venerdì 4 aprile 2025

Ifigenia XV. Azioni e parole tanto liete quanto oneste.


 

Finite le congratulazioni reciproche, ci abbracciammo, poi ci stendemmo longitudinalmente sul lenzuolo scoperto, quindi ci strofinammo a vicenda senza arrivare alla compenetrazione dei corpi né alla fusione delle anime siccome temevo che Ifigenia condividesse la superstizione allora di moda tra certe femministe  per cui la penetrazione, anche se desiderata da entrambi, sarebbe comunque un atto di violenza brutale perpetrata dall’organo  notoriamente guerrafondaio dei maschi.

Ma Ifigenia non era il tipo che seguiva le mode, anzi aveva il coraggio di fare quanto le andava, perciò dopo alcuni minuti di eccitazione controllata e trattenuta con fatica, ruppe ancora una volta gli indugi: “gianni, non credi che sarebbe più bello fare l’amore invece di questa ginnastica da camera?

I preservativi li hai?”

Quel plurale mi garbò molto: la giovane si aspettava una frequenza  almeno iterata da parte mia anche se non ero più un garzoncello né un forosetto,  ma uno studioso del resto non  ingobbito nel corpo e nemmeno nell’anima.

I preservativi li avevo poiché dopo il coitus interruptus foriero di aborto e dolore nel 1974 li avevo  usati ogni volta che con ciascuna delle mie donne si faceva il massimo: ejpravcqh ta; mevgista[1].

 Mentre maneggiavo il  profilattico con attenzione, pensavo comunque che Ifigenia aveva ragione tutte le volte che confutava le mie azioni contorte con la forza della sua diretta semplicità da forosetta bella, lei sì. Sicché il primo novembre dell’anno di nostra salvazione 1978 facemmo l’amore con immensa soddisfazione, alla brutta faccia del buio e di quanti lanciano l’invidioso malocchio sulla gioia della vita terrena calunniandola con la loro impotenza foriera di risentimento. Ripetemmo il tripudio varie volte, e fatti i conti,  puerilmente dicemmo che avevamo raddoppiato la sufficienza fissata a tre: “non meno di tre” avevamo promesso.

So bene che non è elegante scrivere questo ma se posso accampare una scusa lo faccio ricordando tutte le spine che mi avevano ficcato nel cervello i cattivi maestri della mia mala educazione sessuale. Carnefici di tante delle miei gioie.

 Questa volta però eravamo felici entrambi per avere centrato un bersaglio mirato da tempo, per avere compiuto una trasgressione piacevolissima e santa alle regole che volevano soffocare la nostra vita anelante all’amore: avevamo vinto una gara davvero olimpica lasciando dietro di noi, molto indietro, i malevoli, i  sacerdoti non santi, anzi empi calunniatori della bellezza, della libertà, della salute. Lo facevano anche nel nome di Cristo che predicava l’amore e perdonava prima di tutti quelli che avevano amato molto. Donne prima peccatrici, adultere, ragazze madri comprese.

Ifigenia mi domandò se fossi cristiano. “No- risposi-  sono piuttosto cristesco”.  Poi aggiunsi: “l’unico vero cristiano venuto al mondo l’hanno crocifisso”. Eravamo contenti di noi.

Negli agoni seguenti ci saremmo uniti e amati ancora di più, credevamo,  e avremmo trovato altri scopi comuni, più avanzati, e stimolanti a procedere ancora verso mete sempre più nobili e alte. Quindi avremmo potuto educare i nostri simili e non solo a scuola. Io volevo scrivere, lei recitare.

Tali pensieri onesti e lieti ci scambiammo, assai felici di quel pur vago avvenire che avevamo in mente.

Bologna 4 aprile 2025 ore 19, 03  dicembre 2024 ore 18, 25. giovanni ghiselli.

p. s.

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[1] Cfr. Teocrito II idillio, le Incantatrici  (Farmakeuvtriai,  143)

Lisistrata XIX e XX. La Pace.

Aristofane Lisistrata XIX. La resa senza condizioni degli uomini guerrafondai alle donne fautrici di pace.

 

 

Il pritano  chiede all’araldo spartano che i Laconi mandino aujtokravtora" prevsbei", ambasciatori con pieni poteri per la pace.

 

Il corifeo  dice che non c’è belva più insuperabile della donna, neppure il  fuoco,  e nessuna pantera così svergognata-oujde; pu'r, oujd j w|d j ajnaidhv" oujdemiva pavrdali"-  (1015).

 

La corifea domanda al corifeo perché le muova guerra, visto che capisce la forza di lei e che potrebbe farsela amica.

Il vecchio risponde: “wJ" ejgw; misw'n gunai'ka" oujdevpote pauvsomai ” 1018), perché non cesserò mai di odiare le donne.

 

E’ una risposta alla maniera del personaggio Ippolito di Euripide: “misw'n   d j ou[pot j ejmplhsqhvsomai-gunai'ka" ”( Ippolito, 664-665), non sarò mai sazio di odiare le donne.

 

La corifea a questo punto gli fa un piacere infilandogli addosso una tunica e togliendogli un moscerino dall’occhio.

Il vecchio ne trae beneficio: la zanzara ejmpiv" ejfrewruvcei [1]- mi trivellava l’occhio come un pozzo. (1033). La vecchia lo bacia anche, e lui dice che le donne sono qwpikai; fuvsei, adulatorie per natura- qwpeuvw- 1037

Quindi il vecchio che litiga con la vecchia non senza qualche accenno di corteggiamento reciproco, le dice “né con le pesti né senza le pesti” (1039).

