mercoledì 9 agosto 2023

Percorso amoroso 9 agosto 2023 Lo stile della neglegentia.

Percorso amoroso 9 agosto 2023

 

Lo stile della neglegentia.

 A proposito degli uomini, Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507-510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto d'amore di una dea.

 

 Lo stile della neglegentia  è in ogni caso quello dell'aristocrazia.  Il fascino e l'eleganza  sono luce ed emanazione della persona. Vediamo come hanno cercato di raffigurarli alcuni scrittori europei.               

 La studiata disinvoltura , la neglegentia sui , la noncuranza (apparente) di sé come mancanza di affettazione, e "apparenza" di naturalezza, quali virtù supreme dello stile vengono attribuite da Tacito a Petronio, uomo erudito luxu dalla voluttà raffinata,  elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone il quale infatti  :"nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset", niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato.

Seneca, l’altro maestro di Nerone,  nel De vita beata elogia un'altra forma, del tutto psicologica, di noncuranza, la fortunae neglegentia  (I, 4, 5), quella della fortuna, quale viatico per la libertà dai piaceri e dai dolori, padroni assai capricciosi e prepotenti. 

 

 Petronio approvava l'apparenza della semplicità:"  Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur"  (Annales , XVI, 18), le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità. Sembra un manifesto del dandy antico, e in effetti il raffinato autore del Satyricon , Petronius Arbiter , probabilmente la stessa persona, considera la propria opera caratterizzata da una straordinaria simplicitatis opus " (Satyricon, 132). semplicità "novae

Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "le negligenze sue sono artifici" (II, 18).

Questo stile della semplicità ricercata è adottato anche dal seduttore di Madame Bovary :"si scusò di essere anche lui così trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di un'esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell'arte, il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o esasperare" (p. 113).

 

 La condanna dell'affettazione è molto diffusa nella cultura europea. Ne do qualche esempio.

Baldassarre Castiglione ne Il cortegiano  (del 1516) dice che il gentiluomo deve fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura, "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi" (I, 26). Parimenti la perfetta gentildonna "Non mostri inettamente di sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa, fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa". Ancora più raffinato, ironicamente raffinato era Socrate il quale, ricorderete, si onorava di sapere una sola cosa, cioè di non sapere niente e proprio per questo il dio delfico disse che era il più sapiente: infatti i presunti e falsi sapienti di Atene non sapevano assolutamente nulla, nemmeno di non sapere niente.

L’amico  Cherefonte, racconta Socrate,  andato a Delfi domandò se esistesse qualcuno più sapiente di Socrate. La Pizia rispose nessuno ( ajnei`len hJ Puqiva mhdevna, Platone, Apologia di Socrate, 21 a). E aveva ragione perché interrogando diversi politici e uomini che avevano fama di essere sapienti, vedevo che non lo erano e nemmeno se ne rendevano conto.

Tali sono i poeti e gli indovini che non fanno ciò che fanno per sapienza ma per doti naturali e ispirazione ouj sofiva/ , ajlla; fuvsei tini; kai; ejnqousiavzonte~ (Apologia 22c). Gli artigiani facevano il loro mestiere  per istinto e abitudine, mentre avevano la presunzione di essere sapienti e questa presunzione occultava la loro competenza.

Dunque ne sapevano tutti meno di me. Del resto davvero sapiente è solo il dio, e la Pizia ci dice che la sapienza umana vale poco o nulla (Apologia di Socrate, 23a).

 

Anche A. Schopenhauer (1788-1860) negli Aforismi sulla saggezza della vita  prescrive di evitare l'affettazione:"Si deve...mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno...in secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L'affettazione di una qualità e il pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a questo proposito"[1].

Il conte Alessandro Manzoni conosce bene la regola dell'affettazione/sprezzatura. Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon secentista" definendolo"rozzo insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi la decisione di "rifarne la dicitura".

Viceversa, per quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati  dal conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[2]. Il plebeo si vanta, l’aristocratico vero se ne guarda bene.

Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina  del conte Tolstoj:" Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempe calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[3] .

Già Cicerone quando insegna le buone maniere nel De Officiis  raccomanda in generale "quae sunt recta et simplicia " (I, 130), come abbiamo visto, e, per quanto riguarda la conversazione, consiglia proprio lo stile che Tosltoj attribuisce alla sua adultera:"maximeque curandum est, ut eos, quibuscum sermonem conferemus, et vereri et diligere videamur ...Deforme etiam est de se ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audentium imitari militem gloriosum " (I, 136, 137), e soprattutto bisogna stare attenti a mostrarsi rispettosi e affettuosi con quelli con i quali parleremo....indecoroso è anche dire bene di se stesso, soprattutto falsamente, e imitare il soldato millantatore in mezzo allo scherno di quanti ci odono.

