giovedì 24 agosto 2023

Percorso amoroso VIII stazione, dodicesima parte. Esteti e seduttori.


 

La follia metodica dei sogni.

Alcuni versi riferiti si prestano all'interpretazione di Freud il quale sostiene che "ogni sogno si rivela come una formazione psichica densa di significato"[1] e che nella follia onirica, come in quella di Amleto, c'è un metodo.

L'autore de L'interpretazione dei sogni  riconosce il suo debito alla letteratura classica:"Non diversa era l'opinione degli antichi sulla dipendenza del contenuto onirico dalla vita" (p. 20). Quindi cita un episodio di Erodoto, grosso modo, e, in latino dei versi di Lucrezio:"Et quo quisque fere studio devinctus adhaeret,/aut quibus in rebus multum sumus ante morati/atque in ea ratione fuit contenta magis mens,/in somnis eadem plerumque videmur obire:/causidici causas agere et componere leges,/induperatores pugnare ac proelia obire,/nautae contractum cum ventis degere bellum,/nos agere hoc autem et naturam quaerere rerum/semper et inventam patriis exponere chartis ", De rerum natura , IV, 962-970 ( gli ultimi tre versi non compaiono nella citazione freudiana), e generalmente la passione cui ciascuno è strettamente legato, o ciò su cui ci siamo molto intrattenuti prima, e in quel meditare si è più trattenuta la mente, i medesimi pensieri ci sembra di incontrare nei sogni di solito:  gli avvocati trattano cause e confrontano leggi, i generali combattono e affrontano battaglie, i marinai continuano la guerra ingaggiata coi venti, noi facciamo quest'opera, e indaghiamo la natura sempre, e, scopertala, la esponiamo in carte latine.

 

Intanto vediamo l'etimologia di somnium : la radice sopn- >somn- deriva dall'indoeuropeo *supn-che ha dato come esito in greco uJpn- da cui u{pno" .  

 Queste immagini oniriche  di Enea dunque secondo Lucrezio  corrispondono  ai suoi pensieri e desideri diurni

 Ma torniamo all'inventore della psicoanalisi che in verità utilizza molto i classici.

Spesso  il sogno è l'appagamento mascherato di un desiderio rimosso; in altre parole le idee latenti nel presentarsi si mascherano, quindi, per conoscerle, bisogna cavar loro la maschera.

Invero anche le persone reali si presentano spesso con una maschera.

 Allora dunque bisogna tenere conto della condensazione per cui "ogni situazione porta la traccia di due o più reminiscenze della vita reale...non è neanche raro che il processo del sogno si diverta a formare un'immagine composta con due idee contrastanti; per esempio una giovane donna sogna di portare un ramo fiorito, quello dell'angelo nei quadri dell'Annunciazione (simbolo d'innocenza; questa giovane si chiama Maria). Soltanto, in questo caso, il ramoscello porta dei fiori bianchi e carnosi simili alle camelie. (Il contrario dell'innocenza: la signora dalle camelie)"[2].

 

E’ Marguerite Gautier la cortigiana del romanzo (La Dame aux camélias, 1848) di Alexandre Dumas figlio, base del melodramma La traviata di Piave-Verdi (1853, La Fenice di Venezia)

 

La condensazione onirica tra l'altro, aggiungo, può spiegare gli ibridi mostruosi della mitologia e della letteratura.

 

Poi, sempre per risalire alla parte latente, e vera, si deve considerare lo spostamento psichico o spostamento nel sogno:"tutto ciò che vi era di essenziale nelle idee latenti è rappresentato nel sogno da particolari secondari"[3]. Per giunta le idee latenti si manifestano travestite, attraverso immagini:"Tali idee non ci si presentano sotto la forma verbale più riassuntiva possibile, con la quale noi abbiamo l'abitudine di concretare i nostri pensieri, ma il più delle volte trovano un mezzo simbolico per esprimersi, il mezzo di cui si serve il poeta che nella sua opera fa uso di raffronti e di metafore"(p. 67). Il sogno infatti si rappresenta "con una serie di immagini visive" (p. 68) che derivano da idee alimentate dai ricordi che hanno lasciato maggiore impressione e "la cui origine risale addirittura alla prima infanzia". Le idee latenti, dicevamo, si camuffano perché la coscienza non le ammette e i sogni, che si formano con lo stesso procedimento dei sintomi nevrotici e dei lapsus, "sono realizzazioni velate di desideri inibiti"(p. 102).

