sabato 22 novembre 2025

La storia di Päivi 29 . L’ultima lettera dalla Finlandia. Ritorno a scuola: l’istituto professionale poi il Liceo classico.


 

La lettera di addio. Lo studio furioso e speranzosissimo. Il metodo comparativo

 

In aereo pensavo che Päivi, se avesse davvero voluto il mio aiuto, mi avrebbe chiesto di seguirla a Oulu dove invece volle andare senza di me, appoggiandosi al suo ex compagno.

In realtà la mia presenza non serviva più a niente, né aveva alcun senso il mio parere su quanto la donna aveva già deciso di fare. Le sue ultime parole d’amore erano del tutto dissonanti dai fatti.

Sono arrivato a diffidare delle persone dall’agire discrepante rispetto al parlare. Ho imparato che nel dubbio amoroso la risposta è sempre “NO”. Il comportamento di una persona che ama non lascia spazio a sospetti e inquietudini.

La soluzione del dilemma “m’ama, non m’ama” è comunque negativa.

 E’ inutile sfogliare le margherite. E’ un  falso dilemma, con un sol corno.

 Da Scilla e Cariddi ci si salva soltanto cercando un altro passaggio. Certo è che ora, ed è un vecchio che scrive, rimpiango quella bambina non nata. Adesso avrebbe cinquanta anni e qualche mese.

A volte la immagino bella, intelligente e invento dei dialoghi con lei, la figlia mancata, che mi manca. Mi invento l’avverarsi di un sogno mai realizzato.

 Da allora ho sempre cercato una figlia e anche per questo ho trovato, o mi hanno trovato,  compagne più giovani di me, sempre più giovani, sempre più figlie adottate da educare con amore e rispetto.

 Compensazione, malattia mentale, mania educativa, perversione, pederastia eterosessuale, pedagogia amorosa? Comunque maggiorenni.

 

Arrivato in Italia, aspettavo notizie. Dopo un mese di attesa penosa e angosciosa, una pena aggravata dal cambiamento di città e da quello di lavoro, le Simplegadi che potevano schiacciarmi se non mi avessero aiutato le zie Rina e Giulia comprandomi casa a Bologna, e mio padre mandandomi i mobili, il venticinque ottobre dunque, ricevetti una lunga lettera nella quale Päivi diceva di trovarsi sempre più rinchiusa nella barriera dell’Io, di essere senza fede nelle persone, siccome non credeva in se stessa, di sentirsi talmente vuota da non volere frequentare né vedere nessuno. In compenso voleva studiare  per imparare e sapere di più.

Qualche volta - scriveva anche - sento la tua mancanza, ma poi ci penso con totale realismo e capisco che tu sei troppo lontano da qui”.

Concludeva la lettera, l’ultima, con queste parole definitive:

 “Ora la cosa più importante della mia vita è il lavoro. Io voglio sapere di più. Può darsi che mi inganni quando voglio dimostrare a me stessa che la gente non conta. Spero davvero che nessun altro la pensi così. Spero che tu scriva qualcosa. Ciao.

 Päivi.

Da allora all’estate seguente le scrissi una ventina di lettere esortandola a credere nel nostro amore. Non ebbi alcuna risposta.

Io comunque dovevo crederci per coltivare l’identità di studioso serio che avevo trovato in me grazie all’amore di lei. Studiai tutto l’anno, soprattutto per Päivi, siccome avevo avuto una modesta scuola tecnica, un professionale dove non insegnavo greco né latino e non mi stimolava abbastanza. Volevo sentirmi vicino all’ultima amata, simile a lei. Quando seguitiamo ad amare una donna che ci ha rifiutato, ci comportiamo come le madri o le mogli dei soldati dispersi: sappiamo che non c’è niente da sperare, ma nulla ci vieta di continuare ad attendere.

L’anno successivo  ebbi l’incarico di insegnare greco e latino nel liceo classico Rambaldi di Imola e dovetti studiare molto per farmi ascoltare dagli studenti, per prepararli all’esame di maturità: tutti i giorni, dal ritorno a casa dopo la scuola, alle 9 di sera, mi preparavo. Nei giorni di “riposo” sgobbavo sui libri dalle 9 di mattina alle nove di sera con un intervallo di tre ore per nutrirmi e fare un  giro in bicicletta poco impegnativo. Dovevo riservare e dedicare gran parte del tempo e delle mie forze allo studio.

