di distruggere nel cadavere
di un nemico odiato ogni rassomiglianza del morto con lui stesso. Oltraggiando
il suo corpo, sfigurandolo, strappandogli la pelle, smembrandolo, lasciandolo
imputridire al sole o divorare dagli animali, si vuol far scomparire ogni
traccia della sua figura e della sua antica bellezza per non lasciare di lui
che orrore e mostruosità. Oltraggiare-cioè imbruttire e disonorare a un tempo
si dice aeikizein , rendere aeikes o aeikelios
, non simile"[16].
ajeikivzw, ajeikhvς , ajeikevlioς
Per comprendere
questa riflessione bisogna ricordare che ajj -eikhv" è formato sulla radice eijk-/oijk-/ijk- come e[oika, "sono simile", quindi significa "indegno" e
"dissimile", ossia, secondo Vernant, indegno di se stesso e dissimile
da se stesso.
Gli occhi
L'attrattiva
particolare degli occhi. Il legame dello sguardo con l'amore. Oculi sunt in
amore duces . Gli occhi come simbolo dei genitali.
Per
risalire verso gli archetipi di questa considerazione ci fornisce alcune
indicazioni Leopardi.
L'importanza
capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di
Recanati nello
Zibaldone :"Le Dee e specialmente Giunone, è
chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale
Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci
intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode
delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo
di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza
in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza
per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di
gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa
grandezza... Dalle quali cose deducete
1°.Quanto
sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto
più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente
si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son
grandi, tanto maggiore apparisce realmente l'anima e la vitalità e
la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro
è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e
misura di vita"(2546-2548).
In
effetti Dafni, l'innamorato del romanzo di Longo Sofista nota che gli occhi di Cloe erano "megavloi kaqavper
boov""
[17],
grandi come quelli di una giovenca.
Il
nesso tra lo sguardo e la brama amorosa viene evidenziato da Teocrito[18]
quando, nell'Epitalamio di Elena , fa
lodare la bellezza della sposa di Menelao da un coro di fanciulle spartane le
quali mettono in rilievo che il desiderio è suscitato soprattutto dagli occhi
di lei: "wJ" JElevna, ta'" pavnte" ejp j
o[mmasin i{meroi ejntiv",
come Elena nei cui occhi risiedono tutte le seduzioni (XVIII, 37).
Gli
occhi infatti lanciano strali amorosi e pure li ricevono, talora con profonde
ferite.
Saffo[19]
nel frammento 2 D. lamenta la perdita dell'uso della lingua e degli occhi
colpiti da paralisi in seguito alla visione dell'amata : "appena infatti
ti guardo per un momento, allora non / è permesso più che io dica niente / ma
la lingua mi rimane spezzata… / e con gli occhi non vedo nulla (v 7-9 e v. 11).
Catullo[20],
traducendo l'ode della poetessa greca, denuncia con spavento la totale afonia e
l'oscuramento visivo che nasce da un'occhiata amorosa: "nam simul te, / Lesbia, aspexi, nihil est
super mi / postmodo vocis, / lingua sed torpet… gemina teguntur-lumina nocte.
" (51, 6-9, 11-12), infatti appena ti vedo, Lesbia, non mi rimane nemmeno
un filo di voce in bocca, ma la lingua si paralizza... gli occhi si coprono di
una doppia notte.
Più
avanti vedremo l'insieme di queste due liriche e le commenteremo da un' altra
visuale.
Quale
attrattiva di Cinzia ha catturato Properzio[21]
per sempre se non gli occhi? La prima elegia dei quattro libri del "romano
Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis
" (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una
cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: / Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit
" (I, 12, 19-20), io non posso
amare un'altra né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà
l'ultima.
Vedremo
che la fedeltà del poeta, nella sua immaginazione, andrà oltre la morte.
Gli
occhi, ribadisce più avanti Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono
i comandanti nella guerra amorosa:"si
nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
Dagli
occhi parte la ricerca amorosa anche secondo Ovidio[22],
poeta tutt'altro che incline a suggerire la fedeltà eterna.
Il
Sulmonese che consiglia di usare l'argomento "tu mihi sola places" come mezzo di seduzione, fa scattare
l'operazione erotica dallo sguardo scrutante dell'uomo il quale deve
individuare e mettere nel mirino la preda adatta, ossia non impossibile:"elige cui dicas " tu mihi sola
places". / Haec tibi non tenues
veniet delapsa per auras; / quaerenda est oculis apta puella tuis" (Ars amatoria [23],
vv. 42-44), scegli una cui dire: "tu sola a me piaci". Questa non ti
verrà incontro scendendo per i soffi leggeri dell'aria; con i tuoi occhi devi
cercare la ragazza adatta.