 

 

 

Il vecchio corifeo dunque vuole fare la pace ricordando il detto “né con le pesti né senza le pesti” (Lisistrata, 1039) . Insomma, le donne sono un male necessario.

 

Quindi i due semicori uniti  intonano un canto di conciliazione (1043-1071) .

I coreuti vecchie e vecchi proclamano la loro assenza di intenzioni cattive, al contrario vogliono fare solo cose buone: infatti bastano i mali che già ci sono- ijkana; ga;r kai; ta; parakeivmena- 1048. Si potrebbe ricordare a chi vuole il riarmo oggi.

 

Nell’Ecuba di Euripide la vecchia regina supplica Odisseo di non ammazzare la figlia Polissena con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti. 

Questa considerazione dovrebbe tenerci lontani dai conflitti reciproci sempre e comunque.

 

I coreuti sono pronti ad aiutare chi è senza denaro. E, se apparirà la pace, chi ha avuto il soccorso di due o tre mine, non dovrà restituirle.

Hanno invitato a pranzo ospiti di Caristo, nell’Eubea che avevano fama di essere gente lasciva. La pace si associa sempre al godimento. C’è da mangiare della polenta  un porcello- delfikovn (1061) sacrificato, e altra roba buona e bella si può gustare per giunta.

La festa è sempre associata al mangiare. Sono invitati gli spettatori naturalmente  purché vengano lavati.

 

Ricorderete che nelle Nuvole Socrate e i socratici sono accusati di scarsa pulizia anche corporea, quale correlativo somatico, oggettivo, della sporcizia mentale.

 

Ripuliti, gli invitati potranno entrare.

L’ultimo verso dei due semicori uniti è un ajprosdovkhton, una contraddizione inaspettata: quindi la porta sarà già stata chiusa- hJ quvra kekleivsetai 1071. Una battuta poco chiara. Forse intende dopo che gli ospiti saranno entrati. Oppure chiusa alla guerra.

 

Arrivano gli ambasciatori plenipotenziari spartani con barba e un porcile intorno alle cosce per nascondere l’erezione.

Lo spartano indica la loro situazione fallica e il corifeo ateniese dice che quel coso sembra essere infiammato di brutto e anche peggio-deinw'" teqermw'sqaiv te cei'ron faivnetai- (1079).

Il Lacone chiese la pace a qualsiasi patto.

Sopraggiungono gli autoctoni ateniesi  con la tunica scostata dal ventre, mostrando l'erezione come lottatori: “questa è una malattia da atleti” commenta il corifeo.

Forse quando si esercitavano per le gare dovevano astenersi dal sesso.

Il corifeo rileva l’erezione e il presidente ateniese  dice che non ne possono più della castità: se le donne procederanno con lo sciopero Kleisqevnh binhvsomen (1092), fotteremo Clistene.

E’ l’ omosessuale infamato già nei Cavalieri (1374) e nelle Nuvole (365).

Oltretutto aggiunge il corifeo c’è il pericolo degli ermocopidi che hanno la mania di tagliare. Un pericolo di castrazione dunque. Allude alla mutilazione delle erme di cui venne accusato Alcibiade alla vigilia della spedizione in Sicilia (415).

Sicché  si rimettono a posto la tunica.

Spartani e Ateniesi dunque si trovano d’accordo sulla necessità di fare la pace.

Sicché le femmine hanno vinto la guerra e ricevono una resa senza condizioni.

Bisogna convocare Lisistrata. Questa esce dall’Acropoli ed entra in scena.   

La donna viene salutata dal corifeo come ajndreiotavth, la più virile: ora bisogna che sia terribile-deinhvn- e mite, buona e cattiva-ajgaqh;n fauvlhn- superba e amabile semnh;n ajganhvn, poluvpeiron, avvalendosi della tanta esperienza (1109.)

Eccoci qua conclude il corifeo, noi oiJ prw`toi tw`n  JEllhvnwn 1110, primi tra gli Elleni, vinti dal tuo fascino affidiamo a te la soluzione delle nostre contese.

Avvertenze: il blog contiene una nota e il greco non traslitterato

 

Bologna 4 aprile  2025 ore 18, 26 giovanni ghiselli

 

 

Aristofane Lisistrata XX. Lisistrata è maestra di Pace. Ricorda le benemerenze reciproche tra Ateniesi e Spartani,

 

Lisistrata dà lezione di buone maniere e di conciliazione a uomini e donne, a Spartani e Ateniesi. E’ la magistra pacis come Diotima nel Simposio platonico è la professoressa dell’amore

 

Lisistrata sostiene che non è difficile risolvere le contese se una ha a che fare con gente matura  che non cerca il cimento degli uni contro gli altri.

Tavca  d j ei[somai. Lo saprò presto.

  Domanda dove sia la Pace pou`  jstin hJ Diallaghv; la riconciliazione (1114);   quindi dall’alto scende con un argano una bella ragazza nuda che la personifica. Lisistrata le chiede di recarsi a Sparta, poi  di ritornare portando con sé gli Spartani, e la prega di farlo mh; caleph`/ th`/ ceiriv non con mano dura e arrogante, né come facevano i nostri uomini da ignoranti- ajmaqw`" 1117 bensì come conviene alle donne- 1116 ajll j wJ" gunai`ka" eijkov" (1119) in modo del tutto affabile- oijkeivw" pavnu, con tutta grazia.