Pensate a quanti medici gloriosi hanno imperversato a tutte le ore in tutte le televisioni durante gli anni del Covid.

 Dostoevskij nel romanzo I fratelli Karamazov considera l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia sebbene affascinato da Gruscenka " si domandava con un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio gusto, la quale testimoniava un'educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall'infanzia, delle convenienze e del decoro"[4].

Del principe Myskin,  L'Idiota , Aglaja viceversa dice a Nastasja Filippovna:"Vi devo anche dire che mai, in vita mia, avevo incontrato fino a quel momento un uomo simile a lui per nobiltà e semplicità d'animo, e per fiducia illimitata. Udendo le sue parole, capii che chiunque volesse potrebbe ingannarlo, ed egli, per giunta, lo perdonerebbe"[5].

 

La semplicità  e la negligenza fanno parte dello stile  nobile.

 Nei Guermantes  di Proust, che costituiscono quasi il codice dell'aristocrazia redatto da un borghese, si legge che "i nobili fraternizzano più volentieri coi loro contadini che coi borghesi"[6].

Il raffinato Saint-Loup appariva di un'eleganza " libera e trascurata"[7] che si adattava perfettamente a "quel corpo, non opaco e oscuro…ma limpido e significativo". Un corpo attraverso il quale " le qualità tutte essenziali dell'aristocrazia …trasparivano, come si manifesta in un'opera d'arte la industre ed efficace potenza che l'ha creata, e rendevano i movimenti di quella corsa leggera…intellegibili e pieni di grazia come quelli di un cavaliere su un fregio architettonico"[8].

Si può avvicinare a questa descrizione quella che Plinio il giovane dà di Aciliano che propone come sposo per la figlia di un amico:"Est illi facies liberalis, multo sanguine, multo rubore suffusa; est ingenua totius corporis pulchritudo" (I, 14), ha una faccia nobile, inondata di molta vita e molto colore; è schietta la bellezza di tutto il corpo. 

 Addirittura i tratti del volto di questi aristocratici suggeriscono una parentela antica con la natura :"il naso a becco di falco e gli occhi penetranti" sono "caratteristici...di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica: perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una dea con un uccello"(p. 82).

Quindi l'autore descrive i loro atti per mostrare  quanto essi fossero naturali, eppure  "graziosi come il volo d'una rondine o l'inclinazione della rosa sul suo stelo" (p. 475). Il Guermantes nel dare la mano "che si dirigeva verso di voi all'estremità di un braccio teso per tutta la sua lunghezza, aveva l'aria di presentarvi un fioretto per una singolar tenzone; e quella mano era insomma a una tal distanza da quel Guermantes in quel momento che, quand'egli  inchinava poi la testa, era difficile distinguere se salutasse voi o la propria mano (p. 481). Manifestazione di intelligenza era la parola salata, "giacché lo spirito dei Guermantes giudicava i discorsi prolungati e pretenziosi, sia nel genere serio sia nel burlesco, come un segno della più insopportabile stupidità"(p. 498). Più avanti ( p. 534)  Proust nota  " l'abitudine…dei nobili che fraternizzano più volentieri coi loro contadini che coi borghesi". E ancora:" quel famoso lusso… non era soltanto materiale…[9]ma anche un lusso di parole cortesi, di atti gentili, tutta un'eleganza verbale alimentata da un'autentica ricchezza interiore"(p. 590).

 I gran signori, insomma, "sono quasi le sole persone dalle quali si può imparare come dai contadini: la loro conversazione si adorna di tutto ciò che riguarda la terra, le abitazioni come erano abitate una volta, le antiche usanze, tutto ciò che il mondo del denaro ignora profondamente"(p.595).

 Ecco un apprezzamento della rusticitas.

In All'ombra delle fanciulle in fiore  Proust scrive che la signora di Villeparisis giudicava severamente alcuni pur grandi scrittori come Balzac e Victor Hugo "proprio perché avevano mancato di quella modestia, di quel ritegno, di quell'arte sobria...di quelle qualità di moderazione nel giudizio e di semplicità, in cui le avevano insegnato che risiede il valore vero"(p. 308).

