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sabato 26 marzo 2016

"Il Prometeo incatenato". Parte I

Jean-Louis-César Lair, Il supplizio di Prometeo

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Il Prometeo incatenato sintesi

Il mito di Prometeo è "uno dei miti antropologici...che rendono ragione della condizione umana - condizione ambigua, piena di contrasti, in cui gli elementi positivi sono inscindibili da quelli negativi e ogni luce ha la sua ombra, giacché la felicità implica l'infelicità, l'abbondanza il duro lavoro, la nascita la morte, l'uomo la donna, e l'intelligenza e il sapere si uniscono, nei mortali, alla stupidità e all'imprevidenza. Questo tipo di discorso mitico sembra obbedire a una logica che si potrebbe definire, in contrasto con la logica dell'identità, come la logica dell'ambiguità, dell'opposizione complementare, dell'oscillazione tra poli contrastanti"(J. P. Vernant, Tra mito e politica,pp. 30 - 31).
Siamo partiti dal Prometeo rappresentato nei poemi di Esiodo.
Nella Teogonia il poeta racconta che Prometeo aveva ingannato due volte Zeus il quale punì l’umanità infliggendole un male in cambio del fuoco donato dal Titano. Ma si vedrà che il fuoco stesso non è necessariamente un bene, è per lo meno un bene ambiguo quanto il suo donatore. Il male mandato da Zeus agli uomini, ai maschi, è la donna, un male del resto non assoluto, un “bel malanno”: una creatura attraente e ingannevole. Nelle Opere e i Giorni Esiodo torna sul tema di Prometeo e di Pandora, la donna bella e dannosa, mandata agli uomini per contrappesare il fuoco.
Procediamo con il Prometeo incatenato di Eschilo: in questa tragedia, da molti, ma non da tutti, considerata autentica, il Titano rivendica l’invenzione delle tecniche: “ tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo” (v. 507). Le tecniche però tendono a uno scopo pratico e non allargano la conoscenza del mondo: la tecnica “funziona” ma non svela la verità, come nota Galimberti[1]. Lo stesso Prometeo di Eschilo denuncia il limite teoretico delle tecniche: ammette di avere tolto agli uomini la capacità di prevedere il destino (v. 248) e riconosce di avere infuso in loro cieche speranze (v. 250). Bruno Snell sostiene che Prometeo considerava questi dare e togliere vantaggiosi per l’umanità[2].
Prometeo che toglie all’uomo la visione d’insieme del destino e dona loro le technai, ossia il pane e il companatico terrestre, agisce e pensa come il grande Inquisitore della leggenda di Ivan Karamazov il quale crede che l’umanità non ha bisogno di libertà e verità ma di beni materiali
Vediamo dunque i doni di Prometeo, ciascuno presupposto dal fuoco che è il padre di tutte le tecniche (Prometeo incatenato, v. 7).
Intanto il fuoco era “fiore di Efesto”, e il Titano, donandolo ai mortali, ha cercato di negare il principium individuationis che distingue gli uomini dagli dèi. Una negazione simile a quella tentata da Serse, quando unì le due sponde dell’Ellesponto e attaccò la Grecia per confondere insieme Europa e Asia. Prometeo ha cercato di confondere l’umano con il divino.
Il Titano si vanta di avere dato agli uomini il numero, la combinazione delle lettere, memoria di tutto (v. 461), di avere aggiogato gli animali selvatici, di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462), prefigurando addirittura il volo. Inoltre ha trovato i farmaci, ha scoperto i metalli: il bronzo, il ferro, l’argento e l’oro. Tutte queste scoperte vengono maledette più volte nel corso della letteratura europea.
Una esecrazione riassuntiva si trova nella Tebaide di Stazio:quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas esecra le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).

Vediamo di smontare il valore dei benefici di Prometeo.
Ripartiamo dal fuoco che Prometeo rivendica come dono benefico e padre di tutte le tecniche :"pro;" toi'sde mevntoi pu'r ejgw; sfin w[pasaajf j ou| ge polla;" ejkmaqhvsontai tevcna"" (vv. 252 e v. 254), oltre a queste[3] io donai loro il fuoco…dal quale apprenderanno molte tecniche.

 Il fuoco come dono negativo.
Leopardi nello Zibaldone è molto critico verso la scoperta del fuoco:"Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo.."(p. 3645).
Seneca nel De vita beata consiglia di seguire la natura come guida per essere felici:"Natura enim duce utendum est: hanc ratio observat, hanc consulit. Idem est ergo beate vivere et secundum naturam" (8, 1 - 2), dobbiamo infatti avvalerci della natura come guida: questa la ragione rispetta, questa consulta. Quindi vivere felici equivale a vivere secondo natura.

Del resto Prometeo fa storia e “la storia si fa sempre andando controcorrente rispetto alla natura”[4].
Il fuoco non è un bene, o, per lo meno, non è stato impiegato bene : nell’Operetta morale La scommessa di Prometeo[5] gli uomini usano il fuoco per uccidersi e uccidere, e Momo, il vincitore della scommessa, domanda al Titano: “Avresti tu pensato, quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cielo per comunicarlo agli uomini, che questi se ne prevarrebbero, quali per cuocersi l’un l’altro nelle pignatte, quali per abbruciarsi spontaneamente?”.

