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sabato 5 marzo 2016

Matrimonio e Adulterio. Parte I

Coperchio: matrimonio di Eracle e Ebeca. 350 a.C.

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L'importanza di un matrimonio felice o almeno non troppo infelice. La difficile, ma non impossibile comprensione dell'adulterio, anzi proprio dell'adultera


Ettore e Andromaca nel VI dell'Iliade (vv. 429-432; 440-455) Odisseo e Nausicaa nel VI dell'Odissea (vv. 180-185).
 Amore volgare e Amore celeste in Platone. Tiziano: amor sacro e amor profano. La trasfusione delle anime. L'intesa è il principio vitale del matrimonio. La potenza di una coppia solidale. Ovidio e Leopardi. 
 Primi accenni alla Medea di Euripide. L'Ulisse di Joyce: amore, matrimonio e adulterio. L'attrattiva degli occhi: Leopardi, Dante, Petrarca e altri.
L'indulgenza nei confronti dell'adultera: Joyce, la Yourcenar, Saffo, Carisio di  Menandro e Cristo nel Vangelo di Giovanni.
Condanne dell'adulterio: Teocrito. Callimaco e Catullo: la chioma di Berenice. La polvere come brutto segno. Con Catullo l'amore diventa servitium dell'uomo alla domina. Virgilio e Orazio tentano di assecondare le diverse leggi di Augusto contro l'adulterio. Queste verranno eluse. L'ipocrisia del despota. W. Reich e la Psicologia di massa del fascismo. 1984 e la Jiulia di Orwell. La repressione sessuale, l'adorazione dei capi e il consumismo. 

Donne dell’Iliade e dell’Odissea.
I nuclei dell'Iliade e dell'Odissea risalgono, nella prima composizione e trasmissione orale, alla cosiddetta età oscura, seguìta all'invasione dorica che, poco dopo il 1200 a. C. , abbatté la potenza della civiltà micenea. Nell'ottavo secolo visse Omero al quale tradizionalmente si attribuisce la più antica redazione scritta dei poemi epici la cui comunicazione in ogni caso continuò a lungo ad essere orale[1]. Nel corso dei secoli successivi questi Libri o Bibbie che costituiscono "le fondamenta vere e proprie della coscienza"[2] dei Greci prenderanno la forma definitiva che ora leggiamo. La lingua usata da Omero è mista, artificiale e fortemente stilizzata (Kunstsprache ), e quindi presenta forme, talora oltretutto modificate dalla necessità metrica, di vari dialetti: accanto allo  ionico predominante, e più recente, sussistono vocaboli arcado-ciprioti, che sarebbero derivati dal miceneo in quanto riconosciute nelle tavolette in Lineare B decifrate da Ventris e Chadwick nel 1952, inoltre parole eoliche, e pure alcuni atticismi dovuti alla redazione ateniese pisistratea.
Le donne omeriche più significative, secondo l'ottica del nostro percorso, sono Andromaca e Nausicaa.
La moglie di Ettore significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui assolutamente devota: nel VI canto dell'Iliade dichiara il suo amore all'eroe troiano, dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di non esporsi troppo nella guerra sterminatrice:
vv. 429-432
 testo greco.
 " Ettore, tu per me sei il padre e la veneranda madre/e anche il fratello, tu sei pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi compassione e rimani qui sulla torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la sposa" (vv. 429-432).-ejssi: forma eolica=ei\.-povtnia: è il corrrispondente maschile di povsi", "sposo". Dalla radice indoeuropea *potis si forma anche il latino potis, e , "che può", "potente".
-parakoivth" : formato da parav e koivth, letto. Vedremo che questo è il mobile fondamentale nel nostro percorso. Tra Odisseo e Penelope che non si vedevano da venti anni il segno certo, evidente (shvmat j ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di riconoscimento non è, come con Euriclea quello della cicatrice, ma quello del letto comune agli sposi (eujnh'" hJmetevrh" , del letto nostro, dice Penelope a Odisseo, v. 226).
  
