Procedevo lungo la costa orientale dell’Attica, diretto al promontorio meridionale. La strada era discosta qualche chilometro dal mare da dove provenivano i soffi di un vento furioso. Pedalavo chino sul manubrio e abbarbicato alla bicicletta per non essere gettato a terra dove avrei battuto la testa, sarei rimasto privo di sensi e mi avrebbero finito dei cagnacci affamati acceffandomi senza pietà, ne ero sicuro. Ho sempre temuto la morte per cani. La cosa più costantemente temuta accade sempre?
A un tratto vidi un cartello che indicava il tempio di Brauron. L’avevo sentito menzionare da Euripide ma non ricordavo in quale tragedia. “sono i prodromi dell’Alzaheimer” pensai e ne fui terrorizzato. Quindi sussurrai: “presto sarà tempo di dire: nunc dimittis servum tuum Domine” . Poi aggiunsi: “forse è già tempo”, ricordando le ultime parole del romanzo Il male oscuro di Berto che mi influenzò e aiutò molto nella fase più tragica della mia vita.
Non potevo rassegnarmi a tanta smemoratezza: non avevo nemmeno bevuto l’acqua del Lete. Ho sempre avuto una memoria più che terrena e il laqevsqai mi pareva il maximum scelus , un segno di morte. Sicché ce la misi tutta per tirare fuori il ricordo dalle pagine di Euripide.
Appena me ne sovvenni, mi sentìi salvo. Si tratta della cara tragedia Ifigenia in Tauride quando Atena ex machina ferma l’inseguimento del barbaro re Toante e salva i fratelli figli di Agamennone e Clitennestra, preannunziandone le sorti. La ragazza dovrà custodire le chiavi del tempio di Brauron dove morirà e avrà sepoltura. In quel tempio Ifigenia avrebbe ricevuto l’ornamento dei pepli e dei tessuti che le donne morte di parto lasciano nelle loro case.
L’onore della mia memoria, il mio stesso onore e la vita, tutto era salvo, tranne la mia bambina, quella che Päivi aspettava, invano. Forse aveva temuto di morire di parto. Dovevo sostituirla quella creatura in qualche maniera. Con rinnovate forze misi la bici per un sentiero sassoso pedalando a fatica contro gli sbuffi del vento che veniva dal mare e mi gettava aspri granelli di sabbia negli occhi già straziati da trenta ore di lenti a contatto. Ma lì tutto era santo. Infatti ero diretto al santuario dove le spoglie della la mia figlia prediletta sarebbero rimaste per sempre protette dalla dea cacciatrice. Giunsi sulla riva dove sorgono le colonne del tempio. Il vento orientale, lo stesso che più a nord ostacolava la partenza dal golfo di Aulide, sembrava inteso ad abbattere le sgretolate colonne. Non ci riusciva però. Invece scuoteva le chiome dei pini e i capelli della mia Ifigenia che profumavano mandando al cielo soavi odori di Paradiso, ingentilendo l’aria salmastra e rendendola più delicata. Guardavo mia figlia: bella, bruna, vivace: aveva negli occhi un’espressione ispirata e sulle labbra un sorriso di risoluta fierezza. Aveva deciso di dare la vita per l’Ellade intera guidata da me.
“divdwmi sw`ma toujmo;n J Ellavdi”, offro il mio corpo per l’Ellade, ricordai (Euripide, Ifigenia in Aulide, 1397)
Pregai la dea cacciatrice con gli occhi bagnati di umore congiuntivale e di pianto: “O casta dea che non puoi volere il sangue innocente di questa creatura mia, salvala dal ferro del sacerdote infernale. Ritengo che l’empio Calcante, lo scellerato prete, essendo lui un assassino, attribuisca a te la sua crudeltà. Ifigenia non è renitente al fato: non vuole essere salvata da me e nemmeno da Achille. Salvala tu, potente signora della natura, dopo che la mia figliola prediletta ha dato il suo assenso al sacrificio di sé per amore della Grecia. Artemide salva la vergine Ifigenia. Lei ti somiglia!”
Il luogo era deserto e potei piangere le lacrime dolci che mi diedero, come sempre, una strana consolazione. Sazio di lacrime, ripresi a pedalare. Ero quasi felice.
Bologna 25 novembre 2025 ore 10, 32 giovanni ghiselli
p. s
“Strana consolazione” dunque. Ne ho ancora bisogno. Piove da due giorni e non posso muovermi per non bagnarmi, né devo mangiare per non ingrassare.
Ma se non mangio nemmeno una pera con la buccia divento pazzo. Mia sorella mi suggerisce di non scartare nemmeno il torsolo. Non sarà troppo ingoiare tanta prelibatezza?
La mia consolazione sta nel leggere e nello scrivere.
“La parola è la chiave fatata che apre ogni porta” ha scritto don Lorenzo Milani. Lo credo anche io. Con le mie donne migliori ha funzionato. Quelle affascinate dalla venustà del mio dire oltre che dalla lepidezza della mia persona intera, erano non solo le più intelligenti ma pure le più belle. Elena Augusta in primis che dopo avermi ascoltato per un paio di giorni disse: “Sto imparando ad amarti”. Anche con voi lettori le mie parole funzionano. Sarò maestro di un popolo intero
Ecco quanti siete fino a questo momento.
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