martedì 3 ottobre 2023

Altra donna malmaritata: Deianira, protagonista della tragedia le Trachinie di Sofocle.

 

La donna imita la terra secondo Platone

 

Ancora più infelice della donna abbandonata dunque è la donna malmaritata, costretta o indotta a sposare un uomo che non le piace, mentre magari le piace un altro.

 

Vero è che Acheloo avrebbe potuto pensare, come Lucio, trasformato in asino e in procinto di avere un rapporto sessuale con una donna, di non essere comunque peggiore del ganzo di Pasife[1], ma a Pasife era attratta dalla bestia mentre Deianira non gradiva tal genere di amanti, e forse avrebbe considerato il Minotauro "Veneris monimenta nefandae ", (Eneide , VI, 26), ricordo di una Venere infame, il mostro , "conceptum crimine matris/semibovemque virum semivirumque bovem "[2], concepito dal crimine della madre, la stessa Pasife, l'uomo semibove e il bove semiuomo

.

 

Sulla Deianira di Sofocle sentiamo U. Albini: "Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[3], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine (v. 517 ss.). Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire"[4]. La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Trachinie , 517-518). 

 

La Deianira delle Heroides  [5] di Ovidio,  lontana da Eracle occupato a inseguire  terribili fiere, e altre donne, è ossessionata dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare:"inter serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39-40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[6] pronti ad attaccarsi con tre bocche. Senza contare gli amori con le straniere:"  peregrinos addis amores "(v. 49) 

  

All'inizio delle Trachinie di Sofocle, la moglie lasciata sola per quindici mesi lamenta l'assenteismo coniugale di Eracle il quale, come eroe, è impegnatissimo, ma come marito si comporta alla pari di un colono che, avendo preso un campo lontano (a[rouran e[ktopon labwvn, v. 32) va a vederlo solo un paio di volte all'anno, una quando semina e una quando miete:"speivrwn movnon prosei'de kajxamw'n[7] a{pax,", (v.33).

 Pure Eracle dunque è stato un pretendente mostro poiché ha dimenticato Deianira.

 

Il mnhsthvr compiuto infatti deve essere dotato di memoria , mnhvmh , che deriva dalla stessa radice mnh-/mna , come pure mnavomai, penso, e  quindi non può non pensare alla donna che corteggia, mentre l'eroe della stirpe dorica la utilizza come animale riproduttivo, anzi come terra arabile (a[roura).

 

   

A questo proposito è interessante un excursus sull 'assimilazione della donna alla terra.

  Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni scrive:"L'assimilazione fra donna e solco arato, atto generatore e lavoro agricolo, è intuizione arcaica e molto diffusa" (p. 265). A sostegno di questa affermazione cita diversi testi, tra i quali l'Edipo re  ( "pw'" pote pw`~ poq j  aiJ patrw'/ -aiv s j a[loke" fevrein, tavla",- si'g  jejdunavqhsan ej" tosonde;" quarto stasimo,  vv. 1211-1213, come mai i solchi paterni- ossia già seminati dal padre- poterono, infelice, sopportarti fino a tanto silenzio?), e i versi delle Trachinie  (32-33) ricordati sopra.

 

 Per quanto riguarda l'identificazione più precisa della donna con il solco, Eliade cita il Codice di Manu  (IX,33) dove sta scritto:"La donna può essere considerata come un campo; il maschio come il seme"; inoltre un proverbio finlandese che fa:"Le ragazze hanno il campo nel loro corpo". A queste testimonianze  possono essere aggiunte altre, antiche e moderne, per mostrare quanto tale idea sia davvero diffusa nella mente umana, soprattutto in quella maschile.

Eschilo ne I sette a Tebe  (vv.751 e sgg.) dice, riferendosi a Laio, che egli fece nascere il destino per sé, Edipo parricida, il quale a sua volta osò seminare il sacro solco della madre dove fu generato (matro;" aJgna;n-speivra" a[rouran, iJvn& ejtravfh), e la pazzia unì gli sposi dementi.

Tale assimilazione serve ad alcuni personaggi tragici per svalutare la figura materna.

