venerdì 21 novembre 2025

La storia di Päivi. 20. La rosa bianca di Josiane.



Dopo il tramonto salimmo, per cenare, al ristorante Silvanus alto cinquecento metri sui colli che sorgono sul gomito dell’Istro, il grande fiume verde di foglie e biondo di sabbie ancora memori della luce del sole.

Il Danubio incurvato tra i monti, da lassù sembra il lago di Como visto dalla Madonna del Ghisallo. Avrei voluto dare sfogo alla gioia scalando anche quella salita con la bicicletta. Una pendenza che varia dal 3 al 7 per cento quella del Giro di Lombardia vinto cinque volte da Coppi e da Pogačar.

A occidente indugiava ancora la luce della giornata bella, ma la temperatura si era abbassata di non pochi gradi.

L’estate tremava sulle soglie dell’autunno che l’avrebbe calpestata [1] e annientata poco prima di venire a sua volta intorpidito e paralizzato dalla bruma invernale, quella che fa zittire gli uccelli [2], o li uccide [3].

D’altra parte, se l’autunno già bussava alle porte colpendole con i soffi di aria non più calda, la primavera non poteva essere troppo lontana [4]. 

 Un vento fresco già quasi settembrino, muoveva gli aghi dei pini che profumando e sussurrando, mi suggerivano ancora sensazioni e pensieri buoni. I lunghi capelli di Päivi, mossi e sollevati dall’aria, sembravano fili purpurei protesi verso una realtà ultraterrena: il paradiso sperato del nostro amore.

Poco più tardi, mentre mangiavamo con moderazione, al nostro tavolo venne Josiane, l’ex ragazzina francese che una sera oramai già allora lontana [5] aveva ingelosito Elena, la bella finnica incinta del 1971.

In quel tempo la graziosa diciottenne mi sorrideva senza uno scopo preciso, come fanno spesso le adolescenti, e io la contraccambiavo con un sorriso da satiro invecchiato, già quasi un sileno [6], sebbene non avessi ancora compiuto ventisette anni. Il fatto è che avevo giurato il mio amore e l’avevo fatto con una donna che si era appena scoperta pregna di un altro uomo. Eppure quella deliziosa pulzella di Strasburgo mi attirava assai.

Passati tre anni, tutto era diventato più chiaro e diritto. C’era più verità, c’era più stile in entrambi.

Sempre carina e gentile, e un poco più matura, come me d’altra parte, dopo cena, la madamigella mi porse una rosa bianca dicendo: “Magister, tibi”. Presi il fiore e la ringraziai, contraccambiando la sua simpatia.

Le dissi, citando Thomas Mann: “une fois déjà, lorsque jé étais collégien, je  t’ai demandé ton crayon, pour faire enfin ta conaissance mondaine”[7]. Poi mi alzai e la baciai sulla fronte.

Josiane capì che la congedavo e se ne andò, questa volta forse per sempre. Dico forse e aggiungo “purtroppo” perché  mi piacerebbe che leggesse queste righe e mi cercasse. Dovrebbe essere una matura signora, una donna magari ancora attraente più o meno settantenne.  Uno dei miei amori mancati.

Spero che non abbia smentito il bell’aspetto e lo stile  che aveva e le faceva onore.

Noi, due graziosa adolescente del 1971, abbiamo vissuto nello spirito ciò che probabilmente non vivremo mai nella carne.

Una omissione non peccaminosa in quel tempo. Ma ora? Fatti viva creatura come quando arrivasti inopinata e misteriosa quale musa Tersicore ancora ragazzina nella sera di festa e insieme danzammo ammirati dai nostri compagni dell’età più bella.

Ancora una volta la matita rimase inutilizzata e non ci scambiammo gli indirizzi: non volli rompere l’equilibrio che avevo trovato con me stesso, con il mondo e con la donna che aspettava una bambina, o un bambino, da me. Lei diceva di sentire che era una bambina, forse per compiacermi. Oh sì: se nella vita mi manca qualcuno oltre i defunti più cari, è una figlia. Nient’altro mi manca.

Ricorderai lettore che la sera del 1971 nella quale conobbi Josiane e ne restai affascinato, la giovinetta francese mi domandò se cercavo una figlia e io risposi: “non ancora”. Si stava affacciando Helena sulla scena del ballo e volli risparmiarle un’infamia da parte mia.

Nel 1974 volevo trovare la bellezza coniugata con la giustizia dentro tutti gli aspetti del mondo e credevo di potere trasmettere tale connubio: Josiane mi aveva chiamato magister e mi sentivo davvero maestro, un artista educatore che nella nostra breve, talora tremendamente difficile esistenza mortale, discerne la santa armonia, sa indicarla ai suoi discepoli, e può renderla manifesta a un popolo intero.

 

Voi lettori avete superato un milione e ottocento sessantamila  mila elementi. Siete un’orchestra numerosissima, un popolo davvero eletto.

Infatti mi leggete senza alcuna pubblicità né alcuna mia visibilità televisiva, e senza che io ripeta i luoghi comuni della volgarità. Sono un a[topo~, un fuori luogo, eppure mi leggete.

 Di questo scritto e degli altri miei vi attirano la bellezza e la bontà di una vita vissuta pienamente nella la cultura, l’arte e l’amore. Nemmeno fossi Tosca.

 

Note

1 Cfr. Orazio, Odi IV, 7, 10 ver proterit aestas, l’estate calpesta la primavera.

 

2 Cfr. Lucano Pharsalia, I, 259 volucres cum bruma coercet (259) quando l’inverno chiude la gola agli uccelli.

 

 3 Cfr. Eschilo, Agamennone: “ceimw'na dj eij levgoi ti" oijwnoktovnon (563), e se qualcuno dicesse dell’inverno che uccide gli uccelli.

 

4 Cfr. Shelley, Ode to the West Wind: “If Winter comes, can Spring be far behind?”

 

5 Cfr. La storia di Elena. Vi chiedo: qual è la più bella della trilogia?

 

6 Cfr. Lorenzo de’ Medici, Canzona di Bacco

Questa soma, che vien drieto

 sopra l’asino, è Sileno:
 così vecchio è ebbro e lieto,
 già di carne e d’anni pieno;
 se non può star ritto, almeno
 ride e gode tuttavia.

 

7 La montagna incantata, quinto capitolo, Notte di Valpurga. Già una volta, ai tempi del liceo, ti ho chiesto una matita per fare ufficialmente la tua conoscenza.

 

p. s.

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