Le Supplici foto A. Sterrantino |
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Le Supplici di Eschilo. Il Prometeo
incatenato. L'empio odio tra i sessi. Admeto e Alcesti nella tragedia di
Euripide. Orfeo-Euridice. L'interpretazione di G. B.
Conte. Aristeo nella IV Georgica e Abramo
nella Genesi obbediscono agli
ordini senza discutere. Il cantore tracio in Virgilio, Euripide, Platone,
Apollonio Rodio, Aristofane. L'Orfeo del Simposio platonico è un
vigliacco. Ogni
mito possiede una pluralità di significati e si può declinare o coniugare come
una parola del vocabolario. Il
matrimonio inconciliabile con la vita eroica o almeno libera. Achille e Kierkegaard secondo Eliade. Tolstoj, Kafka e Svevo.
Nelle Supplici
di Eschilo ( 463 a. C. ?) le cinquanta
Danaidi, ossia le figlie di Danao, fuggono col padre per evitare le
aborrite nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto e, giunte ad Argo,
invocano la protezione del re Pelasgo. Il coro delle fuggiasche dichiara fin
dai primi versi che il motivo dell'esilio è la spontanea avversione al
matrimonio. Esse sono di origine argiva poiché discendono da quella Io, figlia
del re di Argo Inaco, che era stata resa pazza e trasfigurata in una mucca assillata da un tafano in conseguenza
dell'amore di Zeus e della gelosia di Era. Tali fanciulle hanno nel sangue la
mostruosità caratteristica dei primordi.
"Nella mitologia greca la
figura ibrida è, in generale, un contrassegno di appartenenza a un mondo
primitivo"[1].
Queste odiatrici delle nozze vedono nei cugini pretendenti uno sciame violento
di maschi (vv. 31) che insegue la loro folla fatta di femmine impaurite. Esse
chiedono l'aiuto del quinto antenato, Epafo, il divino torello oltremarino
(vv.43-44) nato in Egitto dal tocco (cfr. ejfavptw, "metto la mano sopra")
di Zeus alla giovenca. Un semidio teriomorfo, identificabile, forse, con il
dio-toro egiziano Api.
Il
matrimonio per le Danaidi è sinonimo di orrori: le fanciulle in preda al
terrore assimilano la loro voce a quella di Procne, trasformata in usignolo
dopo che ebbe ucciso il figlio Iti per punire il marito Tereo il quale le aveva
violentato la sorella Filomela. Tereo fu a sua volta mutato in upupa e Filomela
in rondine. Questo mito raccapricciante, raccontato o richiamato da diversi
autori in varie altre versioni è
emblematico per significare l'orrore di un matrimonio andato a male. Lo
ritroveremo e commenteremo meglio più avanti. Qui nelle Supplici proseguono i
paragoni con gli uccelli: i maschi inseguitori sono sparvieri, "stirpi di
nemici consanguinei e profanatori" (vv. 224- 225), mentre le ragazze
fuggiasche sono colombe, E' ricorrente il motivo dell'inimicizia mortale tra
gli uomini e le donne che pure appartengono alla stessa specie. Un odio empio,
nota subito Eschilo, è :"come può restare puro l'uccello che divora
l'uccello?" (v. 226).
L'aborrimento
delle Danaidi per gli sposi è profetizzato da Prometeo incatenato [2]
che prevede alla loro antenata, la giovenca demente, l'assassinio di
quarantanove dei mariti da parte di quarantanove sorelle e la lodevole
eccezione di Ipermestra la quale risparmierà Linceo:"una delle fanciulle
il desiderio sedurrà a non ammazzare lo sposo...Tra i due mali preferirà avere
fama di debole che di assassina"[3].
L'ostilità tra maschi e femmine umani passa
per varie tappe del nostro percorso poiché è trattata da diversi autori ed
evidentemente è un problema mai risolto dall'umanità che per questa inimicizia
ha sempre penato.
Il re
di Argo, Pelasgo, coinvolto anche lui, quale capo di Stato, nella vicenda, dice
che occorre un pensiero profondo per
salvarsi, e capace di scendere
nell'abisso simile a un palombaro, con occhio vigile e non ebbro (vv. 407-409).
L'ebbrezza peggiore, da sempre, è quella dei luoghi comuni che offuscano la
visione mentale. Il coro delle Supplici minaccia il suicidio per impiccagione prima
che un uomo esecrato si avvicini al suo corpo (vv. 788-790). Pelasgo " è
mosso anzitutto dal timore religioso di Zeus che protegge le Supplici"[4].