Subito dopo Freud suddivide i sogni "dal punto di vista di realizzazione di desideri...in tre categorie: in primo luogo sta il sogno che senza camuffamenti rappresenta un desiderio non inibito. E' questo il sogno di tipo infantile che diviene sempre meno frequente man mano che il fanciullo cresce...In secondo luogo abbiamo il sogno camuffato che rappresenta un desiderio inibito. La maggior parte dei nostri sogni è di questo tipo ed ecco perché non possono venir compresi senza l'analisi...Infine viene il sogno che esprime un desiderio inibito senza travestimento o con un travestimento molto ridotto. Quest'ultimo sogno è sempre accompagnato da una sensazione di angoscia che lo costringe all'interruzione" (p. 103).


 

E' il caso del sogno di Enea il quale comunque obbedisce subito,  senza nemmeno chiedersi da dove venga quell'ombra: se dal cielo, da se stesso, o dall'inferno:"Sequimur te, sancte deorum, /quisquis es, imperioque iterum paremus ovantes " (Eneide, IV, vv. 576-577), seguiamo te, santo tra gli dèi, chiunque tu sia, e obbediamo di nuovo al tuo comando, festanti. La formula liturgica sancte deorum (v. 576) completata da quel quisquis es  (v. 577) derivato dai tragici e rivolto agli dèi (Eschilo, Agamennone 160; Euripide, Troiane , 885) lascia spazio all'unica interpretazione della provenienza divina dell'ordine cui dunque bisogna obbedire.

Quanto all'ultima parola del verso 577, si può accostare a Georgiche  I, 423 (ovantes gutture  corvi , i corvi che festeggiano a squarciagola il ritorno del sole) e inferirne che Didone era diventata noiosa, e che lasciare tale amante era  una festa per Enea. Per quale altro motivo infatti realisticamente e umanamente si lascia un'amante (e pure un amante)?

Omero, lo abbiamo già accennato, senza tante impalcature moralistiche e menzogne imperiali  dice che Odisseo desiderava lasciare Calipso, la quale lo trovò mentre piangeva semplicemente poiché questa femmina, umana o divina che fosse, non gli piaceva più :" e lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa" (Odissea , V, vv.151-153).

La storia virgiliana di Didone comunque, secondo Auerbach, è più vicina al gusto moderno:"Nel grande evento mondiale egli intrecciò, non sempre felicemente nei particolari, ma in complesso in modo indimenticabile e costitutivo per l'Europa, il primo grande romanzo d'amore spirituale nella forma fino ad oggi valida: Didone soffre un dolore più profondo che Calipso, e la sua storia è l'unico brano di grande poesia sentimentale che il medioevo abbia conosciuto"[4]. 

Insomma Enea fugge a tutto spiano: estrae dal fodero la spada fulminea (vaginaque eripit ensem /fulmineum , v. 579) e taglia le gomene. Tale ardore che sostituisce quello amoroso prende contemporaneamente tutti i Troiani i quali danno di piglio ai remi e fuggono a precipizio"idem omnis simul ardor habet, rapiuntque ruuntque " (v. 581).

 La spada e il fulmine dovrebbero essere simboli erotici se non addirittura fallici: il grande seduttore Alcibiade si era fatto incidere sullo scudo Eros fulminatore[5] invece degli stemmi gentilizi.

 

Excursus  Esteti e seduttori


Inserisco una scheda su alcuni personaggi che possono costituire l'altra faccia o la parte in ombra del "pio" Enea: Alcibiade, il grande esteta e seduttore, visto in parallelo con Don Giovanni e con il dandy decadente.

 

Il grande avventuriero ateniese è inseribile,  sostiene Baudelaire, nella breve lista dei rappresentanti del dandismo dell'antichità, "il dandismo è un'istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima, perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono degli splendidi tipi"[6]. Poco più avanti il poeta francese dà una definizione del dandismo:" è l'ultimo raggio di eroismo nei periodi di decadenza...è un sole che tramonta; come l'astro che declina, è superbo, senza calore e pieno di malinconia".