 

Lisistrata biasima la cattiva educazione e la condanna come disdicevole e improduttiva. Il maleducato aggressivo è spesso un ignorante e un frustrato, ed è quasi sempre un debole.

 

 Del resto bisogna agire con decisione. E se qualcuno fa il cane e non ti dà la mano, prendilo per la coda (th'" savqh" a[ge 1119 cfr. saivnw scodinzolo).

Poi  la Pace dovrà portare  lì da Lisistrata anche gli Ateniesi

Quindi Lisistrata cita un verso di Melanippe la saggia di Euripide (fr. 487)

ejgw; gunh; mevn eijmi, nou'" d j  e[nestiv moi  (1124), sono una donna ma ho senno!

 

Queste citazioni dei tragici soprattutto di Euripide, rende l’idea di quanto dovevano essere popolari ossia noti al popolo le tragedie rappresentate.

 

Quindi Lisistrata rimprovera i maschi che vanno a purificare con l’acqua gli altari a Olimpia, alle Termopili, a Delfi, e in altri luoghi che sarebbe lungo elencare, e mentre incombono i nemici barbari con gli eserciti, voi -li apostrofa-  fate morire uomini e città della Grecia  [Ellhna" a[ndra" kai; povlei" ajpovllute (1135).

 

I veri nemici  vuole dire Aristofane sono i Persiani, anticipando l' Ifigenia in Aulide di Euripide di un lustro e Isocrate di vari decenni.

 

Il  Pritano ribatte  sono io che muoio, così arrapato (scappellato)- ejgw;  d j ajpovllumai ajpeywlhmevno" –ajpoywlevw- ywlhv , hJ-è il glande fuori dal rivestimenti.

 

Dovere della gratitudine

Lisistrata ricorda agli Spartani che Cimone portò 4000 opliti  ateniesi in loro aiuto contro i Messeni ribelli e o{lhn e[swse th;n Lakedaivmona (1144), salvò l’intera Sparta (cfr. Plutarco Vita di Cimone, 16;  Tucidide I, 102).

In quel tempo Messene incombeva sopra i voi e anche il dio con le scosse di terremoto-hj de; Messhvnh tovte- ujmi`n ejpevkeito cwj qeo;" seivwn a{ma- 1141-1142 

 

Era il 462 durante la III guerra messenica (464-455). A Sparta ci fu un terremoto che fece cadere anche alcune rocce del Taigeto. Si ribellarono gli iloti della Laconia, della Messenia e un paio di comunità perieciche dell’area montuosa. I Messeni si arroccarono sull’Itome 800 metri.

Cimone dunque portò un contingente atemiese in aiuto degli Spartani ma questi  temettero collusioni tra gli insorti e alcuni Ateniesi, sicché  il contingente di Cimone venne bruscamente rimandato a casa. Atene allora si alleò con Argo, con i Tessali  in senso antispartano e con Megara in funzione anticorinzia. Cimone venne ostracizzato nel 461. L’ostracismo serviva già a regolare i conti tra i partiti.

Ingratitudini reciproche

Lisistrata dunque rinfaccia questo aiuto dell'ateniese Cimone e l’ingratitudine degli Spartani che hanno devastato l’Attica più volte.

 Il Pritano le dà ragione. Lo Spartano ammette il loro torto e ammira il culo della Pace, indicibilmente bello: “ ajdikivome": ajll j oj prwktov" a[faton wJ" kalov" (1148)

Lisistrata poi, per par condicio, rimprovera gli Ateniesi ingrati verso gli Spartani che cacciarono Ippia nel 510 e liberarono la povli" dalla tirannide.

Quindi lo Spartano elogia Lisistrata come la donna più buona e il Pritano dice di non avere mai visto kuvsqon  kallivona 1158 una fica più bella (cfr. cunnus).

 

Ora euripidaristofaneggio, come Cratino.

Tale richiesta di pace si trova anche nelle Fenicie di Euripide rappresentate nello stesso periodo di tempo (tra il 411 e il 409).

Giocasta strappa a Eteocle l’aura eschilea del re preoccupato del bene comune. La madre contrappone all’ambizione del figlio  l’ jisovthς, l’uguaglianza, una norma del cosmo come si vede nella distribuzione di ore di luce e di buio, uguali nel corso dell’anno. La brama del più è invece il principio della discordia. Contro le trame oligarchiche.

 

 Tucidide ricorda che nello stesso governo dei Quattrocento prevalevano invidie e rancori poiché nessuno voleva l’uguaglianza ma ciascuno pretendeva di essere il primo. Tali sforzi portarono alla rovina di una oligarchia nata da una democrazia (VIII, 89, 3).

 

Giocasta dunque professa un atto di fede nella democrazia e nell’uguaglianza e nella pace.

Il più ha soltanto un nome: tiv d’ ejsti; to; plevon; o[nomj e[cei movnon ( 553) , poiché ai saggi basta il necessario (ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi'ς ge swvfrwsin 554), le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali (ou[toi ta; crhvmat j i[dia kevkthntai brotoiv  555), noi siamo curatori di cose che gli dèi possiedono (ta; tw'n qew'n d j e[conteς ejpimelouvmeqa, 556) e quando essi vogliono ce le ritolgono o{tan de; crhv/zw's j , au[t j ajfairou'ntai pavlin (557).

