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giovedì 10 marzo 2016

Matrimonio e Adulterio. Parte III

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Leopardi nella Storia del genere umano sostiene che il massimo della felicità e della forza amorosa è concessa da "Amore, figliuolo di Venere Celeste". E spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione fosse in alcuno uomo ai migliori tempi". 
L'altro comparativo (a[reion, v. 182) anch'esso  collegato ad ajgaqov", è formato sulla radice ajr(e)- che si trova anche in ajrethvv , "virtù".

A proposito di questa graduatoria, che considera quale "cosa più bella" l'accordo con il compagno o la compagna, possiamo utilizzare la favola ovidiana di Filemone e Bauci che, dopo avere accolto e ospitato piamente nella loro casetta agreste Giove e Mercurio respinti da altri abitanti, empi del luogo[1], ottengono in premio la possibilità di vedere esaurito un desiderio. Ebbene i due vecchi sposi si consultano, quindi Filemone esprime il desiderio comune: essere sacerdoti custodi del tempio degli dèi e di morire nello stesso momento " poscimus, et quoniam concordes egimus annos,/auferat hora duos eadem, nec coniugis umquam/busta meae videam neu sim tumulandus ab illa" (Metamorfosi , VIII, 708-710), vi preghiamo, poiché abbiamo passato concordi tanti anni, che la stessa ora ci porti via insieme, né io veda mai la tomba della mia sposa né debba essere sepolto da lei.
Passando al Novecento, l'Ulisse di Joyce che impiega tale tovpo" quando Leopold Bloom "Abbassa gli occhi al volto e alla figura di Stephen ", lo osserva con amore paterno e gli fa un augurio:"Il viso mi ricorda la sua povera mamma. Il profondo seno bianco....Una ragazza. La miglior cosa che possa capitargli"[2]
Il verbo oJmofronevonte ( v. 183) è participio presente duale non contratto (=oJmofronou'nte) da oJmofronevw e riprende la oJmofrosuvnh del v. 181.

Odisseo dunque insiste sulla concordia affettiva e mentale. Egli comunque non si innamora della ragazza:"Bisogna prendere congedo dalla vita come Odisseo da Nausicaa-benedicendola, più che restandone innamorati"[3].
Snell parte da oJmovfrwn di Iliade  XXII, 263 e nota che " L'Odissea  conosce due derivati da questa parola: il nome oJmofrosuvnh, cioè la condizione di avere la stessa mente, e il verbo oJmofronevein, "avere la stessa mente". Entrambi si trovano nel canto VI (vv. 180 sgg.)[4]. Odisseo augura a Nausicaa[5].....Anche qui le parole greche cercano di spiegare, un pò laboriosamente e a fatica, che Odisseo ha in mente più che la comunione convenzionale, qualche cosa di intimo e caloroso; anche qui, tuttavia, è conservato il modo di vedere primitivo: si tratta del comportamento pratico verso amici e nemici. Quando parla di unanimità, Omero si riferisce sempre a una comunità consacrata per tradizione: famiglia, consiglio e assemblea, esercito e gruppo di combattimento; in questa"unanimità", dunque, alcuni individui danno uno speciale contenuto ai legami comunitari tradizionali, ma non fondano forme sociali nuove"[6].
Quanto ai nemici di chi ama ( dusmenevessi , i maldisposti v. 184), costoro sono i produttori e i mercanti delle cose inutili o nocive che uomini e donne devono comprare per gratificarsi  compensando, male, l'incapacità di amare.
Concludo il commento  ai versi omerici con l'esordio del discorso di Aristofane (445 ca a. C.-388) nel Simposio  platonico che è un elogio incondizionato del dio Eros: è il dio che più ama gli uomini (qew'n filanqrwpovtato", 189d), ") poiché è il loro soccorritore e il medico di quei mali, una volta guariti i quali, ci sarebbe grande felicità per il genere umano:" ejpikourov" te w]n tw'n ajnqrwvpwn kai; ijatro;" touvtwn w|n  ijaqevntwn megivsth eujdaimoniva aj;n tw`/  ajnqrwpeivw/ gevnei ei[h (189d). -ijaqevntwn: genitivo del participio aoristo passivo di ijavomai. Quindi Aristofane procede spiegando la potenza (th;n duvnamin) di questo dio. Una potenza, abbiamo visto riconosciuta da Leopardi che pure si sentì negata "anche la speme"[7].

