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venerdì 11 marzo 2016

Matrimonio e Adulterio. Parte IV

James Joyce

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Torniamo a Joyce e al tema dell’adulterio.
 Leopold Bloom tira fuori la foto di Molly per mostrarla a Stephen, il giovanotto che era "di gran lunga il meglio di tutto il mazzo", e gliela illustra così: “Mrs. Bloom, mia moglie la prima donna[1]E poi diceva che il ritratto era bello, il che, si dica quel che si vuole, era vero, per quanto attualmente ella fosse decisamente più grossa " [2].
Tornato a Itaca, ossia a casa, in Eccles Street 7, Ulisse- Bloom si pone una serie di domande rispondendosi da solo. E dice a se stesso che il letto non deserto ma occupato dalla moglie presenta questi vantaggi : “La rimozione della solitudine notturna, la qualità superiore della calefazione umana (femmina matura) a quella inumana (bottiglia dell'acqua calda), lo stimolante del contatto mattutino...[3]" e qualcos'altro.
Meglio una moglie adultera quindi che la bottiglia dell'acqua calda. "E poi? Egli baciò i tondi molli gialli aulenti meloni del sedere, su ciascun tondo melonoso emisfero, nel loro molle solco giallo, con oscura prolungata melonaulente osculazione" (p. 979).

Nell'ultimo capitolo Molly-Penelope sembra contraccambiare, se non altro, la simpatia del marito e minimizza l'importanza dell'adulterio che non basta a eliminare un'intesa profonda. Il pensiero della donna torna sempre al suo Ulisse cui vorrebbe offrire un'occasione per ristabilire dei rapporti sessuali normali: “Ill just give him one more chance"; gli porterà la colazione a letto, si vestirà davanti a lui per eccitarlo: “ Ill put on my best shift and drawers let him have a good eyeful out of that to make his micky stand ", mi metterò la mia camicia migliore e le mutande, facciamogli vedere qualche cosina in modo da fargli rizzare il cinci[4]…è tutta colpa sua se sono un'adultera come diceva quello là in loggione. Oh quanto chiasso se fosse tutto qui il male che facciamo in questa valle di lacrime lo sa Iddio che non è poi un gran che tutti lo fanno solo che non si fanno vedere io penso che questo è quel che si pensa ci sta a fare una donna o Lui non ci avrebbe fatto come ci ha fatto così attraenti per gli uomini poi se vuol baciarmi il sedere mi spalancherò le mutande e glielo spiattellerò in faccia grosso al naturale..." (p. 1044).
Molly rappresenta la naturalezza che spesso manca agli uomini; anzi E. Pound interpreta questa donna come "Gea-Tellus, simbolo della Terra... il suolo dal quale l'intelletto tenta di saltare via, e nel quale ricade in saecula saeculorum." L'assimilazione della donna alla terra, vedremo, è topico nella letteratura antica.

Intanto mi preme indicare un'altra adultera che nega ogni significato al suo tradimento: si tratta della Clitennestra della Yourcenar che fa l' autodifesa: “Signori della Corte, esiste un solo uomo al mondo: il resto, per ogni donna, non è che un errore o un malinconico surrogato. E l'adulterio non è sovente che una forma disperata della fedeltà. Se qualcuno io ho tradito, si tratta certamente di quel povero Egisto. Avevo bisogno di lui per sapere fino a che punto fosse sostituibile colui che amavo"[5].
L' indulgenza verso l'adulterio del resto non se l'è inventata la Penelope di Joyce né la Clitennestra della Yourcenar: si trova già in Saffo (VII-VI sec. a. C.), in Menandro e addirittura nelle parole di Cristo. Viceversa Catullo lo condanna, ma non sempre.
Vediamo l'ode più ideologica di Saffo, quella chiamata "La cosa più bella"(fr. 16 LP): “alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,/altri di navi dicono che sulla terra nera/sia la cosa più bella, io quello/che uno ama./Ed è facile assai rendere questo/comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava/nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato/il marito che pure era il più valoroso di tutti,/andò a Troia navigando/e non si ricordò per niente della figlia/né dei suoi genitori, ma Cipride la/trascinò, in preda all'amore. (vv. 1-12)...Anche a me ora ha[6] fatto ricordare/di Anattoria assente./Di lei ora vorrei vedere l'amabile passo/ e il fulgido scintillio del volto/piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti/che combattono nell'armatura". (vv. 15-20)
Saffo afferma il proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra, quando la Lidia era una grande potenza militare, ella contrappone quello femminile dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Comincia di qui la palinodia su Elena[7], una rivalutazione che però non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro (VII-VI sec. a. C.) e da Euripide, (nell' Elena del 412 ) di sostenere che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma; né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate[8] nell' Encomio di Elena[9] sostenendo che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco contro la barbarie asiatica (67) in una guerra che prefigurò l'unità antipersiana auspicata dall'oratore; né deve accumulare una caterva di giustificazioni come Gorgia, il maestro di Isocrate, nel suo Encomio di Elena : “ ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"(20); infatti la riabilitazione di Saffo è semplice e diretta: la poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della cosa più bella, un uomo che le piaceva più del marito, e quindi ha lasciato Menelao, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o pastoie di qualsiasi genere[10].