Vedremo meglio più avanti l'importanza del letto che in alcune tragedie (p. e. nell'Alcesti e nella Medea di Euripide) costituisce appunto "il mobile più importante"[3] della casa; mentre nell'Agamennone di Eschilo significa il luogo di un agguato:" ma una rete è la compagna di letto (ajllj a[[rku" hJ xuvneuno" ), la complice/dell'assassinio" vv. 1116-1117). In questo caso il letto (eujnhv) diviene una trappola e la moglie (xuvneuno" è appunto formato da suvn ed eujnhv) è quella che la tende. La sposa dunque ha una doppia valenza. In greco  si può dire anche a[loco" : nello stesso canto dell'Iliade  Andromaca è a[loco" poluvdwro" (VI, 394) la sposa dai molti doni, fatti del resto da Ettore, il quale la portò via dalla casa di Eezione dopo che ebbe dato "muvria e{dna" (XXII, 472), infiniti regali di nozze. Ebbene il sostantivo femminile a[loco" è formato da aj-copulativo + levco" , "letto", derivato dalla radice lec-loc- che dà luogo anche a lovco" ,  "imboscata". Quindi si tratta di un termine dal doppio senso. In Andromaca prevale quello dell'accoglienza e della protezione, offerta e richiesta. Altrettanto in Alcesti.
 Il contrario, ovviamente in Clitennestra.
-qhvh/" =qh'/", congiuntivo aoristo III di tivqhmi con geminazione eolica della vocale per  metrikh; ajnavgkh ,  necessità metrica. 
Torniamo a povtnia. L' idea di potenza contenuta dall'epiteto che accompagna le dee o anche, come qui, le madri, può risalire a una precedente epoca matriarcale ipotizzata da Bachofen[4] in maniera talora fantasiosa. Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della storia del resto "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il gr. gunhv 'donna' e l'ingl. queen  'regina'[5]. Vedremo che Andromaca sarà, in due tragedie di Euripide[6], il tipo della moglie casalinga, silenziosa, sottomessa; è piuttosto nel poema omerico più recente che si possono trovare residui di matriarcato.
Qualche cosa della non bassa condizione della donna nell'Odissea si vede già alla fine del primo canto quando, scesa la sera, i proci tornarono a dormire nelle loro case e pure Telemaco andò a letto, accompagnato dalla saggia Euriclea che Laerte aveva comprato molto tempo prima, ancora  giovanissima per venti buoi, pertanto doveva essere stata anche bellissima, e l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto, ed evitava l'ira della moglie:"eujnh'/ d& ou[ pot& e[mikto, covlon d& ajleveine gunaikov"" (I, 433).
 Nell'Iliade in effetti Amintore, il genitore di Fenice, dovette pagare caro il tradimento inflitto alla sposa che gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante dell'amante del padre il quale poi lo maledì (IX, vv. 450 e sgg.).

Torniamo al VI canto e vediamo la posizione del marito buono. Seguono sette esametri (433-439) che il filologo alessandrino Aristarco[7] espungeva come spuri. Quindo abbiamo la risposta di Ettore.

Testo Greco vv. 440-455

A lei allora rispose  Ettore grande, agitatore dell'elmo:
"certo anche a me tutto questo sta a cuore, donna; ma davvero terribilmente
mi vergogno di Troiani e Troiane dal lungo strascico,
se come un vile fuggo lontano dalla guerra;
né il cuore mi esorta, poiché ho imparato a essere generoso
sempre e a combattere con i primi Troiani,
cercando di conservare la grande gloria del padre e la mia stessa.
Io infatti so bene questo nell'anima e nel cuore:
giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata
e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia.
Ma non tanto dolore mi accora per il futuro dei Troiani
né della stessa Ecuba, né di Priamo sovrano
né dei fratelli, che molti e generosi
cadranno nella polvere buttati giù dai nemici,
quanto per te, quando uno degli Achei dalla corazza di bronzo
ti trascinerà piangente, togliendoti  libero giorno.

