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martedì 15 marzo 2016

Matrimonio e Adulterio. Parte V

Dante Gabriel Rossetti, Elena di Troia

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La concordia, l'abbiamo visto nella oJmofrosuvnh di Omero, è il presupposto necessario dell'amore duraturo.
Catullo ha pure tradotto in latino un'ode di Saffo, quella della paralisi indotta dall'amore (fr. 31 LP) aggiungendo una gnome sull'otium che in qualche modo allude negativamente a Elena di Troia.
Diciamo due parole in generale su questo poeta che per la prima volta rende la donna e l'amore protagonisti della poesia latina.
A partire dal liber del Veronese, e nella successiva elegia, l'amore diviene un'esperienza totalizzante e la femmina umana assume il ruolo della dominatrice, la vera domina nella relazione che dunque per l'uomo amante diventa un servitium. Con Catullo comincia a delinearsi un codice di comportamento che prosegue con gli elegiaci. Dopo di lui altri poeti sentiranno l'esigenza di porre una donna-padrona al centro del loro canto.
"Di fatto, nelle civiltà del potere maschile l'uomo potente si sottomette al potere domestico della sposa, al potere erotico dell'amante, l'una e l'altra Padrone (padrona di casa, padrona d'amore. Può essere soggiogata dall'amata come Pirro divenuto schiavo della sua schiava Andromaca in Euripide)"[1].
Catullo in effetti è il primo vero poeta d'amore della letteratura latina. "A Roma non si può parlare di una produzione di poesia d'amore prima di Catullo: questa realtà, che ai nostri occhi può apparire sorprendente, ha una duplice spiegazione, legata al modo di far cultura e di concepire il rapporto uomo-donna. Sino al periodo della declinante repubblica il comporre poesia priva d'impegno civile non doveva essere giudicato degno della gravitas del cittadino romano: anche i primi letterati, tutti schiavi o liberti, sino all'eques Lucilio, se si prescinde dalla loro produzione drammatica, concepirono l'epos come la logica attività poetica"[2]. I ceti al potere, continua Fedeli, "si accontentarono di mantenere il controllo sul sapere storico e su quello giuridico", mentre una "sporadica produzione di carmi erotici" risale probabilmente al circolo di Lutazio Catulo (console nel 101 a. C.) ma "solo con Catullo si assiste alla diffusione di un canzoniere in cui una donna occupa il ruolo centrale, perché nel mondo del poeta costituisce il culmine di tutti gli affetti" (p.144).
L'identificazione della donna amata con la domina imperiosa che ama meno o addirittura non ama l'uomo asservito si può commentare con una riflessione psicologica di C. Pavese: “Una beffarda legge della vita è la seguente: non chi dà ma chi esige, è amato. Cioè, è amato chi non ama, perché chi ama dà. E si capisce: dare è un piacere più indimenticabile che ricevere; quello a cui abbiamo dato, ci diventa necessario, cioè lo amiamo. Il dare è una passione, quasi un vizio. La persona a cui diamo, ci diventa necessaria"[3]. E più avanti: “ Chi ha, gli sarà dato"[4].
Il carme 51 di Catullo accusa in particolare l'otium che all'autore procura un'esagerata eccitazione amorosa (otio exultas , v. 14) e, alludendo probabilmente al caso di Elena di Troia, conclude: “Otium et reges prius et beatas /perdidit urbes " (vv. 15-16), lo stare senza far niente ha già mandato in rovina re e città opulente.
Questo è un topos non solo erotico, sul quale torneremo, ma anche storico- politico : in un discorso attribuito da Tucidide ad Alcibiade che vuole persuadere gli Ateniesi ad approvare il progetto vertiginoso di conquistare tutta la Sicilia, il grande seduttore ateniese afferma: “kai; th;n povlin, eja;n me;n hJsucavzh/, trivyesqai te aujth;n w{sper kai; a[llo ti "(VI, 18, 6), e la città, se rimane ferma, si logorerà da sola, come qualsiasi altra cosa.
Virgilio (70-19 a. C.) pone gli adùlteri tra i grandi criminali del Tartaro in attesa della pena; anzi, nel catalogo dei dannati, questi delinquenti sessuali si distinguono dagli altri malnati per essere già stati puniti in terra con una morte violenta: “quique ob adulterium caesi ", quanti furono uccisi per adulterio.
I rimanenti criminali di questa sezione degli inferi sono coloro che hanno odiato i fratelli, maltrattato il padre, o hanno ordito frode al cliente, o hanno accumulato egoisticamente ricchezze, o hanno seguito armi empie o tradito i padroni ( Eneide VI , vv. 608-614).
C'è da notare che tra i peccatori pessimi delle Rane di Aristofane ci sono quelli che hanno maltrattato il padre e la madre (v. 149) e pure chi ha sodomizzato un ragazzo senza pagarlo (v. 148), ma non chi ha commesso adulterio. Virgilio infatti volle assecondare i progetti moralizzatori di Augusto che preparava leggi contro l'adulterio.

