In settembre ripresi il mio lavoro nel ginnasio liceo Marco Minghetti. Appena arrivato trovai una brutta sorpresa: l’ottimo preside Piero Cazzani, l’uomo che ascoltando la voce degli studenti mi valorizzava, era andato in pensione e ne era arrivato un altro che mi ricevette scortesemente. Era un burocrate di tutt’altro versante politico culturale,umano e non gli piacevo. Compresi subito che non intendeva confermarmi nelle mie classi liceali. Intanto mi assegnava delle sostituzioni come se fossi stato un supplente mentre ero già di ruolo. Le mie due classi dell’anno precedente divenute una seconda e una terza liceo eratrarono in agitazione reclamando la continuità didattica con me. Ero assai preoccupato
Una delle prime mattine di questo mio andare e venire in varie classi che non potevo conoscere poiché erano ogni giorno diverse era suonata da poco la campanella dell’intervallo lungo delle 11. Stavo uscendo in fretta dal piano terreno buio per andare nel bar di via Nazario Sauro situato di fronte alla scuola. Quando fui vicino al portone, sentìi che qualcuno mi stava arrivando alle spalle. Mi girai e vidi una collega giovane molto e bella, una supplente arrivata da poco. Disse che voleva parlarmi.
Divinam ego putabam, pensai che fosse mandata da Dio.
Era lei, la Kore immaginata e invocata durante il solitario giro ciclistico di agosto nell’Ellade tra Andros, Mykonos, Maratona, Brauron, Atene, Corinto, Epidauro, Micene, Patrasso. Era questa la ragazza invocata fra le gioie e i triboli di quel viaggio pieno di sogni e di segni. Il dio non mi aveva mentito. Pensai che avesse una decina di anni meno di me. Poteva essere la figlia che mi mancava dopo avere perduto quella concepita quattro anni prima con Päivi che l’aveva abortita.
Avevo notato che questa bella collega mi guardava con interesse mentre parlavo durante un’assemblea studentesca. Sentii l’eterno richiamo dei sessi più forte del solito. Il 1978 era stato per me un anno di abbondante messe amorosa, ma tale fanciulla era la spiga più bella del mazzo, il fiore dai colori più vivi, il frutto probabilmente più saporito, succoso e significativo.
“Come ti chiami?” Le domandai, simulando noncuranza.
“Ifigenia”disse con un sorriso aperto fin dentro l’anima.
“Hoc erat in votis”, pensai.
“Io gianni”, risposi.
“Lo so. Posso darti del tu?”.
Certo, come no, siamo colleghi e magari possiamo diventare amici se vuoi! Che cosa posso fare per te?”
“ I ragazzi mi dicono che sei molto bravo. Vorrei che lo dicessero anche di me. Insegnami come si fa. Per ora mi trattano con simpatia, come se fossi una di loro, ma non credo che mi ritengano brava”.
“Ci vuole tempo. Immagino che tu sia una laureata precoce: avrai poco più di vent’anni”
“Venticinque a dicembre”
“Io ne compirò trentaquattro in novembre. Quando ho iniziato al liceo, tre anni fa, ne avevo già quasi trenta ma non sapevo come fare per ottenere l’ attenzione degli studenti. Ci ho messo un paio di mesi per farmi ascoltare e altri due anni prima che le ragazze e i ragazzi mi considerassero bravo. Ho dovuto studiare molto, imparare i classici greci, latini e altri europei disporli in una visione comparativa non senza corredarli di giudizi critici di altri autori e anche dei miei personali. Nei primi due anni studiavo fino allo sremo e mi tenevo su con la speranza di una borsa di studio”.
“Cioè?”
“L’attenzione degli studenti. E ora magari la tua: my Fellow-ship I call you”: potresti essere tu la mia prossima borsa di studio”.
“Non so se merito tanto interesse”
“Sto solo contraccambiando il tuo, molto gradito. ”
“Ne sono felice”.
La simpatia aperta che durante quell’intervallo, la giovane collega mi manifestava, la fiducia che mi dichiarava guardandomi apertamente negli occhi, e chiedendomi di insegnarle il nostro mestiere, la curiosità e la vitalità prorompente che tutta la sua luminosa persona irradiava, mi riempiva di gioia e non mi consentiva di simulare né dissimulare l’attrazione che sentivo per questa ragazza vagheggiata e auspicata mentre pedalavo nell’Ellade, eppure inopinata in quel preciso istante. Contraccambiavo apertamente i suoi sorrisi mentre ne osservavo le membra slanciate e armoniose, formose ma snelle, il viso illuminato dagli occhi grandi, scuri, ridenti, la piccola testa incorniciata dai folti capelli neri e ondulati. Mi sovvenne Helena, la finnica amata sette anni prima, l’Augusta della mia vita, immagine sacra eppure vivente di Afrodite dal dolce sorriso. Donne che amano e fanno amare la vita.
Bologna 26 novembre 2025 ore 10 e 3 minuti giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
All time1871797
Today262
Yesterday883
This month29134
Last month24466
Nessun commento:
Posta un commento