Jean-Louis-César Lair, Il supplizio di Prometeo |
PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA
Il Prometeo incatenato sintesi
Il mito di Prometeo è "uno dei miti antropologici...che rendono
ragione della condizione umana - condizione ambigua, piena di contrasti, in cui
gli elementi positivi sono inscindibili da quelli negativi e ogni luce ha la
sua ombra, giacché la felicità implica l'infelicità, l'abbondanza il duro
lavoro, la nascita la morte, l'uomo la donna, e l'intelligenza e il sapere si
uniscono, nei mortali, alla stupidità e all'imprevidenza. Questo tipo di
discorso mitico sembra obbedire a una logica che si potrebbe definire, in
contrasto con la logica dell'identità, come la logica dell'ambiguità,
dell'opposizione complementare, dell'oscillazione tra poli contrastanti"(J. P.
Vernant, Tra mito e politica,pp. 30 -
31).
Siamo partiti dal Prometeo rappresentato nei poemi di Esiodo.
Nella Teogonia il poeta
racconta che Prometeo aveva ingannato due volte Zeus il quale punì l’umanità
infliggendole un male in cambio del fuoco donato dal Titano. Ma si vedrà che il
fuoco stesso non è necessariamente un bene, è per lo meno un bene ambiguo
quanto il suo donatore. Il male mandato da Zeus agli uomini, ai maschi, è la
donna, un male del resto non assoluto, un “bel malanno”: una creatura attraente
e ingannevole. Nelle Opere e i Giorni
Esiodo torna sul tema di Prometeo e di Pandora, la donna bella e dannosa,
mandata agli uomini per contrappesare il fuoco.
Procediamo con il Prometeo incatenato di Eschilo: in
questa tragedia, da molti, ma non da tutti, considerata autentica, il Titano
rivendica l’invenzione delle tecniche: “ tutte le tecniche ai mortali
derivano da Prometeo” (v. 507). Le tecniche però tendono a uno scopo pratico e
non allargano la conoscenza del mondo: la tecnica “funziona” ma non svela la
verità, come nota Galimberti[1]. Lo
stesso Prometeo di Eschilo denuncia il limite teoretico delle tecniche: ammette
di avere tolto agli uomini la capacità di prevedere il destino (v. 248) e
riconosce di avere infuso in loro cieche speranze (v. 250). Bruno Snell
sostiene che Prometeo considerava questi dare e togliere vantaggiosi per
l’umanità[2].
Prometeo
che toglie all’uomo la visione d’insieme del destino e dona loro le technai, ossia il pane e il companatico
terrestre, agisce e pensa come il grande Inquisitore della leggenda di Ivan
Karamazov il quale crede che l’umanità non ha bisogno di libertà e verità ma di
beni materiali
Vediamo
dunque i doni di Prometeo, ciascuno presupposto dal fuoco che è il padre di
tutte le tecniche (Prometeo incatenato,
v. 7).
Intanto
il fuoco era “fiore di Efesto”, e il Titano, donandolo ai mortali, ha cercato
di negare il principium individuationis
che distingue gli uomini dagli dèi. Una negazione simile a quella tentata da
Serse, quando unì le due sponde dell’Ellesponto e attaccò la Grecia per confondere
insieme Europa e Asia. Prometeo ha cercato di confondere l’umano con il divino.
Il
Titano si vanta di avere dato agli uomini il numero, la combinazione delle
lettere, memoria di tutto (v. 461), di avere aggiogato gli animali selvatici,
di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462), prefigurando
addirittura il volo. Inoltre ha trovato i farmaci, ha scoperto i metalli: il
bronzo, il ferro, l’argento e l’oro. Tutte queste scoperte vengono maledette
più volte nel corso della letteratura europea.
Una
esecrazione riassuntiva si trova nella Tebaide
di Stazio:quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas esecra le orribili
tecniche di Prometeo: “o furor, o homines
diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Vediamo di smontare
il valore dei benefici di Prometeo.
Ripartiamo dal fuoco
che Prometeo rivendica come dono benefico e padre di tutte le tecniche :"pro;" toi'sde mevntoi pu'r ejgw; sfin w[pasa…ajf j ou| ge polla;" ejkmaqhvsontai tevcna"" (vv. 252 e v. 254), oltre a queste[3] io donai loro il fuoco…dal quale
apprenderanno molte tecniche.
Il fuoco come dono negativo.
Leopardi nello Zibaldone è
molto critico verso la scoperta del fuoco:"Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili,
come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e
appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e
dalla superficie del globo.."(p. 3645).
Seneca nel De
vita beata consiglia di seguire la natura come guida per essere
felici:"Natura enim duce utendum est: hanc ratio observat, hanc
consulit. Idem est ergo beate vivere et secundum naturam" (8, 1 - 2),
dobbiamo infatti avvalerci della natura come guida: questa la ragione rispetta,
questa consulta. Quindi vivere felici equivale a vivere secondo natura.
Del resto Prometeo
fa storia e “la storia si fa sempre andando controcorrente rispetto alla
natura”[4].
Il fuoco non è un
bene, o, per lo meno, non è stato impiegato bene : nell’Operetta morale La scommessa di Prometeo[5] gli uomini usano il fuoco per uccidersi e
uccidere, e Momo, il vincitore della scommessa, domanda al Titano: “Avresti tu
pensato, quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cielo per
comunicarlo agli uomini, che questi se ne prevarrebbero, quali per cuocersi
l’un l’altro nelle pignatte, quali per abbruciarsi spontaneamente?”.
Leopardi, con il fuoco, critica anche la navigazione avvalendosi di
Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso
del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto
lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione
di altrettanti mali e morbi ec., di quanto la navigazione; e come altrettanto
colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie
umana.(Zibaldone , p. 3646).