mevga" : la grandezza di Ettore non  è solo quella del "marito buono" e degno, già segnalata e contrapponibile alla meschinità dell'"eterno marito" alla Dostoevskij o alla Flaubert che incontreremo più avanti, ma è pure quella dell'eroe epico il cui imperativo è "primeggiare sempre".
  Il modello dell'uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade , il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli ( nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille).  Questo imperativo ha un'eco  nell'Antigone  di Sofocle dove Creonte, per elogiare Eteocle a scapito di Polinice, afferma che quello ha compiuto ogni eroismo con la lancia (v.195):"pavnt j ajristeuvsa" doriv". Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: "Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna"[8]. Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[9], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere.-koruqaivolo" : formato da kovru" , "elmo" e aijovllw, "agito".- ejmoivmevlei : è il motto dell'uomo morale.
Don Milani in L'obbedienza non è più una virtù  scrive:"Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande-I CARE -. E' il contrario esatto del motto fascista-Me ne frego-" (p. 34).

-aijdevomai: questo verbo e l'intera espressione di Ettore quella che Dodds definisce Culture of shame, "Civiltà di vergogna" . In essa "il bene supremo  non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima...La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[10], dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[11].-eJlkesipevplou" : formato da e{lkw, "trascino" e pevplo" , "peplo".-ai[ ke : epico eolico per eij a[n= se.-kako;"  w{" : anastrofe per w}" kakov". Il kakov", come viene spiegato immediatamente dopo è il vile che fugge davanti al nemico, l'ingeneroso che non rischia la vita per la salvezza della patria.-novvsfin: preposizione con il genitivo, regge polevmoio. Si noti la desinenza -oio del genitivo della seconda declinazione. Deriva da *o-syo  e si alterna con -ou (contratto da -oo e derivato da *o-so) secondo la necessità metrica;  qui va bene per chiudere il verso, mentre in Odissea  XII per esempio dove è narrato l'episodio delle vacche del sole   jHelivou apre il verso 322 con un dattilo e mezzo spondeo. "Si può pensare che -ou appartenga probabilmente alla lingua del poeta e invece -oio a uno stadio linguistico anteriore. Nel testo omerico, quale noi lo leggiamo nella volgata, le due desinenze ricorrono un numero quasi uguale di volte (1801 -oio; 1881 -ou)"[12].-qumov" : è in Omero "ciò che provoca le emozioni...In molti punti quando si parla della morte è detto che il qumov" abbandona l'uomo...Sappiamo che quest'organo determina anche i movimenti del corpo, ed è quindi naturale dire che esso, nel momento della morte, abbandona le ossa e le membra coi loro muscoli...La gioia ha generalmente sede nel qumov"...Inoltre è generalmente il qumov" che fa agire l'uomo...Se qumov" è in genere la sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione, dell'ira e così via, dunque di tutti i moti dell'animo, tuttavia può trovar sede talvolta nel qumov" anche la conoscenza...Quando si dice che qualcuno sente qualcosa, kata; qumovn, qumov" è in questo caso un organo e noi possiamo tradurre la parola con "anima", ma dobbiamo tenere presente che si tratta dell'anima soggetta alle "emozioni". Però anche qumov" verrà in seguito a determinare una funzione (e allora potremo tradurre la parola con "volontà" o "carattere") e anche la funzione singola: dunque anche quest'espressione ha un significato più esteso di quanto non abbiano le nostre parole "anima" e "spirito". Nel modo più chiaro appare ciò nell'Odissea  (IX, 302) dove Ulisse dice: eJvtero" dev me qumo;" e[ruken:" un altro qumov" mi trattenne", e qui dunque qumov" si riferisce a un particolare moto dell'animo"[13].
Con qumov" sono composte le parole che designano due delle tre parti dell'anima nella Repubblica di Platone: qumoeidhv" è l'elemento irascibile che deve essere alleato con il logistikovn, la componente razionale, nel presiedere all' ejpiqumhtikovn, l' elemento appetitivo, la parte maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e).-a[nwgen: perfetto con significato di presente.
-mavqon: aoristo di manqavnw senza aumento.

