Dante Gabriel Rossetti, Elena di Troia |
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La concordia,
l'abbiamo visto nella oJmofrosuvnh di
Omero, è il presupposto necessario dell'amore duraturo.
Catullo ha pure tradotto in latino un'ode di Saffo, quella della paralisi indotta dall'amore (fr. 31 LP) aggiungendo
una gnome sull'otium che in qualche modo allude negativamente a Elena di
Troia.
Diciamo due parole in generale su
questo poeta che per la prima volta rende la donna e l'amore protagonisti della
poesia latina.
A
partire dal liber del Veronese, e nella successiva elegia, l'amore diviene un'esperienza totalizzante e
la femmina umana assume il ruolo della dominatrice, la vera domina nella relazione che dunque per
l'uomo amante diventa un servitium.
Con Catullo comincia a delinearsi un codice di comportamento che prosegue con
gli elegiaci. Dopo di lui altri poeti sentiranno l'esigenza di porre una
donna-padrona al centro del loro canto.
"Di
fatto, nelle civiltà del potere maschile l'uomo potente si sottomette al potere
domestico della sposa, al potere erotico dell'amante, l'una e l'altra Padrone
(padrona di casa, padrona d'amore. Può essere soggiogata dall'amata come Pirro
divenuto schiavo della sua schiava Andromaca in Euripide)"[1].
Catullo in effetti è il primo vero poeta d'amore
della letteratura latina. "A Roma non si può parlare di una
produzione di poesia d'amore prima di Catullo: questa realtà, che ai nostri
occhi può apparire sorprendente, ha una duplice spiegazione, legata al modo di
far cultura e di concepire il rapporto uomo-donna. Sino al periodo della
declinante repubblica il comporre poesia priva d'impegno civile non doveva
essere giudicato degno della gravitas del
cittadino romano: anche i primi letterati, tutti schiavi o liberti, sino all'eques Lucilio, se si prescinde dalla
loro produzione drammatica, concepirono l'epos come la logica attività
poetica"[2]. I
ceti al potere, continua Fedeli, "si accontentarono di mantenere il
controllo sul sapere storico e su quello giuridico", mentre una
"sporadica produzione di carmi erotici" risale probabilmente al
circolo di Lutazio Catulo (console nel 101 a. C.) ma "solo con Catullo si assiste alla diffusione
di un canzoniere in cui una donna occupa il ruolo centrale, perché nel
mondo del poeta costituisce il culmine di tutti gli affetti" (p.144).
L'identificazione
della donna amata con la domina imperiosa che ama meno o addirittura non
ama l'uomo asservito si può commentare con una riflessione psicologica di C. Pavese: “Una beffarda legge della vita
è la seguente: non chi dà ma chi esige, è amato. Cioè, è amato chi non ama,
perché chi ama dà. E si capisce: dare è un piacere più indimenticabile che
ricevere; quello a cui abbiamo dato, ci diventa necessario, cioè lo amiamo. Il
dare è una passione, quasi un vizio. La persona a cui diamo, ci diventa
necessaria"[3]. E più
avanti: “ Chi ha, gli sarà dato"[4].
Il
carme 51 di Catullo accusa in particolare l'otium
che all'autore procura un'esagerata eccitazione amorosa (otio exultas , v. 14) e, alludendo probabilmente al caso di Elena
di Troia, conclude: “Otium et reges prius
et beatas /perdidit urbes " (vv. 15-16), lo stare senza far niente ha già mandato in
rovina re e città opulente.
Questo è un topos
non solo erotico, sul quale torneremo, ma anche storico- politico : in un
discorso attribuito da Tucidide ad Alcibiade che vuole persuadere gli Ateniesi
ad approvare il progetto vertiginoso di conquistare tutta la Sicilia, il grande
seduttore ateniese afferma: “kai; th;n povlin, eja;n me;n hJsucavzh/, trivyesqai te
aujth;n w{sper kai; a[llo ti
"(VI, 18, 6), e la città, se rimane ferma, si logorerà da sola, come
qualsiasi altra cosa.