Vediamo altri casi di comprensione per l'adulterio, anzi proprio per l'adultera. Ne L'arbitrato (Epivtreponte"), commedia di Menandro (attivo tra il 320 e il 292 a. C.) troviamo un vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il marito che si crede tradito, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie Pamfile, presunto, ma da lui ritenuto reale, è stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm&, v. 594).
 Il protagonista di questa commedia ripropone la formula antica della dovxa , la reputazione, ma poi la supera con quel "io l'uomo senza peccato", ejgwv ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo di Giovanni: “chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp& aujth;n balevtw livqon (8, 7). Qui non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e i farisei portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in adulterio deprehensam ) e chiedono al Cristo, che insegnava in quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica. Lo dicevano per metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si diede a scrivere con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il Redentore rizzatosi disse loro: “ qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat ". E riprese a scrivere per terra. Tutti gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la assolse, come tutti gli altri, aggiungendo: “vade et amplius iam noli peccare " (7, 11), vai e non peccare più. Che significa: scegli tra i due uomini quello che ami. Certamente non il marito. "La comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di inclusione"[11].
A volte la lapidazione viene attuata attraverso le calunnie che colpiscono la donna indicata come adultera soltanto perché è bella e intelligente: come Marta, L'esclusa di Pirandello[12] : “Aveva voluto vendicarsi nobilmente, risorgere dall'onta ingiusta col proprio ingegno, con lo studio, col lavoro? Ebbene, no ! Da umile, oltraggiata; da altera, lapidata di calunnie. E questo, in premio della vittoria! E amarezze, ingiustizie, e quell'esistenza vuota per sé, esposta alle brame orrende d'un mostro, ai gracili, timidi desiderii d'un povero di spirito, alle pettorute vigliaccherie di quell'altro; sassi, spine ovunque, per quella via lontana dalla vita" (p. 133).

Riporto anche alcune condanne dell'adulterio.
Teocrito nell' Encomio di Tolomeo (XVII) fa l'elogio del padre e della madre del Filadelfo ossia di Tolomeo I Soter e Berenice che si piacevano e amavano reciprocamente: mai nessuna donna piacque al marito quanto Tolomeo amò la sua sposa. Ebbene lei lo contraccambiò e questa è la condizione per la quale un uomo può affidare la casa ai figli: “oJppovte ken filevwn baivnh/ levco" ej" fileouvsh"". (XVII, 42), quando innamorato entri nel letto di lei innamorata.
Le nozze, seppure endogamiche, dei loro figli Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe sono altrettanto sante; anzi il loro iJero;" gavmo" (XVII, 130) matrimonio sacro è assimilato alla ierogamia di Era e Zeus, fratello e sorella anche loro .
 Altrimenti c'è la rovina del gevno" : l'animo di una donna che non ama è rivolto sempre a uno di fuori, i parti sono facili e i figli non assomigliano al padre (vv. 43-44). La moglie fedele dunque è necessaria per garantire la trasmissione del patrimonio accumulato a figli "di paternità indiscussa".
Secondo F. Engels (1820-1895) è questa la ragione più vera della famiglia monogamica e della sottomissione della donna: “la monogamia nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola, precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"[13].
Ma torniamo alla fedeltà delle spose dei primi Tolomei.
Catullo nel carme 66 traduce la Chioma di Berenice di Callimaco e aggiunge cinque distici ( 79-88) che contengono un biasimo dell'adulterio. La storia d'amore è nota. La regina aveva promesso di offrire la propria capigliatura al tempio di Arsinoe Zefirite se suo marito Tolomeo III Evergete (246-221) fosse tornato sano e salvo dalla spedizione contro Seleuco II re di Siria (246 a. C.). Sciolto il voto, la treccia sparì e l'astronomo Conone affermò di averla scoperta in cielo in una costellazione dove gli dèi l'avevano assunta.
 Callimaco per assecondare questo elogio cortigianesco raccontò l'episodio in distici elegiaci e lo inserì negli Aitia . "Questo poeta rese omaggio anche in altre occasioni alle donne della famiglia reale, e quando l'astronomo di corte Conone riscoprì in cielo, trasformata in costellazione, la ciocca di capelli che la moglie dell'Evergete aveva deposto in un tempio come offerta votiva per il felice ritorno del marito, il poeta, ormai vecchio, dedicò alla giovane regina un galante carme augurale, la Chioma di Berenice, che dovette indubbiamente esser letto con la stessa sorridente intelligenza con cui era stato composto. Da allora, nel regno tolemaico, le donne ebbero sempre una posizione di rilievo nella politica, fino alla diabolica Cleopatra, che seppe incantare con i suoi vezzi un Cesare e arrivò a sognare di stabilirsi, signora del mondo, sul Campidoglio a fianco di Antonio"[14].
Dunque Berenice maior è moglie di Tolomeo I; Arsinoe di Tolomeo II; Berenice minor di Tolomeo III.

