James Joyce |
PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA
Torniamo
a Joyce e al tema dell’adulterio.
Leopold Bloom tira fuori la foto di Molly per
mostrarla a Stephen, il giovanotto che era "di gran lunga il meglio di
tutto il mazzo", e gliela illustra così: “Mrs. Bloom, mia moglie la prima donna[1]… E poi diceva che il ritratto era
bello, il che, si dica quel che si vuole, era vero, per quanto attualmente ella
fosse decisamente più grossa " [2].
Tornato
a Itaca, ossia a casa, in Eccles Street 7, Ulisse- Bloom si pone una serie di
domande rispondendosi da solo. E dice a se stesso che il letto non deserto ma
occupato dalla moglie presenta questi vantaggi : “La rimozione della solitudine
notturna, la qualità superiore della calefazione umana (femmina matura) a
quella inumana (bottiglia dell'acqua calda), lo stimolante del contatto
mattutino...[3]"
e qualcos'altro.
Meglio una moglie adultera quindi che la bottiglia
dell'acqua calda.
"E poi? Egli baciò i tondi molli gialli aulenti meloni del sedere, su
ciascun tondo melonoso emisfero, nel loro molle solco giallo, con oscura
prolungata melonaulente osculazione" (p. 979).
Nell'ultimo capitolo Molly-Penelope sembra
contraccambiare, se non altro, la simpatia del marito e minimizza l'importanza dell'adulterio che non basta a eliminare
un'intesa profonda. Il pensiero della donna torna sempre al suo Ulisse cui
vorrebbe offrire un'occasione per ristabilire dei rapporti sessuali normali: “Ill
just give him one more chance"; gli porterà la colazione a letto, si
vestirà davanti a lui per eccitarlo: “ Ill put on my best shift and drawers
let him have a good eyeful out of that to make his micky stand ", mi
metterò la mia camicia migliore e le mutande, facciamogli vedere qualche cosina
in modo da fargli rizzare il cinci[4]…è
tutta colpa sua se sono un'adultera come diceva quello là in loggione. Oh
quanto chiasso se fosse tutto qui il male che facciamo in questa valle di
lacrime lo sa Iddio che non è poi un gran che tutti lo fanno solo che non si
fanno vedere io penso che questo è quel che si pensa ci sta a fare una donna o
Lui non ci avrebbe fatto come ci ha fatto così attraenti per gli uomini poi se
vuol baciarmi il sedere mi spalancherò le mutande e glielo spiattellerò in
faccia grosso al naturale..." (p. 1044).
Molly
rappresenta la naturalezza che spesso manca agli uomini; anzi E. Pound interpreta questa donna come
"Gea-Tellus, simbolo della Terra... il suolo dal quale l'intelletto tenta
di saltare via, e nel quale ricade in saecula
saeculorum." L'assimilazione della donna alla terra, vedremo, è topico
nella letteratura antica.
Intanto mi preme indicare un'altra adultera
che nega ogni significato al suo tradimento: si tratta della Clitennestra della
Yourcenar che fa l' autodifesa: “Signori
della Corte, esiste un solo uomo al mondo: il resto, per ogni donna, non è che
un errore o un malinconico surrogato. E
l'adulterio non è sovente che una forma disperata della fedeltà. Se
qualcuno io ho tradito, si tratta certamente di quel povero Egisto. Avevo
bisogno di lui per sapere fino a che punto fosse sostituibile colui che
amavo"[5].
L'
indulgenza verso l'adulterio del resto non se l'è inventata la Penelope di
Joyce né la Clitennestra della Yourcenar: si trova già in Saffo (VII-VI sec. a. C.), in Menandro e
addirittura nelle parole di Cristo.
Viceversa Catullo lo condanna,
ma non sempre.
Vediamo l'ode più ideologica di
Saffo, quella chiamata "La cosa più bella"(fr. 16 LP): “alcuni una
schiera di cavalieri, altri di fanti,/altri di navi dicono che sulla terra
nera/sia la cosa più bella, io quello/che uno ama./Ed è facile assai rendere
questo/comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava/nella
bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato/il marito che pure era il
più valoroso di tutti,/andò a Troia navigando/e non si ricordò per niente della
figlia/né dei suoi genitori, ma Cipride la/trascinò, in preda all'amore. (vv.
1-12)...Anche a me ora ha[6] fatto
ricordare/di Anattoria assente./Di lei ora vorrei vedere l'amabile passo/ e il
fulgido scintillio del volto/piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti/che
combattono nell'armatura". (vv. 15-20)
Saffo
afferma il proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra,
quando la Lidia era una grande potenza militare, ella contrappone quello
femminile dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento
dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Comincia
di qui la palinodia su Elena[7], una
rivalutazione che però non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro (VII-VI sec. a. C.) e da Euripide,
(nell' Elena del 412 ) di sostenere che la bella donna in realtà rimase
fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma; né adduce il motivo
patriottico, come farà Isocrate[8] nell' Encomio
di Elena[9] sostenendo
che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco contro la barbarie
asiatica (67) in una guerra che prefigurò l'unità antipersiana auspicata
dall'oratore; né deve accumulare una caterva di giustificazioni come Gorgia, il
maestro di Isocrate, nel suo Encomio di
Elena : “ ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu
persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità
divina"(20); infatti la riabilitazione di Saffo è semplice e diretta: la
poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della
cosa più bella, un uomo che le piaceva più del marito, e quindi ha lasciato
Menelao, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o
pastoie di qualsiasi genere[10].