 Nella Consolatio ad Marciam  (10, 2) Seneca scrive:"mutua accepimus. Usus fructusque noster est ", abbiamo ricevuto delle cose in prestito. L'usufrutto è nostro

A Polinice Giocasta fa notare che i favori di Adrasto sono ajmaqei'ς cavriteς (569) favori disumani e tu sei venuto qua porqhvswn povlin a distruggere la città ajsuvneta, dissennatamente (Cfr. le Troiane).

Alla fine del Prologo,  Poseidone dice:

" E’ stolto tra i mortali chi devasta le città- mw`ro~ de; qnhtw`n o[sti~ ejkporqei`  povlei~-

consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri

dei morti: egli stesso  dopo deve morire” (vv. 95-97) .     

 

Euripide attraverso Giocasta si rivolge ai politici ateniesi di quegli anni: mevqeton to; livan, mevqeton ( imp. aor m. duale di meqivhmi. 584), abbandonate l’eccesso, abbandonatelo. E’ un monito alla parte oligarchica e a quella democratica.

 

Bologna 4 aprile  2025 ore 18, 09 giovanni ghiselli

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[1] frewrucevw, scavo pozzi-frevar-tov, pozzo.  Freatico-ojruvssw, scavo.

Ifigenia XIV. La Kore attica. Poi l’Afrodite di Cnido.


 

Ifigenia arrivò con la solita aria contenta, invitante, tanto che mi diede il coraggio di chiederle a bruciapelo se volesse venire subito a casa mia.

“Andiamoci tosto!”, rispose senza esitare, anzi con allegria.

Durante il percorso in automobile ci fu un leggero imbarazzo nell’attesa dell’evento fatale che poteva cambiarci la vita, forse in meglio. Facevamo commenti inutili sullo stato del tempo che non era buono: scendeva una fredda pioviggine da un cielo basso e tetro assai. Quando fummo entrati in casa, per prima cosa la guidai nello studio. Qui le indicai i miei non pochi libri di letteratura, storia, filosofia, religioni, arte, per un tempo non breve, come se lo scopo della visita fosse la biblioteca del bravo collega. Invece avevamo  già deciso entrambi di entrare nel mio letto quel pomeriggio stesso. Il tempo a sua disposizione non era  più lungo di tre ore, sicché sedetti presto sul divano posto di fianco al tavolo grande dei miei assidui lavori, la guardai con aria invitante e  distesi verso di lei le braccia con le mani aperte, pronte ghermire la deliziosa ragazza. Mi stava davanti, in piedi: teneva la mano sinistra appoggiata sul tavolo e la  destra aderente alla coscia meravigliosa. Mi osservava fissamente, con curiosità. Nella sua posizione eretta, immobile e un poco rigida, nel volto pallido orlato dai folti capelli neri e animato da un sorriso sottile eppure profondo nel senso che sgorgava dai penetrali del corpo e dell’anima, nella veste lunga e piegata come la colonna scanalata di un tempio, c’era qualcosa di religioso e di antico, o per lo meno io lo vedevo in quel momento solenne: mentre la guardavo ammirato mi venne in mente una Kore attica chiusa nel peplo, statica e intangibile, ma dalle labbra vibranti di vita e prossime a schiudersi per manifestare un pensiero magari desideroso di essere toccate. Dopo qualche istante di contemplazione muta, le domandai se avesse paura di posarsi accanto a me sul divano. Rispose che non ne aveva e sedette abbastanza vicina. Le presi la mano destra, gliela accarezzai, la baciai, poi le baciai la bocca. Quindi le dissi: “ andiamo di là”. Ci alzammo senza dire altro e facemmo il nostro ingresso nella stanza del letto. Ci stendemmo trasversalmente, in fondo al talamo grande, vestiti. La baciai di nuovo, quindi le domandai se preferiva svestirsi senza che io la guardassi

“No. Anzi: spogliamoci subito insieme  e nel farlo osserviamoci bene a vicenda perché questo momento è epocale, segna l’inizio di un’era nuova delle nostre vite e noi siamo felici come non lo siamo mai stati. Io almeno non sono mai stata tanto piena di gioia”

“Nemmeno io”, la assecondai con laconica brevità.  

 

Cominciammo con l’osservarci attenta mente a vicenda. In quel pomeriggio lontano non temevo di fare brutta figura siccome ero, e mi sentivo, nella forma migliore. Sicché potei godermi la scena della splendidissima giovane che si spogliava, mentre io, meno giovane e magnifico tuttavia non proprio privo di ogni lepòre, mi denudavo davanti a lei. A mano a mano che Ifigenia si svestiva a festa, mi sembrava che fosse la santa forza del sole a scoprirsi dalle nuvole invide, a mostrarmi il  bel volto radioso e mi invitasse a osservare e adorare debitamente il suo lume , il suo  nume.

 La ragazza era snella, compatta, fiorente e diffondeva davvero la luce beatificante nella stanza già aduggiata dalla sera autunnale che rapidamente calava sulla fosca, turrita e porticata Bologna.