Igino, liberto di Augusto e rettore della nuova biblioteca voluta dal princeps sul Palatino, dà notizia di questi fatti: “sunt aliae septem stellae ad caudam leonis in triangulo conlocatae, quae crines Berenices esse Conon Samius...et Callimachus dicit " (De astronomia , II, 24), ci sono altre sette stelle alla coda del leone disposte a triangolo, e di queste Conone di Samo e Callimaco affermano che sono la chioma di Berenice. Il bibliotecario aggiunge il commento che Conone voleva entrare nelle grazie dell'Evergete disturbato dalla sparizione di quei capelli.
 Catullo fa altro: dà voce al rimpianto della treccia per la testa della regina: “invita, o regina, tuo de vertice cessi " (v.39), con un esametro che sarà ripreso da Virgilio (Eneide VI, 460 invitus regina tuo de litore cessi) e rielabora la maledizione callimachea, la quale forse trae origine da Erodoto[15], dei Calibi che hanno scoperto il ferro responsabile di quel distacco; poi attribuisce alla splendente capigliatura un'esecrazione delle donne adultere e un auspicio della benedetta concordia tra gli sposi: “Sed quae se impuro dedit adulterio,/illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis;/namque ego ab indignis praemia nulla peto./Sed magis, o nuptae, semper concordia vestras/semper Amor sedes incolat assiduus " (66, vv. 84-88), ma quella che si concede all'impuro adulterio, ah! la polvere leggera beva inutilmente le sue offerte malvagie; infatti io non voglio offerte dalle donne indegne. Ma piuttosto, o spose, sempre la concordia abiti le vostre dimore, sempre un amore duraturo.
La polvere è un segno negativo già nella tragedia greca. Vediamo questi versi dell'Antigone : “: “Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599-603). Qui vediamo un'alternanza di luce, polvere e sangue.
"Poiché la lezione della saggezza tragica è che il grado estremo della sofferenza, quando consuma e fa a pezzi la vita, libera una luce nascosta nel luogo più refrattario alla diafanità, la caverna cieca che è il cuore dell'uomo"[16].
Contro la luce vitale ci sono, quali segni di morte, il sangue degli omicidi, la polvere della sterilità e la pazzia. Nell'Agamennone di Eschilo la polvere è definita "assetata sorella del fango" (vv. 494-495). Generalmente essa costituisce un segno non buono, siccome richiama aridità e sterilità.


continua



[1]In italiano nel testo.
[2] Ulisse, p. 865 e p. 867.
[3]Ulisse , p. 970.
[4] Ulisse, trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 1044.
[5] M. Yourcenar, Fuochi, p. 88.
[6]Il soggetto probabilmente è Cipride.
[7]la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a Sparta, buona moglie , brava regina e avveduta padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa "faccia di cagna"
[8] 436-338 a. C.
[9] Del 390 a. C.
[10]Questa prima affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole di alcuni drammi greci dei quali ci occuperemo più avanti e procederà a mano a mano fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (del 1879): “io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta: “prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde: “Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro"(Una casa di bambola , trad. it. Newton Compton, Roma, 1973, atto terzo). 
[11] E. Morin, op. cit., p. 132.
[12] Agrigento 1867-Roma 1938. Il romanzo L'esclusa è del 1901.
[13] F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (del 1884) , p.86 e p. 100.
[14] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 735.
[15] Il padre della storia sottolinea che, secondo lo spartiata Lichas "il ferro fu inventato per il male dell'uomo"(I, 68).
[16] Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p.58.

1 commento:

  1. La lapidazione mi fa un certo effetto ...certo sono soluzioni radicali. Giovanna Tocco

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