Vediamo
altri casi di comprensione per l'adulterio, anzi proprio per l'adultera. Ne L'arbitrato (Epivtreponte"), commedia di Menandro (attivo tra il 320 e il 292 a. C.) troviamo un
vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il
marito che si crede tradito, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza
peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan
blevpwn, v. 588) e comprende che
l'errore sessuale della moglie Pamfile, presunto, ma da lui ritenuto reale, è
stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm&, v. 594).
Il protagonista di questa commedia ripropone
la formula antica della dovxa ,
la reputazione, ma poi la supera con quel "io l'uomo senza peccato", ejgwv ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo di Giovanni: “chi di voi è senza peccato scagli la pietra
per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp&
aujth;n balevtw livqon (8,
7). Qui non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e i farisei
portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in adulterio deprehensam ) e chiedono al Cristo, che
insegnava in quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica.
Lo dicevano per metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si
diede a scrivere con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il
Redentore rizzatosi disse loro: “ qui
sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat ". E riprese a scrivere per terra. Tutti
gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la assolse, come
tutti gli altri, aggiungendo: “vade et
amplius iam noli peccare " (7, 11), vai e non peccare più. Che
significa: scegli tra i due uomini quello che ami. Certamente non il marito. "La
comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter, un
altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso con cui
comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque
incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di
inclusione"[11].
A volte la
lapidazione viene attuata attraverso le calunnie che colpiscono la donna
indicata come adultera soltanto perché è bella e intelligente: come Marta, L'esclusa
di Pirandello[12] : “Aveva voluto vendicarsi nobilmente,
risorgere dall'onta ingiusta col proprio ingegno, con lo studio, col lavoro?
Ebbene, no ! Da umile, oltraggiata; da altera, lapidata di calunnie. E questo,
in premio della vittoria! E amarezze, ingiustizie, e quell'esistenza vuota per
sé, esposta alle brame orrende d'un mostro, ai gracili, timidi desiderii d'un
povero di spirito, alle pettorute vigliaccherie di quell'altro; sassi, spine
ovunque, per quella via lontana dalla vita" (p. 133).
Riporto anche alcune
condanne dell'adulterio.
Teocrito nell' Encomio di
Tolomeo (XVII) fa l'elogio del padre e della madre del Filadelfo ossia di
Tolomeo I Soter e Berenice che si piacevano e amavano reciprocamente: mai
nessuna donna piacque al marito quanto Tolomeo amò la sua sposa. Ebbene lei lo
contraccambiò e questa è la condizione per la quale un uomo può affidare la
casa ai figli: “oJppovte
ken filevwn baivnh/ levco" ej" fileouvsh"".
(XVII, 42), quando innamorato entri nel letto di lei innamorata.
Le nozze, seppure endogamiche,
dei loro figli Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe sono altrettanto sante; anzi il
loro iJero;"
gavmo"
(XVII, 130) matrimonio sacro è assimilato alla ierogamia di Era e Zeus,
fratello e sorella anche loro .
Altrimenti c'è la rovina del gevno" :
l'animo di una donna che non ama è rivolto sempre a uno di fuori, i parti sono
facili e i figli non assomigliano al padre (vv. 43-44). La moglie fedele dunque
è necessaria per garantire la trasmissione del patrimonio accumulato a figli
"di paternità indiscussa".
Secondo F. Engels (1820-1895) è questa la ragione più
vera della famiglia monogamica e della sottomissione della donna: “la monogamia
nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola, precisamente
quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali ricchezze ai
figli di quest'uomo e a nessun altro"[13].
Ma torniamo alla
fedeltà delle spose dei primi Tolomei.
Catullo nel carme 66
traduce la Chioma di Berenice di Callimaco e aggiunge cinque distici ( 79-88)
che contengono un biasimo
dell'adulterio. La storia d'amore è nota. La regina aveva promesso di
offrire la propria capigliatura al tempio di Arsinoe Zefirite se suo marito
Tolomeo III Evergete (246-221) fosse tornato sano e salvo dalla spedizione
contro Seleuco II re di Siria (246 a. C.). Sciolto il voto, la treccia sparì e
l'astronomo Conone affermò di averla scoperta in cielo in una costellazione
dove gli dèi l'avevano assunta.
