mercoledì 30 agosto 2023

Percorso sull'amore IX, 7. I Remedia amoris di Ovidio. Proemio (vv. 1-78) prima parte (vv. 1-26)


 

I Remedia amoris appartengono all'ultimo periodo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco- amorosa che  arriva al 2 d. C. Ebbene in questo poemetto di 814 versi (412 distici elegiaci) il poeta non tocca l'argomento della moralizzazione necessaria al benessere mentale ma insiste nel consigliare  finzione e simulazione.

 L'amore è ancora una volta visto come una partita a scacchi[1].

 Invece Pavese sostiene:"L'amore è come la grazia di Dio-l'astuzia non serve"[2]. Io me ne sono servito. Ha funzionato nelle situazioni già favorevoli. .

 L'Ars amatoria , l' abbiamo visto, è un poema di precettistica erotica nel quale il praeceptor amoris  (I, 17), ossia l'autore stesso, "insegna a ricondurre tutti i momenti di una relazione d'amore alla strategia del maggior vantaggio possibile; perfino la sofferenza non viene esclusa purché sia ridotta, essa pure, a strumento dell'utile : per guadagnare il favore della puella  sarà bene che il corteggiatore appaia  sofferente: est tibi agendus amans imitandaque vulnera verbis  ( Ars amatoria  1, 609)"[3], devi fare la parte dell'innamorato e con le parole simulare le ferite. Chi mi legge sa che cosa significa.

"Tocchiamo così un punto cruciale della conversione che ha subìto l'elegia: dall'ideologia della sincerità a quella della finzione. L'elegia aveva fatto dell'autenticità la forma stessa del suo discorso; la didascalica ovidiana diffida della sincerità e delle passioni incontrollabili, e raccomanda invece l'arte di fingere. Come un attore, l'amante deve recitare il suo ruolo: est tibi agendus amans ...Se la didascalica ovidiana costituisce la realizzazione di questo semplice programma (alla fine risulterà che è possibile un amore senza frustrazioni e patimenti) possiamo aggiungere che Ovidio non si accontenta di una dimostrazione 'affermativa' (" vi insegno come si ama") ma accetta anche la sfida di una prova in negativo ("se il vostro amore è sbagliato, vi insegno a liberarvene")...Ciò che rispetto all'Ars  distingue i Remedia  sta nelle ragioni specifiche di un'opera che si propone come insegnamento di una terapia: si tratta di servirsi ora della riconosciuta parzialità del mondo elegiaco per indicare l'esistenza e i vantaggi di altri mondi verso cui uscire, in cui cercare rifugio e guarigione...l'argomentazione didascalica dei Remedia  intende aggredire l'elegia in uno dei suoi fondamentali presupposti ideologici: il rifiuto della vita attiva, la scelta deliberata dell'otium desidiosum [4]. Se l'otium , la pigra mollezza, è alimento della malattia d'amore, la guarigione comincia già dall'impegnarsi in una vita attiva: Remedia amoris  143 s. qui finem quaeris amoris,/ (cedit amor rebus) res age, tutu, eris "[5]  . Di questi versi abbiamo già dato la traduzione.

Mi sembrano cruciale anche quest' altro distico sull'otium da evitare se si vuole guarire dall'amore:"otia si tollas, periere Cupidinis arcus,/contemptaeque iacent et sine luce faces" (139-140), se togli di mezzo il tempo libero, si rompono gli archi di Cupido, e le sue fiaccole rimangono a terra disprezzate e senza luce.

In altre parole: se tu investi buona parte della tua passione sul lavoro, sullo studio o sullo sport o, Dio me ne guardi, sul cibo, ne hai meno da dedicare alle donne.

L'amore ha bisogno di tempo libero: nel Duvskolo" di Menandro  Sostrato, l'innamorato ricco, domanda al fratello della ragazza, Gorgia  è:"ma per gli dèi, non sei mai stato innamorato di una, tu ragazzo?"(v. 341). E  il futuro cognato, che ricco non è, risponde: "Non me lo posso permettere, caro mio"(v.342) Sostrato non ne capisce la ragione e domanda:"chi te lo impedisce?" pensando magari al vecchio misantropo il patrigno di Gorgia, ma questo fa vedere un panorama negativo più ampio:"il calcolo dei miei guai/che non mi dà un momento di respiro"(343-344).

