esempio di epigramma |
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Alla brevità deve accompagnarsi la rarità dell'argomento. E'
il topos della strada impervia e poco
battuta come la migliore. Esso
risale a Esiodo il quale nelle Opere
(v. 289-292) avverte che"gli dei immortali davanti al valore hanno posto
il sudore: lungo e ripido è il sentiero che vi porta, e scosceso all'inizio; ma
quando uno sia giunto alla cima, poi tutto diventa facile, sebbene
faticoso".
Si vede dunque la
connessione con la poesia esiodea.
Sulla fatica e il
sudore che costa scrivere bene interviene specificamente Leopardi nell'Operetta
morale Il Parini ovvero della gloria
:"quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine
riuscito a produrre un'opera egregia e perfetta".
Un'arte allusiva
quella di Callimaco che non trovò l'approvazione del Winckelmann: "Omero ci
dà un'immagine più eccelsa quando ci fa vedere gli dèi alzarsi dai loro seggi
al comparire di Apollo, che quella che ci dà Callimaco con tutto il suo canto
pieno di erudizione"(Il bello
nell'arte , p. 57).
In un famoso epigramma
(A. P. XII, 43) Callimaco ribadisce questa concezione non popolare dell'arte:
"Odio il poema
ciclico, né mi piace
la via qualunque che
porta molti qua e là.
Detesto anche
l'amante che vaga, né bevo
dalla fonte comune:
tutto quanto è popolare mi ripugna.
Lisania, tu bello sì
sei bello, ma prima che lo ripeta
con chiarezza l'eco,
uno dice-altri lo possiede-".
Una dichiarazione di
poetica che viene ripresa dai latini: oltre Catullo, Lucrezio il quale nel
primo libro del De rerum natura (I,
926-928) scrive:
"avia Pieridum peragro loca nullius ante
trita solo. Iuvat integros accedere fontis
atque haurire, iuvatque novos decerpere
flores ", percorro i
luoghi impervi delle muse mai calpestati prima dal piede di alcuno. Mi piace
avvicinarmi alle fonti intatte e attingere, mi piace cogliere fiori nuovi.
Virgilio nella Georgica III (291-292) scrive:
"sed me Parnasi deserta per ardua
dulcis/raptat amor ", ma un dolce amore mi rapisce attraverso le aspre
solitudini del Parnaso.
Gli epigrammi sono componimenti nati come iscrizioni
tombali, scritti di solito in distici
elegiaci, di estensione limitata, di argomento vario, poesia d'occasione
quant'altra mai. Il numero maggiore di epigrammi letterari greci e bizantini
(circa 3700, di 340 poeti vissuti in quindici secoli, dal V a. C.) si trova
nella Antologia Palatina , messa insieme
alla fine del X secolo secolo da un anonimo revisore della raccolta fatta un
secolo prima da Costantino Cefala, alto prelato di Bisanzio. Viene chiamata
così siccome il manoscritto fu trovato (agli inizi del '600 ) nella Biblioteca
Palatina di Heidelberg. L'opera monumentale, composta di 3700 epigrammi, è
divisa in quindici libri che raggruppano le composizioni a seconda degli
argomenti e dei metri. Gli autori vanno dal V secolo a.c. al X d. C.
Gli epigrammi di Callimaco ivi contenuti sono
54. Quelli amorosi si trovano nei libri V (epigrammi erotici) e XII
(pederotici). Nel VII ci sono i funebri.
L’Antologia Planudea composta dal monaco
Massimo Planude è del 1300 e contiene 2400 epigrammi, 388 dei quali non si
trovano nella Palatina. Nelle edizioni moderne le vengono aggiunti come XVI
libro chiamato Appendix Planudea.
Vediamone un altro (XII, 102):
"Il cacciatore, o Epidice, su per i monti
segue le tracce
di ogni lepre e le
orme di ogni cerbiatta
contento di
camminare anche sulla nevicata. E se qualcuno dicesse:
-tieni questa bestia
colpita-, non la prenderebbe.
Anche il mio amore è tale: infatti sa
inseguire le prede
che fuggono, ma quelle che gli giacciono
davanti, le lascia lì".
E’
proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce a Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a
redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può
rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse
sequor (2, 20, 36)"[1], evito
ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
Qui troviamo l'eterna lotta tra i sessi
intrecciata con la contraddizione tra il volere e l'avere. Il poeta ama
l'amore, anzi la ricerca amorosa, non
una persona. Il nostro Gozzano a questo tema aggiunge:"Non amo che le
rose/che non colsi"(Cocotte ,
68-69).