Virgilio
(70-19 a. C.) pone gli adùlteri tra i
grandi criminali del Tartaro in attesa della pena; anzi, nel catalogo
dei dannati, questi delinquenti sessuali si distinguono dagli altri malnati per
essere già stati puniti in terra con una morte violenta: “quique ob adulterium caesi ", quanti furono uccisi per
adulterio.
I
rimanenti criminali di questa sezione degli inferi sono coloro che hanno odiato
i fratelli, maltrattato il padre, o hanno ordito frode al cliente, o hanno
accumulato egoisticamente ricchezze, o hanno seguito armi empie o tradito i
padroni ( Eneide VI , vv. 608-614).
C'è
da notare che tra i peccatori pessimi delle Rane
di Aristofane ci sono quelli che hanno maltrattato il padre e la madre (v. 149)
e pure chi ha sodomizzato un ragazzo senza pagarlo (v. 148), ma non chi ha
commesso adulterio. Virgilio infatti volle assecondare i progetti moralizzatori
di Augusto che preparava leggi contro l'adulterio.
La lex
Iulia de adulteriis coercendis fu approvata nel 18 a. C. Essa "non si
limitava a sottoporre a regolamentazione la violazione della fede coniugale.
Inserita nel quadro generale della politica demografica e moralizzatrice di
Augusto, stabiliva, in linea assai più generale, che fosse punito come crimen (vale a dire come delitto
pubblico, perseguibile su iniziativa di qualunque cittadino) qualsiasi rapporto
sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccezion fatta per
quelli con le prostitute e con donne a queste equiparate, o in ragione del
mestiere esercitato, o perché già condannate, in precedenza, per condotta
immorale. Il termine adulterio, insomma, è usato da Augusto in senso lato, e
comprende anche lo stuprum [5]. La
sfera della morale sessuale, sostanzialmente, viene sottratta, con la sua
legge, alla competenza della giurisdizione familiare, e diventa "affare di
Stato"...La pena prevista dalla lex
Iulia per l'adulterio, non fu la morte, ma la relegatio in insulam , accompagnata da una sanzione patrimoniale.
La regola stabilita del secondo caput
della legge, che concedeva l'impunità al marito e al padre dell'adultera
qualora uccidessero il complice di costei (e, solo nel caso del padre, qualora
uccidesse anche la figlia) era la previsione di un'impunità speciale, concessa
esclusivamente al padre e al marito, e subordinata al verificarsi di una serie
di circostanze (quali la sorpresa degli adùlteri in flagranza), specificamente
e tassativamente elencate dalla legge. Ma la pena dell'adulterio, in linea
generale, non era la morte"[6].
Un'altra legge volta
a frenare, o per lo meno a regolarizzare e ordinare l'amore, fu la lex Iulia de maritandis ordinibus ,
sempre del 18 a. C. Questa multava i celibi e premiava i coniugati fecondi,
come avrebbe fatto, molti anni più tardi, Mussolini. Tuttora del resto gli
insegnanti celibi sono pesantemente penalizzati nel punteggio.
La lex Iulia
poi venne ribadita dalla lex Papia Poppea
( del 9 d. C. ) che concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno
tre figli (ius trium liberorum ).
"L'inibizione sessuale è dunque la base dell'incapsulamento familiare
degli individui…è il mezzo a cui si ricorre per creare il legame alla famiglia
autoritaria"[7]. Questa poi veicola nei giovani il precetto
della sottomissione al capo. Del resto tante severe leggi matrimoniali non raggiunsero
l'effetto desiderato. Già Augusto vedeva che la forza delle sue norme
favorevoli al matrimonio veniva elusa, per cui tentò di potenziarle: “tempus
sponsas habendi coartavit, divortiis modum imposuit "[8], abbreviò il tempo del fidanzamento, pose un
limite ai divorzi.