Nell'esordio
poetico degli Amores [24]
, e con il tono del lusus ironico di derivazione callimachea, lontano
comunque dal pathos di Catullo e di
Properzio, Ovidio aveva scritto:"Non mihi mille placent, non sum desultor amoris" ( I, 3, 15) a
me non ne piacciono mille, non sono un saltimbaco dell'amore.
L'ironia porta al lettore l'eco rovesciata di
questa affermazione.
Nella
Vita Nuova di Dante[25]
si ritrovano gli occhi della donna mirabile che ingentilisce l'oggetto dei suoi
sguardi: "Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che
si fa gentil ciò ch'ella mira/ (cap. XXI, sonetto Ne li occhi porta, vv. 1-2).
" dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo
la nobilissima parte de li suoi occhi", commenta l'autore stesso.
La potenza dello sguardo di lei
del resto può anche avere effetti paralizzanti, non senza vaghi echi catulliani
:"ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,/e cui saluta fa tremar lo
core,/sì che, bassando il viso, tutto smore,/…" (Ne li occhi porta, vv. 3-5. Gli
echi catulliani sono più evidenti nel sonetto Tanto gentile del XXVI capitolo:" Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna
mia quand'ella altrui saluta, / ch'ogne lingua deven tremando muta, / e li
occhi no l'ardiscon di guardare… Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà
per li occhi una dolcezza al core" (vv. 1-4, 9-10).
Sant'
Agostino personaggio del Secretum di
Petrarca, ricorda a Francesco [26] la pericolosità dello sguardo femminile: se
contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero volger d'occhi risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis species , luxuriam
incendit; levis oculorum flexus,
amorem dormitantem excĭtat " ( III, 50).
Il tovpo" dell'amore ispirato solo o
soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene
d'amore perdute di Shakespeare[27]
: Biron in preda a un amore "pazzo
come Aiace" cerca di resistergli per non finire ammazzato come una pecora,
ma nella donna che lo ha stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile:
"Oh, ma il suo occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo
occhio io non l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io
traggo questa dottrina: essi scintillano senza posa di un vero fuoco
prometeico, e rappresentano i libri, le arti, le accademie che mostrano,
contengono e alimentano il mondo intiero; senza di loro nessuno può eccellere
in cosa alcuna" (IV, 3).
Sicché l'amore
viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy de
Maupassant (1850-1893) :" Vorrei,
soprattutto, rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro
primo pensiero è sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci
ossessionano, come ci rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi chiari,
impenetrabili e profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi, che senza
cambiare forma né colore, esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e
l'odio, la dolcezza che placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole
in eccesso e meglio dei gesti più espressivi"[28].
Gli occhi delle donne che ci attirano non
sono solo delle cose belle secondo Proust (1871-1922) insomma non sono soltanto materia:"Se pensassimo che gli occhi di una
ragazza come quella non sono che una brillante rotella di mica, non saremmo
così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma sentiamo che quel che
riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto unicamente alla sua
composizione materiale; che sono, ignote a noi, le nere ombre delle idee che
quell'essere si fa a proposito delle persone e dei luoghi che conosce…le ombre,
anche, della casa in cui rientrerà, i progetti ch'essa fa o altri han fatti per
lei; e soprattutto che è lei, con i suoi desideri, le sue simpatie, le sue
repulsioni, la sua oscura e incessante volontà"[29].
Anche
Svevo (1861-1928) ha capito che l'attrazione più forte
esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi: "Quand'egli le
parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così
luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio abbattuto…Non so se a
questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimo occhio
di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciò un vero organo per
guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[30].
T.
Mann (1875-1955) spiega, a
ragione, che l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del
volto, e in questo degli occhi, siccome significativi del carattere della
persona: "C' era stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo
viso e quello di lei, quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo,
una forma che gli piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena
di carattere...ciò che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli
occhi, quegli occhi sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente
affascinante, occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti
lontani, che, a volte, con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a
vedere, potevano oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[31].