Un altro epigramma
pederotico (XII, 134) serve a illustrare la distanza messa dal poeta tra sé e
il sentimento:
"L'ospite
cercava di tenere nascosta la piaga: hai visto
che doloroso sospiro
gli venne fuori dal petto,
quando beveva la
terza coppa? Le rose piene di foglie dalla corona in testa all'uomo erano
finite tutte per terra:
certo è cotto assai:
per gli dei non senza ragione
lo congetturo: io
ladro ho riconosciuto le impronte del ladro".
Snell (op. cit., p. 379) sostiene che
Callimaco attraverso "questa forma indiretta ha evitato l'espressione
patetica "io amo"; perciò "la confessione ne risulta
ironicamente spezzata, e sembra che la dichiarazione d'amore gli sia sfuggita
per caso".
Un altro epigramma
del XII libro dell'antologia Palatina ci
dà l'immagine dell'anima dicotomizzata dall'amore:
"Metà
dell'anima ancora respira, metà non so
se Eros o Ade me
l'ha rapita, so che non si vede.
Certo è fuggita di
nuovo da uno dei fanciulli. Eppure ammonii
spesso:"non
accogliete la fuggitiva, ragazzi".
Là qualcuno mi aiuti a cercarla: là infatti
quella
degna di lapidazione
e sofferente d'amore, so che da qualche parte
si aggira".
Se l'amore felice,
come racconta il personaggio l'Aristofane del Simposio platonico, è
riunificazione di due metà un tempo divise, quello infelice è ulteriore
sdoppiamento, sembra dire questa poesia che, pure se nasce da stanchezza
postfilosofica, ha comunque appreso la lezione della filosofia. E' un segno
dell'originalità mantenuta da Callimaco mentre possiede e maneggia la
tradizione.
Un epigramma erotico (V, 23) costituisce un esempio di "lamento
davanti alla porta chiusa" con il topos dell'invecchiamento della donna crudele che
tosto, eppure troppo tardi, rimpiangerà l'occasione offertale dal maschio
innamorato:
"Possa tu,
Conopio, dormire, come hai
steso me, presso
questa porta gelata;
così possa dormire
tu, improbissima, come mandi a letto
l'innamorato: della
pietà non hai incontrato neppure il sogno. I vicini hanno pietà; tu neppure per
sogno. Ma la chioma
canuta ti farà
ricordare tutte queste cose, presto".
E' l'eterna
consolazione, e illusione, dell'uomo
respinto: Properzio che deriva
da Callimaco attraverso Catullo, in nel terzo libro delle Elegie (25, 11-14) ammonisce Cinzia che lo ha schiavizzato e reso
ridicolo per cinque anni:
"At te celatis aetas gravis
urgeat annis,
et veniat formae ruga
sinistra tuae.
Vellere tum cupias albos a stirpe capillos
ah speculo rugas increpitante tibi ", ma l'età pesante incalzi in fretta
gli anni tenuti nascosti, e arrivi la ruga sinistra sul tuo aspetto bello.
Allora possa tu desiderare di strappare dalla
radice i capelli bianchi, quando lo specchio, ahi, ti rinfaccerà le rughe.
Properzio nel IV libro delle sue Elegie non
canterà più l'amore per Cinzia ma continuerà a seguire il maestro degli Aitia , tanto da chiamarsi il Callimaco
romano (IV, 1, 64) nel cantare i sacri riti e gli antichi nomi dei
luoghi:"sacra diesque canam et
cognomina prisca locorum "(IV, 1, 69).
Chiudiamo la parte
degli epigrammi callimachei con un paio di iscrizioni funerarie.
La prima è per
l'amico Eraclito (VII, 80):"Qualcuno mi disse, Eraclito, della tua morte,
e mi spinse
alle lacrime, e mi venne
in mente quante volte noi due
mettemmo a letto il
sole; ma tu ora, ospite
di Alicarnasso, da
gran tempo sei cenere in qualche luogo;
però vivono i tuoi
canti di usignolo, sui quali Ades
che tutto rapina non
getterà le mani".
Il motivo del
"non tutto morrò" con il quale Orazio esalta se stesso ("non omnis moriar ", III, 30, 6)
tanto che Huysmans lo mette nella lista nera di Des Esseintes[2],
è impiegato da Callimaco per celebrare l'amico morto e la poesia che invece non morrà.
continua
La poesia non morrà se l'umanità sopravviverà a se stessa e alle bombe e alle armi chimiche e agli esperimenti genetici e farmacologici...Giovanna Tocco
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