 

Personalmente vedo gli ultimi raggi di eroismo di questo Occidente che davvero decade nella cultura degli studiosi e nelle imprese sportive degli atleti. Il resto è palude: vedo gente fangosa nel pantano.

 

Vediamo la malinconica fine di questo prototipo del dandy .

Plutarco racconta che dopo la caduta di Atene (404 a. C.) Alcibiade ebbe paura dei Lacedemoni che dominavano la Grecia e si recò da Farnabazo, in Frigia, coltivandone l'amicizia e ricevendone onori:"qerapeuvwn a}ma kai; timwvmeno""[7].

Cornelio Nepote afferma che Alcibiade conquistò Farnabazo a tal punto con la sua signorilità che nessuno lo superava nell'intrinsichezza con il satrapo:"quem quidem adeo sua cepit humanitate, ut eum nemo in amicitia antecederet "[8].

 Attraverso l' humanitas riconosciamo in Alcibiade un altro aspetto del dandy di Baudelaire:"Che questi uomini si facciano chiamare raffinati, zerbinotti, bellimbusti, lions o dandys, tutti derivano da una medesima origine; tutti partecipano del medesimo carattere di opposizione e di rivolta; tutti sono dei rappresentanti di ciò che vi ha di meglio nell'orgoglio umano, di questo bisogno, troppo raro presso gli uomini di oggi, di combattere e distruggere la trivialità"[9].  Andrea Sperelli del Piacere (1889) di D'Annunzio può trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza:"il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio.... Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse  del loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[10].

L'esteta di D'Annunzio pensa di sè:"Io sono camaleontico , chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge"[11].

 

 Plutarco aveva scritto di Alcibiade che per accalappiare le persone era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra"...tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato:"  jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h\n ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton": a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"), gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo");  in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto  e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai;  poluteleiva th;n Persikh;n megaloprevpeian"[12]). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote (100-27) era "temporibus callidissime serviens "[13] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.

 

Aspetti del carattere simile a questo e ad altri  di Alcibiade, Cicerone attribuisce a  Catilina nell'orazione Pro Caelio  (del 56 a. C.) :" Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere ". (13). Quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.  

 

Alcibiade quindi anticipa Catilina, Sperelli, e anche l'esteta-seduttore di Kierkegaard , il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio della carne"[14] che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola eternità"[15].

 

Terminata la fase dello studente liceale tra i primi d’Italia (1958-1963), è seguita quella del  mendicante mentecatto pensoso se terminare il viver mio (anni 1964-1966), poi per reazione ho preso don Giovanni come modello (1967-1974). Quindi è seguita quello dello studioso educatore degli studenti miei, infine quella del conferenziere e scrittore nella speranza di educare un popolo intero. Ma ogni fase successiva ha conservato il meglio delle precedenti eliminando il troppo e il vano.

 

 Alcibiade affascinava anche con la parola quindi rappresenta  pure il seduttore intellettuale, quello intensivo che "si serviva degli individui soltanto come incitamento per gettarli poi via da sé, così come gli alberi si scrollano delle foglie: lui ringiovaniva, le foglie appassivano…L'attimo è bello e nell'attimo la donna è tutto, e di conseguenze io non me ne intendo"[16].

Tali uomini, don Giovanni e Faust, sono gli erotici. Essi capiscono che la donna è un inganno degli dèi, comprendono che ella desidera essere sedotta e loro vogliono godere dell'inganno senza essere ingannati:"Questi erotici sono i felici. Essi vivono in modo più voluttuoso degli dèi, perché banchettano sempre soltanto con ciò che è più pregiato dell'ambrosia e bevono ciò che è più soave del nettare. Essi…mangiano soltanto l'esca, senza essere mai presi. Gli altri uomini abboccano, nel modo in cui i contadini pranzano con l'insalata di cetrioli, e sono presi"[17].  