Molto più avanti[32] si
legge :" Quando il desiderio carnale...s'è fermato sopra una persona con
un determinato viso, allora si parla d'amore.Io non desidero soltanto il suo
corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso qualche cosa anche piccola
fosse diversamente conformata, probabilmente non desidererei più neppure il suo
corpo...Questo dimostra che amo l'anima sua e l'amo con l'anima. Poiché l'amore
per il viso è amore spirituale".
Gli
occhi sono comunque legati all'amore e al sesso
Gli
occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il
proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione"[33].
"Si deve tenere presente che, nella mitologia classica, gli occhi
presentano spesso un legame con l'amore e con la sessualità, e in particolare
con i genitali maschili: numerose sono le rappresentazioni vascolari di falli
con occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un
significato di simbolica castrazione, di autopunizione per i delitti sessuali
commessi. Infliggendo una punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la parte del
suo corpo che si è macchiata di colpa nei confronti della madre"[34].
continua
[1]
Della Frigia.
[2]J. Joyce, Ulisse , trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 803.
[3]
Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 88.
[4]I
vv. 180-185 son stati spesso espunti sull'esempio del Bekker che, col suo senso
piccolo-borghese delle convenienze, non voleva attribuire a Odisseo
"un'impertinenza così indiscreta, così imprudente" (Homerische Blätter , 2, pp; 55 sgg.).
[5]. Segue la traduzione dei vv.
180-185 fino a eujmenevth/si.
[6]
Bruno Snell, Poesia e società , trad.
it. Laterza, Bari, 1971, pp. 33-34.
[7]
La sera del dì di festa, v. 15; e, poco più avanti:"non io, non già, ch'io
speri,/al pensier ti ricorro" (vv. 20-21).
[8]Ulisse , pp. 511-512.
[9]Ulisse , p. 521.
[10]Ulisse , pp. 581-582.
[11]Ulisse, p.
842.
[12]
Messo insieme tra la fine del V secolo e gli inizi del IV a. C.
[13]
Ippocrate visse tra il 460/450 e il 380 a. C. circa.
[14]
Nelle Storie di Erodoto.
[15]
S. Mazzarino (Il pensiero storico
classico , I, p. 161.
[16]J.
P. Vernant, Tra mito e politica , pp.
210-211.
[17]
Le avventure pastorali di
Dafni e Cloe , I, 17. Romanzo
ellenistico, composto tra il II e il III secolo d. C.
[18]
Teocrito siracusano (310 ca-250 ca a. C.) visse tra Siracusa, Coo e Alessandria
alla corte di Tolomeo II filadelfo. Abbiamo un corpus di 30 idilli e 24 epigrammi.
[19]
Poetessa greca dell'isola di Lesbo. Visse tra il VII e il VI secolo. Scrisse
liriche in dialetto eolico.
[20]
Vissuto tra l'84 e il 54 a. C. Ha lasciato un Liber di 116 carmi in metro vario.
[21]
Nato ad Assisi nel 49 a. C. circa, morto a Roma intorno al 15a. C., ha scritto
quattro libri di elegie. Il primo fu pubblicato nel 28, il secondo e il terzo
nel 22, il quarto nel 16 a. C. I primi tre cantano l'amore per Cinzia, il IV,
quello delle elegie romane, racconta per lo più miti, riti della tradizione,
episodi della storia di Roma e italica.
[22]
Nato a Sulmona nel 43 a. C., morto a Tomi, sul mar Nero nel 17/18 d. C.
Indicheremo le date delle sue opere a mano a mano che le menzioneremo.
[23]
Tre libri, in distici elegiaci, di insegnamenti sull'amore: i primi due usciti
tra l'1 a. C. e l'1 d. C.; il terzo poco dopo. Ci torneremo diverse volte
durante il percorso.
[24] Raccolta di elegie in tre libri. La prima
edizione è di poco posteriore al 20 a. C.; la seconda, rielaborata, uscì quasi
venti anni dopo, intorno all' 1 a. C.
[25] Firenze 1265-Ravenna 1321.
[26] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[27] Stratford on Avon 1564-Warwickshire
1616. Love's labour's lost è del
1594-1505.
[28]
Le plus belles lettres d'amour , tratto da Lunario dei giorni d'amore,
p. 502.
[29]
All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[30]La coscienza di Zeno , Dall'Oglio,
Milano, 1938, p. 317 e p. 319.
[31]La
montagna incantata
, trad. it. Dall'Oglio, Milano, 1930, vol., I, p. 163.
[32]P. 304 del II vol.
[33]
Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere , volume 11, p. 617, n.
1.
[34]
D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p. 199.
Giovanna Tocco
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