"L'aumento in Omero è facoltativo, e così tutta la poesia posteriore che più o meno consapevolmente si rifà o può rifarsi a Omero...Si sono tentate a più riprese statistiche sull'uso omerico dell'aumento, per scoprirne le leggi: ma spesso l'unica legge, almeno a noi apparente, è la comodità o necessità metrica. Si è osservato tuttavia che nell'Odissea  le forme con aumento sono più numerose che nell'Iliade ; che l'aumento è sempre presente nelle forme monosillabiche a vocale breve (e[-sce, e[-ple, e[-kta), mentre può mancare nei monosillabi a vocale lunga (sth', bh', gnw', du' che stanno anche all'inizio del verso); che gli aoristi gnomici hanno l'aumento sillabico; che gli imperfetti iterativi mancano di aumento"[14].-e[mmenai: infinito eolico di eijmiv.-prwvtoisi: : dativo lungo ionico. Esprime l'esigenza eroica del primeggiare di cui si diceva sopra.-Trwvessi: dativo plurale con desinenza eolica.-ajrnuvmeno" : participio di a[rnumai. Lo stesso verbo nella medesima forma si trova nel Proemio dell'Odissea a proposito del protagonista il quale " soffrì molti dolori sul mare nell'animo suo,/cercando di salvare la sua vita e il ritorno dei compagni."(vv. 4-5). Più concretamente "l'uomo" del secondo poema antepone la vita a tutto il resto. Non per niente Nietzsche ha trovato nei versi omerici il ribaltamento della sapienza silenica:" Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie, per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[15]. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode[16] -kata; frevna: frhvn è il diaframma , la membrana che si avvolge attorno al cuore (Iliade , XVI, 481) e regge il fegato (Odissea , IX, 301), o, secondo Aristotele (PA. 672b 11)  separa cuore e polmoni. Dovrebbe essere dunque la sede dello qumov" di cui si è detto sopra.-e[ssetai=e[stai,  futuro di eijmiv.-ojlwvlh/: congiuntivo perfetto intransitivo di o[llumi.-eju>>>mmelivw: genitivo di eujmmelivh", formato da eu\ e meliva, " lancia di frassino".

Polibio nel XXXVIII libro delle sue Storie ricorda che Scipione emiliano assistendo alla distruzione di Cartagine[17] sia scoppiato in lacrime e, pensando come la fortuna di ogni città cambi invariabilmente, abbia citato questi due versi (448-449), quindi all'amico storiografo che lo interrogava abbia risposto facendo il nome della sua patria per la quale temeva quando rifletteva sul rapido destino delle cose umane.- tovsson...oJvsson: avverbi correlativi.-ojpivssw=attico ojpivsw: avverbio di tempo che letteralmente significa "in futuro".-a[nakto": genitivo di a[nax , è un basileuv" potenziato, sia nei poemi omerici sia nelle tavolette micenee della Lineare B.
Per fare un esempio del rapporto tra il greco miceneo e quello di Omero, nei poemi a[nax ( Iliade , I, 7)  si alterna con basileuv" (Iliade , I, 9, in entrambi i casi è Agamennone)  quasi indifferentemente, a parte che il primo termine può essere attribuito alla divinità; nella Lineare B invece il corrispondente del secondo termine, qasireu(s) , indica un capo di minore importanza:"capi ,in senso lato e modesto, e forse nella fattispecie semplici capi  officina"[18].
Sul rapporto tra i significati di basileuv" e a[nax  riferisco anche la posizione di E. Benveniste :" in Omero, un personaggio può essere contemporaneamente basileùs  e wànaks : un titolo non contraddice l'altro, come si vede nell'Odissea (XX 194[19]). Inoltre, solo wànaks  serve da qualificazione divina: l'invocazione a Zeus Dodoneo, uno dei testi più solenni dell'Iliade , comincia così: "Zeu' a[na..." (XVI 233).
Un dio non è mai chiamato basileùs . Basileùs  è invece largamente diffuso nella società degli uomini; non solo Agamennone, ma una folla di personaggi minori ricevono questo titolo. Vi sono anche dei gradi, una specie di gerarchia, tra i basileis  , a giudicare dal comparativo basileùteros , e dal superlativo basileùtatos , mentre wànaks  non comporta in Omero nessuna variazione paragonabile a questa. Tranne il mic. wanaktero- , il cui senso resta incerto, il titolo di wànaks  denota una qualità assoluta...Il fatto è che solo wànaks  designa la realtà del potere regale; basileùs  è ormai solo un titolo tradizionale che detiene il capo del génos , ma che non corrisponde a una sovranità territoriale e che molte persone possono possedere nello stesso luogo (Od.  I 394). Una sola città, quella dei Feaci, non contava meno di tredici basilh'e" (VIII 390). Personaggio rispettato, il basileùs  godeva di certe prerogative all'interno dell'assemblea, ma l'esercizio del potere spetta al wànaks  che lo esercita solo, ed è quanto indica anche il verbo wanàsso -. Ne danno prova anche espressioni che si sono conservate come nomi propri: Iphi-anassa  'che regna con potenza', nome della figlia di Agamennone. Il femminile (w)anassa  è l'epiteto di dee come Demetra, Atena. Così quando Ulisse vede per la prima volta Nausicaa, la chiama così[20], credendola una dea"[21]. L'autore parte dalla considerazione che "La situazione rispettiva del basileùs  e del wànaks  nell'epopea omerica corrisponde bene a quella che caratterizza questi due personaggi nella società micenea".-poleve"=polloiv.-konivh/si=ionico epico per konivai".