L'uxoricida della già citata Sonata a Kreutzer mette l'ozio tra le esche ingannevoli della sua infausta passione amorosa:"Ma in realtà quel mio amore era prodotto, da una parte, dall'affaccendata madre e dalla sarta, dall'altra-dalla grande abbondanza di cibi che ingoiavo, e in più dalla vita oziosa che menavo" (p. 327). Altrettanto pensa la vecchia Bovary dei grilli della nuora:"Ci vorrebbe un'occupazione, un bel lavoro manuale! Se come tante altre fosse costretta a guadagnarsi il pane, non avrebbe mica tanti fumi per la testa. Sai da dove vengono? Da quel mucchio di idee balorde, dal troppo ozio in cui vive"[6].

 

Credo che nell’accoppiarsi ci si debba guardare dalle persone oziose: chiacchierano, perdono tempo, lo fanno perdere e sono posssessive. Per giunta sono infedeli.

 

Le attività raccomandate da Ovidio sono innanzitutto quelle "del foro e della guerra, il cui rifiuto voleva dire per il poeta elegiaco rinuncia alla carriera e alla rispettabilità" (p. 40). In una nota[7] Conte menziona Amores  I, 15, 1 ss. segnalando che in questa elegia di Ovidio "e in genere nei luoghi elegiaci pertinenti, le attività rifiutate si connotano negativamente (praemia militiae pulverulenta ; verbosas leges  e ingrato foro  ai vv. 4 ss.) ed è invece rivendicata la positività dell'ignavia  e dell'inertia  (la poesia elegiaca è detta ingenii inertis opus ); al contrario, nei Remedia , il poeta deve impegnarsi a sottolineare la positività dei mondi che il suo allievo deve scoprire (152 ss.), ed è adesso la scelta dell'otium  a subire la critica (quella stessa che poteva venire dai moralisti benpensanti, dai senes severiores )".

Altra operosità raccomandata per sfuggire al tormento amoroso è quella nell'agricoltura, " l'attività economica tradizionale del signore romano, ma che è raccomandata come modello di vita in cui i tratti dell'utile quasi cedono di fronte alle preponderanti attrattive estetiche che può offrire una tenuta di campagna. E naturalmente, fra i modi di combattere l'otium , non può mancare la passione per la caccia (e in subordine, per la pesca): l'inconciliabilità fra Diana e Venere è una di quelle opposizioni fondamentali che sono addirittura registrate nel codice antropologico"[8].

Vediamo il proemio di questo poemetto, quindi scegliamo alcuni "versi chiave"

"L'opera si presenta come un trattato di medicina, il cui contenuto si sviluppa in una serie di precetti (i precedenti si collocano nel mondo greco: nel II sec. a. C. Nicandro di Colofone aveva raccolto in esametri ricette e antidoti contro i veleni di origine animale e vegetale). Trattazione scientifica dunque, per un argomento considerato di pertinenza scientifica"[9].

Aggiungo e preciso: Il metodo e il lessico della scienza medica era stato usato, molto prima, nella letteratura greca da Tucidide il quale pensa di potere fare previsioni o "proiezioni", in avanti e pure all'indietro, avvalendosi dell'analisi dei fatti umani, dei documenti, insomma  di tutti i segni concreti esistenti (tekmhvria): un modo di procedere paragonabile a quello della contemporanea medicina  ippocratica la quale partiva dall'osservazione dei sintomi e dell'analogia di casi simili per giungere alla diagnosi e alla prognosi.

 

La vicinanza  della letteratura alla scienza del resto si ripeterà più volte nella cultura europea: un caso recente è quello verificatosi nella temperie positivistica del secondo Ottocento, con il Naturalismo e il Verismo: Verga nella Prefazione a L'amante di Gramigna  scrive:"Caro Farina, eccoti non un racconto ma l'abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di essere storico-un documento umano, come dicono oggi[10]...il semplice fatto umano farà pensare sempre; avrà l'efficacia dell'essere stato, delle lagrime vere, delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne".