Queste regole verranno sempre eluse e anzi lo
saranno dagli stessi imperatori che concedevano lo ius trium liberorum a
scapoli incalliti: come Marziale che ottenne il beneficio sia da Tito sia da
Domiziano: “Natorum mihi ius trium roganti/Musarum pretium dedit
mearum/solus qui poterat. Valebis, uxor./Non debet domini perire munus
" (II, 92), a me che sollecitavo il privilegio dei tre figli lo ha
concesso come premio per la mia Musa colui che solo poteva. Tanti saluti,
moglie. Non deve andar perduto il dono di un dio.
Giovenale nella
seconda satira nota la contraddizione di Domiziano che mentre era adulter
incestuoso con la nipote Giulia "tunc leges revocabat amaras/omnibus
atque ipsis Veneri Martique timendas " (II, 30-31), proprio allora
richiamava in vigore leggi amare per tutti e tremende per gli stessi Venere e
Marte. Domiziano infatti aveva rimesso in vigore la lex Iulia de adulteriis
et stupro vel de pudicitia emanata da Augusto nel 18 a. C. Pertanto un
moralista all'antica non faceva che esclamare: “Ubi nunc, lex Iulia, dormis?
" (II, 37), legge Giulia dove sei? Dormi?
Di questo andazzo
legislativo troviamo un'altra anticipazione nella seconda satira[9] di Orazio
(65-8 a. C.) che sconsiglia l'adulterio con le matrone (ne paeniteat te,/desine matronas sectarier
, I, 2, 77, 78), se non vuoi pentirtene, smetti di cercare le matrone)
anteponendogli la "sana" frequentazione delle puttane. La togata , ossia più o meno la cortigiana,
o per lo meno una donna parecchio e notoriamente dissoluta [10], oltre essere meno problematica e rischiosa,
è meno artefatta e ingannevole: “mercem
sine fucis gestat, aperte/ quod venale habet ostendit " (vv. 83-84),
porta la merce senza orpelli, e mostra apertamente quello che ha da vendere. Su
questa satira torneremo, spiegando meglio questi versi e leggendone altri , nel
capitolo relativo all'adulterio .
Delle prime leggi sui matrimoni si trova traccia
in una delle strofe saffiche del Carmen
Saeculare del 17 a. C. : “ Diva, producas subŏlem patrumque/prosperes decreta
super iugandis/feminis prolisque novae feraci/lege marita " (vv. 17-20), Dea[11] fa crescere la prole e da' successo ai
decreti del senato sulle donne da unire in matrimonio e sulla legge nuziale
feconda di nuova prole.
Tutto questo non
bastò a frenare la corsa già in atto verso i magna adulteria denunciati
da Tacito (55 ca-120 ca d. C.) all'inizio delle Historiae[12] (I, 2). Infatti: “ corruptissima
republica plurimae leges (Annales
III, 27).
Era costume diffuso
il celibato prevalida orbitate (Annales 3, 25).
Oltre la scarsa efficacia del potere in
questa sfera c'è anche da notare l'ipocrisia del "moralizzatore"
Augusto il quale, secondo Svetonio (70
ca-140 ca d. C.), era infamato dai suoi nemici per avere ottenuto l'adozione prostituendosi
a Cesare e per avere sottoposto gli avanzi della sua pudicizia ad Aulo Irzio
che gli aveva dato trecentomila sesterzi. Che l'erede di Cesare commettesse
adultèri lo ammettevano anche gli amici, sebbene lo scusassero dicendo che lo
faceva non per libidine ma per calcolo: “quo
facilius consilia adversariorum per cuiusque mulieres exquireret " (Vita di Augusto 69), per indagare più
facilmente i disegni degli avversari attraverso le mogli di ognuno di loro.
Arriviamo
dunque alle conclusioni del capitolo.