Leopardi, con il fuoco, critica anche la navigazione avvalendosi di Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec., di quanto la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana.(Zibaldone , p. 3646).
La navigazione viene esecrata anche da Lucrezio (De rerum natura, V, 1004 - 1006), da Virgilio nella IV ecloga, da Properzio (I, 7, 13 - 14), da Ovidio (Metamorfosi, I, 96), e, per citare un moderno, da Tirso de Molina: nel dramma El burlador de Sevilla (1630) Catalinòn il servo di Don Juan il padre di tutti i Don Giovanni, in seguito a un naufragio, si salva dalla morte per acqua e, mentre porta in braccio il padrone semivivo, dice: “Maledetto chi per primo/ha piantato pini in mare/e con un fragile legno/ha sfidato le sue rotte!...Maledetto sia Giasone/ e maledetto anche Tifi!” (I, 11). Giasone e Tifi, con gli altri Argonauti, sono i primi grandi navigatori umani, ma l’inventore divino rimane Prometeo.
Comunque non pochi strali bersagliano i cercatori del vello d’oro che per prima solcarono i mari.
L’esecrazione più estesa del navigare infatti si trova nella Medea di Seneca che racconta i fatti successivi all’impresa degli Argonauti.
I profanatori del mare sono morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago, per impossessarsi dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616). Fa pagare il fio il mare provocato.
L'exitus dirus, la morte orribile, è l'espiazione della rottura dei sacrosancta foedera mundi, i sacrosanti patti del cosmo, turbato proprio dalla navigazione.
Insomma tutta la tecnica, e pure la scienza, separata dalla giustizia e dalle altre virtù, è piuttosto malizia (panourghìa) che sapienza (sofìa) (cfr. Platone, Menèsseno, 247).

Quindi il male del ferro.
Erodoto afferma senza giri di parole che è stato creato per il male dell’uomo (Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140 - 143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[6] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano.
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “ Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).
Pure i Drùidi del De bello gallico (VI, 14) non vogliono farne uso, per lamedesima ragione.
L’aggiogamento degli animali vantato da Prometeo, talora viene considerato una violenza fatta alla natura: Tibullo, p. e., ricorda che l’età dell’oro non conosceva le navi, né il commercio, né l’imbrigliamento dei cavalli, né l’assoggettamento del toro (I, 3, 37 - 46).
Riassumo il tutto con il mito di Prometeo raccontato nel Protagora di Platone. In questo dialogo il sofista narra che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro l’arte politica, il rispetto e la giustizia, sicché gli uomini si ammazzavano a vicenda. Allora Zeus mandò Ermes a imporre aidòs, dìke e politichè tèchne: chi non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).

Concludo le testimonianze accusatorie con un testo del 1818: il Frankestein ovvero il Prometeo moderno di Mary Shelley.
L’autrice accusa i disastri provocati dalla scienza, anticipando una denuncia che si ripeterà durante il decadentismo . Lo studioso ginevrino si illude al pari di Prometeo:"Una nuova specie mi avrebbe benedetto come sua origine e creatore"(p.56), ma deve additare la sua opera ardita come modello negativo:"Imparate da me - se non dai miei consigli, dal mio esempio - quanto pericoloso sia l'acquisto della scienza, quanto più felice sia chi crede mondo la sua città, di chi aspira ad elevarsi più di quanto la sua natura consenta"(p.55).



continua


[1] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, p. 21. Si veda a questo proposito U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.
[2] B. Snell, op e p. citate sopra.
[3] Le "cieche speranze" del v. 250 citato sopra.
[4] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 132
[5] Del 1824.
[6] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672 - 673).

2 commenti:

  1. Il bene e il male,forse gli dei avevano ragione a punire Prometeo. Quando la scienza si distacca dalla morale ,come gli esperimenti sulla clonazione ,penso al Prometeo incatenato.Giovanna Tocco

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  2. Bene- male, vita-morte torto-ragione bellezza-orrore lager-ciliegi in fiore,sono un tutt'uno inestricabile, incommensurabile con noi, che vediamo che una sola cosa per volta. Lo sapevano tutti nel 5/4 sec AC, i Cinesi del Tao, Budda, Eraclito et alii, più tardi per Pirrone Arcesilao Carneade non potremo mai sapere niente perchè "niente è né non è".
    Per Kant la ragione può aiurarci solo in trigonometria.
    Per Nietzsche l'eterno ritorno è ri-volere la vita ,la propria vita! esattamente così com'è stata, nella sua intollerabile contraddizione e (leopardiano) insanabile male.
    Tao è l'inspiegbile dualità di forze opposte e irrapresentabili ,come per Empedocle.
    Per Eschilo anche Zeus fa i capricci e l'unico serio in giro è il Fato, cioè la Morte, e il ritorno nel Nulla dopo una capriola sovrappensiero.
    L'unica via non d'uscita ma di sollievo, è il "canto" per Rilke.
    Per Killosà funziona ilvino-balli-e-canti.
    Ciascuno si arrangi come può, e dio per tutti. La Giustizia Universale ce l'hanno giornalisti preti e i filosofi della TV.

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