 

Nei primi distici troviamo un dialogo tra il poeta e Cupido che apre il poemetto come se avesse ricevuto una dichiarazione di guerra, un conflitto rovesciato rispetto alla topica, non solo elegiaca, che abbiamo indicato finora: qui l'iniziativa bellica verrebbe sottratta dall'uomo al dio Amore.

"Legerat huius Amor titulum nomenque libelli:/"Bella mihi, video, bella parantur" ait".(vv. 1-2) Amore aveva letto il titolo di questo libretto e il suo nome:"guerra, lo vedo- affermò- la guerra si prepara contro di me.

Il dialogo iniziale con Cupìdo si trova anche nella prima elegia dei giovanili Amores dove il dio aveva tolto un piede a ogni secondo verso, e aveva dardeggiato il poeta con le sue frecce sicure facendolo bruciare, sottoponendolo al suo impero, e costringendolo in conclusione a passare dall'esametro epico-eroico al distico dell'elegia amorosa. Dunque dall'intenzione di celebrare le guerre in esametri Ovidio era passato alla "maniera" di Gallo, Tibullo e Properzio accentuando la componente callimachea, cioè ironica e letteraria. Come per il poeta di Cirene e per gli altri alessandrini , "cultura è per lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente in contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze della vita"[11].

Anche io penso qualcosa del genere. Ho cominciato a farlo fin da bambino.

 

Lo stesso scambio di battute con il dio si trova nel proemio degli Aitia dove  Apollo parla di poetica con Callimaco e sostiene il poeta contro i suoi detrattori.

Pure all'inizio del IV libro dei Fasti Ovidio presenta un abbozzo di dialogo, nella fattispecie con Venere.

 -libelli (Rimedia amoris, v. 1) anche Catullo chiama libellus la sua raccolta di poesie :"Cui dono lepidum novum libellum? (1, 1), a chi dono il grazioso nuovo libretto? .

Così pure Properzio:"Fortunata meo si qua es celebrata libello! (III, 2, 17), fortunata colei che è resa famosa dal mio libretto! Ora lo penso di Elena

Si tratta comunque di poesia erotica.

-bella…bella (Remedia 2)  la conduplicatio è resa solenne dall'echeggiamento di quella  della Sibilla cumana nel VI canto dell'Eneide:"Bella, horrida bella/et Thybrim multo spumantem sanguine cerno" (vv. 86-87), guerre, guerre raccapriccianti vedo e il Tevere spumeggiante di molto sangue.

Sentiamo la risposta di Ovidio al rimprovero del dio:"Parce tuum vatem sceleris damnare, Cupido,/tradita qui toties te duce signa tuli" (Remedia Amoris, vv. 2-3), risparmia al tuo vate l'accusa di empietà, Cupido, a me che tante volte sotto il tuo comando ho portato le insegne affidate.

.-tuum vatem: Ovidio si sente il profeta del dio  cui, fin dall'elegia proemiale degli Amores, il poeta ha lasciato un dominio assoluto sulla propria persona:"uror, et in vacuo pectore regnat Amor" (I, 1, 26) brucio e nel petto regna esclusivo Amore. Così fa pure Dante quando dedica se stesso alle Muse all'inizio del Purgatorio:"Ma qui la morta poesì resurga,/o sante Muse, poi che vostro sono" (I, 7-8).

 Segue un exemplum tratto dal V canto dell'Iliade  (vv. 330 sgg. ) dove Afrodite viene ferita da Diomede:" Non ego Tydides, a quo tua saucia mater/in liquidum rediit aethera Martis equis" (Remedia , vv. 5-6), io non sono il Tidide dal quale ferita tua madre tornò nel limpido etere con i cavalli di Marte.-saucia: sintatticamente equivale a sauciata ed è l'aggettivo canonico per le sofferenze erotiche causate dalle ferite d'amore: l'abbiamo già trovato in Ennio (Medea exul, 9) che traduce ejkplagei's j  di Euripide (Medea, 8), in Catullo (64, 250), in Lucrezio (IV, 1048) e nell'incipit del IV canto dell'Eneide. Ovidio lo utilizzerà ancora in questo stesso poemetto, più avanti (436), concordandolo con turba e rivolgendosi in apostrofe alla folla ferita degli innamorati infelici.  Nell'utilizzare la tradizione il poeta deve aggiungere il proprio genio: qui l'originalità sta nel fatto che Ovidio si avvale di Omero inserendo una ferita non metaforica ma al polso in un contesto di piaghe dell'anima.

