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lunedì 28 marzo 2016

Callimaco. Parte II

esempio di epigramma

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Alla brevità deve accompagnarsi la rarità dell'argomento. E' il topos della strada impervia e poco battuta come la migliore. Esso risale a Esiodo il quale nelle Opere (v. 289-292) avverte che"gli dei immortali davanti al valore hanno posto il sudore: lungo e ripido è il sentiero che vi porta, e scosceso all'inizio; ma quando uno sia giunto alla cima, poi tutto diventa facile, sebbene faticoso".
Si vede dunque la connessione con la poesia esiodea.
Sulla fatica e il sudore che costa scrivere bene interviene specificamente Leopardi nell'Operetta morale Il Parini ovvero della gloria :"quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine riuscito a produrre un'opera egregia e perfetta".
Un'arte allusiva quella di Callimaco che non trovò l'approvazione del Winckelmann: "Omero ci dà un'immagine più eccelsa quando ci fa vedere gli dèi alzarsi dai loro seggi al comparire di Apollo, che quella che ci dà Callimaco con tutto il suo canto pieno di erudizione"(Il bello nell'arte , p. 57).

In un famoso epigramma (A. P. XII, 43) Callimaco ribadisce questa concezione non popolare dell'arte:
"Odio il poema ciclico, né mi piace
la via qualunque che porta molti qua e là.
Detesto anche l'amante che vaga, né bevo
dalla fonte comune: tutto quanto è popolare mi ripugna.
Lisania, tu bello sì sei bello, ma prima che lo ripeta
con chiarezza l'eco, uno dice-altri lo possiede-".
Una dichiarazione di poetica che viene ripresa dai latini: oltre Catullo, Lucrezio il quale nel primo libro del De rerum natura (I, 926-928) scrive:
"avia Pieridum peragro loca nullius ante
trita solo. Iuvat integros accedere fontis
atque haurire, iuvatque novos decerpere flores ", percorro i luoghi impervi delle muse mai calpestati prima dal piede di alcuno. Mi piace avvicinarmi alle fonti intatte e attingere, mi piace cogliere fiori nuovi.
Virgilio nella Georgica III  (291-292) scrive:
"sed me Parnasi deserta per ardua dulcis/raptat amor ", ma un dolce amore mi rapisce attraverso le aspre solitudini del Parnaso.

Gli epigrammi sono componimenti nati come iscrizioni tombali, scritti di solito in distici  elegiaci, di estensione limitata, di argomento vario, poesia d'occasione quant'altra mai. Il numero maggiore di epigrammi letterari greci e bizantini (circa 3700, di 340 poeti vissuti in quindici secoli, dal V a. C.) si trova nella Antologia Palatina , messa insieme alla fine del X secolo secolo da un anonimo revisore della raccolta fatta un secolo prima da Costantino Cefala, alto prelato di Bisanzio. Viene chiamata così siccome il manoscritto fu trovato (agli inizi del '600 ) nella Biblioteca Palatina di Heidelberg. L'opera monumentale, composta di 3700 epigrammi, è divisa in quindici libri che raggruppano le composizioni a seconda degli argomenti e dei metri. Gli autori vanno dal V secolo a.c. al X d. C.
  Gli epigrammi di Callimaco ivi contenuti sono 54. Quelli amorosi si trovano nei libri V (epigrammi erotici) e XII (pederotici). Nel VII ci sono i funebri.
L’Antologia Planudea composta dal monaco Massimo Planude è del 1300 e contiene 2400 epigrammi, 388 dei quali non si trovano nella Palatina. Nelle edizioni moderne le vengono aggiunti come XVI libro chiamato Appendix Planudea.
 Vediamone un altro (XII, 102):
 "Il cacciatore, o Epidice, su per i monti segue le tracce
di ogni lepre e le orme di ogni cerbiatta
contento di camminare anche sulla nevicata. E se qualcuno dicesse:
-tieni questa bestia colpita-, non la prenderebbe.
 Anche il mio amore è tale: infatti sa inseguire le prede
 che fuggono, ma quelle che gli giacciono davanti, le lascia lì".

E’ proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce a Ovidio (in un componimento degli Amores  tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor  (2, 20, 36)"[1], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.

 Qui troviamo l'eterna lotta tra i sessi intrecciata con la contraddizione tra il volere e l'avere. Il poeta ama l'amore, anzi  la ricerca amorosa, non una persona.  Il nostro Gozzano a  questo tema aggiunge:"Non amo che le rose/che non colsi"(Cocotte , 68-69).