Saint-Loup  aveva innanzitutto il pregio della naturalezza che si vedeva fino negli abiti "di un'eleganza disinvolta, senza nulla di 'pretenzioso' né di 'compassato', senza rigidità e senza appretto." Quel giovane ricco era apprezzabile" per il modo negligente e libero che aveva di viver nel lusso, senza 'puzzare di soldi', senza darsi arie di importanza"; il fascino della naturalezza si trovava "perfino nell'incapacità che Saint-Loup aveva conservata...d' impedire al proprio viso di riflettere un'emozione"(p. 334). Si vedeva in lui "l'agilità ereditaria dei grandi cacciatori...il loro disprezzo per la ricchezza" la quale serviva solo per festeggiare gli amici. Ma, continua l'autore:" vi sentivo soprattutto la certezza o l'illusione che avevano avuto quei grandi signori di essere  'più degli altri' e grazie alla quale non avevano potuto lasciare in legato a Saint-Loup quel desiderio di mostrare che si vale 'quanto gli altri', quella paura di sembrare troppo premurosi che rende così rigida e goffa la più sincera amabilità plebea"(p.337).

 Saint Loup  aveva "un modo di concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé e moltissimo del 'popolo'; insomma tutto l'opposto dell'orgoglio plebeo (p. 351). Suo zio Palamède "in ogni circostanza, faceva  quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano"(p. 351).

Questo dunque è il nobile proustiano, dotato, per natura si direbbe, di stile e fascino; più avanti però l'autore riduce la portata della sua ammirazione e smonta tanta naturalezza, almeno in parte apparente o almeno esibita, affermando che" Di fronte a quella d' un grande artista, l'amabilità di un gran signore, per quanto affascinante essa sia, ha l'aria di una mimica d' attore, di una simulazione. Saint Loup cercava di piacere, Elstir amava dare, darsi"(p. 431). L’artista dunque nella scala dei valori di Proust occupa il gradino sommo. E anche nella mia.

L'elogio della "magnifica negligenza" si trova anche nel grande romanzo di Musil :" Una casta dominante rimane sempre un poco barbarica...Erano invitati insieme in residenze campestri, e Ulrich notò che vi si vedeva sovente mangiare la frutta con le mani, senza sbucciarla, mentre nelle case dell'alta borghesia il cerimoniale con coltello e forchetta era rigidamente osservato; la stessa osservazione si poteva fare a proposito della conversazione che quasi soltanto nelle case borghesi era signorile e distinta, mentre negli ambienti aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza pretese, alla maniera dei cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e razionali. Nei castelli patrizi d'inverno si gelava; le scale logore e strette non erano una rarità, e accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano camere da letto basse e ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la servitù. Ma, a guardar bene, c'era proprio in questo un senso più eroico, il senso della tradizione e di una magnifica negligenza!"[10]. Il conte Leinsdorf, promotore della grande Azione Patriottica, l'Azione Parallela "del "popolo" pensava fermamente che fosse "buono"…era fermamente convinto che il vero socialismo concordava con le sue opinioni…E' chiaro come il sole che soccorrere i poveri è un dovere cavalleresco, e che per la vera nobiltà non c'è poi una così gran differenza tra un fabbricante e un suo operaio"[11].

Questa parte forse l’avevo esposta già nei corsi precedenti e potrò saltarla se chi mi ha seguito l’ha già sentita.

 

Il motto che riassume questo stile potrebbe essere l'affermazione di Pericle: "filokalou'mevn te ga;r met& eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Tucidide, II, 40, 1). in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.

Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai; to; eu[hqe" , ou'J to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1). Sembra l'elogio funebre della nobiltà che è anche, forse soprattutto, semplicità, ingenuità e schiettezza.

 

Torniamo a Ovidio allo stile dell'incedere, e avviamoci a concludere questo sesto capitolo.

"L'incessus  cafonesco della donna, che fa pensare alla moglie rubiconda del contadino umbro, va evitato, ma senza adottare l'incedere troppo molle di alcune donne  di città dalle tuniche fluenti (Ars  III 301 sgg.)"[12] .

Vediamo i versi che dipingono la femmina troppo flessuosa e teatrale:"Haec movet arte latus tunicisque fluentibus auras/accipit, extensos fertque superba pedes " vv. 301-302), questa muove i fianchi con abilità e prende aria nella tunica ondeggiante, e porta avanti i piedi allungandoli da superba.

Il modo di camminare fa parte dello stile:" discite femineo corpora ferre gradu:/est et in incessu pars non contempta decoris "(vv. 298-299), imparate a portare il corpo con passo femminile: anche nel modo di incedere c'è una parte non disprezzabile dello stile bello. Decor  è formato su decet , quindi significa  che il bello stile può variare, siccome è quanto si addice a ciascuna persona o situazione, come il greco prevpon.

