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La polvere
La polvere nella
letteratura antica è segno di aridità, sterilità e morte.
Nell'Agamennone di Eschilo
la polvere è definita
"assetata sorella del fango" (vv. 494-495) . Platone attribuisce alla
polvere e all'aridità significati negativi: nel mito di Er della Repubblica le anime che vengono dal viaggio millenario
sottoterra sono "mesta;" aujcmou' te kai; kovnew""
(614d), piene di squallida aridità e di polvere.
Nel
carme 66 di Catullo, i versi di biasimo dell'adulterio (79-88) aggiunti alla
Chioma di Berenice di Callimaco associano la polvere all'impurità delle spose
infedeli:"sed quae se impuro dedit
adulterio,/ illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis ", ma se
qualcuna si concede all'impuro adulterio, ah la polvere leggera beva inutilmente
i doni cattivi di quella (84-85).
Pure
nell'Oedipus di Seneca il morbo del cielo (Fecimus coelum nocens , abbiamo reso
funesto il cielo, si autoaccusa Edipo, v.36) si riflette nell'aridità della
terra:"Deseruit amnes humor atque
herbas color,/aretque Dirce; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inopi nuda vix
unda vada "(41-44), l'acqua ha abbandonato i fiumi e il colore le
erbe, e Dirce è secca; come un rigagnolo scorre l'Ismeno e con l'onda
senz'acqua bagna a stento il letto vuoto.
Nella Waste land di Eliot
si legge:"I will show you
fear in a handful of dust " (v. 30), in un pugno di polvere vi
mostrerò la paura.
E più
avanti:"Qui non c'è acqua ma soltanto roccia/Roccia e non acqua e la
strada di sabbia/La strada che serpeggia lassù fra le montagne/Che sono
montagne di roccia senz'acqua (vv. 331-334)...Vi fosse almeno acqua fra la
roccia (v. 338)...Non c'è neppure silenzio fra i monti/Ma secco sterile tuono
senza pioggia/Non c'è neppur solitudine fra i monti(vv. 341-343)...Ma non c'è
acqua(v. 358)".
D'Annunzio
ambienta il dramma La città morta (del 1898) "Nell'Argolide
"sitibonda" presso le rovine di Micene "ricca d'oro" dove
Bianca Maria "tenendo tra le mani un libro aperto-l'Antigone di Sofocle- legge con voce lenta e grave" (I, 1).
-dusmenevessin=dusmenevsin,
dativo plurale di dusmenhv" con
geminazione eolica della vocale e della sibilante per necessità metrica,
metri gratia .-seu'=sou'.- ken:
introduce a[ghtai,
congiuntivo medio di a[[gw, e corrisponde all'attico a[n.
"Per motivi metrici a[n non ha mai potuto soppiantare l'eolica ke, la
quale offriva diverso impiego metrico. Il poeta epico, per sua comodità,
aggiunge anche un -n
efelcistico, tipicamente ionico, a una particella non ionica e forma ken"[1].-ajpouvra" :
participio dell'aoristo ajphuvra, senza presente.
Ettore dunque è
immerso nella civiltà di vergogna e fa gran conto della sua reputazione di eroe
che del resto è pure la sua identità: egli, come Achille, come Aiace, cerca
l'onore (timhv ) la cui perdita per il campione omerico è
la tragedia massima. Il compenso che il prode si aspetta in cambio dell' ajrethv
dimostrata obbedendo a obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un
riconoscimento in termini di onore: la timhv negata è una tragedia per il valoroso
che si è distinto in battaglia: Achille si rifiuta di combattere constando che
l'uomo codardo e il valoroso sono tenuti nello stesso onore:" ejn de; ijh'/ timh'/
hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""[2].
Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio:"tivmhsovn moi uiJovn"[3], onora
mio figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore di
genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"[4]) : gli
ha preso il suo dono e lo tiene. Achille per reazione allo scarso onore resogli
da Agamennone arriva a provocare, sia pur involontariamente, la morte
dell'amico Patroclo. Aiace giunge addirittura a uccidersi "per disdegnoso gusto". Ettore in
effetti conserverà l'onore acquistato versando sangue per la patria fino alla
chiusa dei Sepolcri di Foscolo e oltre.