Infatti il re di Argo avverte l'araldo
degli Egizi che potrà portare via le donne solo se un discorso pio riuscirà a
persuaderle (ei[per
eujsebh;" pivqoi lovgo" , v. 941). L'intelligenza e la moralità
devono succedere alla violenza nel rapporto tra i sessi. Si pensi
all'adolescente che nel febbraio del 2001 ha sgozzato la coetanea che lo aveva
respinto[5].
Alla fine del dramma le Danaidi pregano la
casta Artemide di guardarle con compassione salvandole dalle nozze, ma le loro
ancelle affermano e consigliano di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una
dea venerata per le sue opere. Del suo corteggio fanno parte Desiderio,
Persuasione seducente e Armonia. Il pensiero di Zeus è imperscrutabile e il
matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie di Danao come di molte
donne prima di loro (vv. 1049-1052). Le supplici oppongono resistenza a questo
tentativo di moderarle e pregano il padre onnipotente di risparmiare loro
rovinose nozze e di concedere la vittoria alle donne:"kai; kravto"
nevmoi gunaixivn"
(1068-1069).
Ma
Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un vincitore
assoluto. Alla fine della trilogia ( Supplici,
Egizi, Danaidi ) Afrodite stessa
compariva sulla scena celebrando la necessità cosmica di Eros. Non possiedo
queste parole, tramandate dalla tradizione indiretta, e mi affido al già citato
testo di Pohlenz:" Mia opera è quando il cielo e la terra si congiungono
in un ardente amplesso, quando l'umore del cielo feconda la terra, sì ch'essa
in pascoli, in campi, in selve, genera ciò di cui l'uomo abbisogna per
vivere". L'eros , il desiderio
d'amore non è solo un istinto individuale dell'uomo; è una potenza cosmica
primigenia che suscita ogni vita. Questo pensiero, che Platone svilupperà nel Convito , vien qui già intuitivamente
adombrato. Risparmiando il marito, anche Ipermestra ha reso omaggio alla dea
dell'amore"[6].
Eppure nel prosieguo della cultura e del
costume europeo ha vinto l'odio tra i sessi delle Danaidi assassine.
Clitennestra ucciderà Agamennone, Oreste la madre, Procne e Medea i propri
figli per punire i mariti , poi arriverà il cristianesimo il quale" diede a
Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio"[7].
Ancora Nietzsche:"Solo il
cristianesimo ha fatto della sessualità una sudiceria : per esempio, il
concetto di immaculata conceptio è la massima nefandezza di cui fino a
oggi si sia stati capaci sulla terra: esso ha gettato fango sull'origine della
vita"[8].
Non solo il cristianesimo.
Non
solo le nozze aborrite portano dolore, o i matrimoni tra uomini e donne che si
detestano. Ci sono casi di mogli e mariti che si adorano, giungendo comunque al
grande dolore della perdita. febbraiol
L'Alcesti di Euripide (del 438 a. C.) drammatizza il
mito di un'ottima sposa, anzi il corifèo la definisce "gunhv t& ajrivsth
tw'n ujf& hJlivw/ makrw'/ " (v. 151),
di
gran lunga la più nobile tra le donne che vivono sotto il sole; eppure lo
stesso
Coro nel primo Stasimo canta:"
:"ou[pote
fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon hj; lupei'n, toi'" te
pavroiqen-tevkmairovmeno" kai; tavsde tuvca"-leuvsswn basilevw",
oJvsti" ajrivsth"-ajplakw;n ajlovcou th'sd&, ajbivwton-to;n
e[peita crovnon bioteuvsei", (vv. 238-242), non dirò mai che le
nozze portino gioia più che dolore, argomentandolo dai fatti passati e vedendo
questa sorte del re, il quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una vita
non vita.-ajplakwvn: participio
aoristo II di ajmplakivskw,
"fallisco, perdo", con il genitivo.
Questo dramma
anomalo tuttavia arriva a una sorta di lieto fine con la restituzione della
sposa allo sposo. Non così bene andrà a Emma Bovary la quale medita e prepara i
suoi adulterii dicendo al primo corteggiatore:"Ma a me…a me è venuto dopo
che mi sono sposata, il male"[9].