 La lex Iulia de adulteriis coercendis fu approvata nel 18 a. C. Essa "non si limitava a sottoporre a regolamentazione la violazione della fede coniugale. Inserita nel quadro generale della politica demografica e moralizzatrice di Augusto, stabiliva, in linea assai più generale, che fosse punito come crimen (vale a dire come delitto pubblico, perseguibile su iniziativa di qualunque cittadino) qualsiasi rapporto sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccezion fatta per quelli con le prostitute e con donne a queste equiparate, o in ragione del mestiere esercitato, o perché già condannate, in precedenza, per condotta immorale. Il termine adulterio, insomma, è usato da Augusto in senso lato, e comprende anche lo stuprum [5]. La sfera della morale sessuale, sostanzialmente, viene sottratta, con la sua legge, alla competenza della giurisdizione familiare, e diventa "affare di Stato"...La pena prevista dalla lex Iulia per l'adulterio, non fu la morte, ma la relegatio in insulam , accompagnata da una sanzione patrimoniale. La regola stabilita del secondo caput della legge, che concedeva l'impunità al marito e al padre dell'adultera qualora uccidessero il complice di costei (e, solo nel caso del padre, qualora uccidesse anche la figlia) era la previsione di un'impunità speciale, concessa esclusivamente al padre e al marito, e subordinata al verificarsi di una serie di circostanze (quali la sorpresa degli adùlteri in flagranza), specificamente e tassativamente elencate dalla legge. Ma la pena dell'adulterio, in linea generale, non era la morte"[6].
Un'altra legge volta a frenare, o per lo meno a regolarizzare e ordinare l'amore, fu la lex Iulia de maritandis ordinibus , sempre del 18 a. C. Questa multava i celibi e premiava i coniugati fecondi, come avrebbe fatto, molti anni più tardi, Mussolini. Tuttora del resto gli insegnanti celibi sono pesantemente penalizzati nel punteggio.
La lex Iulia poi venne ribadita dalla lex Papia Poppea ( del 9 d. C. ) che concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum ). "L'inibizione sessuale è dunque la base dell'incapsulamento familiare degli individui…è il mezzo a cui si ricorre per creare il legame alla famiglia autoritaria"[7]. Questa poi veicola nei giovani il precetto della sottomissione al capo. Del resto tante severe leggi matrimoniali non raggiunsero l'effetto desiderato. Già Augusto vedeva che la forza delle sue norme favorevoli al matrimonio veniva elusa, per cui tentò di potenziarle: “tempus sponsas habendi coartavit, divortiis modum imposuit "[8], abbreviò il tempo del fidanzamento, pose un limite ai divorzi.
 Queste regole verranno sempre eluse e anzi lo saranno dagli stessi imperatori che concedevano lo ius trium liberorum a scapoli incalliti: come Marziale che ottenne il beneficio sia da Tito sia da Domiziano: “Natorum mihi ius trium roganti/Musarum pretium dedit mearum/solus qui poterat. Valebis, uxor./Non debet domini perire munus " (II, 92), a me che sollecitavo il privilegio dei tre figli lo ha concesso come premio per la mia Musa colui che solo poteva. Tanti saluti, moglie. Non deve andar perduto il dono di un dio.
Giovenale nella seconda satira nota la contraddizione di Domiziano che mentre era adulter incestuoso con la nipote Giulia "tunc leges revocabat amaras/omnibus atque ipsis Veneri Martique timendas " (II, 30-31), proprio allora richiamava in vigore leggi amare per tutti e tremende per gli stessi Venere e Marte. Domiziano infatti aveva rimesso in vigore la lex Iulia de adulteriis et stupro vel de pudicitia emanata da Augusto nel 18 a. C. Pertanto un moralista all'antica non faceva che esclamare: “Ubi nunc, lex Iulia, dormis? " (II, 37), legge Giulia dove sei? Dormi?

Di questo andazzo legislativo troviamo un'altra anticipazione nella seconda satira[9] di Orazio (65-8 a. C.) che sconsiglia l'adulterio con le matrone (ne paeniteat te,/desine matronas sectarier , I, 2, 77, 78), se non vuoi pentirtene, smetti di cercare le matrone) anteponendogli la "sana" frequentazione delle puttane. La togata , ossia più o meno la cortigiana, o per lo meno una donna parecchio e notoriamente dissoluta [10], oltre essere meno problematica e rischiosa, è meno artefatta e ingannevole: “mercem sine fucis gestat, aperte/ quod venale habet ostendit " (vv. 83-84), porta la merce senza orpelli, e mostra apertamente quello che ha da vendere. Su questa satira torneremo, spiegando meglio questi versi e leggendone altri , nel capitolo relativo all'adulterio .
 Delle prime leggi sui matrimoni si trova traccia in una delle strofe saffiche del Carmen Saeculare del 17 a. C. : “ Diva, producas subŏlem patrumque/prosperes decreta super iugandis/feminis prolisque novae feraci/lege marita " (vv. 17-20), Dea[11] fa crescere la prole e da' successo ai decreti del senato sulle donne da unire in matrimonio e sulla legge nuziale feconda di nuova prole.
Tutto questo non bastò a frenare la corsa già in atto verso i magna adulteria denunciati da Tacito (55 ca-120 ca d. C.) all'inizio delle Historiae[12] (I, 2). Infatti: “ corruptissima republica plurimae leges (Annales III, 27).
Era costume diffuso il celibato prevalida orbitate (Annales 3, 25).

