mercoledì 26 novembre 2025

Ifigenia VI. Ifigenia e la coetanea Josiane. Giovani colleghe da educare, oppure figlie da adottare? Le ricordanze.


 

Entrai nella terza liceo che stavo perdendo con dispiacere mio e dei discepoli. Eravamo quasi arrivati all’addio. I giorni precedenti avevo fatto alcune lezioni sporadiche eppure preparate bene. Le avevo però esposte con tono triste, già intriso di nostalgia e rimpianto. I ragazzi volevano manifestare ancora in mio favore ma io li trattenni, anche per non danneggiare me stesso: il preside Tangheri aveva il potere di farmi trasferire se i ragazzi gli creavano delle noie e lui ne dava la colpa a me.  Avevo solo l’appoggio degli allievi e dei genitori, ma tra questi non c’era nessun maggiorente della città che potesse proteggermi. I figli dei bolognesi  più potenti allora venivano mandati al Galvani dove avrei avuto la sede definitiva quattro anni più tardi.

Del resto quel giorno, il 13 ottobre, ero tornato allegro grazie alla compensazione trovata nella splendissima collega: recitai le due parti preparate sulla funerea Antigone e su  Petronio,  cantore della decadenza, con vigorosa allegria: il solo pensiero della fulgente ragazza dissipava ogni nebbia. Mi donava gioia la certezza che presto avrei abbracciato quella giovane collega e che avrei potuto educarla.  Mi aspettavo una lunga costruzione di  crescita  reciproca. Allora non sapevo che le mie fatiche impiegate per lei sarebbero andate in gran parte perdute come vedrete, cari lettori.

In quel tempo non avevo bisogno di donne amanti: due ne avevo a Bologna e almeno altre due a disposizione in altre città, ma Ifigenia era più che una donna qualunque: per me incarnava  un’idea: quella della vita piena, cioè  sana,  felice, trionfante nel sole, senza paure, divieti, rimpianti, rimorsi. Tutto questo vedevo in lei. Anche troppo,  probabilmente, ma dovevo compensare il doloroso smacco subìto nel lavoro dopo che per tre anni mi ero quasi ammazzato di studio perché nel liceo corresse la fama più egregia: quella  che aveva spinto la collega più giovane e bella verso la mia persona, cioè la mia reputazione  di professore bravissimo. Non solo  famā bella constant ma anche gli amori  talora sono costituiti dalla propaganda e dalla reputazione.

Ifigenia era la femmina più desiderabile dell’istituto, e dunque la mia bravura era stata adeguatamente premiata. Ma una volta retrocesso al ginnasio, dovevo insegnare prima di tutto l’alfabeto greco, e mi domandavo: con tale lavoro  sarei rimasto al livello culturale, alla specializzazione cui ero arrivato o sarei regredito a ripetitore dei paradigmi verbali che  si trovano già nel vocabolario?

Così avevo iniziato tre anni prima a Imola imitando i professori che avevo avuto da discente, ma avevo capito presto che tale metodo era bolso, era una via inadeguata e  non bastava ad attirare l’attenzione dei ragazzi i quali mi indicarono la strada giusta: “studiati e spiegaci la Nascita della tragedia” cmi dissero, e lo feci, e sono ancora grato a quegli allievi adolescenti di avermi assegnato dei compiti più impegnativi e accrescitivi di quelli che mi avevano imposto per anni dei professori rimasti eterni studenti ginnasiali.

Potevo consolarmi pensando: “ ma sì, dopo avere passato un intero triennio a studiare i testi greci e latini, a tradurli e commentarli,  rimaneva la letteratura moderna da studiare: grandi autori che conoscevo appena, come  Gončarov, Turgenev,  Gogol, Dostoevskij, Tolstoj, Flaubert, Huysmans, Wilde,   Joyce, Proust, Kafka, Thomas Mann,  Shakespeare, Goethe,T. S. Eliot. Li avrai trovati menzionati e citati qui dentro, lettore.