 Nella letteratura europea ha avuto più spazio la calunnia, la quale identifica l'amore con il male, che questa grande verità dell'Aristofane di Platone.
Questo  luogo dell'Odissea  viene ripreso da Euripide nel prologo della Medea , pur con un arretramento di posizione: la salvezza più grande, afferma la nutrice, accontentandosi di un bene minore, sta nel fatto che la donna non sia in disaccordo con l'uomo:" h{per megivsth givgnetai swthriva-o{tan gunh; pro;" a[ndra mh; dicostath'/" (vv. 14-15). Ma sappiamo che nemmeno questo viene concesso alla maga della Colchide e all'eroe tessalo.
Ricorro ancora a Joyce per indicare una possibilità di accordo salvifico, perfino della stima e dell'amore dovuti all'attrazione e all'ammirazione, anche in condizioni difficili, addirittura in presenza e con coscienza dell'adulterio :" Molly dà dei punti a tutte. E' il sangue del sud. Moresco. Anche la forma, la linea. Mani cercavano le opulente. Fa un po' il paragone con quelle altre. Moglie chiusa in casa, segreto di famiglia. Mi permetta di presentare la mia. Ed ecco che ti tirano fuori qualcosa d'indefinito, non sai come chiamarla...Come l'uomo e la donna. Calamita e acciaio. Molly e lui[8]....Perché io? Perché eri così diverso dagli altri[9]...la loro compagna più bruna con non so quale fascino nella sua posa, Nostra Signora delle Ciliegie, con un grazioso orecchino formato da due di esse, per dare risalto alla calda tinta esotica della pelle in delicato contrasto con il fresco frutto ardente[10]".
Certamente non piccola parte dell'inclinazione verso la persona amata  dipende dall'attrazione fisica:" Mia moglie è , per così dire spagnola, a metà per meglio dire...Ha il tipo spagnolo. Piuttosto scura, una vera bruna, nera di capelli. Io, per quel che mi riguarda, sono fermamente convinto che il carattere dipende dal clima"[11]. Una convinzione questa, un tovpo" , già presente in Erodoto. Il capitolo finale delle Storie  (IX, 122) contiene un monito  attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero persiano. Alcuni sudditi gli avevano proposto di trasferire il popolo dei Persiani dalla loro terra "piccola, scabra e montuosa" in un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito nascono uomini molli ("filevein ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai", IX, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani si allontanarono desistendo, vinti dal parere di Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere servi di altri coltivando pianure fertili. Questo passo finale dell'opera di Erodoto trova una certa corrispondenza nello scritto del Corpus Hippocraticum[12]  Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn, Sulle arie, le acque, i luoghi di probabile paternità ippocratica[13].
  Entrambe le opere infatti affermano che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana…Si potrà forse osservare che il concetto della connessione fra la terra e l'uomo non è portato, qui[14], alle estreme conseguenze metodiche, come invece nello scritto (del corpus  ippocrateo) Sui climi sulle acque sui luoghi , in cui le differenze tra Asiatici ed Europei sono ricondotte al rapporto fra gli uomini e la natura del paese, e le caratteristiche degli abitanti del Fasi-gialli di colorito, alti e grassi, inadatti alle fatiche-sono riportate alle condizioni della loro regione paludosa e malsana. In Erodoto la connessione terra-uomo c'è tuttavia[15]".
C'è pure in Joyce come si è visto.
 Si diceva dell'importanza dell'attrazione fisica. Il richiamo visivo è più profondo quando viene dagli occhi. Il legame di coppia, anche il più spirituale, riceve il primo e basilare impulso dall'attrazione fisica. Atena rende Odisseo più attraente affinché Nausicaa, vedendolo, se ne innamori:"Atena, prole di Zeus, lo rese più grande a vedersi e più robusto (meivzonav t j eijsidevein kai; pavssona ), e dal capo folti fece scendere i capelli, simili ai fiori del giacinto (Odissea , VI, 229-231).