Euripide nelle Fenicie (del 410) riprende, fecendo delle varianti, l'argomento della tragedia di Eschilo e ricorda, attraverso Giocasta, il responso di Febo che prescrisse a Laio:"mh; spei're tevknwn a[loka daimovnwn biva/" (v. 18), non seminare il solco dei figli a dispetto degli dèi, e il figlio Oreste  (del 408) usa questo tovpo" per attenuare la colpa del matricidio: dice al nonno materno Tindaro che il padre lo generò, mentre la madre non ha fatto che partorirlo: ella è stata solo il campo arato che ha preso il seme da un altro:"to; sperm j a[roura paralabous j a[llou pavra" (v. 553).

 E' la stessa ragione addotta da Apollo nelle Eumenidi (del 458) di Eschilo per minimizzare il delitto del matricida:"La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv")/ma la nutrice del feto appena seminato (trofo;" de; kuvmato" neospovrou)/ il maschio che la monta genera; quella è come un ospite con un ospite"(658-660).

La madre non è indispensabile continua Febo:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio/la quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero,/ma è come un virgulto che nessuna dea avrebbe potuto partorire"(664-666).

In questi tre versi si vede la paura dell'uomo per l'oscurità della donna che è poi la zona oscura di se stesso, la propria parte femminile.  

Tra gli autori latini Lucrezio (94-50ca a. C.), forse sotto la scorta di Euripide[8] interpreta la "deum mater " (II, 659), come la divinizzazione della terra[9]. Questa parentela stretta tra la femmina umana (o divina) e la terra, è messa in rilievo anche da non pochi autori moderni.

Kierkegaard nel Diario del seduttore  (1843) indica e sottolinea la vicinanza della ragazza alla natura:" ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di vegetativo"(p.138) .

Su questa linea si trova anche J. J. Bachofen, l'autore di Das Mutterrecht [10] (1861), che vede nel matriarcato il prevalere del diritto naturale, e nel patriarcato di quello positivo, in quanto "la donna è la terra stessa. La donna è il principio materiale, l'uomo è il principio spirituale...Platone nel Menesseno  (238a) dice-non è la terra a imitare la donna, ma la donna a imitare la terra-".

Del resto non bisogna dimenticare che, se nel Menesseno  Platone (427-347 a. C.) scrive (precisamente) :"ouj ga;r gh' gunai'ka memivmhtai kuhvsei kai; gennhvsei (nella gravidanza e nel parto), ajlla; gunh; gh'n", nel Menone il filosofo ateniese afferma che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", 81d) e, dunque, anche l'uomo è stretto parente della grande madre e della natura in genere.

Tant'è vero che Saffo (VII-VI sec. a. C.) in un frammento di epitalamio paragona lo sposo a un giovane ramo flessibile:"A chi, caro sposo, posso paragonarti bene?/A un ramoscello flessibile ti paragono benissimo" fr. 127D..

Tale  tovpo", espresso con qualche benevolenza verso le femmine umane dal filosofo danese e in maniera ambivalente, non priva di contraddizioni da Bachofen,  assume aspetto malevolo, decisamente antifemminista in Otto Weininger, l'autore di Sesso e carattere, morto, forse non a caso, suicida nel 1903, a soli ventitré anni. Secondo lo scrittore austriaco " le donne stanno incosciamente più vicine alla natura che non l'uomo. I fiori sono i loro fratelli"(p.293);  e, più avanti (p.296), :"l'uomo è forma, la donna è materia...la materia vuole essere formata: perciò la donna pretende dall'uomo la delucidazione dei suoi pensieri confusi".

 

Può sembrare offensiva questa idea della naturalezza della donna , eppure Odisseo elogia Nausicaa in modo da lei gradito dicendole:"Non ancora infatti una tale creatura io vidi con gli occhi/,né uomo né donna: venerazione mi prende a guardarti./Invero una volta a Delo presso l'altare di Apollo siffatto/ vidi alzarsi un nuovo virgulto di palma" (foivniko" nevon e[rno", Odissea  VI, vv. 160-163)

.Si può continuare la rassegna, certo parziale e limitata, con un altro autore austriaco, uno dei massimi del Novecento, Robert Musil (1880-1942) che, nel romanzo L'uomo senza qualità , compie l'operazione inversa: assimila la terra alla donna. "Ulrich la trattenne e le mostrò il paesaggio.-Mille e mille anni fa questo era un ghiacciaio. Anche la terra non è con tutta l'anima quello che momentaneamente finge di essere-egli spiegò-. Questa creatura tondeggiante è di temperamento isterico. Oggi recita la parte della provvida madre borghese. A quei tempi invece era frigida e gelida come una ragazza maligna. E migliaia di anni prima si era comportata lascivamente, con foreste di felci arboree, paludi ardenti e animali diabolici"( p.279). A proposito di riscaldamenti o raffreddamenti globali.