Generoso come
difensore troiano è stato il figlio di Priamo e pure buon marito che rispetta e ama la moglie. Meno rispettoso
della sua è Agamennone il quale, sempre nell' Iliade ,
afferma di preferire a Clitennestra Criseide in quanto la schiava-amante non le
era inferiore "per il corpo né per la figura né per la mente né per le
opere" (I, 115).
Nell'Agamennone di Eschilo anzi pare che sia stato questo amore ancillare troppo elogiato a
mettere in moto il risentimento della
moglie legittima:"kei'tai gunaiko;" th'sde lumanthvrio",-Crushivdwn
meivligma tw'n uJp j jIlivw/"(vv.
1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle
Criseidi sotto Ilio , grida Clitennestra dopo l'assassinio dello sposo. Non
bassa comunque è la situazione della sposa troiana.
Particolarmente significativo dell'alta
condizione della donna nell'epos omerico, è il
consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: il naufrago deve
chiedere aiuto non al re ma alla regina sua madre se vuole vedere il dì del
ritorno (vv. 310-315).
"La posizione sociale della donna non fu
mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo
cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal
popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le
decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[5]. Per ottenere di ritornare ad Itaca con
l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in
primo luogo al padre di lei, al Re, ma abbraccia implorando le ginocchia della
sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la preghiera[6]. Quanta sicurezza nel contegno della stessa
Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che
tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto
della sua persona e della sua dignità di donna[7]. I modi cortesi dei nobili signori con le
donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione
sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente
utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[8], né solo quale madre della prole legittima,
come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto,
fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale
genitrice di un'eletta stirpe[9]. Essa è la rappresentante e la custode
d'ogni elevato costume e tradizione. Questa sua dignità spirituale influisce
anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea , che rappresenta in tutto idee
morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto
notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e
onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il
poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò
un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita
la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte,
ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[10].
Nel
VI canto dell'Odissea Ulisse augura a
Nausicaa quello che secondo lui è il bene più grande che le possa capitare.
Versi 180-185 in greco.
Traduzione.
"A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri
nel tuo cuore,/un uomo e una famiglia e la concordia degli animi vi
diano/nobile: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso di questo,/di
quando concordi nei pensieri reggono la casa/l'uomo e la donna: molto dolore
per i malevoli,/e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro"(vv.
180-185 ). - a[ndra : ho
preferito tradurlo con "uomo" invece del tradizionale
"marito"; infatti una donna non potrebbe augurarsi un marito che non
fosse anche un uomo, e in effetti tanti mariti sono uomini apparenti. Ecco
perché Temistocle dei due
pretendenti alla mano della figlia scelse quello che era un uomo a quello ricco
dicendo: preferisco un uomo senza denaro al denaro senza uomo[11].
Similmente
la Giovanna amata da Federigo degli
Alberighi, riconosciuta la grandezza dell'animo di quell'uomo che aveva
perso tutto il suo patrimonio per corteggiarla, volle sposarlo dicendo:"ma
io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia
bisogno d'uomo"[12].
Del resto poi lo sposo prescelto divenne
pure "miglior massaio".
-
oJmofrosuvnhn:
indica lo stesso modo di sentire e pensare che è imprescindibile per l'accordo
di una coppia; anzi, quando c'è questa condizione invidiabile, nessuna
opposizione, nessun incidente, può sciuparla o mortificarla. In questo caso
l'amore non è volgare. Non solo: tale similitudine e concordia di anime (oJmov" e frhvn)
arriva alla fusione reciproca o alla trasfusione dell'una nell'altra.
Nel
Simposio di Platone, Pausania distingue l'amore
volgare, figlio di Afrodite Pandemia, da quello celeste, figlio di Venere
Celeste appunto; ebbene l'amante volgare (oJ ejrasth;" oJ pavndhmo" ) si
innamora piuttosto del corpo che dell'anima (oJ tou' swvmato" ma'llon hj; th'"
yuch'" ejrw'n, ) e non è costante, poiché ama una cosa che non è
costante: non appena appassisce il fiore del corpo, vola via lontano,
disonorando le sue parole e le sue promesse; quello invece che si entusiasma
per un carattere nobile ne resta innamorato per tutta la vita , poiché si è
fuso con qualche cosa di stabile ( ejrasth;" dia; bivou mevnei, a{{te monivmw/
suntakeiv" 183e).