Ifigenia si tolse tutto, senza scatti, morbidamente e quando ebbe finito, prima di me, attardato dal desiderio di contemplarla, si fermò a guardarmi. Il suo corpo eretto, slanciato, eppure già un poco incline a scivolare sul grande letto dei tripudi desiderati, mi fece venire in mente un’altra scultura sacra, ieratica e antica, però meno severa e statica dell’attica Kore con il peplo; così nuda e ondulata, mi ricordò la prassitelica Afrodite Cnidia dalle forme flessuose, candide e palpitanti alla luce, e, in più, oltre la divina armonia, nella carne della mia amante a portata di mano, c’era la natura viva, la vita fiera di sé, tanto che mi riempivo di orgoglio nel contemplare una creatura siffatta, nuda accanto al mio letto, come se avessi avuto la forza di portare nel talamo tutta la bellezza dei Musei della terra, e il rincuorante sole di primavera, e i prati della valle di Fassa coperti dall’erba alta e  dai fiori coloriti del mese di giugno, e  pure l’innumerevole sorriso delle onde marine che luccicano riflettendo i raggi del sole o della luna e li muovono a danza in arcano accordo con i passi delle Nereidi  che fanno girare rapidamente gli agili piedi imprimendo piccole orme leggere sul fondo sabbioso dell’abisso marino.

Ifigenia insomma stenebrava l’intero spirito mio e mi riempiva di gioia non solo con la propria figura ma con tutte le immagini di sovrumana bellezza  che la sua venustà santa evocava. Al suo sorriso corrispondevano il cielo e la terra e le salse onde del mare che osservavo da bambino e tornavano a lambirmi la mente quasi ogni giorno. Ifigenia ruppe l’estasi notando con allegria la vivacità del colore delle mutande che mi stavo levando. Aggiunse che avremmo dovuti farci filmare così come eravamo da un bravo regista che rendesse eterni quei nostri minuti carichi di storia, di poesia  e di mito

Bologna 4  aprile 2024 ore 15, 17 giovanni ghiselli

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Aristofane Lisistrata. XIV (vv. 706-780). Alcune donne cercano di farsi crumire disertando lo sciopero del sesso.


 


 

Il racconto è dolore, ma è anche amore. Il silenzio è spesso puro dolore

 Aristofane, Eschilo, Berto, Virgilio, Leopardi.

 

 

 Scene giambiche e intermezzi lirici- 706- 780.

 

 

 

Terminata la parabasi (vv. 614-705) Compare Lisistrata. La corifea le domanda perché sia accigliata-skuqrwpov" (Lisistrata, 707)

 La promotrice dello sciopero cita un verso di Euripide (Telefo fr. 704): ajll j aijscro;n eijpei'n kai; siwph'sai baruv (712) turpe è parlare e tacere è grave.

 

Cfr. Prometeo incatenato di Eschilo "ajlgeina; mevn moi kai; levgein ejsti;n tavde,-a[lgo" de; siga'n, pantach'/ de; duspotma” doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197-198). Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.

 

Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem (…) Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10-13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.

 

Nella Tebaide di Stazio (45-96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.  

 

Infine Leopardi che corteggia la luna

"O graziosa luna, io mi rammento

che, or volge l'anno, sovra questo colle

io venia pien d'angoscia a rimirarti:

e tu pendevi allor su quella selva

siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

il tuo volto apparia, che travagliosa

era mia vita; ed è, né cangia stile,

o mia diletta luna. E pur mi giova

la ricordanza, e il noverar l'etate

del mio dolore.

(Alla luna del 1820, vv. 1-12)

 

 

L’oracolo di Lisistrata

 

Lisistrata riassume la difficolta che l’ha contrariata dicendo binhtiw'men, vogliamo essere scopate (715)- binevw, fotto. Non riesce più a tenere le donne lontane dai mariti. Molte disertano.

E' una risposta interessante al catechismo della donna angelicata.

Arrivano tre donne che vogliono tornare a casa. La terza dice di essere incinta aujtijka mavla tevxomai 744 e che sta per partorire.

Lisistrata ribatte che il giorno prima non era pregna- ajll j oujk ejkuvei" suv

 g j ejcqev"- -

 Ma oggi sì, ribatte  la donna- ajlla; thvmeron- 745

Lisistrata scopre che la falsa pregnante ha messo sotto il vestito l’elmo della statua di Atena. Le altre due trovano altre scuse per correre a casa-la lana che si rovina per le tarme; il lino da maciullare-

Lisistrata semplifica dicendo come stanno davvero le cose: poqei't j  i[sw" tou;" a[ndra" (763), vi mancano gli uomini verosimilmente.

Anche loro ci desiderano, aggiunge, ma bisogna resistere.

Un oracolo crhsmov" assicura che prevarremo, eja;n mh; stasiavswmen 768, se non facciamo una guerra intestina nel nostro genere  (stavsi").

 Lisistrata  legge l’oracolo: le rondini (celidovne") fuggendo l’upupa, devono stare lontane dai falli- ajpovscwntaiv te falhvtwn-771  Le rondini indicano i genitali femminili.

Lisistrata cita altre parole dell’oracolo

Se le rondini si separano e si involano fuori dal tempio sacro, non ci sarà più nessun uccello di nessuna specie che sembrerà  più zozzone-katapugwnevsteron (776).

Dunque bisogna pazientare

tradire l’oracolo sarebbe una vergogna. (780)

 

Bologna 4 aprile 2025 ore 10, 42 giovanni ghiselli

 

p. s.

