Ero dunque immerso nei miei ricordi quando una collega anziana, stanca di insegnare e probabilmente anche di vivere, claudicante ma pur sempre capace di scattare quando sentiva l’impulso di manifestare ossequio al potere qualunque esso fosse, una vecchia professoressa che durante i due anni del preside galantuomo e benevolo mi aveva trattato maternamente, mi aveva chiamato “giovane compagno educato e studioso, bravo ragazzo di belle speranze” e una volta mi aveva invitato a casa sua per darmi consigli, offrirmi un tè, perfino regalarmi dei libri, una insomma che si era comportata da amica maternamente affettuosa, a un tratto, improvvisa e inopinata tuonò dal suo seggio dicendo a voce alta per farsi sentire da tutti: “ascolta ghiselli, accetta un avvertimento da chi sta per andare in pensione: rimani al piano di sotto dov’è la tua classe. Il tuo posto non è più qui dove cerchi di mobilitare due classi contro il signor preside”.
Rimasi di stucco: avevo già visto che il suo atteggiamento nei miei confronti si era raffreddato, tuttavia non pensavo che sarebbe arrivata a tanto, anche perché era talmente vicina alla pensione che poteva non curarsi della benevolenza del nuovo dirigente. Prima di queste parole brutte avevo anche pensato che i sorrisi dei precedenti anni scolastici spariti dal suo viso o il volgere gli occhi dall’altra parte quando mi incrociava dipendessero dall’aggravarsi della zoppia dolorosa che quando l’accompagnavo a casa con la nera Volkswagen, e doveva salire nell’automobile o uscirne, le faceva gridare: “ahi, ahi! Aiutami gianni, per favore!”. Ci eravamo sostenuti a vicenda per due anni perché nessuno di noi poveri mortali può farcela senza un aiuto.
Quella mattina di novembre però l’anziana nutriva il proposito ignobile di fare una bella figura con il preside e la sua cricca, meditando forse di chiedere un lungo congedo che le anticipasse l’andata in pensione.
Ero dispiaciuto e pure incuriosito, sicché provai a domandarle: “Proprio tu mi dici questo? perché?”
“Come puoi fare una domanda tanto inopportuna tu, ghiselli? Sai bene che qui al primo piano c’è il triennio: tu ora insegni in una quarta ginnasio e devi stare là sotto con i tuoi alunni”.
“Deve esserci un bel mucchio di ossa sotto il Taigeto”, pensai
Un poco di Geografia e pure di storia
Per chi non lo sapesse, il Taigeto è la catena montuosa più alta del Peloponneso. Arriva a 2000 metri. Dal Taigeto gli Spartani gettavano i bambini deformi perché non diventassero anche cattivi.
Questa è una cattiveria mia dovuta al fatto che frequentando i malvagi a lungo andare si diventa come loro. Chiedo scusa se a volte mi capita. Il passo è situato tra Kalamata e Sparta. Due estati fa ho percorso di nuovo la salita in bicicletta da Kalamata alla cima (km 33, 12).
Il mio record, del 1997, è di 2 ore, 14 minuti e 27 secondi, alla media di 14, 7 Km all’ora. Nel 2024 ci ho messo più tempo. Ero vecchio ormai e non vinsi più la gara con Alessandro
Ogni volta sono sceso a Sparta quando arrivavo alla cima partendo , da Kalamata; facendo il tragitto contrario, da Sparta, si arriva sulla costa marina a Kalamata ovviamente. Anche questo tragitto ho percorso più volte. Ne sono fiero.
Quindi la Sibilla decrepita abbassò il volume della voce e disse: “oltretutto gli ex allievi tuoi, cervelli balzani, potrebbero interpretare la tua presenza qui come un’istigazione a delinquere contro la docente che è stata messa al posto tuo”.
La poverina, che era di fianco a me e aveva sentito, si scusò dicendo che non aveva chiesto lei di venire al mio posto e che capiva benissimo le ragazze e i ragazzi che si erano trovati tanto bene con me da rimpiangermi. Era stato il preside a imporle il cambiamento.
Seppi poi da un altro collega che la trama dannosa per due docenti, decine di studenti e contraria alla giusta distribuzione e scansione didattica, era stata ordita dalla vicepreside, un’altra anziana intrigante, la quale aveva una nipote. Questa, finito il ginnasio, aveva sentito alcune voci sul metodo mio e aveva temuto che le lezioni tenute da me fossero troppo difficili per le sue capacità. La nipotina aveva avuto al ginnasio la collega messa al mio posto e si era abituata al suo metodo: ripetizione di manuali e della grammatica finalizzata a se stessa. Sicché ne aveva parlato alla zia che aveva sistemato la faccenda d’accordo con il capo dell’Istituto che non si sentì di opporsi alla sua vice, una specie di factotum.
Del resto la professoressa promossa dal ginnasio al liceo non era una persona cattiva né aggressiva, anzi era una mite: si era scusata diverse volte con me e perfino con gli studenti. Diceva che il nostro spostamento aveva penalizzato entrambi. Lei funzionava meglio al biennio e io al triennio. Era proprio così.
Rivolto alla vecchia strega mi limitai a dire: “:" uJmei'~ me;n oujc oJra'te
tavsd j, ejgw; d j oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo". E’ Oreste che grida tali parole nelle Coefore di Eschilo (1061) quando le Furie lo incalzano.
Sicché aggiunsi: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
Sicuro che la megera non avesse capito il greco aggiunsi la versione inglese: “:" You don’t see them, you don’ t-But I see them: they are hunting me down, I must move on”[1].
Quindi mi alzai e me ne andai contento di avere detto parole dirette, taglienti e feroci come pugnali senza tuttavia essermi sporcato le mani di sangue.
Avvertenza: il blog contiene una nota.
Bologna 29 novembre 2025 ore 120, 50 giovanni ghiselli
p. s.
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