martedì 8 agosto 2023

Ovidio e il gioco amoroso.

Passiamo a Ovidio. In questo poeta la tragedia amorosa diventa lusus , e il dio doloroso, o piuttosto il demone del dolore, il "daivmwn ajlginovei""[1], che induce alla sofferenza Medea ancora giovinetta, quindi condurrà la madre alla follia infanticida, diventa un dio ludico nelle mani del tenerorum lusor amorum[2], cantore dei teneri amori.

Eros è un demone anche secondo l'opinione di Diotima nel Simposio platonico ma un Daivmwn mevga" , un Demone grande, che, come tutto ciò che è demonico è intermedio tra divino e il mortale (202e). Chi  è sapiente in questo è un uomo demonico continua Diotima (203a) e Ovidio, aggiungo io, si intende di Amore come di un demone piacevole e giocoso.  

"Il suo, dunque, sarà un lusus  ricco di raffinatezza e di eleganza, pervaso di sottile ironia nei confronti dei predecessori"[3].

Amore come dio giocoso appare già in Anacreonte che nel fr. 5 D. rappresenta Eros chiomadoro mentre con una palla purpurea colpisce il poeta, ormai vecchio, e lo invita a giocare con una fanciulla dal sandalo variopinto; il gioco del resto non esclude la tristezza poiché la ragazza di Lesbo critica la chioma oramai bianca dello spasimante anziano e rimane a bocca aperta davanti a un'altra.

Eros che vuole giocare a palla viene ripreso da Apollonio Rodio: nelle Argonautiche Afrodite promette al figlio che, se farà innamorare  Medea di Giasone, gli regalerà una palla fatta di cerchi dorati che lanciata lascia nell'aria un solco splendente, come una stella (III, v. 141).

Allora il fanciullo pregava la madre di dargliela subito (v. 148).  

 

Alla fine dell'Ars Amatoria  leggiamo:"Lusus habet finem...Ut quondam iuvenes, ita nunc, mea turba, puellae/inscribant spoliis Naso Magister Erat " (III, 809 e 811-812), il gioco è finito...Come una volta i giovani, così ora le ragazze, mio seguito, scrivano sulle prede Nasone Fu Il Maestro.

Di questo magistero amoroso impartito ai giovani, maschi e pure femmine, il poeta dovrà pentirsi e dolersi: nei Tristia  scritti in esilio (11-12 d C.) ricorda che duo crimina lo hanno mandato in rovina: carmen et error (II, 207); l'error è uno sbaglio, mai chiarito, nei rapporti del poeta con l'imperatore che ne è rimasto offeso   e il  carmen  turpe è Ars Amatoria  per la quale Ovidio viene accusato di essersi fatto maestro di immondo adulterio:"arguor obsceni doctor adulterii " (II, 212).

 

Il lusus si è capovolto in dolore tragico: viceversa nel Macbeth la tragedia dell'assassinio del re diviene parte del grande gioco tragico del potere:"There's nothing serious in mortality, All is but toys", (II, 3), non c'è più niente di serio nella vita mortale, tutto è un giocattolo. Nella tragedia subito precedente, Re Lear [4], Gloucester cui sono stati strappati gli occhi come vile gelatina (III, 7) attribuisce con sarcasmo tale atteggiamento ludico agli dèi monelli:"As flies to wanton boys, are we to the gods, They kill us for their sport " , come mosche per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro passatempo.

E' un'amara sconsacrazione del divino il cui archetipo si può trovare nell'Oreste[5] del "sacrilego" Euripide, quando Apollo chiarisce che i numi si sono serviti della bellezza di Elena per causare morti in modo da eliminare l'oltraggio dell'eccessiva abbondanza dei mortali sulla terra (vv. 1640-1642).

 La stessa spiegazione si trova nel prologo dell'Elena[6] dove la protagonista spiega che a suscitare la guerra tra gli Elleni e i Frigi infelici furono i disegni di Zeus che volle alleggerire la madre terra della massa numerosa dei mortali (vv. 37-40).        

 

 L'Ars amatoria  (in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne.

Questa raccolta a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. 