Tiziano dipinse nel 1514 un'opera neoplatonica
che raffigura Amor sacro e amor profano in due donne, una vestita e una
quasi nuda; ebbene la Venere volgare è quella vestita e adorna di effimeri
orpelli terreni, mentre la svestita rappresenta la Venere Celeste: la sua
nudità infatti significa la bellezza eterna, universale, e la verità
filosofica, mentre una fiamma tenuta alta nella mano sinistra simboleggia
l'amor di Dio.
Il
dipinto, a olio su tela, si trova a Roma nella Galleria Borghese.
In
Platone dunque la conoscenza può essere interpretata come "obbediente a un
disegno religioso…Aristotele realizzò una vera rivoluzione…Decisivo fu il
diverso atteggiamento che lo situò nel luogo esatto dell'uomo che deve pensare
da solo, umanamente, senza "ispirazione" né servitù verso gli dèi,
senza alcun impegno di "salvare l'anima"; senz'altro impegno che
portare la pretesa della conoscenza alla sua pienezza"[13].
Infatti,
rimanendo sulla pittura italiana del Cinquecento, ne La scuola di Atene [14] di Raffaello, dove sono raffigurati i
maggiori filosofi dell'età classica, Platone con la mano destra indica il cielo
e Aristotele la terra.
Il passaggio dall'uno all'altro amore viene
sentito e dichiarato dal passionale Dimitri Karamazov:"questo amore mi
tortura, mi tortura!...Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del
suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e
grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[15].
Esiste una versione latina di questa
trasfusione di anime che, pur se prelude a un tradimento, e quindi, dentro il
contesto, può far pensare a una "cinica autoironia"[16] del
narratore, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale oltretutto,
comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore poesia
amorosa latina:"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus.
haesimus calentes/et transfudimus
hinc et hinc labellis/errantes animas.
valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79),
che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e ci
trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni
mortali. così io cominciai a morire.
Si
tratta di una mezza nottata di amore tra Encolpio e Gitone che però viene
sottratto a Encolpio da Ascilto iniuriae
inventor…oblitus iuris umani (79)
Anche
quando non si arriva alla fusione, l'accordo e l'intesa costituiscono la forza
e la coesione inscindibile della coppia.
Nell'Andria di Terenzio Panfilo, parlando con
Miside, la serva dell'amata Glicerio, le chiede di riferire alla padrona che
non la abbandonerà mai:" conveniunt
mores. Valeant/ qui inter nos
discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet nemo "(696-697), i nostri
caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una
rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.
Del
resto il termine discidium , dal
verbo scindere , significa lo
spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo
teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium
implica il volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.
Similmente
Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi,
intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose
esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché
così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale...L'intesa, ecco dunque il principio vitale del
matrimonio"[17]. Analoga riflessione si trova in
Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non
l'ama, pessimo"[18].
- krei'sson: comparativo
di solito collegato ad ajgaqov" ( da una radice ajgaq- imparentata
con il tedesco gut e l' inglese good ) ma formato sulla
radice krat-/kret-/kart-che si
trova in kravvvvvvvvvvvvto",
"potenza". Indica quindi una superiorità in termini di forza.
In
effetti una coppia solidale è una potenza.
continua
[1]Cantarella-Scarpat,
op. cit., p. 147.
[2]Iliade , IX, 319
[3]Iliade , I, 505
[4]Iliade
, I, 507
[5]h 71-74.
[6]Per
il suggerimento di Nausicaa, v. z
310-315. Cfr. h 142 sgg. Anche Atena
parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi figli per Arete: h 66-70.
[7]a 330 ss.; p
409-451; s 158; f 63 ss.
[8]La
casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del
contadino in Esiodo, Opp. 405 (
citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252
b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo
considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo
nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine
del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il
corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590-612).
[9]Il
"medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio
interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in
forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e
più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo
delle jHoi'ai,
giunteci col nome di Esiodo.
[10]Jaeger,
Paideia 1, pp. 63-64.
[11]
Plutarco, Vita di Temistocle, 18.
[12]
Boccaccio, Decameron, V, 9.
[13]
Marìa Zambrano, L'uomo e il divino, p. 85.
[14]
Palazzi Vaticani, Stanza "della Segnatura", 1509-1511.
[15]F.
Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del 1880), p. 709.
[16]
M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 178.
[17]Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad.
it. Adelphi, Milano, 1981, p. 163 del
Tomo Quarto.
[18]
Una vita , p. 208.
Quante riflessioni interessanti ...Giovanna Tocco
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