La somiglianza più alta dell'essere umano è quella con gli dèi immortali. La consegue Odisseo (, ma ora assomigli agli dèi,   Odissea , VI, 243) in seguito all'intervento di Atena  Nausicaa dice alle ancelle:" prima in effetti mi sembrava davvero essere uno volgare (ajeikevlio" ) , ma ora assomiglia agli dèi (nu'n de; qeoi'si e[oike) che abitano l'ampio cielo ( Odissea , VI, vv. 242-243).   Questa similitudine con dio costituisce per la creatura dotata la più alta forma di identificazione, il massimo della sua identità: "quando è privo di ogni charis, l'essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte. Tra i due poli opposti del non rassomigliare a nulla e del rassomigliare agli dèi, essa si situa in posizioni variabili a seconda del prestigio o della celebrità di cui uno gode, della paura e del rispetto che uno ispira...La grazia e la bellezza del corpo, facendo vedere chi siete, danno la misura della vostra time, della vostra dignità o della vostra infamia".
Viceversa: "A volte capita che anche gli uomini tentino di fare ciò che gli dèi possono realizzare facilmente, ma in peggio, quando cercano di distruggere nel cadavere di un nemico odiato ogni rassomiglianza del morto con lui stesso. Oltraggiando il suo corpo, sfigurandolo, strappandogli la pelle, smembrandolo, lasciandolo imputridire al sole o divorare dagli animali, si vuol far scomparire ogni traccia della sua figura e della sua antica bellezza per non lasciare di lui che orrore e mostruosità. Oltraggiare-cioè imbruttire e disonorare a un tempo si dice aeikizein , rendere aeikes  o aeikelios  , non simile"[16]. ajeikivzw, ajeikhvς , ajeikevlioς
Per comprendere questa riflessione bisogna ricordare che ajj -eikhv" è formato sulla radice eijk-/oijk-/ijk-  come e[oika, "sono simile", quindi significa "indegno" e "dissimile", ossia, secondo Vernant, indegno di se stesso e dissimile da se stesso.


Gli occhi

L'attrattiva particolare degli occhi. Il legame dello sguardo con l'amore. Oculi sunt in amore duces . Gli occhi come simbolo dei genitali.

Per risalire verso gli archetipi di questa considerazione ci fornisce alcune indicazioni Leopardi.
L'importanza capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di Recanati nello Zibaldone  :"Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete
1°.Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore  apparisce realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(2546-2548).


In effetti Dafni, l'innamorato del romanzo di Longo Sofista   nota che gli occhi di Cloe erano "megavloi kaqavper boov"" [17], grandi come quelli di una giovenca.
Il nesso tra lo sguardo e la brama amorosa viene evidenziato da Teocrito[18] quando, nell'Epitalamio di Elena , fa lodare la bellezza della sposa di Menelao da un coro di fanciulle spartane le quali mettono in rilievo che il desiderio è suscitato soprattutto dagli occhi di lei: "wJ"  JElevna, ta'" pavnte" ejp j o[mmasin  i{meroi ejntiv", come Elena nei cui occhi risiedono tutte le seduzioni (XVIII, 37).

Gli occhi infatti lanciano strali amorosi e pure li ricevono, talora con profonde ferite.
Saffo[19] nel frammento 2 D. lamenta la perdita dell'uso della lingua e degli occhi colpiti da paralisi in seguito alla visione dell'amata : "appena infatti ti guardo per un momento, allora non / è permesso più che io dica niente / ma la lingua mi rimane spezzata… / e con gli occhi non vedo nulla (v 7-9 e v. 11).
Catullo[20], traducendo l'ode della poetessa greca, denuncia con spavento la totale afonia e l'oscuramento visivo che nasce da un'occhiata amorosa: "nam simul te, / Lesbia, aspexi, nihil est super mi / postmodo vocis, / lingua sed torpet… gemina teguntur-lumina nocte. " (51, 6-9, 11-12), infatti appena ti vedo, Lesbia, non mi rimane nemmeno un filo di voce in bocca, ma la lingua si paralizza... gli occhi si coprono di una doppia notte.
Più avanti vedremo l'insieme di queste due liriche e le commenteremo da un' altra visuale.  

Quale attrattiva di Cinzia ha catturato Properzio[21] per sempre se non gli occhi? La prima elegia dei quattro libri del "romano Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis " (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: /  Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit " (I, 12, 19-20),  io non posso amare un'altra né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima.