"La disinvoltura con cui la materia viene trattata indica il distacco che si è consumato nei confronti della precedente esperienza elegiaca. Il protagonista degli Amores [7] è anticonformista, spregiudicato, libertino, impertinente: e poiché non prende sul serio la morale tradizionale romana, e neanche fa dell'amore un mondo di valori nuovi e alternativi rispetto a quelli dominanti nella tradizione e nella società, tutto per lui diventa un lusus  elegante e raffinato. L'esito naturale di questa nuova interpretazione dell'elegia sarà la didascalica amorosa dell'Ars amatoria  e dei Remedia amoris  costruiti per gioco sul modello della poesia didascalica seria, questi trattati si proporranno esplicitamente di insegnare l'uno il codice erotico della società galante, gli altri gli antidoti contro la seduzione insegnata"[8]. 

 

Il gioco sofistico già presente nel Discorso ingiusto delle Nuvole di Aristofane canzona e sbeffeggia la castità .

Anche nella poesia erotica greca e latina chi ama si appella topicamente agli amori di Zeus. Per esempio nell'VIII idillio di Teocrito il bovaro Dafni canta:"w\ pavter w\ Zeu', ouj movno" hjravsqhn: kai; tu; gunaikofivla"" (vv. 59-60), o padre Zeus, non mi sono innamorato solo io: anche tu sei amante delle donne.

Il Discorso ingiusto delle Nuvole dunque si volge al ragazzo e "lo invita a riflettere come il risolversi per la sophrosyne [9] implichi la rinuncia a tutti i piaceri dell'esistenza. E per giunta sarà indifeso quando, per le "necessità di natura", faccia un passo falso e non sia in grado di difendersi. "Se sei in buoni termini con me, lascia pur libero corso alla natura, salta e ridi, non ritenere nulla biasimevole. Se sei accusato d'adulterio, nega ogni colpa e appellati a  Zeus, che non sapeva tener testa neanche lui ad Eros e alle donne. E tu, uomo mortale, come dovresti esser più forte d'un dio?". E' la stessa argomentazione che Euripide attribuisce a Elena nelle Troiane e alla nutrice di Fedra nell'Ippolito . Essa culmina in ciò che il Logos Ingiusto, con la lode della propria morale rilassata, suscita le risa del pubblico e dichiara poi che quanto è praticato dalla gran maggioranza del rispettabilissimo popolo è impossibile sia vizio"[10]. 

 

Ma torniamo a La Penna e al tema della rusticitas :" Non solo le goffe e rozze sabine, ma anche eroine greche fanno le spese della satira contro la rusticitas . Per esempio, sarebbe interessante vedere come vengono trattate nelle opere erotiche di Ovidio Penelope, Andromaca, Tecmessa. Mi limito a un solo esempio: è Penelope stessa a dirci che cosa pensa di lei il suo raffinato ed esperto marito (Her.  I. 77 sg.) : Forsitan et narres quam sit tibi rustica coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes " (p. 186), forse a lei[11] racconti quanto sia rozza tua moglie, la quale soltanto alla lana non permette di essere ruvida.      

"Ma nel mito greco si possono trovare ben altre figure femminili adatte a simboleggiare e a proclamare il libero e raffinato gusto moderno. In un'eroina del genere è trasformata la tragica Fedra, che interpreta a suo modo il passaggio dal regno di Saturno al regno di Giove: quello fu il regno della pietas  e della rusticitas , questo il regno della libertà e del piacere (Her. 4. 131 sgg.): Ista vetus pietas, aevo moritura futuro,/rustica Saturno regna tenente fuit;/Iuppiter esse pium statuit quodcumque iuvaret/et fas omne facit fratre marita soror " (p. 187), questa vecchia bontà destinata a morire in futuro, c'era quando Saturno governava rozzi regni; Giove stabilì che fosse buono tutto quanto piaceva e rende del tutto naturale che la sorella sia sposata al fratello. La cretese innamorata ovviamente scrive a Ippolito per convincerlo a soddisfare i suoi desideri come del resto fece il toro con sua madre, Fedra:" Flecte, ferox animos: potuit corrumpere taurum/mater: eris tauro saevior ipse truci? " (vv, 165-166), piega superbo i tuoi sentimenti: mia madre poté sedurre un toro: sarai tu più feroce di un toro tremendo?