 Il poemetto prosegue con la rivendicazione di fedeltà dell'autore che afferma di non essersi mai sottratto all'amore:"Saepe tepent alii iuvenes; ego semper amavi,/et si, quid faciam nunc quoque, quaeris, amo" (Remedia, 7-8), spesso sono tiepidi gli altri giovani; io sempre ho amato, e, se chiedi cosa faccio anche ora, amo.-iuvenes; ego: l'accostamento chiastico dei due soggetti mette in rilievo l'antitesi tra i più e il genio erotico, non solo letterario del poeta che è milite ed eroe dell'esercito di Eros. " amo usato assolutamente in chiusura di pentametro è un tratto tipico della lingua poetica elegiaca: vedi per esempio Catullo, c. 92, v. 4; Properzio, Elegie II, 8, 12; Ovidio Ars amandi 3, 598 e in particolare Heroides, 5, 132: unde hoc comperirem tam bene, quaeris, amo"[12], chiedi dove ho imparato questo così bene? amo.

Da quest'ultima citazione vediamo che in amore non si dà apprendimento senza esperienza sul campo e senza una partecipazione emotiva almeno iniziale. Una considerazione che si può ricavare anche dal successivo distico dei Remedia:"Quin etiam docui, qua posses arte parari,/et, quod nunc ratio est, impetus ante fuit" (vv. 9-10), anzi ho perfino insegnato con quale arte ti si possa conquistare, e quella che è ora una teoria, prima fu slancio.-docui: Ovidio ribadisce la sua funzione di professore dell'amore, una specie di Diotima di Roma .-ratio…impetus: l'elaborazione teorica è preceduta dall'intuizione, lo qumov" , abbiamo visto nella Medea di Euripide (v. 1079), prevale sui bouleuvmata,  e i ragionamenti non sono altro che sentimenti travestiti.

Ovidio insomma non ha tradito passando dall'Ars ai Remedia: l'amore va cercato quando dà piacere, fuggito quando infligge dolore.

"Nec te, blande puer, nec nostras prodimus artem,/nec nova praeteritum Musa retexit opus./Si quis amat quod amare iuvat, feliciter ardens/gaudeat et vento naviget ille suo; at si quis male fert indignae regna puellae,/ne pereat, nostrae sentiat artis opem" (vv. 11-16), non tradisco te, grazioso fanciullo, né la nostra arte, né una Musa nuova ha disfatto la tela precedente. Se uno ama ciò che dà piacere amare, goda ardendo con successo e navighi con il vento favorevole; ma se uno sopporta male la tirannide di una ragazza indegna, per non morire provi l'aiuto della mia arte.-blande: l'aggettivo qualifica tutta l'atmosfera che circonda Eros: più avanti esso viene attribuito allo stesso genere elegiaco (v. 379) e all'amante  quando, ancora in buoni rapporti, scriveva (v. 717).

-prodimus: Ovidio non ha cambiato campo poiché quello che ora consiglia di evitare non è amore ma distruzione.-retexit: da retexo, nel senso di "disfo la tela" con allusione a Penelope che ingannava i proci. "Con il suo inganno Penelope arresta l'inesorabilità del tempo: oggi è uguale a ieri, a giudicare dal lavoro del telaio. Penelope inganna i pretendenti prolungando una situazione, quella del giorno in cui partì Ulisse, annullando il tempo nella misura in cui disfà quello che ha tessuto. L'inganno di Penelope viene concluso da Ulisse al suo ritorno che prende i pretendenti in una "rete dai mille fori" (Od. XXII 386)"[13].