Vedremo che la fedeltà del poeta, nella sua immaginazione, andrà oltre la morte.
Gli occhi, ribadisce più avanti Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
Dagli occhi parte la ricerca amorosa anche secondo Ovidio[22], poeta tutt'altro che incline a suggerire la fedeltà eterna.
Il Sulmonese che consiglia di usare l'argomento "tu mihi sola places" come mezzo di seduzione, fa scattare l'operazione erotica dallo sguardo scrutante dell'uomo il quale deve individuare e mettere nel mirino la preda adatta, ossia non impossibile:"elige cui dicas " tu mihi sola places". /  Haec tibi non tenues veniet delapsa per auras; / quaerenda est oculis apta puella tuis" (Ars amatoria [23], vv. 42-44), scegli una cui dire: "tu sola a me piaci". Questa non ti verrà incontro scendendo per i soffi leggeri dell'aria; con i tuoi occhi devi cercare la ragazza adatta.
Nell'esordio poetico degli Amores [24] , e con il tono del lusus  ironico di derivazione callimachea, lontano comunque dal pathos di Catullo e di  Properzio, Ovidio aveva scritto:"Non mihi mille placent, non sum desultor amoris" ( I, 3, 15) a me non ne piacciono mille, non sono un saltimbaco dell'amore.
 L'ironia porta al lettore l'eco rovesciata di questa affermazione.
Nella Vita Nuova di Dante[25] si ritrovano gli occhi della donna mirabile che ingentilisce l'oggetto dei suoi sguardi: "Ne li occhi porta la mia donna Amore, /  per che  si fa gentil ciò ch'ella mira/ (cap. XXI, sonetto Ne li occhi porta, vv. 1-2).
" dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo la nobilissima parte de li suoi occhi", commenta l'autore stesso.
  La potenza dello sguardo di lei del resto può anche avere effetti paralizzanti, non senza vaghi echi catulliani :"ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,/e cui saluta fa tremar lo core,/sì che, bassando il viso, tutto smore,/…" (Ne li occhi porta, vv. 3-5. Gli echi catulliani sono più evidenti nel sonetto Tanto gentile del XXVI capitolo:"  Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand'ella altrui saluta, / ch'ogne lingua deven tremando muta, / e li occhi no l'ardiscon di guardare… Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per li occhi una dolcezza al core" (vv. 1-4, 9-10).
Sant' Agostino personaggio del Secretum di Petrarca, ricorda a Francesco [26]  la pericolosità dello sguardo femminile: se contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero volger d'occhi  risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis species , luxuriam incendit; levis oculorum flexus, amorem dormitantem excĭtat " ( III, 50).
 Il tovpo" dell'amore ispirato solo o soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene d'amore perdute  di Shakespeare[27] :  Biron in preda a un amore "pazzo come Aiace" cerca di resistergli per non finire ammazzato come una pecora, ma nella donna che lo ha stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile: "Oh, ma il suo occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo occhio io non l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io traggo questa dottrina: essi scintillano senza posa di un vero fuoco prometeico, e rappresentano i libri, le arti, le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo intiero; senza di loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3).   
Sicché l'amore  viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy de Maupassant (1850-1893) :" Vorrei, soprattutto, rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro primo pensiero è sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci ossessionano, come ci rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi chiari, impenetrabili e profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi, che senza cambiare forma né colore, esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e l'odio, la dolcezza che placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole in eccesso e meglio dei gesti più espressivi"[28].
Gli occhi delle donne che ci attirano non sono solo delle cose belle  secondo Proust (1871-1922) insomma non sono soltanto materia:"Se pensassimo che gli occhi di una ragazza come quella non sono che una brillante rotella di mica, non saremmo così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto unicamente alla sua composizione materiale; che sono, ignote a noi, le nere ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle persone e dei luoghi che conosce…le ombre, anche, della casa in cui rientrerà, i progetti ch'essa fa o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con i suoi desideri, le sue simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante volontà"[29].
Anche Svevo (1861-1928)  ha capito che l'attrazione più forte esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi: "Quand'egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio abbattuto…Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciò un vero organo per guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[30].
T. Mann (1875-1955) spiega, a ragione, che l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in questo degli occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C' era stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di lei, quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere...ciò che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante, occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a volte, con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[31].
 Molto più avanti[32] si legge :" Quando il desiderio carnale...s'è fermato sopra una persona con un determinato viso, allora si parla d'amore.Io non desidero soltanto il suo corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso qualche cosa anche piccola fosse diversamente conformata, probabilmente non desidererei più neppure il suo corpo...Questo dimostra che amo l'anima sua e l'amo con l'anima. Poiché l'amore per il viso è amore spirituale".
Gli occhi sono comunque legati all'amore e al sesso
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione"[33]. "Si deve tenere presente che, nella mitologia classica, gli occhi presentano spesso un legame con l'amore e con la sessualità, e in particolare con i genitali maschili: numerose sono le rappresentazioni vascolari di falli con occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un significato di simbolica castrazione, di autopunizione per i delitti sessuali commessi. Infliggendo una punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la parte del suo corpo che si è macchiata di colpa nei confronti della madre"[34].