Callimaco per assecondare questo elogio
cortigianesco raccontò l'episodio in distici elegiaci e lo inserì negli Aitia . "Questo poeta rese omaggio
anche in altre occasioni alle donne della famiglia reale, e quando l'astronomo
di corte Conone riscoprì in cielo, trasformata in costellazione, la ciocca di
capelli che la moglie dell'Evergete aveva deposto in un tempio come offerta
votiva per il felice ritorno del marito, il poeta, ormai vecchio, dedicò alla
giovane regina un galante carme augurale, la Chioma di Berenice, che dovette
indubbiamente esser letto con la stessa sorridente intelligenza con cui era
stato composto. Da allora, nel regno tolemaico, le donne ebbero sempre una
posizione di rilievo nella politica, fino alla diabolica Cleopatra, che seppe
incantare con i suoi vezzi un Cesare e arrivò a sognare di stabilirsi, signora
del mondo, sul Campidoglio a fianco di Antonio"[14].
Dunque Berenice
maior è moglie di Tolomeo I; Arsinoe di Tolomeo II; Berenice minor di Tolomeo
III.
Igino, liberto di Augusto
e rettore della nuova biblioteca voluta dal princeps
sul Palatino, dà notizia di questi fatti: “sunt
aliae septem stellae ad caudam leonis in triangulo conlocatae, quae crines
Berenices esse Conon Samius...et Callimachus dicit " (De astronomia , II, 24), ci sono altre
sette stelle alla coda del leone disposte a triangolo, e di queste Conone di
Samo e Callimaco affermano che sono la chioma di Berenice. Il bibliotecario
aggiunge il commento che Conone voleva entrare nelle grazie dell'Evergete
disturbato dalla sparizione di quei capelli.
Catullo fa altro: dà voce al rimpianto della
treccia per la testa della regina: “invita,
o regina, tuo de vertice cessi " (v.39), con un esametro che sarà
ripreso da Virgilio (Eneide VI, 460 invitus regina tuo de litore cessi) e
rielabora la maledizione callimachea, la quale forse trae origine da Erodoto[15], dei Calibi che hanno scoperto il ferro
responsabile di quel distacco; poi attribuisce alla splendente capigliatura un'esecrazione delle donne adultere e
un auspicio della benedetta concordia tra gli sposi: “Sed quae se impuro dedit adulterio,/illius a! mala dona levis bibat
irrita pulvis;/namque ego ab
indignis praemia nulla peto./Sed magis, o nuptae, semper concordia
vestras/semper Amor sedes incolat assiduus "
(66, vv. 84-88), ma quella che si concede all'impuro adulterio, ah! la polvere leggera beva inutilmente le
sue offerte malvagie; infatti io non voglio offerte dalle donne indegne. Ma
piuttosto, o spose, sempre la concordia abiti le vostre dimore, sempre un amore
duraturo.
La polvere è un segno negativo già nella tragedia greca. Vediamo questi versi dell'Antigone : “:
“Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere
macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia
della parola ed Erinni della mente" (vv.599-603). Qui vediamo
un'alternanza di luce, polvere e sangue.
"Poiché la
lezione della saggezza tragica è che il grado estremo della sofferenza, quando
consuma e fa a pezzi la vita, libera una luce nascosta nel luogo più
refrattario alla diafanità, la caverna cieca che è il cuore dell'uomo"[16].
Contro la luce vitale ci sono, quali segni di morte, il sangue degli
omicidi, la polvere della sterilità e la pazzia. Nell'Agamennone di Eschilo la polvere è definita "assetata sorella
del fango" (vv. 494-495). Generalmente essa costituisce un segno non buono,
siccome richiama aridità e sterilità.
continua
[1]In
italiano nel testo.
[2]
Ulisse, p. 865 e p. 867.
[3]Ulisse , p. 970.
[4]
Ulisse, trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 1044.
[5]
M. Yourcenar, Fuochi, p. 88.
[6]Il
soggetto probabilmente è Cipride.
[7]la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a Sparta,
buona moglie , brava regina e avveduta padrona di casa, pentita dei propri
trascorsi, chiama se stessa "faccia di cagna"
[8]
436-338 a. C.
[9]
Del 390 a. C.
[10]Questa prima
affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole di alcuni
drammi greci dei quali ci occuperemo più avanti e procederà a mano a mano fino
ad arrivare alla Nora di Ibsen (del 1879): “io devo, anzitutto, pensare ad
educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E
quando il marito le obietta: “prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e
madre", ella risponde: “Non credo più a questi miti. Credo di essere
anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini
ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma
io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei
libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro"(Una casa di bambola , trad. it. Newton Compton, Roma, 1973, atto
terzo).
[11]
E. Morin, op. cit., p. 132.
[12]
Agrigento 1867-Roma 1938. Il romanzo L'esclusa è del 1901.
[13]
F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà
privata e dello Stato (del 1884) , p.86 e p. 100.
[14]
M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 735.
[15]
Il padre della storia sottolinea
che, secondo lo spartiata Lichas "il ferro fu inventato per il male dell'uomo"(I, 68).
[16]
Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p.58.
La lapidazione mi fa un certo effetto ...certo sono soluzioni radicali. Giovanna Tocco
RispondiElimina