Ovidio negando questo verbo (nec retexit, v. 12)   vuol dire che non inganna.-feliciter (v. 13): nella poesia erotica felix , contrapposto a miser, è colui che ha successo in amore e quindi può gioire del suo ardore amoroso e lasciarsi andare spiegando le vele al vento favorevole. Abbiamo già trovato più volte la metafora della navigazione per indicare l'amore e anche altri aspetti della vita. Abbiamo anche visto che felix è imparentato etimologicamente, con femina né potrebbe essere altrimenti.-indignae regna puellae (v. 15) bisogna liberarsi dal dispotismo dell'amore quando la tiranna non è meritevole, cioè quando la puella, invece di accrescere la gioia e potenziare la vita, è portatrice di morte. Infatti l'aiuto di Ovidio serve a salvarsi la vita (pereat) da un dispotismo che può mietere vittime. L'accostamento tra l'amore indegno e il perire si trova già nella X Bucolica:"Indigno cum Gallus amore peribat" (v. 10). In quel caso la donna indegna era una meretrice di nome Citeride che  piantò il padre dell'elegia latina per seguire Antonio nelle Gallie.

 Vittorio Alfieri nella Vita racconta il suo dolore disperato alla scoperta dell'indegnità dell'amante perché già prima di amare lui ella avea amato un palafreniere che stava a casa del marito. "Il mio dolore e furore, le diverse mie risoluzioni, e tutte false e tutte funeste e tutte vanissime ch'io andai quella sera facendo e disfacendo, e bestemmiando, e gemendo, e ruggendo, ed in mezzo a tant'ira e dolore amando pur sempre perdutamente un così indegno oggetto; non si possono tutti questi affetti ritrarre con le parole: ed ancora vent'anni dopo mi sento ribollire il sangue ripensandovi".

Avrebbe dovuto leggere il nostro poemetto nel quale seguono due exempla di suicidio:"Cur aliquis laqueo collum nodatus amator/a trabe sublimi triste pependit onus?/ Cur aliquis rigido fodit sua pectora ferro?/Invidiam caedis pacis amator habes" (vv. 17-20), perché un innamorato annodatosi un laccio al collo è rimasto sospeso a un'altissima trave, funesto fardello? Perché un altro si è trafitto il petto con l'inflessibile ferro? Tu amante della pace raccogli l'odiosità della strage.- laqueo collum (acc. di relazione) nodatus: lett.= annodato nel collo con un laccio. Il nodum del laccio che pende da un'alta trabes si trova nel suicidio della regina Amata alla fine dell'Eneide: "et nodum informis leti trabe nectit ab alta" (XII, 603), e attacca a un'alta trave il nodo di una morte deforme. Conte suggerisce questo modello epico che a sua volta può averne uno tragico nel  suicidio "deforme" di Giocasta nell'Edipo re di Sofocle"  poi vedemmo la donna impiccata-kremasthvn-/ e avviluppata in lacci ritorti" (vv. 1263-1264). Altro suicidio sconcio, in quanto conseguente a una violenza pedofila  è quello della bambina Matrioŝa che ne I demoni di Dostoevskij si impicca in "un minuscolo ripostiglio, una specie di pollaio" dopo che il suo viso aveva espresso "una disperazione che era impossibile di vedere sul viso di una bambina" (p. 448 ). Questa è una delle più terribili tra quelle sofferenze di bambini delle quali Ivan Karamazov dice:" E se le sofferenze dei bambini hanno dovuto completare la somma delle sofferenze necessarie per acquistar la verità, io dichiaro fin d'ora che tutta la verità presa insieme non vale quel prezzo"[14].-ferro: richiama il suicidio di Didone (Eneide IV, 663-666) del quale si è già detto.-

 "Qui, nisi desierit, misero periturus amore est,/desinat, et nulli funeris auctor eris" (21-22), chi, se non avrà smesso è destinato a morire di amore infelice, smetta e per nessuno tu sarai causa di morte.-desierit…desinat: poliptoto.-funeris auctor: Ovidio insiste sul concetto che Amore non deve essere causa di morte ma di vita.