Questo è il link per chi vuole seguire la conferenza su Lisistrata  di lunedì 7 aprile dalle  ore 17.00 online:

https://meet.google.com/dbq-qqhz-yso?authuser=0

Biblioteca "Natalia Ginzburg"

Settore Biblioteche e Welfare culturale | Comune di Bologna

Via Genova 10 - 40139 Bologna 

tel. 051/466307 

www.bibliotechebologna.it

saluti giovanni ghiselli

 

 

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Ifigenia XIII. La preparazione meticolosa dell’evento.


 

Martedì 31 ottobre, a scuola, le diedi appuntamento per il giorno seguente, alle tre del pomeriggio, davanti alla libreria Feltrinelli.

La mattina del primo novembre mi accinsi all’incontro erotico che avevo deciso di proporre alla bella giovane collega,  come se avessi dovuto affrontare una difficile competizione sportiva premiata con un attestato dal valore trascendente quello dell’oro; una medaglia  che anzi avrebbe ricevuto valore dalla mia vittoria in  questo agone davvero olimpico e  pure pitico e istmico e nemeo: una gara nel significato più alto.

Dovevo gareggiare con me stesso per superare ogni dubbio: mostrarmi sicuro, lieto e forte: infondere piacere e certezze nella ragazza davvero bella, io che tuttalpiù ero un lepido moretto nemmeno di primissimo pelo.

“Se vinco-mi dissi- conseguo un trionfo sulle debolezze, le meschinità e le miserie di questa mia esistenza inficiata da una sconfitta lavorativa e intrisa di caos mentre vorrei condividere l’ordine della mente divina ordinatrice del cosmo.  Sintonizzata con la bellezza dell’Universo, almeno fisicamente, è Ifigenia e ne trarrò ispirazione, forza e salute”.

Quella mattina dunque volevo che il primo convegno amoroso tra noi riuscisse nel migliore dei modi. Perciò chiamai una fantesca reputata perché ripulisse con cura l’appartamento, soprattutto la stanza da letto e il bagno, poi andai a girare in bicicletta sui colli, nonostante la pioggia del resto leggera, faticando abbastanza  per sudare e purificami, ma non tanto da restare a corto di energie che sarebbero state preziose nel pomeriggio per le tante repliche che avevo messo in programma se la ragazza avesse accettato di salire nel santuario del letto nostro per compiere l’orgia santa con me e replicarla più volte. Quindi mi lavai meticolosamente ogni parte del corpo e pur nutrendomi a sufficienza, evitai di appesantirmi; quando infine mi vestii per l’incontro scelsi un paio di mutande nuove, azzurre quanto il cielo di aprile. Ero emozionato come se avessi dovuto affrontare il primo incontro amoroso, mentre in realtà ripetevo un rito che, almeno materialmente, avevo compiuto già diverse volte, contando la prima con ciascuna delle mie compagne. Ma Ifigenia era anche altro: incarnava  mito e poesia. Era Silvia di Leopardi risuscitata, era Nerina, era la bella Armida  di sua forma altera e de’ doni del sesso e dell’etate, era  Elena, era Margherita,  era Angelica, era Natascia, era Katiuscia, era Rosina e Violetta, insomma era l’amore di tutte le donne più belle e care incontrate nella vita, sui libri e inneggiata nei canti.

 

Bologna 4 aprile 2025 ore 10, 16 giovanni ghiselli

 

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Ifigenia XII. Il ridicolo ritrosetto. Il molosso: nequiquam.


 

Tornai a casa rattristato anche io. Non erano nemmeno le sette di sera ed era già notte. Il sole mi aveva tolto il suo favore, sicché ero caduto in disgrazia. Senza il conforto del dio luminoso avevo perduto il sostegno del mio difficile procedere sulla via del chiarimento di quanto volevo.

Non ricordavo nemmeno se l’avevo baciata o mi ero lasciato baciare.

Certo, desideravo portarmela a letto, come no?, magari congedando le altre due che non potevano reggere il confronto con lei per l’aspetto assai meno lepido e  tutto il resto meno inquietante ma anche molto meno attraente.

 Quelle però mi portavano a casa prelibatezze varie preparate da loro, mentre questa, a quanto avevo capito, non sapeva cuocere nemmeno un uovo sodo. Per giunta aveva un marito grosso e ringhioso come un molosso che poteva azzannarmi con quel ceffo e quei denti forti  da cane sanguinario. Non so se i suoi denti fossero pure lunghi perché davanti a mariti siffatti fuggo via spaventato,  ma so che nella prosodia il molosso è un piede formato da tre sillabe lunghe: nequiquam per esempio.

E i cerberi della mia scuola si sarebbero  astenuti dal mordere vedendoci amoreggiare?

Insomma la ragazza era deliziosa ma una relazione con lei poteva anche rovinarmi. Sicché, afflitto dal buio del cielo e da quello della mia povera mente, mi domandavo: “posso azzardare un assenso alla sua e alla mia concupiscenza?”. Non ne ero sicuro.

D’altra parte era arrivato il tempo di decidere se valeva la pena di correre il rischio: dovevo darle una risposta se non volevo perdere del tutto l’intraprendente e bella ragazza  che aveva mille altre possibilità oltre questa con me, e non mi avrebbe permesso di eludere ancora a lungo la sua richiesta già iterata.