La navigazione viene
esecrata anche da Lucrezio (De rerum
natura, V, 1004 - 1006), da Virgilio nella IV ecloga, da Properzio (I, 7, 13 - 14), da Ovidio (Metamorfosi, I, 96), e, per citare un
moderno, da Tirso de Molina: nel dramma El
burlador de Sevilla (1630) Catalinòn il servo di Don Juan il padre di tutti
i Don Giovanni, in seguito a un naufragio, si salva dalla morte per acqua e,
mentre porta in braccio il padrone semivivo, dice: “Maledetto chi per primo/ha
piantato pini in mare/e con un fragile legno/ha sfidato le sue
rotte!...Maledetto sia Giasone/ e maledetto anche Tifi!” (I, 11). Giasone e
Tifi, con gli altri Argonauti, sono i primi grandi navigatori umani, ma
l’inventore divino rimane Prometeo.
Comunque non pochi
strali bersagliano i cercatori del vello d’oro che per prima solcarono i mari.
L’esecrazione più
estesa del navigare infatti si trova nella
Medea di Seneca che racconta i fatti successivi all’impresa degli
Argonauti.
I profanatori del mare sono morti male, come
Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima
devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago, per impossessarsi
dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616). Fa pagare il fio il mare provocato.
L'exitus dirus, la morte orribile, è l'espiazione
della rottura dei sacrosancta foedera mundi, i sacrosanti patti del
cosmo, turbato proprio dalla navigazione.
Insomma tutta la
tecnica, e pure la scienza, separata dalla giustizia e dalle altre virtù, è
piuttosto malizia (panourghìa) che
sapienza (sofìa) (cfr. Platone, Menèsseno, 247).
Quindi
il male del ferro.
Erodoto
afferma senza giri di parole che è stato creato per il male dell’uomo (Storie, I, 68, 4).
Ovidio
nel I libro delle Metamorfosi
maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame
di chi scatena le guerre.
“ Effondiuntur
opes, inritamenta malorum; /
iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod
pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi,
I, 140 - 143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già
il ferro funesto[6] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto
alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e
con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano.
La scrittura viene
denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo
egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo:
“ Questa
infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per
incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano
dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque
non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla;
uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro,
275a).
Pure
i Drùidi del De bello gallico (VI, 14) non vogliono farne uso,
per lamedesima ragione.
L’aggiogamento
degli animali vantato da Prometeo, talora viene considerato una violenza fatta
alla natura: Tibullo, p. e., ricorda che l’età dell’oro non conosceva le navi,
né il commercio, né l’imbrigliamento dei cavalli, né l’assoggettamento del toro
(I, 3, 37 - 46).
Riassumo
il tutto con il mito di Prometeo raccontato nel Protagora di Platone. In questo dialogo il sofista narra che Prometeo
donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro l’arte
politica, il rispetto e la giustizia, sicché gli uomini si ammazzavano a
vicenda. Allora Zeus mandò Ermes a imporre
aidòs, dìke e politichè tèchne: chi non le avesse accettate, doveva essere ucciso come
malattia della città (322d).
Concludo
le testimonianze accusatorie con un testo del 1818: il Frankestein ovvero il Prometeo moderno
di Mary Shelley.
L’autrice accusa i disastri provocati dalla scienza, anticipando una denuncia che si ripeterà
durante il decadentismo . Lo studioso ginevrino si illude al pari di
Prometeo:"Una nuova specie mi avrebbe benedetto come sua origine e
creatore"(p.56), ma deve additare la sua opera ardita come modello
negativo:"Imparate da me - se non dai miei consigli, dal mio esempio - quanto
pericoloso sia l'acquisto della scienza, quanto più felice sia chi crede mondo
la sua città, di chi aspira ad elevarsi più di quanto la sua natura
consenta"(p.55).
continua
[1] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i
giovani, p. 21. Si veda a questo proposito U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della
tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.
[2] B. Snell, op e p. citate sopra.
[3] Le "cieche speranze"
del v. 250 citato sopra.
[4] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 132
[5] Del 1824.
[6] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore
di ferro:"sidarovfrwn…fovno"
" (vv. 672 - 673).
Il bene e il male,forse gli dei avevano ragione a punire Prometeo. Quando la scienza si distacca dalla morale ,come gli esperimenti sulla clonazione ,penso al Prometeo incatenato.Giovanna Tocco
RispondiEliminaBene- male, vita-morte torto-ragione bellezza-orrore lager-ciliegi in fiore,sono un tutt'uno inestricabile, incommensurabile con noi, che vediamo che una sola cosa per volta. Lo sapevano tutti nel 5/4 sec AC, i Cinesi del Tao, Budda, Eraclito et alii, più tardi per Pirrone Arcesilao Carneade non potremo mai sapere niente perchè "niente è né non è".
RispondiEliminaPer Kant la ragione può aiurarci solo in trigonometria.
Per Nietzsche l'eterno ritorno è ri-volere la vita ,la propria vita! esattamente così com'è stata, nella sua intollerabile contraddizione e (leopardiano) insanabile male.
Tao è l'inspiegbile dualità di forze opposte e irrapresentabili ,come per Empedocle.
Per Eschilo anche Zeus fa i capricci e l'unico serio in giro è il Fato, cioè la Morte, e il ritorno nel Nulla dopo una capriola sovrappensiero.
L'unica via non d'uscita ma di sollievo, è il "canto" per Rilke.
Per Killosà funziona ilvino-balli-e-canti.
Ciascuno si arrangi come può, e dio per tutti. La Giustizia Universale ce l'hanno giornalisti preti e i filosofi della TV.