 

Onorato dunque da Farnabazo per la sua finezza e la sua quasi illimitata capacità di piacere, Alcibiade al tramonto ha ancora modo di soddisfare la passione massima del dandy :" una specie di culto di se stesso, che può sopravvivere alla ricerca della felicità che si trova negli altri, nella donna, per esempio; che può sopravvivere anche a tutto ciò che si chiama illusione. E' il piacere di meravigliare e la soddisfazione di non essere mai meravigliati. Un dandy può essere uno scettico, può essere un uomo sofferente, ma, in quest'ultimo caso, egli sorriderà come il lacedemone morsicato dalla volpe"[18].

 

Intanto gli Ateniesi, oppressi dalla tirannide dei Trenta, capivano, mentre piangevano ripensando agli errori commessi e alle proprie follie, la più grande delle quali consideravano la seconda ira contro Alcibiade ("w|n megivsthn ejpoiou'nto th;n deutevran pro;"  jAlkibiavdhn ojrghvn"[19]). Allontanandolo di nuovo per una colpa non sua, si erano privati del  comandante migliore, un uomo dissoluto, ma capace e  insostituibile come stratego.  Qui viene in mente un altro esteta antico, il Petronio di Tacito che come proconsole in Bitinia, poi come console "vigentem se ac parem negotiis ostendit "[20], si rivelò energico e all'altezza dei suoi compiti.

 

 La fiducia nelle capacità di Alcibiade anzi era così forte che nei suoi concittadini rimaneva una vaga speranza che la potenza di Atene non sarebbe andata del tutto perduta fino a quando quell'uomo geniale fosse stato vivo. Già una volta, pensavano gli Ateniesi, Alcibiade li aveva aiutati, e se ne avesse avuto le possibilità, lo avrebbe fatto ancora. Né questo sognare dei più era assurdo ("a[logon"[21]), se anche i Trenta si preoccupavano di lui e davano la massima importanza a ciò che egli faceva. I tiranni diretti da Crizia erano i nemici naturali del nostro esteta, in quanto uomini volgari; una volgarità messa bene in rilievo da Lisia quando, nell'orazione Contro Eratostene, racconta come Melobio, uno dei Trenta, appena entrato in casa di Polemarco vittima dei Trenta e fratello dell’autore , strappò gli orecchini d'oro dalle orecchie di sua moglie ("gunaiko;" crusou'"  eJlikth'ra"...Mhlovbio" ejk tw'n w[twn ejxeivleto"[22]).

Sappiamo da Tucidide che Alcibiade non faceva a meno del denaro e dei beni materiali, anzi egli aveva desideri troppo grandi rispetto alle sue ricchezze (VI, 15, 3); ma i miseri quattrini per lui erano solo un mezzo.

Diamo ancora la parola a Baudelaire:" Se ho parlato del denaro, è perché il denaro è indispensabile a coloro che si fanno un culto delle loro passioni; ma il dandy non aspira al denaro come a una cosa essenziale; un credito indefinito gli potrebbe bastare: egli lascia volentieri questa banale passione agli uomini volgari"[23]. Costoro non si intendono di bellezza che si manifesta attraverso la semplicità di cui Alcibiade si dimostrò capace quando viveva a Sparta, primeggiando anche in quella energica, sobria, frugale semplicità ( eujtevleia) che del resto faceva  parte pure dello stile alto degli Ateniesi come ebbe a dire il Pericle di Tucidide (II, 40, 1).

Anche questo aspetto della distinzione ateniese, e di Alcibiade, trova una corrispondenza nel dandy baudelairiano:"il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di distinzione , la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi"[24].

Altrettanto afferma Tacito del suo elegantiae arbiter [25], come abbiamo visto. Abbiamo pure visto che il collegamento semplicità-aristocrazia viene fatto anche da diversi autori moderni.

 

 Alcibiade preoccupava Crizia che lo conosceva bene per essere stato suo condiscepolo alla "scuola" di Socrate, e perciò mise in allarme gli Spartani che pure non ne ignoravano le capacità.

Sicché Lisandro, il vincitore della grande guerra fratricida del Peloponneso, ricevette  l'ordine di eliminarlo da parte degli Efori, sia che volessero fare cosa gradita ad Agide, sia che pure loro ne temessero l'intelligenza e l'attitudine per le cose grandi:" ei[te kajkeivnwn fobhqevntwn th;n ojxuvthta kai; megalopragmosuvnhn tou' ajndrov""[26] .