Molto peggiore è la sorte di Orfeo il quale,
perduta la moglie amata che lo amava, continua a piangerla per sette anni tutti
interi, ammansendo le tigri e trascinando le querce con il suo canto,
percorrendo i ghiacci iperborei, il Tanai nevoso e le distese coperte dalle
nevi rifee, finché fu fatto a pezzi dalle donne di Ciconi offese da tanta
fedeltà, ma non per questo smise di invocare Euridice:" Eurydicen vox ipsa et frigida lingua,/ a
miseram Eurydicen! anima fugiente vocabat:/Eurydicen toto referebant flumine
ripae " ( Georgica IV , vv.
525-527), la voce da sola e la fredda lingua invocava Euridice, ah povera
Euridice! mentre la vita fuggiva, Euridice riecheggiavano per tutto il fiume le
rive.
In questa interpretazione virgiliana, Orfeo,
il poeta che ama di amore eterno, fallisce,
mentre Aristeo, l'allevatore di api, il quale mette al primo posto il
lavoro e segue le prescrizioni rituali, ha successo. Insomma l'amore va
posposto ai doveri.
Interessante è il commento di G. B. Conte:
"Orfeo
fallisce perché viene meno alle rigorose prescrizioni degli dèi (492 s. rupta tyranni/ fodera ). Egli non può
rispettare gli ordini ricevuti perché manca di tenacia e fermezza: è un amante
e ha in sé la 'leggerezza' dell'amore che lo possiede. Volta gli occhi, e contra legem - contro la condizione
imposta dagli dèi della morte-guarda l'oggetto del suo amore. L'amore lo
tradisce e lo 'gioca'. Il suo è l'ingannevole trionfo d'amore (quasi l'essersi
illuso che davvero potesse valere la sentenza dell'omnia vincit amor [10], che amare
avesse più forza anche della morte) Una comparazione sistematica tra i due eroi
ottiene, dunque, un primo risultato. Il parallelismo fra Orfeo e Aristeo, realizzato
tramite l'espediente della cornice, ha la funzione di manifestare
un'opposizione permanente fra due atteggiamenti e due modi di vita: da un lato
il georgòs scrupoloso e pio, dall'altro l'amante
che-seppure armato della forza trascinante e sconvolgente di Eros- è però
tradito da quello stesso furor che lo
anima"[11].
In un altro scritto, in inglese, Conte mette
in luce anche l'indicazione linguistica dell' atteggiamento di Aristeo, ossia
"the presence in the text of an
archaic and almost sacral style: haud mora, continuo matris praecepta
facessit" (IV. 548 ) la presenza nel testo di uno stile
arcaico e quasi liturgico: senza indugio: immediatmente esegue i precetti della
madre. "Here the formulaic structure
reproduces-at the level of verbal expression-Aristaeus' prompt and respectful
response to the ordinances which have been imparted to him and the rigorous
precision of the liturgical procedure "[12],..Qui la
struttura formulare riproduce-a livello di espressione verbale-la sollecita e
rispettosa risposta di Aristeo agli ordini che gli sono stati impartiti e la
rigorosa precisione della procedura liturgica.
Un'indicazione
del genere, la necessità di obbedire agli ordini che vengono dall'alto senza
discuterli, posponendo in questo caso l'amore paterno, Auerbach la trova nel racconto del sacrificio di Isacco della Genesi
(22) dove Dio "inopinato ed enigmatico arriva sulla scena da
altezze e profondità sconosciute, e grida:-Abramo!...il fatto diventa ancora
più evidente, quando noi ci si volga all'altro interlocutore, Abramo". La
sua risposta -Sono qui- vuol significare "la sua posizione in rapporto a
Dio che l'ha chiamato: io sono qui, in attesa del tuo comando"[13].
Abramo dunque
obbedisce senza discutere e, al pari di Aristeo, ha successo.
Orfeo invece
disobbedì agli ordini del crudele tiranno del quale fu infranto l'accordo ( effusus labor atque immitis rupta
tyranni-foedera, IV, 492-493), sicché
andò perduta la fatica dell'amante che non recuperò Euridice; eppure
nell'Alcesti , Admeto, nel dare l'addio
alla moglie morente, auspica per sé la lingua e il canto di Orfeo ( eij d j jOrfevw" moi glw'ssa kai; mevlo" parh'n", v.