 

A questo proposito si può citare  Cicerone:" :"nihil decet invita Minerva, ut aiunt, id est adversante et repugnante natura ",  De Officiis , I, 110, niente si addice contro il volere di Minerva, cioè se la natura è contraria o si oppone.  Non ci si deve opporre alla natura universale, tanto meno alla propria.

Poco più avanti si legge:"id enim maxime quemque decet, quod est cuiusque maxime suum "(I, 113), a ciascuno si addice più di tutto ciò che è più personale. 

Quando ho provato a essere come sono i più, cioè seguendo le mode-quella del fumare per esempio- ho fatto schifo a me stesso e agli altri data la mia incapacità di essere alto da quello che sono

 

Più in generale, secondo il mito platonico di Er, molti di noi dopo la morte dovranno tornare su questa terra e a un certo punto saremo invitati a sceglierci un'altra vita, un demone, ossia un carattere e un destino, e di tale scelta rimarremo responsabili. Dice infatti Lachesi, la vergine figlia di Ananche:"oujc uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (Repubblica , 617 e), non sarà il demone a sorteggiare voi, ma voi sceglierete il demone. E subito dopo :"aijtiva eJlomevnou", la responsabilità è di chi ha fatto la scelta. Una scelta  condizionata solo dalle vite passate. Aiace per esempio si scelse la vita di un leone per il ricordo del giudizio delle armi, Agamennone quella di un'aquila per avversione al genere umano. Odisseo, guarito da ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e tranquillo ("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"",  620c). Qual è il nesso con il nostro discorso? Che noi tornati sulla terra dobbiamo fare quello che si addice a noi, essere coerenti con quella scelta, dimenticata per avere bevuto l'acqua dell'Amelete. Se recalcitriamo al nostro destino soffriamo.

 Durante la vita terrena  "ci resta accanto un compagno, una specie di angelo custode o spirito guida: il Daimon, il modello del nostro destino, che in qualche modo ci aiuta e indirizza al compimento di quella scelta che inizialmente proprio noi avevamo fatto, ma che abbiamo dimenticato. Poiché il mito di Er, come lei accennava prima, è alla base del suo Codice dell'anima…Lei ha citato uno dei miti sul perché esiste il dolore: il Daimon ci mette di fronte le richieste del destino e noi recalcitriamo"[13].

E' un'osservazione questa che, anzi, risale addirittura all'Odissea : Zeus nel primo canto parla agli dèi raccolti nella sala e afferma che gli uomini incolpano ingiustamente i numi per i loro dolori:":"da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi/per la loro stupida scelleratezza hanno dolori oltre il destino ( uJpe;r movron, vv. 33-34)". Movro" è la parte (mevro" ) che ci hanno assegnato o che ci siamo scelta, o che ci siamo meritata (cfr. mereo) per la rappresentazione della nostra vita sulla terra.

 Questo non significa che ci si debba lasciar andare a tutti gli impulsi.

 

 Per quanto riguarda l'aspetto, assecondare il proprio demone significa assomigliare a lui e, quindi, a se stessi; recalcitrando invece uno diviene ajeikevlio" , ajeikhv" , non somigliante (eijkov" ) discordante dalla propria indole, quindi sconcio:” Quando è privo di ogni charis , l’essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce l’identità di ciascuno e si manifesta nell’apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte”[14].

Pesaro 9 agosto 2023 ore 17, 44 giovanni ghiselli

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[1]A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena , trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..

[2] I promessi sposi , capitolo XIX.

[3]Trad. it. Garzanti, Milano, 1965, pp 703 e 704.

[4]Trad. it. Bietti, Milano, 1968, p. 208.

[5]Trad. it. Garzanti, Milano, 1973, p. 719.

[6]Trad. it. Einaudi, Torino, 1978, p. 534.

[7] M. Proust, I Guermantes, p. 96.

[8] M. Proust, I Guermantes, p. 448.

[9]

[10]L'uomo senza qualità , p. 269. Per una più ampia trattazione del tema "Che cosa è aristocratico", vedi il mio Mu'qo" kai; lovgo", p. cercal.

 

[11] R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 84.

[12]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201

[13] James Hillman, Il piacere di pensare. conversazione con Silvia Ronchey, pp. 53-54.

[14] J. P. Vernant, Tra mito e politica, p. 210.

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