 Oltre la scarsa efficacia del potere in questa sfera c'è anche da notare l'ipocrisia del "moralizzatore" Augusto il quale, secondo Svetonio (70 ca-140 ca d. C.), era infamato dai suoi nemici per avere ottenuto l'adozione prostituendosi a Cesare e per avere sottoposto gli avanzi della sua pudicizia ad Aulo Irzio che gli aveva dato trecentomila sesterzi. Che l'erede di Cesare commettesse adultèri lo ammettevano anche gli amici, sebbene lo scusassero dicendo che lo faceva non per libidine ma per calcolo: “quo facilius consilia adversariorum per cuiusque mulieres exquireret " (Vita di Augusto 69), per indagare più facilmente i disegni degli avversari attraverso le mogli di ognuno di loro.
Arriviamo dunque alle conclusioni del capitolo.
La calunnia dell'amore e il deturpamento del sesso è una delle tante manovre delle propagande funzionali al potere. Omero aveva già capito che la concordia, l'affetto e l'amore dell'uomo e della donna costituiscono non solo la gioia ma anche la forza di entrambi; come l'hanno capito bene i furfanti che tendono a seminare zizzania tra uomini e donne appunto per indebolire il genere umano e sottometterlo, con scopi diversi. Negli ultimi tempi principalmente con quello di indurlo a comprare le schifezze prodotte dall'industria. Femmine e maschi umani sessualmente e affettivamente felici infatti non avrebbero bisogno di gratificarsi consumando, né sentirebbero la frustrazione di non consumare. L'infelicità amorosa per giunta conduce alla sottomissione e all'adorazione dei capi e delle mode. Il tiranno che bandisce la gioia semina morte e produce rovina, anche a se stesso. E' il commento del messo che sta per raccontare la catastrofe finale dell'Antigone provocata dalla tirannide di Creonte che ha proibito, tra l'altro, al figlio Emone di amare la sua donna: “ed ora tutto è buttato via. Infatti quando/l'uomo abbandona la gioia, io non ritengo/che sia vivo costui ma lo considero un cadavere che respira" (vv. 1165-1167).-
"L'inibizione sessuale sbarra all'adolescente la via che porta a un modo di pensare e di sentire razionale…i sentimenti religiosi nascono dalla sessualità inibita"[13]. Adesso la religione (intesa come religio lucreziana) è quella del consumismo, ed esso è una delle conseguenze del "sesso che se ne va a male, che diventa acido"[14].
Orwell in 1984 fa un discorso più ampio descrivendo un regime repressivo, tra l'altro, della libertà erotica poiché l'astinenza sessuale produceva isterismo che " si poteva facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e nell'adorazione dei capi". Ma c'è una ragazza, Julia, che comprende e si ribella facendo l'amore con gioia, e spiega: “"Quando fai all'amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo...Tutto questo marciare su e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[15]. Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera una civiltà" (p.133).
Il protagonista del romanzo vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al Partito...un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice: “Sta' a sentire. Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[16].
Un messaggio a favore dell'amore e contro la guerra, tra loro inconciliabili, si trova anche nella commedia di Aristofane, Lisistrata, del 411. Il nome parlante significa "colei che dissolve l'esercito". La protagonista infatti è una donna.


fine




[1] E. Morin, L'identità umana, p. 64.
[2]Paolo Fedeli, La poesia d'amore, in Lo spazio letterario di Roma antica , I, p. 143.
[3] Il mestiere di vivere, 24 maggio 1941.
[4] 23 novembre 1945.
[5] Relazione colpevole.
[6]E. Cantarella, Secondo Natura , Milano, 1995, pp. 182 ss.
[7] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, . (del 1933), p.61.
[8] Svetonio, Vita di Augusto, 34.
[9] I due libri di Satire di Orazio uscirono nel 35 e nel 30 a. C.
[10] Marziale consiglia a un tal Lino di regalare a una famigerata moecha non vesti scarlatte e violette ma una toga (II, 39).
[11]Lucina, dea romana dei parti identificata con Diana
[12] Composte entro il 110 d. C, raccontano i fatti che vanno dal 1° gennaio 69 d. C. alla rivolta giudaica del 70.
[13] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo , p. 108 e p. 148.
[14]G. Orwell, 1984 , trad. it. Mondadori, Milano, 1989, p. 142.
[15]G. Orwell, 1984 , p. 142.
[16]G. Orwell, 1984, trad. it. Mondadori, Milano, 1997, p. 134.

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