357) , mezzi con i quali, sostiene, potrebbe recuperare la sposa. E'
interessante l'interpretazione di Jan Kott:"Anche quando Euripide rinuncia
temporaneamente al tono di opera buffa, le sue allusioni al mito restano
ironiche. In un momento particolarmente solenne, poco prima della morte di
Alcesti, Admeto le assicura che se avesse la voce e la lira di Orfeo non
esiterebbe a scendere nell'Ade con lei. Anche il più ignorante degli spettatori
di Alcesti doveva sapere che Orfeo non era riuscito a
portare Euridice fuori dagli Inferi"[14].
Kott fa notare
che Orfeo è un personaggio negativo nel Simposio
dove " Platone racconta come Alcesti venne liberata dal regno dei
morti come premio per il suo sacrificio e come fallì Orfeo, punito dagli dèi
per la sua pusillaminità"[15].
Nel dialogo
platonico il personaggio di Fedone sostiene che, mentre Alcesti, un'eroina
dell'amore, è stata premiata, Orfeo è stato punito dagli dèi che non gli
restituirono Euridice poiché sembrava essere un vigliacco ("malqakivzesqai ejdovkei", 179d)
in quanto era un citaredo e non osò morire ejvneka tou' e[rwto", per amore,
come l'ottima sposa di Admeto, ma tentò con ogni mezzo di entrare vivo
nell'Ade.
Ovidio, nelle Metamorfosi,
è più indulgente e comprensivo con l'amante infelice le cui nozze con la donna
amata sono segnate immediatamente da un cattivo presagio: Imeneo si recò sì al
matrimonio, ma recando sventura:"Adfuit ille quidem, sed nec solemnia
verba/nec laetos vultus nec felix attulit omen;/ fax quoque, quam tenuit, lacrimoso stridula fumo/usque fuit nullosque
invenit motibus ignes " ( X, 6-7), certo fu presente quel nume, ma non
portò solenni canti di nozze, né il volto sereno né fausti presagi; perfino la
fiaccola che tenne in mano, sfrigolò per tutto il tempo con un fumo da far
lacrimare, né trovò il fuoco sebbene agitata. La cenere senza fiamma è un segno orribile: è un vaticinio di infecondità e
sciagura. Nella Tebe colpita da peste e sterilità dell'Edipo re il popolo sta
seduto nelle piazze "presso la cenere profetica dell'Ismeno" (v. 21),
e le profezie non sono buone.
Nell'Asino
d'oro di Apuleio, dopo che Apollo ha
vaticinato nozze mostruose per la povera Psiche, la luce della fiaccola nuziale
si estingue in cenere di nera fuliggine ("iam taedae lumen atrae fuliginis cinere marcescit ", IV, 33).
Massimo Cacciari, nel suo L'arcipelago, considera Alcesti
"eroina dell'oikeiòtes, dell'intima familiarità e della philìa
'autonoma' rispetto a ogni logos, che nella casa soltanto può
manifestarsi[16].
continua
[1]K.
Kerényi, Miti e misteri , trad. it.
Boringhieri, Torino, 1979, p. 45.
[2]
Di data incerta. Non è sicura nemmeno la paternità eschilea, per la quale
comunque io propendo.
[3]Prometeo
Incatenato vv. 865 sgg.
[4]M.
Pohlenz, La tragedia greca , trad.
it. Paideia, Brescia, 1961, p. 21.
[5]
Febbraio 2001.
[6]M.
Pohlenz, La tragedia greca , p. 61.
[7]
Nietzsche, Di là dal bene e dal male , trad. it.
Mursia, Milano, 1977, p. 96.
[8]
Frammenti postumi ottobre-novembre 1888, p. 411.
[9] Madame Bovary , p. 91.
[10]Bucolica X
, 69.
[11]G.
B. Conte, Virgilio il genere e i suoi confini, Garzanti,
Milano, 1984, p. 47.
[12]Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once
Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press,
[13]Mimesis , p. 9.
[14]Mangiare Dio , trad. it. Edizioni Il
Formichiere, Milano, 1977, pp. 132-133.
[15]Op.
cit., p. 133.
[16]
L'arcipelago, p. 52.
Il matrimonio problematico è consono alla natura di alcune persone,il matrimonio infelice è una sciagura...se le persone leggessero i classici con più attenzione molti matrimoni sarebbero diversi o non sarebbero avvenuti.Grazie perchè ci fai riflettere sulla vita nostra e altrui con questi saggi belli e utili. Giovanna Tocco
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