 Durante i primi mesi gli alunni leggevano il giornale, dopo Natale prendevano appunti. Mi avevano fatto capire che tradurre, snocciolare paradigmi, regole ed eccezioni di morfologia e sintassi, quindi ripetere quanto c’era scritto nel manuale di  letteratura non bastava, se volevo la loro attenzione. La volevo con tutte le forze, e volevo piacere. Raggiunsi lo scopo grazie alle mie capacità, alla mia volontà, ai miei sacrifici. Avevo passato studiando tutti i giorni per tante ore ogni giorno . Avevo dato retta agli allievi più bravi mettendomi nei loro panni e nelle loro scarpe.

 Nel commento alle parole tradotte dovevo mettere la storia, la filosofia, la comparazione tra i testi, un metodo che all’epoca non era ancora punto di moda, anzi era un’eresia secondo i colleghi, ma agli studenti desiderosi di imparare già piaceva e piaceva anche a me. L’avevo trovato e ammirato in T. S. Eliot.

Mi sentivo autorizzato da questo poeta a seguire tale via e ne ero motivato dagli allievi che me lo avevano chiesto , con garbo e pure non senza fermezza.

Sono ancora grato a quei ragazzi. Portavano all’esame l’Edipo re di Sofocle e mi chiesero di raccontare La nascita della tragedia di Nietzsche dopo la Poetica di Aristotele, poi l’Estetica di Hegel e così via. Mi fecero capire che senza la filosofia e la storia il greco e il latino a loro non davano abbastanza. Allora compresi quanto poco avessi ricevuto dai miei insegnanti e non volevo essere come loro.

Alla fine dell’anno i giovani, più giovani di me di una decina d’anni, mi consideravano bravo e mi ascoltavano con attenzione. E pure con amicizia.

 Verso la fine di maggio, una sera, guardando il tramonto  pieno di voli nell’aria serena e di gridi di rondini che giravano a gara nel cielo, stremato da quei mesi di studio continuo, ma non senza gioia, gridai: “Dio, ce l’ho fatta!”.

Così amare Päivi per accrescere la mia identità imitando l’immagine che mi ero creato di lei, non era più necessario.

Il mio amore non contraccambiato non aveva più alcuna funzione positiva, poteva solo farmi del male.

Päivi cessava di essere l’Augusta, l’accrescitrice indispensabile.

Rimaneva solo la volontà, anzi la necessità di sapere se avesse abortito, e per questo sarei andato a cercarla, come sto per raccontare.

Se dovessi risponderle adesso, le scriverei che isolarsi con i libri escludendo le persone non è la sapienza vera, quella che potenzia la vita. Le parole e le idee tratte dagli autori – accrescitori- infatti vanno discusse, e confrontate con l’esperienza, insomma vanno verificate e inverate, o confutate, vivendole, altrimenti rimangono frasi fatte da altri, luoghi comuni letterari, battute da talpe erudite, con la pancia e il cervello gonfi di radici verbali e, se va un poco meglio, diventano salaci battute che non cambiano niente, non aggiungono forza alla vita,  non la comprendono.

Insomma quello che imparavo doveva potenziarmi nel pensiero e nell’azione.

Avevo cominciato a intuirlo quando attirai l’attenzione di Helena con una frase intelligente, come ho già raccontato.

 

A Päivi, la donna  più importante e decisiva  di questa mia vita mortale, oggi citerei, magari tamburellando ditirambi, cinque parole delle Baccanti che dicono molto: “to; sofo;n  d  j  ouj sofiva[1], il sapere non è sapienza.

Poi glielo spiegherei ricordando le lezioni ricevute dalla vita, e da lei,  come faccio ora con voi cari lettori.

To; sofovn, il sapere, in greco è di genere neutro, non ha una matrice, mentre hJ sofiva , la sapienzaè femminile, il che consente di attribuirle una natura feconda.

Ma in quei giorni dell’autunno del 1974 menzionare la fecondità sarebbe stato inopportuno e di pessimo gusto.

 

 

Nota

 

[1] Euripide, Baccanti, 395. Dodds traduce “cleverness is not wisdom’Euripides Bacchae, p. 121


Bologna 22 novembre 2025 ore 16, 11 giovanni ghiselli

p. s

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