 E' questo il mito, irriso da Ovidio, delle Cretesi sporcaccione, nato, probabilmente, quando i guerrieri micenei, poco dopo la metà del secondo millennio, invasero Creta e videro le raffigurazioni di donne troppo libere e discinte rispetto ai loro canoni. 

 "Paride, per riguardo di Elena, non tratta Sparta come la lena  trattava le sabine di Tazio, ma la ritiene indegna della bellezza di Elena (Her. 16. 191 sgg.): Parca sed est Sparte, tu cultu divite digna;/ad talem formam non facit iste locus;/hanc faciem largis sine fine paratibus uti/deliciisque decet luxuriare novis./Cum videas cultus nostra de gente virorum, qualem Dardanias credis habere nurus?  "[12]  , ma Sparta è scarsa, tu sei degna di ricca raffinatezza; a tale bellezza non si addice questo luogo; a quest'aspetto si confà l'uso di vesti infinitamente copiose e abbondare di delizie mai viste. Vedendo l'eleganza degli uomini della nostra gente, quale credi che abbiano le ragazze troiane?

 Questo fu uno degli argomenti, o dei pensieri, che spinsero Elena all'adulterio secondo Ecuba la quale, nelle Troiane  di Euripide, accusa la maliarda di avidità non solo sessuale: la moglie di Menelao fu attirata dallo splendore di Paride: tanto da quello della bellezza quanto da quello delle ricchezze che il principe troiano portava con sé e che possedeva a Troia dove l'oro scorreva a fiumi.

 A Sparta, infatti, le rinfaccia la vecchia regina, vivevi con poco ("mivkr j e[cousa", v. 993) e abbandonata la famiglia sperasti di sommergere nel tuo fasto ("h[lpisa" katakluvsein-dapavnaisin", vv. 995-996) la città dei Frigi dove l'oro scorreva . Infatti non ti bastavano le dimore di Menelao per trasmodare nei tuoi lussi ("tai'" sai'" ejgkaqubrivzein trufai'"", v. 997:  il verbo accusa Elena di u{bri" , il peccato dei Greci)

Questa è la requisitoria della regina dolente che conclude con una richiesta di condanna a morte.

Torniamo ai suggerimenti di Ovidio. 'L'ambiguità giocosa investe, naturalmente, anche l'Ars amatoria...Il pudor  è bandito come rusticus , almeno da una certa fase in poi della strategia di conquista della donna"[13] .

  "La strategia amorosa si sa adoperare soltanto quando non si è innamorati"[14]. Da questa affermazione deduco che Pavese non si intendeva di amore e di donne.

 Ovidio consiglia al corteggiatore l'audacia e la facondia che sarà nutrita dalla forza del desiderio: è il rem tene verba sequentur  di Catone trasferito in campo erotico:"fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars Amatoria , I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo. Per la conquista parlare è decisivo: la parola audace e suadente metterà in fuga il rusticus Pudor :" Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat ", I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.

Pesaro 8 agosto 2023 ore 12, 12 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]Apollonio Rodio, Le Argonautiche , IV,  64.

[2] Tristia, IV, 10, 33.

[3]P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica, 1, 156.

[4] Del 1605

[5] Del 408 a. C.

[6] Del 412.

[7] In distici elegiaci. Composti tra il  18 e il 15 a C. in 5 libri, poi rielaborati e ridotti a tre, intorno all'1 a. C.

[8]G. B. Conte, Scriptorium  2, p. 164.

[9]castità.

[10]W. Jaeger, op. cit., p. 631.

[11] Ossia alla straniera che ti tiene peregrino amore , v. 76, lo stesso tipo relazione, si ricorderà, che Deianira rinfaccia a Eracle in Heroides  IX, 49.

[12]La Penna, op. cit., p. 187.

[13]La Penna, op. cit., p. 187.

[14] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 24 ottobre 1940.

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