Anche  la grammatica delle lingue antiche del resto potevo insegnarle attraverso le parole più belle degli autori più bravi che avrebbero colpito la sfera emotiva dei ragazzini impressionando la loro memoria. Aggiungo adesso che all’epoca la scuola non era quale è oggi e chi si iscriveva al ginnasio aveva una predisposizione per le lettere e una preparazione di base che ora non c’è.

Per lo meno gli alunni conoscevano discretamente la lingua italiana.

Inoltre potevo e dovevo educare Ifigenia anche facendole ripassare il greco come mi aveva chiesto lei stessa. Iniziai raccontandole il Simposio di Platone non senza citazioni spiegate parola per parola. Facevo la parte di Diotima, la maestra dell’amore. Quindi passai al Fedro. Cercavo di comunicare a Ifigenia che  Amore è il valore fondante, quello che avvalora la vita, il valore che ci spinge e innalza verso le vette più alte: l’eroismo , la gloria, l’arte, insomma tutto quanto ci imparadisa e ci indìa.

Scoprirò con disincanto che  Ifigenia in effetti mirava a elevarsi più che altro da una condizione socioeconomica modesta. Mi accorgerò che tendeva a una scalata sociale prima di tutto. Già vedevo che adorava esibirsi. Infatti mi disse presto che le sarebbe piaciuto recitare a teatro.

Anche la relazione con me per lei era, almeno in parte, una scena da recitare nel teatro del liceo.

Ammetto che pure insegnando si recita  e anzi cercavo di chiarirle il mio metodo, la via per ottenere l’ attenzione degli studenti, problema che è il primo di ogni giovane docente inesperto. Vero è che Ifigenia era bella assai, ma l’utenza del Minghetti era costituita prevalentemente di femmine, piuttosto rivali che inclini a innamorarsi di lei.

Questo duplice impegno di insegnarle dei contenuti e un metodo per presentarli fu una ragione di contatto  reale, concreto e costruttivo tra noi. Fatto sta però che  vivevo questa ragazza  come un’allieva e una figlia piuttosto che quale collega, sebbene la differenza di età fosse di  nove anni.

Forse con lei recuperavo  la diciannovenne Josiane, venuta a Debrecen  nel 1971 dopo avere preso il diploma di maturità classica al liceo di Strasburgo. Ricordavo ancora la sera del nostro incontro che mise in allarme Elena Augusta.  Poi, nel 1974, la stessa ragazza  che   studiava greco e latino nell’Università, mi donò una rosa bianca con la dedica “magister tibi”.  Fu l’ultima volta che la vidi.

 Josiane era appunto una ragazza più giovane di me quanto Ifigenia nel 1978, una che mi era piaciuta assai lì a Debrecen, ma con la madamigella francese  non ci avevo provato per serbare fedeltà entrambe le volte: la prima alla finnica Helena incinta di un altro,  la seconda alla finnica Päivi nessa incinta sbadatamente da me[1]. Amavo entrambe le pregnanti, una alla volta.

Sicché c’era stato solo uno scambio di cortesie e di simpatia tra me  e la pulzella di Strasburgo che poi è rimasta nel catalog nel catalogo delle amanti mancate e rimpiante. Oramai ha superato i Settanta anni se è ancora viva. Se la incontrassi per la terza volta la corteggerei.  Le direi: “ricordi ancora quelle nostre sere in Ungheria? Io non le ho mai scordate. Sono passati più di cinquanta anni dall’ultima ma tu non sei mai passata dal cuore mio né dalla mente: “Ivi danzando, ma rapida passasti ”.  Josiane è diventata Nerina nella mia ricordanza.

 

 

Bologna 26 novembre 2026 ore 17, 35 giovanni ghiselli.

 

p. s.

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[1] Cfr. Ghiselli,  Tre amori a Debrecen. Si trova in prestito nella biblioteca Ginzburg. Non compratelo.


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