E io senza essere né andaluso, né giovinetto né bello ero rimasto ogni volta   ritrosetto. Ridicolmente

 

Bologna 4 aprile 2025 ore 9, 57 giovanni ghiselli

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giovedì 3 aprile 2025

Joyce Ulisse ancora il VII episodio “Eolo il giornale”, XVI parte.


Thoughts of a dry brain in a dry season

 

BATTER CASSA.

L’avvocato chiede un prestito ma non gli viene fatto.

Stephen rprende il suo racconto dele due  strane cinquantenni

Dopo avere mangiato pane e affettato si puliscono le mani sulla carta e si avvicinano alla balaustra. Il professore avvisa il direttore che questa potrebbe essere una notizia: “Two old Dublin women on the top of Nelson’s pillar 131, due vecchie di Dublino in cima alla colonna di Nelson 201.

Crawford conferma che è materiale pubblicabile.  Due vecchie furbe. Sembra ironico. Molte notizie che leggiamo o sentiamo nei telegiornali sembrano comiche e spesso lo sono davvero.

Faccio un esempio che traggo dalla prima pagina del quotidiano “la Repubblica” di oggi:

Penne polenta

il Palazzo inaugura

il gastrosovranismo

 Chi vuole andare a leggere l’articolo lieto sia. Non abbiamo bisogno di insensatezza.

Stephen seguita con la buffonata dicendo che le due donne temono che la colonna caschi. Guardano gli edifici, li descrivono ma siccome a guardare gira la testa, si tirano se le gonne 201 they pull up their skirts 131

Ma Crawford lo frena: andiamoci piano, niente licenze poetiche no poetic licence.  Siamo nell’arcidiocesi qui. Non si può escludere che il direttore parli sul serio dopo avere visto il film Magdalene (2002) di Peter Mullan ambientato nel 1964.

Le due donne comunque siedono sulle loro sottane a righe guardando da sotto la statua dell’adultero con una mano sola peering up the statue of onehandled adulterer.

Il professore ripetè “adultero monomano” aggiungendo mi piace, afferro l’idea, capisco che cosa vuole dire.  Mi sembra sesso frustrato o andato a male

Stephen seguita con il suo racconto demenziale

Alle due viene il torcicollo. Mettono in mezzo il sacchetto delle susine, le tirano fuori, le mangiano, si tergono con il fazzoletto il sugo che cola dalle labbra e sputano i noccioli di sotto. Quindi Stephen scoppia in una risata. Il gruppo continua a camminare e Crawford chiude dicendo: “Finished? So long as they do no worse” 132. Finito? Purché non facciano di peggio 202.

Sono pensieri di aridi cervelli in un’arida stagione, come quelli che dobbiamo sentire dai presunti maestri del pensiero nazionale.

L’impotenza ha corroso le loro menti.

Le battute sono collegate ai titoli dei giornali che ben pochi leggono.

Thoughts of a dry brain in a dry season ( T. S. Eliot, Gerontion, 79)

Alla fine di questo lungo capitolo un corto circuito blocca i tram, il correlativo stradale della circolazione ferma  di questi cervelli

 

 

Bologna 3 aprile 2025 ore 18, 40 giovanni ghiselli

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Ifigenia XI. Le preghiere al sole e il bacio. L’analfabetismo affettivo e l’educazione sentimentale.


 

Mentre osservavo l’ultimo spicchio di sole che scivolava sotto l’orizzonte, mi tornarono in mente le preghiere  di tanti giorni sereni: quando osservavo il tramonto dal mio studio dove avevo passato la mattina e buona parte del pomeriggio impegnato sui classici greci e latini e  scorgevo il dio luminoso che scendeva sulle colline accarezzato dai venti primaverili, oppure  mentre tornavo a casa in bicicletta alle nove di sera dopo avere scalato la ripida acesa fino al tempio di San Luca, o arrivavo alla chiesetta tua, onesto Giovanni, posta sul’ultima rampa del monte Calvo, o salivo sul monte Donato  con il massimo impegno delle forze fisiche e mentali, oppure quando lo vedevo declinare mentre spremevo tutte le energie correndo i 5000 metri negli stadi, o quando ero sul molo del porto di Pesaro e lo osservavo commosso mentre calava nel mare a nord ovest del grattacielo di Rimini, e se ero solo, non mi saziavo di lacrime. Osservando i tramonti precoci dell’inverno o quelli meravigliosamente lunghi, lenti e tardivi della stagione bella, sempre ho pregato la santa faccia del dio  luminoso e non gli ho mai chiesto i miseri quattrini per riempire il ventre in ristoranti esosi, o per  dormire in alberghi costosi, o per comprare vestiti firmati, dato che anche gli stracci donano alla mia eleganza negligente nativa, né ho mai pregato la  Mente dell’Universo, il primo tra tutti gli dèi, la fiamma che nutre la vita, chiedendogli il potere, dato che detesto comandare come essere comandato, bensì ho sempre chiesto l’ amore  con le mie orazioni: l’amore di una donna bella, fine, colta, intelligente, e non una  volta  sola Elio mi aveva esaudito; ed ecco che mentre lo vedevo di nuovo annidarsi il 28 ottobre del 1978, potevo rendergli grazie di avermi fatto ottenere una nuova borsa di studio meritata con le grandi  fatiche della mente, del corpo, di tutto me stesso.