Il dandy moderno è antidemocratico ed è visto con sospetto dalla democrazia che tutto livella:"Ma purtroppo la marea crescente della democrazia, che tutto invade e tutto pareggia, avvolge nell'oscurità giorno per giorno questi ultimi rappresentanti dell'orgoglio umano e versa fiotti di oblio sulle tracce di questi prodigiosi Mirmidoni", afferma Baudelaire[27]; e D'Annunzio nel romanzo Il piacere  denuncia "il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente"; un nubifragio sotto il quale "va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizione familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte" (p. 38).

Alcibiade fu allontanato due volte dal popolo, che pure lo considerava stratego straordinario come abbiamo visto, poi venne combattuto dagli oligarchi e perseguitato dai Trenta tiranni. Agli uomini eccezionali invero nessun regime è favorevole poiché tutti hanno una componente tirannica e tendono a livellare le teste secondo il suggerimento di Trasibulo, tiranno di Mileto a Periandro tiranno di Corinto:" oiJ uJpetivqeto Qrasuvboulo" tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein "[28], gli suggeriva di ammazzare quelli che si distinguevano tra i cittadini.

 

 Non tutta la letteratura è favorevole agli uomini straordinari.

Nelle Baccanti  di Euripide il Coro nel Primo Stasimo canta che Dioniso odia chi non si prende cura di tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari:'"ajpevcein prapivda frevna te;;;;;;-perissw'n para; fwtw'n"(vv.427-428).

Nell'Antigone è Ismene, la sorella in un primo tempo timorosa e sottomessa agli ordini di Creonte ad affermare:"obbedirò a coloro che sono arrivati al potere. Infatti il/fare cose straordinarie (to; ga;r perissa; pravssein) non ha senso, proprio nessuno" (vv. 67-68)-

 In Delitto e castigo  di Dostoevskij, "gli uomini si dividono in -ordinari- e -straordinari-.Quelli ordinari devono vivere nell'obbedienza e non hanno diritto di violare la legge, perché essi, vedete un pò, sono appunto ordinari. Quelli straordinari, invece, hanno il diritto di compiere delitti d'ogni specie e di violare in tutti i modi la legge, per il semplice fatto d'essere straordinari" (p.290). Di questi vorrebbe far parte il giovane assassino Raskòlnikov il quale afferma che :"Licurgo, Solone, Maometto, Napoleone e via discorrendo, tutti sino all'ultimo sono stati dei delinquenti, già per il semplice fatto che ponendo una nuova legge, per ciò stesso infrangevano la legge antica, venerata dalla società e trasmessa dai padri; inoltre certamente non si arrestarono nemmeno dinanzi al sangue…Vale anzi la pena di osservare che la maggior parte di questi benefattori e fondatori della società umana furono dei terribili spargitori di sangue. Insomma, io dimostro che tutti gli uomini, e non solamente i grandi, ma anche quelli che escono sia pur di poco dalla comune carreggiata, che sono cioè, in qualche misura, capaci di dire qualcosa di nuovo, devono immancabilmente, per la loro stessa natura, essere (più o meno s'intende) dei criminali". Ma questo ragazzo che per dimostrare la sua straordinarietà ammazza due vecchie deve riconoscere di non essere fatto della quella pasta di quegli uomini e di essere solo "un pidocchio estetizzante"[29].

Sbaglia anche il Duvskolo" Cnemone di Menandro quando non vuole essere considerato uno dei tanti:"nomivzeq j e{na tina;/oJra'n me tw'n pollw'n"(484-485), fate conto di vedere in me uno dei tanti se non do un esempio per tutti quanti vengono a disturbarmi, esclama arrabbiato. Ma più avanti anche lui si ricrederà. Viceversa Moschione, irresoluto ma non disonesto, nel monologo iniziale della Samia si presenta come uno dei tanti:"tw'n pollw'n ti" w[n"(v. 11).

 Nella letteratura russa c'è l'abulico Oblomov , l'archetipo dell'inetto Zeno,  che non sopporta di essere confuso con "gli altri" e ha un ecceionale scatto autoritario  quando il servo Zachàr osa dire:"Io pensavo che gli altri non sono peggio di noi e cambiano casa", ripeté con orrore:"Gli altri non sono peggio!..ecco cosa sei arrivato a dire! Adesso lo so che sono per te un qualunque altro!" . Quindi:"Vattene! Non ti voglio più vedere!" esclamò Oblomov imperiosamente, indicando l'uscio. "Ah! Gli altri! Gli altri, benissimo![30].