Procedo citando D'Annunzio: nel romanzo Il Piacere (1889) Andrea Sperelli dichiara che "fra i mesi neutri" aprile e settembre preferisce il secondo in quanto "più feminino...E la terra?-aggiunge- Non so perché, guardando un paese, di questo tempo, penso sempre a una una bella donna che abbia partorito e che si riposi in un letto bianco, sorridendo d'un sorriso attonito, pallido, inestinguibile. E' un'impressione giusta! C'è qualche cosa dello stupore e della beatitudine puerperale in una campagna di settembre!"(p. 169).

 Nel successivo Il Fuoco (1890) l'amante non più giovane, la grande attrice tragica Foscarina, viene assimilata, tra l'altro, a "un campo che è stato mietuto"(p. 306).

Infine cito una poesia di Gabriel Zaid "poeta messicano della generazione del Trenta" che ho trovato nel Lunario dei giorni d'amore donatomi da una donna con la dedica "Neanche un giorno di non amore". Voglio dire che è l'amore che fa leggere, che fa scrivere, oltre far andare in bicicletta e tutto il resto. E' l'amore che fa vivere, "l'amor che move il sole e l'altre stelle"[11].

Leggiamo dunque la poesia messicana L'offerta:" La mia amata è una terra che ripaga./ Non si perde mai quello che in lei si semina./Qualunque fede posta in lei fruttifica./Anche la minima parola in lei dà frutto./Tutto in lei s'adempie, tutto giunge all'estate./E' carica di doni, prodiga e matura./Le sue labbra emanano una grazia che ripaga./I suoi occhi, il suo seno, i suoi atti, il suo silenzio./Le ho dato ciò che è suo, per questo me lo rende./E' l'altare, la dea e il corpo dell'offerta"[12].

Per concludere: oggi è vitale per la sopravvivenza della specie umana che gli uomini sentano di essere tutti figli della grande madre terra non i suoi sfruttatori o magnaccia che dire si voglia.

Bologna 3 ottobre 2023 ore 10 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1]" ejnnouvmeno" wJ" oujde;n ei[hn kakivwn tou' th'" Pasuvfah" moicou'", Luciano ? (120-190 d. C.), Lucio o l'asino , 51. il ganzo di Pasife come si sa era un toro.

[2]Ovidio, Ars Amatoria , II, 23-24.

[3] Il centauro Nesso.

[4]U. Albini, Interpretazioni teatrali , Le Monnier, Firenze, 1972, p. 59.

[5]Sono  lettere d'amore di donne amanti di eroi, e altre  lettere di uomini a donne del mito con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I-XV) uscì secondo alcuni attorno al 15 a. C. ,  fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione degli Amores  (1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C.  Il secondo gruppo di epistole doppie ( XVI-XXI) fu composto poco prima dell'esilio (tra il 4 e l'8 d. C.). Il metro è il distico elegiaco.

[6]Come Cerbero, il cane di Ades, dal ringhio metallico.

[7] Crasi di kai; ejxamw'n.

[8]Cfr. Baccanti, vv.275-276:" Dhmhvthr qeav-gh' d'& ejstivn, o[noma d& oJpovteron bouvlh/ kavlei", la dea Demetra, è la terra, chiamala con il nome che vuoi, e le Fenicie, vv.685-686:"Damavtar qeav,-pavntwn a[nassa, pantwn de; Ga' trofov"", la dea Demetra, signora di tutti, la Terra di tutti nutrice.

 

[9]Per tutto l'episodio cfr. De rerum natura, II, 600-660.

[10]Trad. it. , antologica, Il potere femminile, pp.76-77)

[11] Dante, Paradiso, XXXIII, 145.

12  G. Davico Bonino (a cura di) Lunario dei giorni d'amore .p. 137.

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