lunedì 30 ottobre 2023

Ifigenia L. la casa di Pesaro 1. Ora comprendo

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Il 24 dicembre andai a Pesaro. La casa dove ho abitato dal 1946 al 1963 può essere paragonata all’inferno dei poeti greci e latini. Negli anni Cinquanta con me e mia sorella ci abitavano stabilmente i nostri nonni materni e
 due delle loro figliole diffidando ciascuno degli altri, di se stesso e dell’intero genere umano. I più anziani, la nonna Margherita e il nonno Carlo  detto Carlino, litigavano quasi sempre e venivano spesso ingiuriati dalle figliole presenti: la più attempate e la più giovane delle loro cinque figlie. Avevano avuto anche un maschio come sesto, Luigi detto Gigi, che però come ogni gli uomini che mettesse piede in casa nostra era poco considerato.
La vittima bersagliata da tutti era Carlino che ogni giorno durante i pasti veniva assalito dalla moglie, poi dalle figlie che imitavano la madre, una donna piena di risentimento  contro il marito perché lui nel 1900 aveva sottratto lei diciottenne a una cospicua famiglia di proprietari terrieri agognandone la possidenza. Il padre della nonna  possedeva 500 ettari.
La nonna Margherita teneva stretta la roba e maltrattava Carlino che da tale connubio mal calcolato non aveva tratto vantaggi bensì umiliazioni .
Questo è l’ambiente dove sono cresciuto in assenza di padre. La madre mia l’aveva lasciato tornando nella casa dei suoi genitori portandomi con sé quando avevo un anno e cinque mesi.
Da queste vicende derivano le mie malattie spirituali e pure  l’accanimento nel volere rifarmi, cioè recuperare l’Amore, la Bontà e l’Intelligenza  che mi erano stati negati quando vivevo in quella bolgia, prima senza aiuto, poi  con il conforto delle gare ciclistiche vinte sulla Panoramica e degli ottimi risultati scolastici nelle elementari Carducci, nelle medie Lucio Accio e nel Liceo Terenzio Mamiani. Dopo la maturità partìi per Bologna dove rimasi a studiare Lettere antiche.
Durai fatica a intessere una vita adatta alle mie capacità ma infine vi sono riuscito.
La pena di cui mi ero investito per anni è la più grave di tutte: non con l’enorme macigno che pende dal cielo sul capo, non con gli avvoltoi che penetrati nel petto divorano il cuore, non con il terrore del cane tricipite dal ringhio metallico, né delle fetide Arpie, delle Erinni odiose che rinfacciano tutte le colpe, non con l’orrore del Flegetonte tartareo che rumoreggiando travolge anche le rupi nella sua rapina, non con l’attesa di questi tormenti pagano il fio quanti prendono a calci l’altare santo della Giustizia, ma con l’insaziabile fame e l’inestinguibile sete di amore
Discite iustitiam moniti et non  temnere divos[1].
Le smisurate  sofferenze  patite tra i 19 e i 21 anni quando mi recavo al porto di Pesaro o sull’argine del Reno
 “pensoso di cessar dentro quell’acque
 la speme e il viver mio”[2]
mi hanno insegnato la solidarietà con i sofferenti della terra.
Mio nonno Carlino era un uomo buono da vecchio e maltrattato. Anche da me: ero bravo a scuola ma non capivo. Ora comprendo e credo, sono certo che mi ha perdonato.
 
Bologna 30 ottobre 2023 ore 20, 50 
giovanni ghiselli
 
p. s.
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[1] Virgilio, Eneide, VI, 620, imparate la Giustizia una volta avvisati e non disprezzare gli dèi.
[2] Leopardi, Le ricordanze, 108-109

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