"Et puer es, nec te quicquam nisi ludere oportet:/lude; decent annos mollia regna tuos" (vv. 23-24), sei un fanciullo e a te nulla conviene se non giocare: gioca; ai tuoi anni si addicono governi dolci.-ludere…lude: altro poliptoto. In effetti a Eros non può mancare questa componente. Il verbo ludo , come il sostantivo ludus derivano dalla radice indoeuropea *loid- che ha dato come esito in latino lud- e in greco loid(or)- da cui  loidorevw , "insulto". Il significato del verbo greco non è estraneo al latino ludibrium, derisione, e all'italiano ludibrio. Si vede dunque che la radice ha una componente negativa che può sempre affiorare. Ma finché prevale la positiva, non tanto a lungo di solito, conviene valorizzarla e godersela:"Garzoncello scherzoso,/cotesta età fiorita/ è come un giorno d'allegrezza pieno…"[15].

L'amore dunque viene collegato alla pestis e alla rovina ma anche al gioco. Afrodite dea dell'amore è anche dea del gioco.        

Quando è passato il momento buono del ludus e del iocus allora è tempo di rimpianti, come si sa, e come si legge in Catullo:"Ibi illa multa tum iocosa fiebant,/quae tu volebas nec puella nolebat. Fulsere vere candidi tibi soles " (8, 6-8), lì allora accadevano quei molti meravigliosi giochi/che tu volevi né la ragazza rifiutava./Davvero hanno brillato radiosi i soli per te.

"Nam poteras uti nudis ad bella sagittis,/sed tua mortifero sanguine tela carent" (Ovidio, Remedia, vv. 25-26), infatti avresti potuto servirti per la guerre di frecce vere, ma le tue armi non hanno il sangue della morte. Questi versi presenti in quasi tutti i codici sono stati espunti da diversi editori. Li lascio perché ribadiscono l'idea di fondo che Amore è collegato alla vita, alla salute, alla gioia non alle ferite né morte, checché ne dicano alcuni, pure autorevoli. Vero è che in certi casi solo morendo si capisce quanto forte sia il collegamento tra l'amore e la vita e quanto sia doloroso avere perduto l'occasione di amare le altre creature viventi nel breve tempo a noi concesso. Questo è l'insegnamento che ci dà Tolstoj attraverso i pensieri del principe Andrej ferito a morte a Borodino:"La commiserazione, l'amore per i fratelli, per coloro che ci amano; l'amore per coloro che ci odiano, l'amore per i nemici, sì, quell'amore che Dio ha predicato sulla terra, che mi ha insegnato la principessina Mar'ja e che io non capivo; ecco perché mi dispiaceva di lasciare la vita, ecco quello che ancora mi restava, se fossi vissuto. Ma adesso è troppo tardi. Lo so!"[16].-poteras: falso condizionale che esprime irrealtà come fanno i tempi storici in greco.-nudis sagittis: i dardi di Amore invece sono metaforici e non feriscono il corpo. Chi è intelligente e morale non ne viene ferito in alcun modo.

Pesaro 30 agosto 2023 ore 21 giovanni ghiselli continua

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[1] A game of chess  (una partita a scacchi appunto) è il titolo della II sezione de La terra desolata  di Eliot e allude proprio alla mancanza di schiettezza e moralità dei rapporti umani.

[2] Lettere, Bocca di Magra, agosto 1950.

[3]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 32.

[4] Ozio neghittoso. Conte aggiunge in nota "di quello che era un motivo catulliano (51, 16 s. Otium, Catulle, tibi molestum est;/otio exsultas nimiumque gestis ) l'elegia aveva fatto uno dei temi ricorrenti che corrispondono alla sua scelta fondamentale per la nequitia , e spesso con essa coincidono.

[5] G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore, p. 39.

[6] Madame Bovary, p. 104.

[7]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , n. 39, p. 52. 

[8]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 40.

[9] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 173.

[10]con riferimento alla poetica del naturalismo e a Zola che intendeva utilizzare nella letteratura il metodo sperimentale delle scienze avvalendosi appunto di documenti. Tucidide nel Proemio  presenta il suo metodo di lavoro con il verbo xunevgraye che propriamente significa "compose una suggrafhv, ossia un'opera condotta sui documenti".

[11] Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo,  Il giocoso in Callimaco , p. 382.

 

[12] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 176.

[13]C. Miralles, Come leggere Omero  p. 82.

[14] F. Dostoevkij, I fratelli Karamazov, p. 318.

[15] G. Leopardi, Il sabato del villaggio, vv. 43-45.

[16]L. Tolstoj, Guerra e pace, p.1228.

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