Tra le tante espressioni favorevoli agli uomini straordinari ne riporto una di Seneca:"fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum…iste homo non est unus e populo, ad salutem spectat " (epist., 10, 1 e 3), evita la folla, evita la compagnia di poche persone e anche quella di una sola…questo non è uno dei tanti, mira alla salvezza dell'anima.

 Infine Madame Bovary detesta la mediocrità del marito in tutte le manifestazioni di lui, comprese quelle erotiche:"si persuase facilmente che nella passione di Charles per lei non vi era nulla di eccessivo" ; quindi si ripeteva:"Dio mio, ma perché mai mi sono sposata?" (p. 36).


 

Straordinario fu Alcibiade, e fece paura anche ai suoi stessi compagni di partito:  aveva passioni più grandi di quanto consentissero le sue ricchezze, sia per l'allevamento dei cavalli, sia per le altre spese,  e molti lo temevano per le sue stravaganze, per la grandezza e l'eccentricità delle sue vedute, ci racconta Tucidide[31]. D'Annunzio ricorda questa descrizione di antimediocrità quando in Maia  gli pone la domanda:"E qual gioia/ti parve più fiera?", quindi gli attribuisce la risposta:"La gioia/d'abbattere il limite alzato".

 

Allora dunque Lisandro mandò un messaggio a Farnabazo il quale incaricò del misfatto alcuni parenti suoi. Alcibiade ebbe dei sogni premonitori, ma, lo abbiamo imparato da Tacito e ancor più dall'esperienza personale, " quae fato manent , quamvis significata, non vitantur "[32], ciò che spetta al destino, sebbene rivelato non si evita.

Le versioni della sua morte sono due: in ogni caso egli morì con una donna e per fuggire alle fiamme che possono evocare  la sua vita tumultuosa. Chi fosse questa donna, non ha importanza. Fu certo l'ultima di una serie molto lunga comprendente etere, schiave prigioniere di guerra, ragazze di buona famiglia e regine, come la moglie del re spartano Agide, sedotte tutte dalla "genialità della sensualità", dalla "potenza demoniaca della sua sensualità"[33] si può dire di lui come fa Kierkegaard di Don Giovanni, l'erotico che mangia l'esca senza farsi all'amo.

Questa volta però Alcibiade si lasciò prendere; forse perché egli tendeva non solo al piacere  ma anche al potere[34], e se il primo scopo,con qualche sforzo, poteva ancora raggiungerlo, il secondo oramai gli era sfuggito per sempre.

Plutarco dunque racconta che, secondo alcuni, i sicari diedero fuoco alla casa dove egli abitava, in Frigia, con l'etera Timandra. Alcibiade si lanciò fuori e gli assassini, non osando avvicinarsi, lo colpirono vilmente da lontano, finché la vittima designata cadde. Timandra, nei limiti delle sue possibilità, gli diede onorevole sepoltura. In questa versione c'è una donna, una cortigiana che si occupa delle esequie del seduttore. Nell'altra, la presenza femminile è la causa della morte di questo don Giovanni antico. "Sua passion predominante", si ricorderà il libretto di Da Ponte, "è la giovin principiante"[35]. 

 

Ebbene il figlio di Clinia avrebbe sedotto una ragazza di buona famiglia e i fratelli di lei, non sopportando l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre ne saltava fuori attraverso il fuoco ("dia; tou' puro;" ejxallovmenon",Vita di Alcibiade ,  39, 9). Queste fiamme mi danno l'occasione per un'ultima citazione di Baudelaire:"il carattere della bellezza del dandy consiste soprattutto in quell'aria fredda che gli viene dalla ferma risoluzione di non commuoversi; si direbbe un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare"[36].

Anche Don Giovanni, alla fine dell'opera, scompare nel fuoco:"Da quel tremore insolito.../Sento...assalir...gli spiriti.../Donde escono que' vortici/ di foco pien d'orror!...Cresce il fuoco, compariscono diverse furie, s'impossessano di Don Giovanni, e seco lui sprofondano"[37]. Quella exacerbatio cerebri  di cui parla S. Kierkegaard nel Diario del seduttore [38], o piuttosto quel fuoco interno, prima di spegnersi, fuoriesce, divampa e uccide l'uomo.

