lunedì 17 novembre 2025

Un altro amore di Debrecen. Il secondo della trilogia finnica: La storia di Kaisa. Capitolo primo.


Capitolo primo: la conoscenza e il corteggiamento.

 

 

Nell’anno successivo al mese di amore con Helena vissi in Italia una relazione infelice con una donna insulsa: Esmeralda che non sapeva di niente e non sapeva niente tuttavia si reputava sapida e sapiente, quindi  parlava spesso e con petulanza.

Non poteva piacermi a lungo. Era mulier non mei generis. Né io potevo andarle a genio. 

Se tu guardi a lungo nell’abisso, questo entra in te. Lo sapevo e desideravo scappare. Ma viveva a Bologna dove volevo tornare da Padova e quella donna mi teneva in contatto con l’ambiente. L’occasione per cambiare aria e amante fu il rinnovo della borsa di studio estiva.

 Sicché nel luglio del 1972  tornai a Debrecen affamato di esperienze umane, e sessuali, ricche di significati forti e belli. Avevo il braccio destro ingessato dal polso al confine con la spalla dopo una frattura esposta, brutta assai, buscata in seguito a una precipitosa caduta dalla bicicletta mentre scendevo giù per i tornanti finali della “Panoramica” di Pesaro, tornando dal faro.

 Tuttavia, già un mese dopo la lunga operazione necessaria a rimettermi in sesto l’arto spezzato, portavo con una certa disinvoltura l’ingombro duro e pesante del gesso; cercavo perfino di farne un mezzo di seduzione collegandolo a una presunta virtus del vir che non si lascia fermare da nessuna difficoltà  e non cede mai. Magari si spezza  ma non si piega, come suol dirsi.

Arrivato nell’Università estiva, volevo confermare il successo avuto con Elena: l’ambiente di Debrecen con le studentesse provenienti da tutto il mondo, massime dalla Finlandia per quanto mi riguardava, era il più funzionale al conseguimento dei miei scopi .

Probabilmente per lo stesso motivo, appena ho potuto, nell’autunno del 1974, dopo la terza finnica e l’abilitazione all’insegnamento del greco, sono tornato a vivere da Padova a Bologna: questa infatti è una polis vivacizzata non da turisti più o meno beceri, come altre pur belle città,  ma da centomila studenti universitari, e non tutti maschi ovviamente.

Il bravo storico dell’arte Eugenio Riccomini, donnaiolo non meno di me, sebbene assai più attempato, disse parole veraci: che Bologna è un luogo di godimenti, siccome la vicinanza di tanti docenti e discenti è un terreno fertile per una grande, rigogliosa, fioritura erotica. Non posso negare che sia così. Lo stesso preside veneto della mia prima scuola in provincia di Padova mi suggeriva di tornare presto a Bologna: la città davvero adatta alla mia natura di comunista e dissoluto. Là potevo rimanere impunito.

Lo rassicuravo che l’avrei fatto appena possibile. L’ambiente veneto invero mi era simpatico ma Bologna mi offriva di più, anche perché vi ero vissuto  negli anni universitari e mi ci ero ambientato bene.

Anche nell’Università di Debrecen mi ero sentito bene nei 5 mesi estivi passati là tra il 1966 e il 1971.

 

Nel mese del corso estivo dell’anno di mia salvazione 1972, dunque amai riamato un’altra finnica: Kaisa bellina assai, colta e fine. Sapeva di greco e di latino oltre conoscere un paio di lingue europèe ancora parlate oltre la sua lingua madre ovviamente.

Come la vidi, pensai: “la finnica Elena, e ora questa qui. Nella mia vita ogni esperienza nuova è una ripresa della precedente e un suo proseguimento. Procedendo su  questa via maestra non ho trovato  passi invalicabili. Del resto ho scalato lo Stelvio, l’Olimpo, il Parnaso e il Taigeto in bicicletta”.

 

Kaisa era una ragazza piccola, ben fatta, piena di significato, con occhi dal taglio orientale, blu e profondi. I capelli li aveva nerissimi, lisci e lunghi.

Come persona era una seria studiosa di glottologia, specializzata nella linguistica generativa. Con il volgere delle stagioni avrebbe fatto carriera  fino a diventare preside di facoltà nell’Università più antica e prestigiosa della Finlandia. Aveva solo ventuno anni e qualche mese, ma era già sposata e con un bambino: un maschio dagli occhi azzurri mi disse, mostrandomene la fotografia e alzando un muro davanti al mio eros con questo atto non certo incoraggiante. Questo credevo ma poi mi ricredetti. “Ecco un problema – pensai- Devo scavalcare l’ostacolo  frapposto al mio scopo: fare un salto da atleta dell’amore per portarmi al di là”.

Di Kaisa mi piaceva l’aspetto e stimavo la sua serietà di studiosa. Le ragazze brave a scuola mi piacevano fin dalla scuola media Lucio Accio di Pesaro. Allora mi innamorai dell’allieva più brava  nella sezione femminile, la bruna  Marisa. Eravamo in competizione e facevamo  il confronto delle traduzioni dal latino e dei voti. Era brava e bella ma non osavo corteggiarla: a tredici anni non sapevo ancora come si fa.

 

La finlandese studiosa dunque, paragonata ai tanti dissipatori del bene più prezioso, il tempo, mi sembrava una dea o la creatura mandata dalla provvidenza per redimermi dall’essere stato talora uno sperperatore di tante ore, mentre avrei voluto progredire verso una vita più interessante, più piena e più confacente ai miei desideri.