continua


[1] Della Frigia.
[2]J. Joyce, Ulisse , trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 803.
[3] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 88.
[4]I vv. 180-185 son stati spesso espunti sull'esempio del Bekker che, col suo senso piccolo-borghese delle convenienze, non voleva attribuire a Odisseo "un'impertinenza così indiscreta, così imprudente" (Homerische Blätter  , 2, pp; 55 sgg.).
[5]. Segue la traduzione dei vv. 180-185 fino a eujmenevth/si.
[6] Bruno Snell, Poesia e società , trad. it. Laterza, Bari, 1971, pp. 33-34.
[7] La sera del dì di festa, v. 15; e, poco più avanti:"non io, non già, ch'io speri,/al pensier ti ricorro" (vv. 20-21).
[8]Ulisse , pp. 511-512.
[9]Ulisse , p. 521.
[10]Ulisse , pp. 581-582.
[11]Ulisse, p. 842. 
[12] Messo insieme tra la fine del V secolo e gli inizi del IV a. C.
[13] Ippocrate visse tra il 460/450 e il 380 a. C. circa.
[14] Nelle Storie di Erodoto.
[15] S. Mazzarino (Il pensiero storico classico , I, p. 161.
[16]J. P. Vernant, Tra mito e politica , pp. 210-211.
[17] Le avventure pastorali di Dafni e Cloe , I, 17. Romanzo ellenistico, composto tra il II e il III secolo d. C.
[18] Teocrito siracusano (310 ca-250 ca a. C.) visse tra Siracusa, Coo e Alessandria alla corte di Tolomeo II filadelfo. Abbiamo un corpus di 30 idilli e 24 epigrammi.
[19] Poetessa greca dell'isola di Lesbo. Visse tra il VII e il VI secolo. Scrisse liriche in dialetto eolico.
[20] Vissuto tra l'84 e il 54 a. C. Ha lasciato un Liber di 116 carmi in metro vario.
[21] Nato ad Assisi nel 49 a. C. circa, morto a Roma intorno al 15a. C., ha scritto quattro libri di elegie. Il primo fu pubblicato nel 28, il secondo e il terzo nel 22, il quarto nel 16 a. C. I primi tre cantano l'amore per Cinzia, il IV, quello delle elegie romane, racconta per lo più miti, riti della tradizione, episodi della storia di Roma e italica.
[22] Nato a Sulmona nel 43 a. C., morto a Tomi, sul mar Nero nel 17/18 d. C. Indicheremo le date delle sue opere a mano a mano che le menzioneremo.
[23] Tre libri, in distici elegiaci, di insegnamenti sull'amore: i primi due usciti tra l'1 a. C. e l'1 d. C.; il terzo poco dopo. Ci torneremo diverse volte durante il percorso.
[24]  Raccolta di elegie in tre libri. La prima edizione è di poco posteriore al 20 a. C.; la seconda, rielaborata, uscì quasi venti anni dopo, intorno all' 1 a. C.
[25] Firenze 1265-Ravenna 1321.
[26] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[27] Stratford on Avon 1564-Warwickshire 1616. Love's labour's lost è del 1594-1505.
[28] Le plus belles lettres d'amour , tratto da Lunario dei giorni d'amore, p. 502.
[29] All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[30]La coscienza di Zeno , Dall'Oglio, Milano, 1938, p. 317 e p. 319.
[31]La montagna incantata , trad. it. Dall'Oglio, Milano, 1930, vol., I, p. 163.
[32]P. 304 del II vol.
[33] Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere , volume 11, p. 617, n. 1.
[34] D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p. 199.

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