La
calunnia dell'amore e il deturpamento del sesso è una delle tante manovre delle
propagande funzionali al potere. Omero aveva già capito che la concordia,
l'affetto e l'amore dell'uomo e della donna costituiscono non solo la gioia ma
anche la forza di entrambi; come l'hanno capito bene i furfanti che tendono a
seminare zizzania tra uomini e donne appunto per indebolire il genere umano e
sottometterlo, con scopi diversi. Negli ultimi tempi principalmente con quello
di indurlo a comprare le schifezze prodotte dall'industria. Femmine e maschi
umani sessualmente e affettivamente felici infatti non avrebbero bisogno di
gratificarsi consumando, né sentirebbero la frustrazione di non consumare.
L'infelicità amorosa per giunta conduce alla sottomissione e all'adorazione dei
capi e delle mode. Il tiranno che bandisce la gioia semina morte e produce
rovina, anche a se stesso. E' il commento del messo che sta per raccontare la
catastrofe finale dell'Antigone provocata dalla tirannide di Creonte che
ha proibito, tra l'altro, al figlio Emone di amare la sua donna: “ed ora tutto è buttato via. Infatti
quando/l'uomo abbandona la gioia, io non ritengo/che sia vivo costui ma lo
considero un cadavere che respira" (vv.
1165-1167).-
"L'inibizione
sessuale sbarra all'adolescente la via che porta a un modo di pensare e di
sentire razionale…i sentimenti religiosi nascono dalla sessualità inibita"[13].
Adesso la religione (intesa come religio lucreziana) è quella del
consumismo, ed esso è una delle conseguenze del "sesso che se ne va a
male, che diventa acido"[14].
Orwell
in 1984 fa un discorso più ampio descrivendo un regime repressivo, tra
l'altro, della libertà erotica poiché l'astinenza sessuale produceva isterismo
che " si poteva facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e
nell'adorazione dei capi". Ma c'è una ragazza, Julia, che comprende e si
ribella facendo l'amore con gioia, e spiega: “"Quando fai all'amore,
spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro
non possono tollerare che ci si senta in questo modo...Tutto questo marciare su
e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che
sesso che se ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto
dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei
Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[15].
Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio
quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera
una civiltà" (p.133).
Il
protagonista del romanzo vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo
inferto al Partito...un atto politico". Quando la sua giovane amante si
spoglia infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice: “Sta' a
sentire. Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[16].
Un
messaggio a favore dell'amore e contro la guerra, tra loro inconciliabili, si
trova anche nella commedia di Aristofane, Lisistrata, del 411. Il nome
parlante significa "colei che dissolve l'esercito". La protagonista
infatti è una donna.
fine
[1]
E. Morin, L'identità umana, p. 64.
[2]Paolo
Fedeli, La poesia d'amore, in Lo spazio
letterario di Roma antica , I, p. 143.
[3]
Il mestiere di vivere, 24 maggio 1941.
[4]
23 novembre 1945.
[5]
Relazione colpevole.
[6]E.
Cantarella, Secondo Natura , Milano,
1995, pp. 182 ss.
[7]
W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, . (del 1933), p.61.
[8]
Svetonio, Vita di Augusto, 34.
[9]
I due libri di Satire di Orazio uscirono nel 35 e nel 30 a. C.
[10]
Marziale consiglia a un tal Lino di regalare a una famigerata moecha non
vesti scarlatte e violette ma una toga (II, 39).
[11]Lucina, dea romana dei parti identificata con Diana
[12]
Composte entro il 110 d. C, raccontano i fatti che vanno dal 1° gennaio 69 d.
C. alla rivolta giudaica del 70.
[13]
W. Reich, Psicologia di massa del fascismo , p. 108 e p. 148.
[14]G. Orwell, 1984 , trad. it. Mondadori, Milano, 1989, p. 142.
[15]G. Orwell, 1984 , p. 142.
[16]G. Orwell, 1984, trad. it. Mondadori,
Milano, 1997, p. 134.
Giovanna Tocco
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