  Con Kaisa dunque volevo ripetere la tattica e la strategia adoperate con Elena, magari rinnovate per renderle adatte a questa nuova conquista necessaria al progresso.

“Dai successi passati devi tracciare la strada per i prossimi, e percorrerla metodicamente fino a raggiungere tutte le mete”, mi dissi.

Dovevo indurre questa seconda ragazza fatale ad accogliere le ragioni seminali da me presentate, gli spermatikoi; lovgoi che avrebbero consolidato la mia crescita umana e dato a lei un dono prezioso di liete e memorabili gioie. Da Elena bella e fine ho imparato ad amare, da questa avrei ricevuto lo stimolo a studiare metodicamente e seriamente. Lo capivo.

Mi innamorai di questa donna sposata e la feci venire a letto con me, in spregio del suo vincolo matrimoniale, adulandola sfacciatamente. Ma non stupidamente come vedrai, lettore.

La conobbi e cominciammo a parlare da compagni di scuola nel bar dell’Università durante gli intervalli tra le prime lezioni. Ebbi la sensazione di non dispiacerle fin dall’inizio. Mi riempivo di speranza, un cibo non dannoso veniva digerito e diventava organico  con un agire adeguato.

Dopo un paio di giorni, una sera, mentre il primo fra tutti gli dèi con le sue fiamme ormai tiepide calava sull’orizzonte,  mi avvicinai guardingo, a piccoli passi felpati, e le proposi di camminare con me verso il sole al tramonto per metterlo a letto con  parole nostre.  Considerato quanto benevolmente accolse questo mio approccio, dopo avere accompagnato a dormire il dio che illumina il mondo e favorisce la vita, la invitai sulla terrazza dell’Aranybika dove si poteva cenare e pure ballare.

Percorremmo il tragitto dicendo solo poche frasi brevi ma piene   di significato, in sintonia con il sussurrare del bosco, ricco  di buone promesse nel principiare della breve notte estiva. Quando fummo seduti nel ristorante continuavamo a parlare poco ascoltando le Danze ungheresi di Brahms suonate dai violini zigani. Kaisa esibiva il colore eccezionale degli occhi muovendo le palpebre a tempo; io nelle pause di quelle sonate, le dicevo frasi gradevoli e forse gradite con un tono pieno di pathos.

 Dissi che mentre si camminava nel bosco, avevo riflettuto sui significati seri e profondi del nostro incontro cui non potevano confacersi chiacchiere ordinarie fatte di luoghi comuni rancidi.

“Per te voglio trovare parole ornate, belle, adeguate al tuo stile e al tuo aspetto”   .

 Quindi la corteggiavo caldamente  dicendole che le sue meravigliose luci mi facevano venire in mente il blu dei mari di Grecia, i petali delle viole nei prati di marzo appena spruzzati dalla pioggia della primavera nascente, il cielo turchino sopra le Dolomiti della valle di Fassa ancora innevate e scintillanti al sole di aprile.

Conclusi l’encomio con una citazione , siccome mi ero ricordato che avevo acceso l’attenzione di Elena citando Pavese.

“Da quando la notte nera ha tolto i colori1, tu me li restituisci tutti e li rendi più vivi” le dissi ricordando alcune parole di Virgilio, servile panegirista si Augusto e pure molto bravo a scrivere.

Continuai a  parlare limitando il polisindeto , l’uso di molte congiunzioni la cui frequenza ottunde l’acutezza e lo slancio del pathos. Tendevo piuttosto all’asindeto che fa vedere dritta la forza del sentimento e della voglia amorosa. Non potevo fallire e calcolavo ogni sillaba, il tono della voce, ogni movimento delle mani, del collo, e l’espressione degli occhi “in amore duces2

Una donna siffatta avrebbe rifiutato il perfetto imbecille che si muove e parla a caso, senza significare né avere coscienza di quanto è  dovuto a una femmina umana della sua levatura non comune. Chiacchiere ordinarie, per non dire triviali, potevo farle parlando con donnicciole e con omuncoli senza spessore alcuno, non certo con quella ragazza bella, fine, studiosa. Meritava un eloquio elegante, originale, geniale: frasi plastiche, dense e raffinate nello stesso tempo. Come già Elena nel 71, Kaisa nel 1972 era un suvmbolon  della mia mente, l’altra metà di me stesso, il segno di riconoscimento dell’intero che saremmo stati noi due una volta congiunti.

 Se fossi arrivato a fare il massimo con quella ragazza, sarei entrato profondamente in me stesso. Poi avrei proceduto. Oramai sapevo che questi amori di Debrecen non potevano avere un seguito una volta finita la borsa di studio. D’altra parte cominciavo a pensare che il premio massimo dell’avere studiato molto è la donna stessa che diventa mia amante. Finita la borsa di studio, addio all’amante.

 

Note

 1“… et rebus nox abstulit atra colorem” (Virgilio, Eneide VI, 272.

 

2:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (Properzio, II, 15, 12).

Avvertenza: oggi, 17 novembre 2025,  dalle ore 17 terrò una conferenza su Dostoevskij nella biblioteca Ginzburg di Bologna.

Il link per seguire da lontano quanto racconterò  è questo: https://meet.google.com/cyx-eswg-o

 

 


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