Cornelio Nepote ci informa che allora egli aveva circa quarant'anni ("Alcibiades circiter quadraginta natus diem obiit supremum "[39]), ma nel 404 doveva averne qualcuno di più. Stava comunque declinando quella sua giovinezza e follia che sembrava essere oltre i limiti naturali"(hJ ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai"[40] ) vantata da lui stesso di fronte al popolo prima della spedizione in Sicilia. Alcibiade aveva fatto "della giovinezza il proprio cavallo di battaglia"[41].  Viene da pensare che un personaggio come Alcibiade, il giovane  leone allevato[42] in casa dell'altro leone[43] che aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade[44], non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla propria giovinezza. Lord Henry avrebbe potuto rivolgere anche a lui, nei momenti d'oro ricordati da Tucidide, le parole dette a Dorian Gray:"Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni da vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi, o che dovete accontentarvi di quelle banali vittorie che la memoria del vostro passato renderà più amare delle sconfitte. Ogni mese che passa vi avvicina a qualche cosa di orrendo. Il tempo è geloso di voi, e si accanisce sui vostri colori di giglio e di rosa. Le vostre tinte appassiranno, le guance si faranno cave, si appannerà il vostro sguardo. Soffrirete tremendamente...Godete della vostra giovinezza finché la possedete! Non sprecate il tesoro dei vostri giorni ascoltando la gente noiosa, cercando di consolare i predestinati all'insuccesso, donando la vostra vita agli incolti, ai mediocri, ai volgari...Vivete! Vivete la meravigliosa vita che è in voi! Nulla deve andar perduto per voi. Cercate continuamente nuove sensazioni. Non abbiate paura di nulla...Un nuovo edonismo! Di questo ha bisogno il nostro secolo. Potreste esserne il simbolo visibile. Nulla è vietato alla vostra persona. Il mondo è vostro, per una stagione...Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora...Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"[45].

 Probabilmente fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori della sua giovinezza, per non arrivare all'età del Casanova di Arthur Schnitzler il quale "a cinquantatre anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore andava lentamente spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più dal giovanile piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine dell'avanzante vecchiaia"[46] che Alcibiade volle morire  in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta dall' Eros fulminatore[47] che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi gentilizi.

Ho sempre sperato, e lo spero ancora, di morire, il più tardi possibile, facendo l’amore, o facendo lezione, o scalando una montagna sacra in bicicletta.

Tali personaggi sono stati a lungo dei modelli per me. Ma in questi ultimi anni ho pensato che l’aggiunta della dimensione etica mi avrebbe messo un gradino al di sopra di loro. E sono diventato un esteta etico: comunista aristocratico, pezzente colto ed elegante. Un ossimoro incarnato grazie alle mie indagini e fatiche impiegate utilmente per me e per l’umanità che mi frequenta o mi legge.

 

Fine dell’excursus


 

Segue, nell'Eneide , il punto di vista della regina che è opposto a quello di Enea. Appena  sveglia Didone si accorge dell'abbandono, si infuria e vorrebbe attaccare il  fuoco, che la divora, a Enea, per distruggerlo:"ferte citi flammas, date tela, impellite remos! " (v. 594), portate, svelti le fiamme, spiegate le vele, spingete i remi!  Per lei le azioni di Enea sono tutt'altro che pie:"nunc te facta impia tangunt? " (v. 596), soltanto ora ti colpiscono le scelleratezze? domanda a se stessa.

Pesaro 24 agosto 2023 ore 11, 03 giovanni ghiselli continua

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[1]L'interpretazione dei sogni , p. 23.

[2]Freud, Il sogno e la sua interpretazione , pp. 45 e 53

[3]Freud, op. cit., p. 59

[4] E. Auerbach, Studi su Dante, p.12.

[5] Plutarco,  Vita di Alcibiade , 16.

[6]Curiosità estetiche , trad. it. in Il Sistema Letterario , Ottocento , di Guglielmino/Grosser, Principato, Milano, 1992, p. 1150.