Un altro epigramma pederotico (XII, 134) serve a illustrare la distanza messa dal poeta tra sé e il sentimento:
"L'ospite cercava di tenere nascosta la piaga: hai visto
che doloroso sospiro gli venne fuori dal petto,
quando beveva la terza coppa? Le rose piene di foglie dalla corona in testa all'uomo erano finite tutte per terra:
certo è cotto assai: per gli dei non senza ragione
lo congetturo: io ladro ho riconosciuto le impronte del ladro".
 Snell (op. cit., p. 379) sostiene che Callimaco attraverso "questa forma indiretta ha evitato l'espressione patetica "io amo"; perciò "la confessione ne risulta ironicamente spezzata, e sembra che la dichiarazione d'amore gli sia sfuggita per caso".

Un altro epigramma del XII libro dell'antologia Palatina ci dà l'immagine dell'anima dicotomizzata dall'amore:
"Metà dell'anima ancora respira, metà non so
se Eros o Ade me l'ha rapita, so che non si vede.
Certo è fuggita di nuovo da uno dei fanciulli. Eppure ammonii
spesso:"non accogliete la fuggitiva, ragazzi".
 Là qualcuno mi aiuti a cercarla: là infatti quella
degna di lapidazione
 e sofferente d'amore, so che da qualche parte si aggira".
Se l'amore felice, come racconta il personaggio l'Aristofane del Simposio  platonico, è riunificazione di due metà un tempo divise, quello infelice è ulteriore sdoppiamento, sembra dire questa poesia che, pure se nasce da stanchezza postfilosofica, ha comunque appreso la lezione della filosofia. E' un segno dell'originalità mantenuta da Callimaco mentre possiede e maneggia la tradizione.
 Un epigramma erotico (V, 23)  costituisce un esempio di "lamento davanti alla porta chiusa" con il topos  dell'invecchiamento della donna crudele che tosto, eppure troppo tardi, rimpiangerà l'occasione offertale dal maschio innamorato:
"Possa tu, Conopio, dormire, come hai
steso me, presso questa porta gelata;
così possa dormire tu, improbissima, come mandi a letto
l'innamorato: della pietà non hai incontrato neppure il sogno. I vicini hanno pietà; tu neppure per sogno. Ma la chioma
canuta ti farà ricordare tutte queste cose, presto".

E' l'eterna consolazione, e  illusione, dell'uomo respinto: Properzio che deriva da Callimaco attraverso Catullo, in nel terzo libro delle Elegie (25, 11-14) ammonisce Cinzia che lo ha schiavizzato e reso ridicolo per cinque anni:
"At te celatis aetas gravis urgeat annis,
et veniat formae ruga sinistra tuae.
Vellere tum cupias albos a stirpe capillos
ah speculo rugas increpitante tibi ", ma l'età pesante incalzi in fretta gli anni tenuti nascosti, e arrivi la ruga sinistra sul tuo aspetto bello.
 Allora possa tu desiderare di strappare dalla radice i capelli bianchi, quando lo specchio, ahi, ti rinfaccerà le rughe.
 Properzio nel IV libro delle sue Elegie non canterà più l'amore per Cinzia ma continuerà a seguire il maestro degli Aitia , tanto da chiamarsi il Callimaco romano (IV, 1, 64) nel cantare i sacri riti e gli antichi nomi dei luoghi:"sacra diesque canam et cognomina prisca locorum "(IV, 1, 69).
Chiudiamo la parte degli epigrammi callimachei con un paio di iscrizioni funerarie.
La prima è per l'amico Eraclito (VII, 80):"Qualcuno mi disse, Eraclito, della tua morte, e mi spinse
alle lacrime, e mi venne in mente quante volte noi due
mettemmo a letto il sole; ma tu ora, ospite
di Alicarnasso, da gran tempo sei cenere in qualche luogo;
però vivono i tuoi canti di usignolo, sui quali Ades
che tutto rapina non getterà le mani".

Il motivo del "non tutto morrò" con il quale Orazio esalta se stesso ("non omnis moriar ", III, 30, 6) tanto che Huysmans lo mette nella lista nera di Des Esseintes[2], è impiegato da Callimaco per celebrare l'amico morto e la  poesia che invece non morrà.



continua



[1]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore , p. 43.
[2] il quale provava:"una sconfinata avversione per le grazie elefantesche di Orazio, per il balbettio di questo insopportabile centochili che fa lo smorfioso con lazzi di vecchio saltimbanco infarinato"(Controcorrente , p.43)

1 commento:

  1. La poesia non morrà se l'umanità sopravviverà a se stessa e alle bombe e alle armi chimiche e agli esperimenti genetici e farmacologici...Giovanna Tocco

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