continua




[1] Per la genesi e la storia dei poemi omerici vedi la parte introduttiva (pp. 9-47) della mia antologia Ulisse, il figlio, le donne, i viaggi, gli amori , Loffredo, Napoli, 200.
[2] Hegel, Estetica , p. 1381.
[3] J. Kott, Mangiare Dio , trad. it. Edizioni Il Formichiere, Milano, 1977, p. 120.
[4] J. J. Bachofen, Il potere femminile , trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1977.
J. J. Bachofen, Le madri e la virilità olimpica , trad. it. Edizioni Due C. Roma, 1975.
[5] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , trad. it. Einaudi, Torino, 1976., p. 15.
[6] Andromaca e Troiane .
[7] Di Samotracia  (215-144 ca.)   convinto dell'origine ateniese di Omero, tendeva ad atticizzare il testo e si oppose ai separatisti attribuendo l'Iliade  alla gioventù del poeta e l'Odissea  alla sua vecchiaia.  Aristarco corredò la sua edizione critica di segni marginali che completano quelli già usati dai curatori precedenti. Tra questi segni "diacritici", che si trovano in un codice della biblioteca Marciana di Venezia, "un manoscritto pergamenaceo del decimo secolo, e dei più importanti della tradizione medievale di Omero" (C. Del Grande, Storia della Letteratura Greca , p. 45,) segnalo, per curiosità e anche perché, data la loro evidenza, si possono ricordare, l'ojbelov", lo spiedo, ossia un trattino, che "infilzava" il verso spurio; l' ajsterivsko" ,  la stelluccia, che segnalava un verso ripetuto; e l'ojbelov" met& ajsterivskou , lo spiedo con stelluccia davanti a ripetizione abusiva. Come gli altri filologi alessandrini Aristarco  era fautore dell'analogia, la quale vuole individuare norme e regole nell'uso della lingua; inoltre asseriva che bisognava spiegare Omero con Omero ("  JvOmhron ejx JOmhvrou safhnivzein", cfr. Schol. B a Z 201).
[8]Umano troppo umano , (vol.2, p.211)
[9]Iliade , IX, 443.
[10]  Anche in Iliade, XXII, 105.
[11] E. Dodds, I greci e l'irrazionale , p. 30.
[12]Cantarella-Scarpat, op. cit., p. 145?
[13]B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 30 e sgg.
[14]Cantarella-Carpat, op. cit., p. 185.
[15] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491.
[16] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 33.
[17] Avvenuta nel  146 a. C. 
[18]D. Musti, Storia greca , p. 85.
[19] e[oike devma" basilh'ïï a[nakti , sembra all'aspetto un sovrano, esclama il bovaro Filezio vedendo Ulisse pur senza riconoscerlo. 
[20]Odissea  VI, 149. a[nassa.
Leggeremo questo canto per intero.
[21]E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , pp. 303 e 304.

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