[7]Plutarco, Vita di Alcibiade , 37.

[8]Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades , 9, 3.

[9]Baudelaire, op. cit., p. 1151.

[10]D'Annunzio, Il Piacere , Mondadori, Milano, 1990, pp. 42-43.

[11]D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.

[12]Plutarco, Vita di Alcibiade, 23, 4- 5.

[13]Op. cit.,  1, 4.

[14] S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 158.

[15]S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Quarto trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 40..

[16]S. Kierkegaard,  Diario del seduttore (1843) , trad. it. Rizzoli, Milano, 1974, pp. 23 e 139

[17] S. Kierkegaard, In vino veritas (1845), p. 92.

[18]Baudelaire, op. cit., p. 1151.

[19]Plutarco, op. cit. , 38.

[20]Annales , XVI, 18.

[21]Plutarco, op. cit., 38, 4.

[22]Lisia, XII, 19.

[23]Op. cit., p. 1150

[24]Op. cit., pp. 1150-1151 

[25]Annales , XVI, 18

[26]Plutarco, op. cit., 38, 6.

[27]Op. cit., p. 1152. I mirmidoni sono i soldati di Achille.

[28]Erodoto, V, 92.

[29] F. Dostoevkij, Delitto e castigo, pp. 290 sgg.

[30] Ivan Gončarov, Oblomov, del 1859, p. 124

[31]VI, 15.

[32]Historiae , I, 18.

[33]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Primo, , trad. it. Adelphi, Milano, 1976, p. 172.

[34]Si vede dall'episodio della moglie di Agide, Timea che Alcibiade sedusse mentre il marito era assente per una spedizione militare. Ella rimase in cinta e non lo negò(" Timaivan ga;r th;n  [Agido" gunai'ka tou' basilevw" strateuomevnou kai; ajpodhmou'nto" ou{tw dievfqeiren, w{ste kai; kuvein ejx  jAlkibiavdou kai; mh; ajrnei'sqai"), anzi in privato chiamava "Alcibiade" il figlio il cui nome ufficiale era Leotichide. Il seduttore soleva dire che lo aveva fatto, non per offendere Agide nè perché vinto dal piacere, ma perché i suoi discendenti regnassero su Sparta:"o{pw" Lakedaimonivwn basileuvswsin oiJ ejx aujtou' gegonovte""(Plutarco, op. cit. 23) Si vede dunque da questo episodio che la "passion predominante" del nostro personaggio era comandare e che il sedurre era strumentale al fine di dominare. Insomma "luxuriosus, dissolutus, libidinosus "(Cornelio Nepote, op. cit , 1) ma  prima di tutto ambizioso. Di lui in effetti Tucidide scrive, tra l'altro:"kai; mavlista strathgh'saiv te ejpiqumw'n" , VI, 15, e bramando al di sopra di tutto comandare. Il che non toglie che fosse un seduttore di razza.

[35]Don Giovanni , I, 5. Un collegamento con il Don Giovanni , e con Le nozze di Figaro , ugualmente di Mozart-Da Ponte, viene fatto anche per Andrea Sperelli:"Egli aveva in sé qualche cosa di Don Giovanni e di Cherubino: sapeva essere l'uomo di una notte erculea e l'amante timido, candido, quasi verginale.( Il piacere , p. 19)

[36]Baudelaire, op. cit., p. 1152.

[37]Don Giovanni  di Mozart-Da Ponte, II, 19.

[38] Trad. it., Rizzoli, Milano, 1974, p. 22.

[39]Alcibiades , 10, 6.

[40]Tucidide, VI, 17.

[41] J. de Romilly, Alcibiade , p. 23.

[42]Cfr. Aristofane, Rane , 1423.

[43]Pericle, di cui Plutarco (Vita di Pericle , 3) racconta che la madre Agariste, prossima a partorirlo, sognò di generare un leone.

[44]Tucidide, II, 41.

[45]O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray , in Wilde Opere , trad. it. Mondadori, Milano, 1982, p. 32.

[46]Arthur Schnitzer, Il ritorno di Casanova , trad. it., Bompiani, Milano, 1982, pp. 1-2.

[47] Plutarco,  Vita di Alcibiade , 16.

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