 

Tramontato il sole dunque, tornammo a Bologna. Quando ci salutammo dentro la Volkswagen a 300 metri  da casa sua perché il cerbero di guardia non la scorgesse accompagnata da un uomo e magari ci intronasse abbaiando furiosamente, Ifigenia mi chiese un bacio. Trovai il coraggio di darglielo e riuscii a gustare l’aroma di quel frutto appena còlto: una prugna, umida di una goccia caduta a benedirla  dal cielo, o una fragola ancora variegata di verde e profumata di bosco.

 

Dopo averla baciata, alla beatitudine succedette la paura. Paura di che? Dei morsi del cane bicefalo appostato a poche centinaia di metri? Della povertà conseguente al mancato sostegno familiare? Magari se mi fossi messo con Ifigenia e l’avessi portata a Pesaro ci avrebbero cacciati quali due peccatori dissoluti,  impudenti, e a me avrebbero fatto pagare l’affitto della casa che mi avevano comprato a Bologna le due zie più attempate e severe.

“Non devi trasformarla in un casino, o guai a te” mi avevano detto. “Abbiamo avvertito il prete del Fossolo di tenerti d’occhio”. Il curiale era venuto un paio di volte a bussare ma, riconosciuto l’indiscreto dallo spioncino, non gli avevo aperto la porta, mettendolo certamente in sospetto.

Magari arrivava una zia e a questa avrei dovuto aprire.

In effetti tre anni più tardi venne la più anziana, Rina detta la badessa dalla  madre sua e la sbirra dal babbo. La zia più  autoritaria dunque controllò  con una lente  le lenzuola stropicciate del mio letto, grande e capace. “Non sei mai stato prudente!” mi aammoniva  sua sorella  Giulia che mi portava a Moena negli anni Cinquanta.. 

Sarebbe arrivata la povertà, quella vera, se mi avessero trattato da affittuario. Più pezzente di Lazzaro, sarei diventato, più lazzarone di chi deve rubare per cavarsi la fame.

Sicché feci una mezza marcia indietro, e quando Ifigenia mi disse: “ti amo tanto!”, le risposi : “io  abbastanza”. Ci rimase male e si allontanò un poco ingobbita.

 

 

Bologna 3 aprile  2025 ore 15, 57 giovanni ghiselli

p. s.

Si parla tanto della necessità di porre un rimedio  all’analfabetismo affettivo dei giovani. Con i miei scritti cerco di dare un’educazione sentimentale a chi ne ha bisogno. Il più bisognoso ne sono stato io stesso.

Ho corso il rischio non di ammazzare, perché non sono un violento, ma di non arrivare mai ad accettarmi se non mi avessero accettato le donne. Ce l’ho messa tutta per imparare lo stile appropriato. Ora cerco di non dimenticarlo e di farlo conoscere con tutti i suoi ingredienti di parole, di silenzi, di sguardi, di atti. Non senza denunciare e biasimare gli errori, utili del resto anche questi a trovare la strada.

 

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Sviluppo, progresso, regresso.


Pasolini poco prima della metà degli anni Settanta contrapponeva lo "sviluppo" quale "fatto pragmatico ed economico" al "progresso" come "nozione ideale" (Scritti corsari, p.220)

Il personaggio Socrate. nel Gorgia di Platone, deplora  un ingrassamento di Atene senza grandezza,  attribuendolo all'azione dei politici Ateniesi, Temistocle, Cimone, Pericle, i quali:" hanno riempito la città di porti, di arsenali, di mura,  di contributi-degli allesti sottomessi ndr.- e di altre sciocchezze del genere, senza preoccuparsi della saggezza e della giustizia" ( a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a). La città non è grande bensì oijdei' kai; u{poulov~ ejstin (518e), è gonfia e ulcerosa dentro.

In questo dialogo platonico vediamo una denuncia che anticipa di tanti secoli quella di Pasolini.

Ebbene oggi in Italia va perfino peggio poiché assistiamo con pena a un regresso generale che riguarda  tanto la condizione materiale quanto la cultura, l’estetica, l’etica e ogni altra “nozione ideale”.

Pasolini faceva inoltre tale distinzione oggi datata: “la Destra vuole lo “sviluppo” (per la semplice ragione che lo fa); la Sinistra vuole il “progresso”.

Mi pare che oggi tutto sia confuso in una cattiva mescolanza –duskrasiva-   poiché ciascuno mira al proprio “particulare” senza avere la scopo del bene comune.

Le differenze sono oramai poco chiare.

Si parla da giorni soprattutto di dazi, piuttosto a vanvera, dato che dipendono da forze esterne, e intanto viene uccisa una ragazza al giorno senza nessun intervento educativo serio che insegni il rispetto della vita. Viceversa c’è chi auspica il riarmo e il proseguimento di una guerra già persa. Ogni tendenza va nel verso e dalla parte della violenza. Questa è il male comune che appare con grande evidenza dovunque e diviene paradigmatico per chi non ha la difesa della cultura.

Alla violenza e alla prepotenza  bisognerebbe contrapporre tanti  ostacoli attraverso l’educazione. La scuola può fare molto e pure la televisione. Invece proliferano cattivi esempi dappertutto. E diventano normativi per molti giovani lasciati volutamente sprovvisti di paideia e muniti piuttosto di coltelli e rivoltelle.

 

Bologna 3 aprile 2025 ore 10, 11 giovanni ghiselli

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